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domenica 22 dicembre 2013

Auguri

Agli amici ed ai lettori di questo blog

Roma San Pietro Presepe  2012 2013 Matera ed i "Sassi"


i più sinceri Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo

venerdì 13 dicembre 2013

C.I.L.: gli armamenti individuali e di reparto

La solita vecchia storia: tutto si deve adattare

Prima di procedere ad una disamina degli armamenti in dotazione al C.I.L. bisogna sicuramente ricordare come il reparto, proveniente dal disciolto 1° Raggruppamento Motorizzato, abbia ereditato nella prima fase dei combattimenti gli armamenti del soppresso reparto. Con tali dotazioni, armato soprattutto di non comune spirito di sacrificio e  tanta volontà, il C.I.L. è riuscito a caratterizzare il proprio impegno nella campagna della primavera del 1944, in particolare nelle regioni adriatiche delle Marche ed Abruzzo.
Le maggiori lacune del CIL erano dovute alla cronica deficienza di automezzi, alla scarsità delle
artiglierie e alla assoluta mancanza di  mezzi corazzati  per il combattimento, oltre alla deficienza delle dotazioni d’armamento, sia individuali che di reparto, anche nell’equipaggiamento le risorse erano davvero limite e poco efficienti, potendo i reparti far fronte ad un limitato munizionamento capace di non superare la soglia massima di venti giorni di combattimento.
                                                  
Del Corpo Italiano di Liberazione fecero parte:
- un Reggimento di fanteria: il 68° su due battaglioni (forza circa 1.800 uomini);               
- un Reggimento bersaglieri: il 4° su due battaglioni, XXIX e XXXIII (forza circa 1.250 uomini ) ; 
 - un Reggimento artiglieria: l'11°su tre gruppi (forza circa 600 uomini)                                               
- un battaglione paracadutisti: il CLXXXV su tre compagnie (forza circa 450 uomini)                  
- un battaglione alpini: il "Piemonte", con una btr. da 75 mm. someggiata (forza circa 600 uomini);
- un battaglione arditi: il IX reparto d'assalto (circa 600 uomini)                                                        
 - unità dei Carabinieri, del Genio e dei Servizi.
 Era un complesso di forze di tutto rispetto. 

In particolare gli armamenti di cui era dotato il CIL erano tipici di dotazioni di brigate miste nelle quali però è da sottolineare che il rapporto tra gli elementi di manovra (fanteria) ed elemento di fuoco pesante (artiglieria)  era tutto a favore del primo.
Tale situazione sottolinea l’importanza rivolta alla manovra in un momento in cui l’avanzata era in fase di assumere un ritmo celere.
In totale i gruppi di artiglieria compresi quelli della divisione Nembo e delle brigate dipendenti  erano di 10 unità di fronte ai 14 battaglioni di fanteria.
Salvo qualche variante di marginale rilievo fu questo l’ordinamento del CIL di fatto mantenuto fino al suo scioglimento. In particolare l’attività bellica del CIL fu condotta con armamenti tipici di reparti di fanteria più un nutrito ma obsoleto parco di pezzi di artiglieria, disponibile in diversi calibri. Assai lamentata è inoltre la mancanza di mezzi corazzati che al contrario, il nemico tedesco, seppur in ritirata disponeva in  maniera significativa.
In attesa che il Comando alleato affidi i mezzi corazzati, lo Stato Maggiore Italiano, cerca di ottenere un carro M13/40 dal Centro Studi Motorizzazione, un semovente con pezzo da 75 , un auto blindo e due semoventi con pezzi 105 e per ultimo 8 auto blindo da disciolti corpi stanziali in Roma, ma il C.I.L. sarà sciolto prima che questi mezzi vengano assegnati.
  
  Le armi di dotazione personale del CIL comuni ad entrambe le specialità erano il moschetto mod.91 e il M.A.B. 38 A (ritenuto migliore dei mitra alleati distribuiti),  gli ufficiali avevano in dotazione le loro Beretta 34 cal. 9 corto, inoltre alcuni militari erano armati con moschetto automatico. Le dotazioni di reparto tipiche di un segmento di fanteria erano invece costituite da:
-         fucili mitragliatrici;
-         mitragliatrici Breda;
-         bombe a mano SRCM;
-         mortai 45/81 – 47/82;

I reparti di artiglieria erano invece equipaggiati con :
- 3 gruppo con pezzi da 75/13 ( noto come gruppo someggiato),
- 3 gruppi con pezzi da 75/18;
- 2 gruppi con pezzi da 100/22;
- 2 gruppi con pezzi 105/28
- 3 batterie da 20 mm c.a.;
- 4 batterie 57/50 contro carri;
- diverse compagnie dotate di pezzi da 47/32

Bisogna in ultimo ricordare che successivamente allo scioglimento il CIL sarà interamente riarmato con dotazioni di nuova fabbricazione in uso alle truppe inglesi, dalle quali oltre agli armamenti riceverà anche le divise e tutte le ulteriori dotazioni necessarie al nuovo armamento dei gruppi di combattimento.
Dunque aspetto singolare è l’estrema versatilità con cui i reparti combattenti, fino alla battaglia di Filottrano utilizzano armi e mezzi di produzione nazionale, passando successivamente ad affrontare le altre campagne con nuovi armamenti ed anche con divise degli alleati, sperimentando direttamente sul campo le nuove dotazioni affidate.   

In conclusione per quanto in ultimo accennato, volendo adottare un azzardato parallelismo  con quanto oggi avviene, secondo le nuove dottrina di sperimentazione degli armamenti, dove gli stessi sono testati e adottati direttamente in teatro, si può sicuramente affermare che il glorioso CIL, inconsapevolmente ma sicuramente con i risultati che oggi sarebbero più che mai attuali, il reparto con l’utilizzo in combattimento dei nuovi e diversi armamenti degli alleati, è stato precursore di tale teoria adottando inoltre, come nel caso del fucile mitragliatore MAB 38 scelte sulle sua capacità di fuoco rispetto all’omologo armamento proposto dagli alleati.


BIBLIOGRAFIA

- Conti G. “Il 1° Raggruppamento motorizzato Italiano(1943-1944)”, Stato Maggiore Esercito, Ufficio storico, Roma 1984.

- Crapanzano S.E. “Il Corpo italiano di Liberazione (aprile-settembre 1944)” , Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico, Roma 1971.

- Coltrinari M.  “31 marzo 1944: Monte Marrone”




martedì 3 dicembre 2013

Abbiamo perso un amico. Ricordo di Carmelo Testa


E' spirato nel capoluogo irpino Carmelo Testa, presidente del Comitato ANVGD di Avellino. Fiero sostenitore della causa degli esuli, nativo di Pola, non ha rinunciato fino all'ultimo al suo battagliero impegno per la nostra Associazione, nonostante una terribile malattia progressiva. Fu anche combattente nella difesa dell’italianità dell’Istria, tanto da ricoprire fino alla morte anche la carica di presidente della Federazione Combattenti e Reduci di Avellino.


