lunedì 31 agosto 2015
Cefalonia. L'attacco del 317° Battaglione
21 SETTEMBRE
La preparazione di artiglieria,
specialmente forte sul nodo di Kardakata, ebbe inizio alle ore 5,30.
Alle ore 6 le fanterie dovevano
iniziare l’attacco.
“Al mattino del 21 – informa il
capitano Bronzini – il generale, con il capo di stato maggiore e con altri
cinque ufficiali del comando della divisione si recò a Dilinata. L’osservatorio
del comando della divisione era allestito sulla sommità della collina che
dominava il paese”.
“Il terzo battaglione del 317° - dice
il capitano Apollonio – aveva appena iniziato la manovra di avvolgimento,
quando, improvvisamente, gli elementi più avanzati cominciarono a gridare: i
tedeschi, i tedeschi. Era proprio vero: durante la notte, due grossi
battaglioni di alpini germanici – sbarcati nei giorni precedenti nella baia di
Kiriaki – da Ankona avevano raggiunto Phalari indi, avanzando lungo la strada
Phalari – Dilinata, erano passati ad oriente del Dafni, e qui, fatti
prigionieri senza colpo ferire alcuni elementi del terzo battaglione del 317°,
avevano proseguito l’avanzata fin sotto il Rizocuzolo. Il comandante del battaglione
fu così sorpreso in pieno”.
“Contemporaneamente – informa il
capitano Bronzini – erano da poco passate le 6, apparvero dense formazioni di
Stukas che iniziavano un esortabile martellamento dei nostri battaglioni in
linea, delle artiglierie e delle retrovie. Si interrompono tutti i collegamenti
telefonici. Il bombardamento si attua rapido e violento, pare un inferno. Le
nostre artiglierie, neutralizzate, cessano il fuoco. Ora sono i tedeschi che da
ogni parte muovono all’attacco con direttrice principale Divarata – Dilinata”.
“Alle ore 7,30 – dice l’Apollonio – il
comandante del terzo battaglione del 317°, dopo circa un’ora di combattimento,
alzava bandiera bianca. Ma gli altri due battaglioni, sebbene fortemente
premuti, continuarono a combattere.
“Essi scrissero pagine che possono
senz’altro definirsi leggendarie.
“Ufficiali e soldati in gara ressero
saldamente il fronte per quattro ore infliggendo gravissime perdite ai
tedeschi, che, appoggiati dagli Stukas, dai mortai e dalle numerosissime armi
automatiche, tentavano di incunearsi nelle
nostre linee. Gli Stukas, a volo rasente, provocavano ingenti perdite
fra i nostri. Ma i fanti della “Acqui”, anche se completamente indifesi e allo
scoperto, continuavano a combattere unicamente
sostenuti dalla forza della disperazione.
“Senonchè i tedeschi, con una forte
colonna avanzante ad oriente della rotabile fra Kutsuli ed il Vrokonas,
iniziarono il forzamento del passo fra i monti e l’avvolgimento del nostro
schieramento.
“La situazione cominciò a precipitare.
“Quando i tedeschi ebbero forzato il
passo, le nostre truppe sul Rizocuzolo vennero a trovarsi in una situazione
tragica: premute di fronte dalle forze tedesche provenienti, lungo i canaloni,
da Kuruklata; attaccate sul fianco e sul tergo della colonna tedesca, che
forzato il passo, si era suddivisa in due colonne di cui quella orientale
marciava direttamente su Dilinata.
“Parte delle forze del Rizocuzolo
dovettero quindi assumere schieramento con fronte ad est ed a sud.
“Qui cadde il maggiore Fanucchi mentre,
già ferito due volte e grondante di sangue, incitava i suoi fanti alla
resistenza.
“Spezzonati, mitragliati, bombardati
da ogni parte, nella assoluta impossibilità di resistere, i fanti del secondo
battaglione del 317° cominciarono a ripiegare dopo aver lasciato sul terreno oltre 250 morti.
“Devo ricordare, di questo
battaglione, il sottotenente Ettore Ferrari. Egli dopo aver guidato per due
volte i suoi soldati al contrattacco, rimasto ferito, si faceva trasportare con
una mitragliatrice sul punto più elevato del Rizocuzolo e qui, quando giunse l’ordine di
ripiegamento, lasciato dai suoi soldati, rimase solo a sparare. Dopo dodici
mesi, su quella posizione, furono ritrovati i suoi resti ed il suo elmetto sepolti
sotto un cumulo di bossoli.
“Il capitano Ciaiolo, ferito una prima
volta, rifiutava di lasciare la lotta. Ferito la seconda volta, guidava i suoi
uomini al contrattacco. Colpito a morte in fronte, il suo cadavere veniva
strenuamente difeso dai suoi uomini: furono rinvenuti accanto a lui i resti di
ottanta uomini, fra cui il suo attendente.