Le comunità ANVGD si stringono intorno alla famiglia, nel ricordo di un simbolo di grande umanità, coraggio e indomito orgoglio delle proprie origini. La sua dedizione nel ricordare continuamente e con passione le nostre vicende storiche, ai più alti livelli istituzionali, hanno rappresentato in Campania un punto fermo per decenni.

© ANVGD Sede nazionale

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Carmelo testa è stato anche un Combattente della 

della Guerra di Liberazione,

nel C.I.L.

e

nei ranghi del gruppo di Combattimento "Friuli"

venerdì 22 novembre 2013

C.I.L: . Gli Equipaggiamenti

Il presente elaborato si prefigge di analizzare lo stato degli equipaggiamenti in dotazione alle truppe del Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) durante la 2^ Guerra Mondiale nella cosiddetta “Campagna d’Italia”. Per quanto riguarda gli equipaggiamenti, per definizione ci riferiamo alle divise, compresi fregi, mostrine e gradi, alle calzature, alle buffetterie e cinturoni, all’elmetto e agli zaini.
Come premessa, va ricordato che il C.I.L. opera nell’Italia centrale tra l’aprile e il luglio 1944, al fianco delle truppe alleate impegnate sulla linea “Gustav” e in seguito fino alla linea “Gotica”, nella campagna militare per la liberazione dell’Italia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. La sua costituzione segue le azioni del I Raggruppamento Motorizzato Italiano che, nato già a fine settembre del ’43, dopo i primi combattimenti di Montelungo, nel Marzo ‘44 si era distinto sul Monte Marrone, prima conquistando e poi mantenendo, nonostante la controffensiva tedesca, la vetta con il battaglione alpino “Piemonte” e il 185° battaglione paracadutisti “Nembo”. I comandi alleati, sotto la spinta non solo tattica quanto morale, dei risultati ottenuti, autorizzano quindi la creazione del C.I.L. che passa dai 5000 uomini del Raggruppamento Motorizzato, prima a 9000-10000 fino a 25.000 unità, sotto il comando italiano del Gen. Utili. Ambiente operativo in cui i soldati italiani sono chiamati ad operare è quello dei monti del basso Lazio prima (Mainarde) e poi, nel settore adriatico, del Molise e dell’Abruzzo, in una stagione ancora invernale, caratterizzata in quota da neve e temperature rigide, ma che nel proseguo delle operazioni, che si protrarranno in primavera ed estate, migliorerà dal punto di vista climatico.
Lo Stato Maggiore italiano, nell’ottobre 1943, ha la necessità di approntare rapidamente queste unità combattenti, poiché incombono le esigenze operative che coinvolgeranno le truppe italiane al fianco degli alleati. Supportare logisticamente il I Raggruppamento Motorizzato e poi, nell’Aprile ’44, una forza ancor più consistente di soldati che compone il C.I.L.,  è subito impresa piuttosto ardua per il comando italiano, considerando che le truppe vengono da più di tre anni di conflitto su altri fronti ed un periodo di sbandamento seguito all’8 settembre, in cui molti materiali di equipaggiamento sono andati perduti. I magazzini presenti sul territorio italiano del sud liberato sono svuotati dagli alleati per rifornire i partigiani di Tito in Jugoslavia, poiché ancora non ha preso piede l’idea di creare un corpo italiano da affiancare alle truppe alleate, risorto sulle ceneri dell’ex-esercito nemico. L'Intendenza della 7^ Armata, l'unico grande comando ancora efficiente nell'Italia occupata dagli Alleati, si ritrova con un enorme numero di tenute coloniali complete nei magazzini di Napoli. Proprio con queste uniformi vengono riforniti gli uomini del Raggruppamento Motorizzato, che ancora indossano le lise divise grigioverde e gli equipaggiamenti in dotazione durante gli eventi bellici della prima parte del secondo conflitto mondiale. Inizialmente viene cucito al petto lo scudo sabaudo, che inviso alle popolazioni locali, sarà motivo di polemiche sull’opportunità di adottarlo, mentre sono mantenute le mostreggiature e le spalline coi gradi.          Il completo estivo si compone di un camiciotto sahariano ed ampi pantaloni da serrare sotto il ginocchio con le fasce mollettiere. La sahariana, che era stata utilizzata in Africa, ha un colletto ampio guarnito con le mostreggiature, è dotata di quattro tasche ed è aperta fino allo sterno. Tre bottoni, il primo dei quali sempre slacciato, chiudono la giubba. Sotto il camiciotto di tela, i militari mettono spesso la camicia grigioverde che a dicembre non deve rappresentare proprio la soluzione perfetta. In relazione agli equipaggiamenti e al vestiario, i soldati del C.I.L. hanno quelli ereditati dal I Raggruppamento e il problema degli equipaggiamenti resterà, per tutto il periodo in cui il C.I.L. opera, ancora insoluto. Taluni come i paracadutisti del Nembo, hanno la divisa estiva caki, mentre gli altri battaglioni conservano la divisa invernale grigioverde con il pastrano. Per quanto riguarda le calzature,  molti hanno solo un paio di scarpe ed altri neanche quelle (Fig.1). Alpini e bersaglieri mantengono il copricapo tradizionale, mentre l’elmetto utilizzato è il tipo M33 in dotazione alle truppe del  Regio Esercito (Fig.2) e il tipo M42 per i paracadutisti. A testimonianza della scarsità degli equipaggiamenti, riportiamo una richiesta che il Comando Italiano inoltra a fine Novembre 1943, agli organi superiori, in cui si richiedevano mantelle anti-pioggia (gabbani impermeabili)  per le sentinelle di guardia.[1]
Sia il Raggruppamento prima che in seguito i reparti del C.I.L conducono quindi le operazioni che abbiamo ricordato, utilizzando gli equipaggiamenti italiani originari. Tale materiale all’inizio delle operazioni è in realtà già usurato, venendo, come detto, da un periodo di guerra e poi di mancato reintegro, e appare da subito insufficiente sia ai comandi italiani che agli osservatori alleati; prima dell’inserimento in linea, le truppe alleate, con l’intento di testare la capacità operativa del Raggruppamento, effettuano il 2 novembre 1943 una esercitazione, i cui esiti dimostreranno, come riportato nei commenti dei vertici di comando, che il morale delle truppe italiane è molto buono ma i materiali in dotazione particolarmente scarsi.[2]
Nonostante questa carenza, il CIL porta a termine, inquadrato nello schieramento alleato, brillanti operazioni militari e, sorprendentemente, avanza nella liberazione del territorio abruzzese , in pochi mesi, fino alle Marche.
Dopo la battaglia di Filottrano e la liberazione di Ancona (Fig.3,4), il C.I.L. appare però stremato e logorato negli uomini e nei mezzi, tanto da richiedere una riorganizzazione ordinativa che vedrà la nascita dei Gruppi di Combattimento. che riceveranno dagli alleati nuovi equipaggiamenti. Infatti i soldati italiani che fanno parte di queste unità , oltre alle armi in dotazione all’esercito inglese, avranno, come nuovo equipaggiamento, il classico elmetto a padella, buffetteria in canapa e le divise inglesi, su cui potranno apporre fregi, gradi e mostrine italiane. Ovviamente si tratta di un supporto logistico in armamenti, equipaggiamenti e mezzi che risulta indispensabile per poter proseguire le operazione delle Grandi Unità italiane, ma che snatura la caratteristica di nucleo del nuovo esercito italiano che si era avuto con il C.I.L.: infatti, da una parte, i soldati costituenti i Gruppi di Combattimento si trovano ad agire indossando divise non del proprio Paese, pur combattendo sul territorio della propria nazione, e questo incide certamente sul morale e sulla motivazione degli uomini; d’altro canto, va comunque considerato che, nelle attività operative, il buono stato dell’equipaggiamento del singolo riveste una importanza fondamentale sia dal punto di vista strettamente tattico, per la conduzione delle operazioni, quanto dal punto di vista del morale del soldato , che combatte meglio se posto nelle migliori condizioni possibili.
In conclusione, giova ricordare, per meglio inquadrare il ruolo rivestito dal  C.I.L. nelle operazioni militari sul fronte alleato in Italia, che questa prima Grande Unità, embrione del ricostituito Esercito Italiano,  si trova ad operare ricca di entusiasmo, per il ruolo che deve ricoprire nella lotta di liberazione del proprio Paese, ma con equipaggiamenti, come abbiamo in precedenza descritto, particolarmente scarsi rispetto alle dotazioni degli alleati che è chiamata ad affiancare.      Il fattore numerico, un corpo di molte migliaia di soldati, solleva notevoli problemi di natura logistica ai nostri Comandi. Gli alleati probabilmente non tengono in gran conto l’apporto delle truppe italiane all’offensiva  portata avanti sul fronte italiano, non vedono di buon occhio una sua particolare affermazione sul campo e quindi privilegiano i rifornimenti verso truppe partigiane, che agiscono sul fronte oltre le linee nemiche. Gioca qui sicuramente anche la diffidenza verso un esercito che fino a pochi mesi prima era nemico. Lo Stato Maggiore italiano altresì chiede ai comandi alleati supporti per reintegrare i materiali ma preferisce, per dimostrare che ancora possiede capacità operative e nell’intento di riaffermare i valori nazionali, cercare di sfruttare al meglio materiali e mezzi di cui dispone, sottraendoli ai vari reparti inoperosi.
Le lacune nell’equipaggiamento, che si sommano ad altre maggiori deficienze nei mezzi e negli armamenti[3], non impediscono al C.I.L. di combattere e ottenere risultati sul campo, nonostante le avverse condizioni ambientali, probabilmente perché composto da soldati motivati e spinti da un senso di rivalsa, al fine di dimostrare il proprio valore ed onore ai vecchi nemici, ora alleati.

NOTE
  
 IRM 28 nov. ‘43 n. 527 “Promemoria per il maggiore Boscardi”, cit . in  Conti G.  “ Il primo raggruppamento motorizzato”  Stato maggiore esercito, ufficio storico, p.84, Roma 1984.

2 Ricchezza A. “Gli alleati guardano, osse4rvano, si scambiano qualche occhiata ew alla fine concludono che le possibilità italiane di battersi sono piuttosto modeste. Il molrale è buono, dicono, ma il materiale, oltre ad essere insufficiente, fa pietà” cit. in Conti G. “ Il primo raggruppamento motorizzato”  Stato maggiore esercito, ufficio storico, p.63, Roma 1984.

3 Coltrinari M. “Le lacune maggiori,il CIL le aveva per la cronica deficienza di automezzi, la scarsità delle artiglierie e la assoluta mancanza dimezzi corazzati e motorizzati per il combattimento, oltre alla deficienza delle dotazioni d’armamento, sia individualiche di reparto, e nell’equipaggiamento”. da “ Il corpo Italiano di liberazione : da Monte Marrone al Metauro.” su sito web www.anpi.it/patria_2004/04-04/36-37_Coltrinari.pdf


giovedì 14 novembre 2013

C.I.L. I Capi. Comandanti e Sottordini

Dopo l’8 settembre, il vertice politico vede, ancora, quale Capo del Governo, il maresciallo Pietro Badoglio. Si avvicenderanno, invece, nella carica di Ministro della Guerra, il generale Antonio Sorice (fino al 15 febbraio 1944), il generale Taddeo Orlando (fino al 17 giugno del 1944) e l’onorevole Alessandro Cassati (fino al 20giugno 1945). Si avvertiva un “vuoto” generale di tutela e di sicurezza, nonché di un totale disorientamento fra le fila dell’esercito, ormai disintegrato sia sul piano organizzativo che morale (comandanti e soldati erano in balìa di se stessi, e cercarono di rientrare alle proprie famiglie).
Dai primi giorni successivi all’armistizio, pertanto, sia il Governo sia i vertici militari italiani, cercarono di convincere gli Alleati dell’opportunità di affiancare alle forze sbarcate in Italia i nuovi reparti italiani in via di costituzione. Gli Alleati, infatti, nutrivano ancora diffidenza e rancore verso gli ex nemici. Non erano pertanto, favorevoli alla collaborazione con le forze militari italiane, per due ordini di ragioni: una di natura politica, perché un’eventuale partecipazione militare sul campo di battaglia avrebbe potuto dare adito a richieste di revisione e di alleggerimento delle clausole stabilite dall’armistizio; l’altra di natura pregiudiziale, legata strettamente alla riserva mentale sull’efficienza e sull’affidabilità delle “nostre truppe” in guerra.Toccava perciò al soldato italiano rimuovere quello scetticismo, affermare il suo effettivo impegno in battaglia, e dimostrare di essere ancora in grado di battersi per un ideale.
L’invito fu infine raccolto e la prova del fuoco giunse poco dopo su Monte Marrone. La sorpresa del Comando Alleato fu pari all’ammirazione. Fioccarono gli elogi e fu il definitivo convincimento per ammettere gli italiani al rango di “cobelligeranti”. Tale successo fu reso possibile anche grazie al carisma di un comandante, il generale Umberto Utili. Egli fu determinante per la riorganizzazione del I Raggruppamento, del quale assunse il comando alla fine del gennaio 1944, ma, soprattutto, per la costituzione, nel successivo mese di marzo, del Corpo Italiano di Liberazione.
Questo elaborato, che si pone l’obiettivo di “passare in rassegna”  i capi militari italiani che si distinsero nei momenti tormentosi conseguenti all’armistizio, non poteva, pertanto, che riservare al generale Utili, una posizione di primissimo piano. Tale considerazione non è frutto di patriottismo, ma delle eccellenti qualità umane e professionali unanimemente riconosciutegli.
Come diceva di lui il generale Antonio Ricchezza, capo ufficio operazioni del C.I.L. e suo stretto collaboratore: <<…Il generale Utili, un uomo assolutamente invulnerabile alle atmosfere depresse, prese in mano le truppe, si dette da fare perché ogni giorno ci fosse un po’più di luce che nel precedente…era l’uomo più adatto a farlo in tutto l’Esercito italiano di allora…>>. Utili era un uomo dalla tempra forte e dal carattere non arrendevole, capace di trasmettere sentimenti alti ai suoi collaboratori. Seppe infondere fiducia e galvanizzare tutti per la nuova impresa che avrebbe onorato le armi italiane.