“Anche il primo battaglione del 17°,
che doveva tenere la fronte di Pharsa, aveva resistito a lungo. Ma poi,
maciullato dall’aviazione, dopo aver lasciato sul terreno oltre trecento
uomini, veniva fatto prigioniero. Soldati e ufficiali venivano trucidati parte
presso la curva del km. 12 della strada Kardakata – Argostoli, parte a
Kardakata.
“Arresosi perciò il terzo battaglione
del 317° che costituiva l’ala avvolgente, distrutto il secondo battaglione
dello stesso reggimento sul Rizocuzolo, infranto e trucidato il primo
battaglione del 17° sul campo di battaglia si stese un lugubre silenzio di
morte”.
“I tedeschi – dice il capitano
Bronzini – avanzavano ormai lungo tutto il fronte, dal Rizocuzolo al mare. Le nostre
fanterie sono state travolte e si sono date, terrorizzate, a precipitosa fuga.
Io mi trovo al comando tattico di Prokopata, unico ufficiale colà rimasto,
essendo gli altri ufficiali, col generale all’osservatorio di Dilinata. Verso
le 10 arriva la macchina del generale: c’è solo l’autista, il quale mi racconta
che il generale e gli altri ufficiali sono stati circondati e fatti
prigionieri; lui solo, sceso sulla strada, vi ha trovato la macchina ed è
riuscito a fuggire,
“Io capisco che ormai è finita per la
mia divisione.
“l’unica linea telefonica che ancora
funziona è quella del generale Gherzi: mi metto in comunicazione, ma mi
rispondono che il generale è ancora sul luogo della lotta. Che fare? Do fuoco a
tutto il carteggio della divisione (ad eccezione dei documenti riguardanti le
trattative dall’8 settembre in poi) ai cifrari, alle pubblicazioni segrete.
Chiamo a raccolta elementi della compagnia carabinieri e predispongo la difesa
vicina al comando della divisione. A firma del gen. Gandin invio al Comando
Supremo il seguente appello: Nemico appoggiato da violentissima azione aerea
avanza rapidamente su tutto il fronte, urge immediato invio caccia et
bombardieri”.
“Infranta la resistenza delle fanterie
– dice l’Apollonio – veniva la volta delle batterie del 33° artiglieria.
Allorché gli artiglieri videro le truppe tedesche scendere dalle pendici del
Vrokonas e del Rizocuzolo aprivano il fuoco a puntamento diretto.
“La nostra zione continuò ininterrotta
sebbene fosse assai dolorosa la visione dei nostri fanti in fuga.
“Quando i tedeschi giunsero sotto la
linea dei pezzi si cominciò a sparare a zero.
“Il solo fatto che ogni batteria abbia
sparato circa 200 colpi a zero sarà sufficiente a dare un’idea dell’ardore e
della tenacia degli artiglieri.
“Quando, ormai, il continuare a
resistere divenne impossibile, furono asportati gli otturatori e distrutti i
cannocchiale panoramici. Così le batterie caddero in mano nemica
inutilizzabili.
“Parte degli artiglieri riuscirono a
salvarsi: ma molti. Di mano in mano che cadevano nelle mani dei tedeschi, i
quali erano furenti per le gravi perdite subite, furono trucidati subito.
“Il tenente Ambrosini, una delle
figure di quei giorni, dopo aver combattuto sull’osservatorio avanzato del
Rizocuzolo, fu ferito gravemente. Tentò di ripiegare, ma, circondato dai
tedeschi, dopo accanita resistenza, veniva immediatamente fucilato assieme ai
suoi artiglieri della pattuglia di comando.
“All’altezza di Dilinata, il ten. col.
Deodato, comandante del primo gruppo del 33° artiglieria, era riuscito ad
organizzare una resistenza. Ma veniva subito travolto e cadeva con la pistola
in pugno mentre incitava i suoi artiglieri a resistere.
“Il capitano Fiore e tutto il
personale del comando gruppo, stretti come un sol uomo attorno al proprio comandante,
venivano catturati e trucidati sul posto. Il capitano Pampaloni, dopo essersi
difeso ad oltranza con la sua batteria, veniva fatto prigioniero e posto in
riga per essere fucilato assieme al suo sottocomandante e ventidue artiglieri.
Però, data la sommarietà di tali
esecuzioni, rimaneva solamente ferito al collo e perciò, fintosi morto, riuscì
a scappare non appena le pattuglie tedesche si furono allontanate. Venne infine
la volta della mia batteria.
“Per circa due ore essa era stata
bersaglio di trenta Stukas. Ma resistemmo anche sotto gli spezzonamenti e
mitragliamenti. Quasi tutte le munizioni giunte nella notte, circa tremila
colpi completi, furono centrati mucchio per mucchio e saltarono in aria.
“La situazione ci apparve in tutta la
sua tragicità allorché cominciarono ad affluire i primi sbandati, terrorizzati
dal mitragliamento aereo incessante, sgomenti, inebetiti, per quanto avevano
visto e vissuto. Nel loro accasciamento, nel loro straziante dolore, erano
soprattutto dominati dalla visione della orrenda sorte toccata ai compagni
caduti nelle mani del nemico.
“I tedeschi trucidavano i prigionieri!