Il generale, nell’assumere il comando, si rivolse così ai suoi commilitoni: <<…Sono fiero di essere stato destinato a comandarvi…voi avete dato l’esempio generoso ed avete versato il vostro sangue, che è sempre qualcosa di più prezioso delle chiacchiere…Ragazzi in piedi, perché questa è l’Aurora di un giorno migliore…>>. Egli possedeva un intimo senso del dovere e spiccava nel sapersi assumere le sue responsabilità. Erano innati in lui i sani principi dell’onore militare, della disciplina e dello spirito di sacrificio. <<Il generale Utili - come scriveva il generale Paolo Berardi (Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ) - superava per intelligenza, fantasia e volontà la media dei nostri generali. Sapeva di valere, era ipercritico, si prendeva libertà molto spinte di apprezzamenti, e non era “inferiore comodo…>>. L’espressione “eufemistica” del superiore sottolinea l’abitudine del generale a rispondere in modo tranciante agli ordini che non lo persuadevano. Direi che è raro imbattersi in una personalità con il coraggio di dire la sua in un contesto molto poco libero, come quello dell’epoca allo studio. Era un uomo che si reggeva da sé, che si faceva ben volere dai dipendenti, che sapeva imporsi con dignità anche agli Alleati1. Monte Marrone, doveva essere l’emblema della riscossa italiana.
Il generale Utili si avvalse di questo simbolo con la perspicacia e l’intuito tipici dei grandi comandanti. Egli seppe attribuire un grande valore morale a quel fatto d’arme, le cui truppe protagoniste, così valorosamente distintesi, erano in parte ancora ai suoi ordini. Questo degno soldato italiano aveva solo 48 anni, ma un’esperienza incomparabile in combattimento. Era, infatti, insignito di tre medaglie d’argento al valore militare, guadagnate sui fronti dell’Africa orientale, della Grecia e della Russia. L’atteggiamento di “inferiore non di comodo” gli era praticamente costato la carriera: nel 1934 era stato espulso dallo Stato Maggiore, per certe sue critiche sull’avanzamento degli ufficiali.
Questo era Utili: uomo e generale, che per quanto autonomo ed imprevedibile, sentì sempre sul collo le ultime parole rivolte dal Capo di Stato Maggiore Generale Messe ai soldati italiani: <<…Vi affido ad un uomo che sarà avaro del vostro sangue; certo lo spenderà quando sarà necessario, ma mai invano e mai leggermente…>>.
Non meno prezioso, nella “Guerra di Liberazione”, fu il contributo fornito dal Battaglione “Piemonte” degli alpini, al comando del maggiore Alberto Briatore, il quale condusse con lucida strategia, fermezza e determinazione i suoi uomini alla vittoria. Grazie alla sua consumata esperienza di comando, aveva letteralmente rovesciato la situazione materiale e morale del “Piemonte”, portandolo ad un’impresa di guerra di montagna di assoluto valore. Mostrò così palese a tutti (Alleati compresi), la preparazione ed il vigore d’esecuzione del suo reparto in battaglia. Briatore sapeva esaltare il comportamento dei suoi uomini.
Mi piace ricordare, in questo contesto, il memorabile, vibrante elogio, segnalato con un ordine del giorno, inviato all’indomani della battaglia di Monte Marrone : <<…Infliggendo all’orgoglioso nemico una lezione durissima…non vi siete lasciati fiaccare dall’eccezionale sforzo fisico dei trasporti a spalla sul lungo e penoso percorso…ma avete organizzato e vigilato la posizione…>>.
La gloria ed il valore non mancarono neanche a Filottrano, dove il 183° Reggimento  paracadutisti, articolato su due  battaglioni, il XV e il XVI , segnò un’altra epica pagina contro l’occupazione nazista.
L’azione confermò pienamente l’indiscusso valore e la netta ripresa dei  combattenti italiani, esaltando l’eroico comportamento dei paracadutisti, i cui risultati andarono al di là di qualsiasi aspettativa. Al comando del colonnello Giuseppe Quaroni, indiscusso leader carismatico, i parà inflissero al nemico, impaurito e sorpreso dall’inaspettata “apparizione”, perdite gravissime.
 Attento non solo alla preparazione ed alla formazione militare dei suoi “ragazzi”, ai quali era portato a rivolgersi con parole che scaldavano il cuore prima che la mente, il colonnello Quaroni seppe trasmettere a ciascuno il proprio coraggio ed il suo spirito garibaldino, con lo slancio e la tenacia che ne caratterizzavano la  forte personalità. Il suo Reparto, come tipico della tradizione alpina, seppe immedesimarsi alla personalità trainante del suo comandante, mostrando ancora quel valore che ha sempre distinto le nostre truppe di montagna, uomini abituati ad agire in condizioni estreme (in questo caso non solo per l’ambiente).
Questi comandanti, insieme ai soldati di ogni grado, che hanno sacrificato e rischiato la loro vita nella “Guerra di Liberazione”, ci hanno restituito “l’Aurora”, il nostro giorno migliore, donando al nostro Paese la dignità degli uomini liberi, quella libertà di cui , tutti noi godiamo da più di sessant’anni.
Per i comandanti di oggi, questi Ufficiali sono degli esempi di comportamento. Soldati che hanno saputo essere d’esempio in un clima di assoluto abbandono e di crollo improvviso dei valori nei quali si era creduto per lustri. Lo spirito d’iniziativa ed il coraggio sono caratteristiche necessarie dei militari.

Io ritengo che gli Uomini di cui ho parlato abbiano interpretato il loro dovere con dignità e valore. Quel dovere di fedeltà non alle Istituzioni formali, che non avevano retto all’urto dei tempi, ma a quel Popolo di cui erano figli, a quegli Italiani di cui sono giustamente divenuti un modello, nello spirito dell’Italia risorta.

lunedì 4 novembre 2013

C.I.L.: Il Corpo di Spedizione Francese in Italia. Inquadramento del I Raggruppamento Motorizzato e del C.I.L:

Costituito in  Africa settentrionale nell'anno 1943,  il C.E.F.I era composto da militari provenienti da differenti aree regionali e anche da differenti religioni .
La grande maggioranza dei combattenti della C.E.F.I. era di origine musulmana,
" truppe di primo ordine, particolarmente adatti per eccellenza al combattimento in montagna “  (De Gaulle).  
Il comando ne fu affidato  al Generale d’Armata Alphonse  JUIN (1888-1967), Maresciallo della Francia.  
Le Grandi Unità francesi del C.E.F.I sbarcate in Italia tra il 1943 - 44  furono:  
-          1 D.M.I (Divisione di Marcia di fanteria), chiamata anche 1 D.F.L, Divisione francese Libero, generale Brosset.  
-          2 D.I.M (Divion di fanteria marocchina), generale Dody,  
-          3 D.I.A (Divisione di fanteria algerina), generale di Montsabert,  
-          4 D.M.M, Divisione marocchina di Montagna, generale Sevez,  
-          Raggruppamento dei Tabors marocchini, generale Guillaume,  
-          Unità organiche dell  esercito.
  
         Posta sotto il comando alleato del maresciallo britannico Alexander, la campagna esordisce per le operazioni della Sicilia (10-07 – 43)  e lo sbarco al sud di Napoli (9-9-43). L'obiettivo degli Alleati anglo-americani è Roma.  
Ma, lungo la linea Gustav (10 e 14 Luglio) l esercito tedesco del maresciallo Kesselring che taglia l'Italia attraverso il massiccio degli Abruzzi, blocca ogni attivita delle truppe  alleate.
 Il C.E.F.I, sbarcanto  a partire da novembre 44, è impegnato nei combattimenti in due fasi la seconda delle quali con il significativo contributo del C.I.L.
v  1 campagna (inverno 44), battaglia dello Monto Cassino (25-01-44), contrassegnata per la conquista  del Belvédère, chiave di volta della linea Gustav, dove si immlò il 4 Rgt di Esploratori tunisini che perse il 1/3 dei suoi effettivi di cui quasi tutti i suoi ufficiali. Si riusci a bucare la linea Gustav ma non a romperla.  
v  2 campagna (primavera 44), battaglia del Garigliano, dove lo scontro più violento fu a Pico. I francesi consegnano agli alleati la strada di Roma.  

         Il giorno 08 Febbraio 1944 avvenne il passaggio ufficiale del Raggruppamento alle dipendenze del Corps Expeditionnaire Francais, quando dal Comando della Divisione Marocchina giunse l’ordine di operazione nr.1 con il quale si comunicava  che il Raggruppamento era messo a disposizione per l’impiego del Generale di Brigata Guillaume , Comandante il Gruppo Nord della Seconda divisione Marocchina.
Il Generale Francese commentava molto positivamente l’ingresso del Raggruppamento, atteso che era necessario rafforzare al massimo l’occupazione dei monti che si estendevano lungo la linea di resistenza
In particolare il settore occupato dagli Italiani costituisce l’estrema ala destra della V° Armata a saldatura con l’VIII° Armata, al fine di proteggere un’ importante via di arroccamento ed assicurare il fianco destro delle truppe francesi. Il terreno è veramente impervio le quote delle posizioni da raggiungere e l’inclemenza della stagione costituisce un duro collaudo dello spirito di sacrificio delle truppe italiane. In particolare  al Raggruppamento, che sostituisce il 4° gruppo Tabor Marocchino, viene dato il compito di proteggere la strada di arroccamento a COLLI-SCAPOLI –CERASUOLO ed assicurare il collegamento a CASTEL S. VINCENZO con la Divisione polacca.
Tale attività  era ritenuta necessaria al fine di disimpegnare unità francesi per il successivo reimpiego in altri settori. Agli inizi di Febbraio provenienti dalla Sardegna giungono altri reparti Italiani ( 1° Battaglione Arditi- 2° Battaglione Fanteria del 68° Reggimento) tanto che il
                                                                                                                                                     - 1 -
Comandante Utili in considerazione della consistenza organica raggiunta crea un comando della Fanteria a decorrere dal 14 Febbraio al quale viene preposto il Col. Fucci. Un mese più tardi a

completare il dispiegamento organico giungerà il Battaglione alpini, in tempo per partecipare alle operazioni di occupazione di Monte Marrone.
Successivamente a seguito dei ricambi delle aree di operazione il Raggruppamento italiano trasformatosi in C.I.L. passerà alle dipendenze della V° Divisione Polacca in data 27 Marzo 1944 rimanendo a presidio delle aree in cui già are impiegato. I rapporti tra il corpo di spedizione francese ed il 1° Raggruppamento risultarono invece ottimi, improntati a cordialità e rispetto reciproco, con i Generali francesi Juin e Guillaume che ebbero un atteggiamento di grande disponibilità e  che valorizzarono il contributo italiano allo sforzo bellico comune. In particolare il Generale Guillame , come riportato dal Generale Utili nelle sue memorie, si impegnò per aiutare materialmente le truppe italiane ed espresse, una volta sancito il passaggio del 1° Raggruppamento Motorizzato alle sue dipendenze nel settore  Nord della 2^ divisione marocchina, la sua profonda soddisfazione di avere ai suoi ordini truppe italiane ed inneggiò anche alla fratellanza delle armi delle due nazioni.[i]
   
               Durante la campagna di Italia tra 1943 e 1944, le truppe coloniali del corpo di spedizione francese furono responsabili di numerosi atti di violenze contro la popolazione civile italiana. I voli, gli attacchi a mano armata, i saccheggi e gli stupri furono soprattutto molto frequenti. Furono inizialmente, solamente degli atti isolati, commesso per gli individui soli, e puniti dalle autorità alleate, francesi come anglo-americane. Durante l'offensiva vittoriosa dell'estate 1944 che permise di superare il linea Gustav, le truppe francesi hanno ottenuto da parte dei loro superiori una relativa libertà di azione, trascinando degli stupri di massa. All'inizio degli anni 1950, l'Unione Dà Italiane, ha censito circa dodicimila vittime di violenze sessuali.
               Al termine delle operazioni, il C.E.F.I (120.000 u),  conta circa  7.000 militari caduti , 30.000 feriti, 4.200 scomparsi, possiamo dire un terzo dei suoi effettivi.
Tale bilancio costituisce una delle piu elevate perdite che i reparti francesi abbiano mai riportato durante la guerra moderna. 