“Imponendomi con la forza, tentai di
fermare i fuggitivi per costituire una linea di resistenza. Ma mentre, per
consolidare tali linee, facevo trascinare i pezzi sulla strada, una ventina di
Stukas cominciarono a bombardare nuovamente la mia batteria. Una bomba cadeva
al centro di essa provocando gravissime perdite e la fuga di molti soldati che
avevo colà raccolti.
“Intanto pattuglie tedesche erano
giunte a poche centinaia di metri dalla batteria.
“Il sottotenente Di Carlo ad un tratto
abbandonava il cannone e, ubbidendo alla generosità dei suoi 22 anni, si
scagliava da solo all’assalto con le bombe a mano. Una raffica di
mitragliatrice lo abbatteva al suolo. Lo feci raccogliere e porre in una
barella. Agonizzante, col rantolo della morte, mi disse “Apollonio non mollare.
Sono pochi, te lo dico io che sono pochi. Spara a zero con le granate a
palletta”. Lo baciai.
“Ma anche la mia batteria era ai suoi
ultimi sussulti.
“Avevo l’animo travolto.
“La coscienza della responsabilità che
mi ero assunta rendendomi uno dei più decisi assertori della lotta contro i
tedeschi mi impose di compiere l’impossibile. Ad un sottotenente che mi gridò
“Tu ci vuoi far massacrare tutti!” gli puntai contro la mitragliatrice e gli
imposi di tacere. Accanto a me il sottotenente Mattei comprendeva e condivideva
il mio doloroso travaglio”.
Il caporale Gemignani dice: “ il
capitano Apollonio ordinò infine di distruggere i cannocchiali, di togliere gli
otturatori, lasciando integro solamente un cannone. Dette ai superstiti
l’ordine di ripiegare. Con l’unico pezzo ancora efficiente riprese a sparare
per ritardare l’avanzata delle pattuglie tedesche e dare la possibilità ai suoi
artiglieri di ritirarsi”.
“Alle 11 – dice il capitano Bronzini –
ecco giungere a Prokopata il gen. Gandin.
Provai la stessa gioia che avrei provato rivedendo mio padre. Dice che
la collina di Dilinata era stata effettivamente circondata da pattuglie
tedesche ma che lui ed alcuni ufficiali del suo seguito erano riusciti a
sfuggire alla cattura. Il generale approva tutto il mio operato e si accinge a dare gli ordini per
l’estrema resistenza”.
“Appena possibile – dice il capitano
Apollonio – mi presentai al generale Gandin e lo informai degli ultimi
avvenimenti. Narrai la impressionante scena delle truppe in fuga. Il colloquio
si svolse sulla soglia del comando di Prokopata alla presenza del ten. Col.
Fioretti. Il generale era apparentemente tranquillo ma gli leggevo sul volto il
dramma angoscioso che sconvolgeva il suo animo. Mi congedai. Non dovevo
rivederlo più”.
Nel pomeriggio di questo giorno le
truppe di cui il gen. Gandin potava ancora disporre erano il secondo e il terzo
battaglione del 17° fanteria già provati nei combattimenti di Argostoli nella
giornata del 15 ed il secondo provato ancora nell’impresa del 19 contro Capo
Munta, a cui avevano partecipato con due compagnie di fucilieri ed altri minori
reparti.
“Malgrado ciò – informa il capitano
Bronzini – il generale dà gli ordini per un’estrema resistenza. I resti del
secondo e terzo battaglione del 17° devono schierarsi da Pharaklata al mare; il
comando della divisione a Keramies. Verso le ore 24 i trasferimenti sono
attuati;; ma dei reparti del 17° fanteria ben pochi uomini hanno potuto
raggiungere le posizioni perché la marcia è stata continuamente ostacolata dal
mitragliamento e spezzonamento aereo”.
“Quali i motivi – si chiede il
capitano Apollonio – del successo tedesco? La preponderanza numerica. Infatti
essi avevano quattro battaglioni schierati contro tre nostri. Ed esisteva anche
la ben nota loro superiorità di armamento. Ma più di tutto bisogna tener conto
del fattore addestrativi. Il 317° fanteria vedeva per la prima volta il campo
di battaglia: i tedeschi, come al solito, ben addestrati, avevano già
combattuto in Polonia, in Francia e soprattutto in Russia. I tedeschi
disponevano pure di quattro semoventi da 105, di dodici pezzi anticarro da 75,
di dodici pezzi anticarro da 55. La nostra preponderanza di artiglieria, a
causa dell’aviazione e della crisi dei collegamenti, non si potè sfruttare.
“La cooperazione aereo aereo-
terrestre del nemico fu di una perfezione addirittura meravigliosa.
“Solamente gli Stukas però
determinarono la vittoria tedesca.
“Anche lo sfruttamento del successo i
tedeschi lo affidarono, si può dire esclusivamente, all’aviazione; la quale,
trasformatasi, quasi direi, in fanteria, compì addirittura dei prodigi nel
mitragliare le nostre truppe a pochi metri dal suolo”.
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