[i] Vedi Conti

giovedì 24 ottobre 2013

C.I.L. Gli Stati Maggiori

Il 10 settembre ’43, il maresciallo Badoglio, allora capo del Governo, dopo aver confermato che erano stati trasmessi alle forze armate dipendenti gli ordini “per agire con vigore contro aggressioni tedesche”, indirizzava una missiva al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, al fine di mettere in rilievo la necessità che si provvedesse al coordinamento delle azioni da svolgere di concerto.
Il giorno seguente, il Comando Supremo, giunto a conoscenza delle aggressioni perpetrate dalle forze tedesche diede immediato ordine a tutte le forze armate italiane di considerare i tedeschi come dei nemici.
occorre ….. raggruppare le forze a nostra disposizione allo scopo di:
opporsi innanzitutto all’eventuale espansione delle forze avversarie;
-procedere quindi in cooperazione con le forze anglo-americane all’azione offensiva per la liberazione di tutto il territorio nazionale”.

Il Corpo Italiano di Liberazione (CIL) rappresentò una sorta di “continuazione” del primo raggruppamento motorizzato italiano. Il CIL, costituito  esclusivamente con armi e mezzi italiani, seppe distinguersi per “energia, volontà e valore” meritando, infine, anche il plauso dei comandi alleati,  nonostante le immense difficoltà incontrate durante le azioni intraprese dall’esercito italiano (appena ricostituito dopo la dichiarazione dell’armistizio dell’8 settembre).
Le forze armate costituirono un insieme eterogeneo, proveniente, in massima parte, da reparti reclutati nell’Italia meridionale, nelle isole o  all’estero, il più delle volte composto da individui sfuggiti alla deportazione messa in atto dalle truppe tedesche.
Insomma, gli Stati Maggiori dovettero affrontare una situazione assai complessa. Secondo le fonti l’esercito fu composto da : “ una massa la quale è buona e potrà fare bene, magari, benissimo, ma che – per ragioni d’ordine generale che è inutile analizzare- è ancora molto irrequieta, suscettibile di oscillazioni spirituali di depressioni subitanee e quindi costituisce uno strumento di guerra molto delicato, tanto più in mancanza di una severa opera repressiva contro coloro che cercano di sottrarsi all’adempimento dei propri doveri.
Si tratta in sostanza, di una massa con la quale occorre agire con cautela, pur senza discostarsi da quell’energia necessaria quando il caso lo richiede; di truppa alla quale si deve andare incontro quanto più possibile senza indugiare, perché l’indugio può essere pericoloso”.
Ad ogni modo, gli Stati Maggiori dell’epoca seppero condurre con perizia e professionalità le operazioni militari , assolvendo, allo stesso modo,  pure all’alto compito “di risollevare lo spirito ed il morale delle truppe”. Anche l’inserimento del nuovo esercito italiano all’interno del comparto alleato richiese una seria mediazione. Nonostante le resistenze opposte dalla componente britannica, che avrebbe teso ad impiegare le forze italiane nei soli servizi di “bassa manovalanza nelle retrovie”, mortificando, nei fatti, lo slancio degli italiani i quali avrebbero voluto partecipare attivamente alla liberazione della propria Patria, gli Stati Maggiori riuscirono, infine, ad ottenere un aumento delle truppe.  
Il 23 novembre, il maresciallo Messe, in occasione della sua nomina a S.M. generale in sostituzione del Generale Ambrosio, ebbe un colloquio con il generale Joice, Capo della missione alleata di controllo, nel quale espresse il suo intendimento che le forze armate italiane dessero agli Anglo-americani una collaborazione attiva e completa nel campo operativo oltre che nelle retrovie”. 
Di fatto, negli intendimenti il CIL non avrebbe dovuto superare la forza dei 14.000 uomini. Tuttavia, grazie alla costante opera di convincimento esercitata da Messe e Berardi, il 26 maggio s’addivenne all’autorizzazione operata dalle forze anglo-americane ad aumentare il numero delle forze.
in seguito a tale provvedimento il CIL acquisì la fisionomia che il Comando Supremo e lo Stato Maggiore dell’esercito avevano progettato sin dai primi di aprile”.

Secondo le fonti, inizialmente, il Corpo Italiano di Liberazione costituì  un semplice “cambio di denominazione” del I Raggruppamento  Motorizzato, composto di 1400 unità. 
Il Corpo Italiano di Liberazione si componeva di un reggimento fanteria (il 68° con 1.800 uomini), un reggimento bersaglieri (il 4° su due distinti battaglioni XXIX e XXXIII con 1.250 uomini), un reggimento artiglieria (l’11° su tre gruppi con una forza di circa 600 uomini), un battaglione paracadutisti il CLXXXV su tre compagni (450 unità) e un battaglione alpini (ovvero il “Piemonte” che ebbe poi il compito di occupare Monte Marrone), un battaglione arditi (IX reparto d’assalto con una forza di 600 uomini), un’unità carabinieri, genio e Servizi. 

Fu solo grazie alle proposte avanzate dal Generale Utili che le Forze Alleate autorizzarono, anche sulla scorta dei successi riportati, il potenziamento delle truppe del CIL che portò gli effettivi del CIL ad un organico di circa 25000 uomini.  Si impose però a quel punto una riorganizzazione dell’intero organico considerando anche la successiva esigenza di disporre un riordino ed un’eventuale costituzione di comandi intermedi e raggruppamenti di forze   con responsabilità operativa diretta. Per la prima volta l’intera schiera delle unità Ialine si ritrovò unita in un unico settore sotto comando italiano. Il CIL venne così organizzato prevedendo due Brigate (la prima costituita dal 4° reggimento bersaglieri, dal 3° reggimento alpini coi battaglioni Piemonte e Granero, dal 185° Reparto paracadutisti, dal 4° Gruppo Artiglieria someggiato; la seconda Brigata era, invece, costituita dal 68° Reggimento fanteria, dal IX Reparto d’assalto, da rgt. Marina S. Marco), una Divisione (Nembo che avrebbe mantenuto la propria costituzione iniziale su due reggimenti paracadutisti ed un reggimento artiglieria) ed un Comando Artiglieria (che inquadrava il glorioso 11° di Monte Lungo)
Il 1°giugno '44 il C.I.L. venne quindi organizzato su due Brigate, una Divisione ed un Comando artiglieria:
-        la I Brigata (Col. Fucci) era costituita dal 4° Rgt. bersaglieri, dal 3° Rgt. alpini, con i battaglioni "Piemonte" e "M. Granero", dal 185° Reparto paracadutisti, dal IV° Gruppo artiglieria someggiato;
-        la II^ Brigata (Col. Moggi) era costituita dal glorioso 68° Rgt. Fanteria, che combatté a Monte Lungo, dal IX Reparto d'assalto ( gli arditi di Boschetti), dal Rgt. Marina "San Marco" (battaglioni Marina "Bafile" e "Grado", dallo squadrone volontari "Guide", dal V Gruppo artiglieria someggiato;
-        la Divisione "Nembo"” (Gen.Morigi). sbarcata dalla Sardegna su due Reggimenti paracadutisti (183° e 18°) ed un Reggimento artiglieria; il Comando di artiglieria (Gen. Moro) che inquadrava prevalentemente il glorioso 11° di Monte Lungo.
(ad eccezion  fatta per qualche variazione organica di poco conto, il CIL mantenne tale ordinamento fino al ripiegamento dal fronte e al suo definitivo scioglimento).
   
 Il 2 giugno, infine, durante un colloquio fra il nostro Capo di Stato Maggiore dell’esercito con il comandante del V Corpo d’armata britannico, fu concordato che “venisse costituita, nel territorio del V Corpo, una Delegazione dello Stato Maggiore italiano allo scopo di dirimere, mediante intese dirette fra gli enti interessati, gli eventuali inconvenienti e rappresentare nel contempo un organo regolatore e coordinatore delle attività disciplinari, logistiche ed amministrative delle unità del CIL, a capo di tale Delegazione venne posto, in data 4 giugno, il generale De Stefanis, già comandante del LI corpo d’armata”.
(ricerca23@libero.it)





lunedì 7 ottobre 2013

Casenuove: Le iscrizione dei Caduti Monumento eretto in ricordo della battaglia del 17 luglio 1944

Visione d'insieme del Monumento

Visione della iscrizione sulla lapide 


Lato destro. Iscrizione dei Caduti


Lato sinistro. Iscrizione dei Caduti


Secondo una segnalazione in corso di approfondimento, non è stato inserito un nome di un Caduto.

martedì 16 luglio 2013

C.I.L. Le forze in campo nel settore delle Mainarde

Nell’ambito dell’offensiva contro la linea «Gustav», il Comando Britannico manifestò l’intendimento di affidare al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) l’esecuzione di un’operazione nell’area delle Mainarde compresa tra la zona di Monte Mare e Monte Cavallo. Il 9 maggio, il gen. Utili illustrò questi intendimenti ai suoi comandanti in sottordine e dopo varie riunioni si palesò la necessità di eseguire un’azione che avrebbe portato alla liberazione dell’abitato di Picinisco secondo la direttrice Monte Mare – Colle dell’Altare. L’idea iniziale, secondo le indicazioni inglesi, era quella di operare un attacco frontale contro Monte Cavallo che doveva essere conquistato con un’azione aggirante da sud. Tale modalità esecutiva venne subito scartata poiché il gen. Utili, che ben conosceva le ripide pareti di Monte Cavallo, propose con successo che l’azione si sviluppasse con un aggiramento da nord. Ebbe inizio così l’operazione «Chianti» che si svolse dal 27 al 30 maggio 1944. La mattina del 27 maggio l’operazione prese il via con la preparazione di artiglieria, dopo di che le fanterie mossero all’attacco sull’intero fronte. L’avanzata, tranne che nel settore del 68° reggimento fanteria, non incontrò una forte resistenza, tanto che gli obiettivi assegnati furono conseguiti. I fatti d’arme furono numerosi e anche se non si ottennero grandi risultati nel campo tattico-strategico, dal punto di vista morale il breve ciclo operativo aveva indubbiamente fornito ai reparti impegnati la consapevolezza delle proprie capacità manovriere e combattive contro gli ostacoli opposti dal nemico e contro le difficoltà e le asprezze del terreno.


Il C.I.L. venne ufficialmente costituito il 22 marzo 1944 sulle ceneri del I Raggruppamento motorizzato. Nel periodo in esame non presentava ancora la struttura di grande unità basata su due complessi di forze a livello divisionale come avverrà a partire dal I giugno. In particolare, il C.I.L. era alle dirette dipendenze del X Corpo britannico inquadrato nell’8^ Armata che a sua volta era inserita nel XV gruppo d’Armate.

La responsabilità della condotta dell’operazione «Chianti» venne affidata al col. Ettore Fucci, Vicecomandante del C.I.L. e Comandante delle fanteria. Il col. Fucci poteva contare sulle seguenti unità di manovra: il 68° reggimento di fanteria con il I e II battaglione, il 4° reggimento bersaglieri con il XXIX e XXXIII battaglione, il 184° reggimento e il CLXXXV battaglione paracadutisti, il battaglione alpini «Piemonte» in cui era inquadrata una batteria da 75 mm someggiata nonché il IX reparto d’assalto. A tali unità di manovra si aggiungeva l’11° reggimento di artiglieria su tre gruppi, unità carabinieri, del genio e dei servizi.

Le unità del C.I.L., come si può osservare, erano costituite da reparti di fanteria supportati da artiglieria, genio e servizi logistici, ma totalmente privi di mezzi corazzati. Tale peculiarità rendeva queste unità particolarmente idonee ad operare su terreni montuosi, aspri e difficili come quelli presenti nella zona oggetto di studio, che aveva impedito a reparti motorizzati, come quelli anglo-americani, di agire agevolmente.

L’armamento individuale era costituito dal moschetto 91 e dal M.A.B. 38 A mentre gli ufficiali avevano in dotazione la Beretta 34 cal. 9 corto. Per quanto riguarda l’artiglieria, il I gruppo del 11° reggimento aveva in dotazione cannoni da 105/28, il II gruppo obici da 100/22, il III gruppo obici da 75/18 mentre il gruppo someggiato obici da 75/13. Durante l’operazione “Chianti” il C.I.L. poteva, inoltre, contare sul supporto di fuoco di 3 gruppi da 87 del 5° reggimento di artiglieria neo-zelandese, del 17° H.A.A. (heavy anti-aircraft) antiaerea pesante, del 20° e 21° gruppo di artiglieria da 5,5 pollici e di una batteria di controbatteria, messi a disposizione dal 2° Army Group Royal Artillery.

In merito all’organizzazione logistica di siffatto complesso di forze, erano state costituite due basi logistiche, una immediatamente a nord della q. 1770 di Monte Marrone, con una dotazione di 3 giornate viveri, avena e munizioni per il sostegno del battaglione alpini “Piemonte”, mentre l’altra a q. 1180, con una dotazione di 5 giornate, per tutti gli altri reparti.

Il servizio sanitario era stato organizzato su tre reparti sanitari rispettivamente a q. 1180, in Val Petrara e sulla rotabile di Alfedena al bivio di Rocchetta. A garantire il servizio portaferiti si dispose che il II gruppo del 541° reggimento artiglieria fosse impiegato in rinforzo della sezione sanità per lo sgombero dei feriti presso i posti medicazione dei suindicati reparti sanitari. In particolare, il trasporto dei feriti avveniva con l’impiego di muli, mentre sulla rete stradale, si poteva contare sull’impiego di alcune autoambulanze.

A causa della scarsa viabilità1 e praticabilità del terreno, per quanto riguarda il servizio di commissariato, si impose la logica della previdenza facendo largo impiego di viveri a secco e salmerie. Prima dell’inizio dell’operazioni «Chianti» vennero accantonate presso le basi logistiche circa 8000 di tali razioni ed un congruo numero di razioni di foraggio (da impiegarsi solo su autorizzazione). Inoltre, alle unità vennero concesse due razioni viveri di riserva da consumarsi durante l’azione.

In merito al servizio di artiglieria si costituirono posti munizioni a q. 1180, su Monte Marrone, alle sorgenti del Volturno e a S. Vittorino2. Prima dell’inizio dell’operazione «Chianti» fu disposto che i gruppi avessero presso di sé due giornate e mezzo di fuoco, al IV gruppo someggiato da 75/13 furono messi a disposizione 3000 colpi presso la base logistica a q. 1180, mentre gli altri gruppi di artiglieria potevano provvedere direttamente a rifornirsi con propri mezzi attingendo al P.A.M. (posto avviamento munizioni) di Isernia. La fanteria avrebbe inoltrato le richieste di munizioni alla sezione servizi del Comando del C.I.L. tramite Comando fanteria o il Comando del 68° reggimento.

Per quanto attiene la dislocazione iniziale dei Comandi, il fronte del C.I.L. nella zona delle Mainarde era suddiviso in tre settori: «Rio Chiaro», «Marrone» e «Rocchetta». Il settore «Rio Chiaro» era presidiato dal 184° reggimento paracadutisti, il settore «Rocchetta» dal 68° reggimento fanteria e il settore «Marrone» da 2 battaglioni bersaglieri, dal battaglione alpini “Piemonte”, dal CLXXXV battaglione paracadutisti e dal IX reparto d’assalto. In particolare, mentre le unità di quest’ultimo settore avrebbero effettuato lo sforzo principale, ai due settori laterali era riservata, invece, una semplice azione concomitante di sondaggio e di fiancheggiamento tattile.

Per quanto riguarda il movimento vennero costituite tre colonne: la colonna «Massimino», costituita dal CLXXXV battaglione paracadutisti «Nembo» e dalla 10a compagnia mortai del 68° reggimento, la colonna Briatore, costituita dal battaglione alpini «Piemonte» e dalla batteria alpini da 75/13 e la colonna Ciancabilla, costituita dal 4° reggimento bersaglieri, dal IX reparto d’assalto, dalla 9a compagnia mortai del 68° reggimento e dal IV gruppo da 75/13 someggiato.

Questa era la consistenza, l’articolazione e l’organizzazione logistica delle forze del C.I.L. nell’area delle Mainarde. Per quanto riguarda la coalizione hitleriana il gen. Ringel, responsabile del settore, poteva disporre dell'85° e 100° reggimento di fanteria, di un reggimento di artiglieria da montagna, di vari battaglioni da ricognizione, del raggruppamento "Bode", costituito dal 576° reggimento, vari battaglioni e servizi e del III battaglione indipendente di cacciatori alpini.

Dopo i fatti d’arme di aprile e l’operazione “Chianti” nelle Mainarde di fine maggio 1944 l’opinione degli alleati di contenere la consistenza delle Forze Armate italiane era destinata gradualmente a mutare. Sebbene tali azioni furono dal punto di vista tattico poco significative, esse ebbero il grande pregio di ridare dignità, fiducia e morale sia alla componente militare che civile del popolo italiano. Si stava diffondendo la sensazione che ora il termine cobelligeranza non fosse solo una parola, ma stesse via via assumendo un carattere reale e che le prove di Monte Lungo del dicembre 1943 ed il travagliato gennaio-febbraio 1944, in cui affiorava in vari ambienti alleati l’ipotesi di sciogliere ogni forza combattente italiana, fossero definitivamente superati. Le azioni dei nostri militari aveva dimostrato che l’esperienza italiana nella guerra di montagna era superiore a quella inglese ed americana, le nostre truppe erano indispensabili perché si ritagliarono una nicchia di capacità, data dalla possibilità di operare in terreni montuosi particolarmente accidentati, ove le truppe alleate non erano in grado di vivere e combattere. Tale percezione venne ulteriormente confermata dall’evolversi del conflitto, infatti, mentre nel settore delle Mainarde gli scontri potevano considerarsi, salvo qualche breve periodo movimentato, azioni aventi un preminente carattere di staticità, nel settore adriatico, il C.I.L. avrebbe manifestato lo slancio di cui era capace, nel corso di un’ininterrotta avanzata che avrebbe prima contribuito alla creazione dei gruppi di combattimento e successivamente alla liberazione dell’Italia dalle truppe tedesche.

Allegato A

giovedì 4 luglio 2013

C.I.L. - I Mezzi tecnici

Se ai primi soldati ad entrare in linea non fu possibile distribuire molto materiale alleato, anche di quello nazionale si dovette fare parco uso poiché gli alleati usavano i pochi magazzini trovati per prelevare vestiario, scarpe e munizionamento a favore dei partigiani di Tito (lo paracadutavano) e degli italiani delle brigate partigiane in Jugoslavia. L’entrata in linea di soldati repubblichini nella stessa divisa grigioverde, rese necessario dotare, uniformare le divise dell’esercito del sud con quelle alleate almeno con quelle inglesi di cui i nostri reparti facevano parte. Anche per questo compaiono, nei diari dei primi mesi della guerra di liberazione, le lamentele dei soldati senza rifornimenti e senza cambi. Ma la vita del soldato non era solo quella, andava dagli alloggiamenti, alle licenze, al soldo, al vitto, ai trasporti e non ultimo alla riconoscenza. Se diciamo che in tutti questi aspetti fummo piuttosto tirati compiamo un grande atto di ottimismo e siamo ancora molto lontani dalla realtà.
Dalla primavera del 44 però ben poco distingueva il combattente dei Gruppi dal tommy inglese: la divisa era costituita dal praticissimo ed ottimo battle dress  con la usuale tascona sulla coscia sinistra, con scarponi neri e ghette in canapa. Anche la buffetteria era quella dell'esercito inglese, così come gli zaini, gli elmetti (la classica padella - Mk II steel helmett a cui i bersaglieri applicarono il piumetto) e gli attrezzi da zappatore. Chi ne aveva la possibilità (i paracadutisti in testa, ma anche i bersaglieri) conservò il M.A.B. 38 A (ritenuto migliore dei mitra alleati distribuiti), e gli ufficiali le loro Beretta 34 cal. 9 corto. Gli alpini conservarono il loro copricapo come i bersaglieri il fez, etc... I gradi erano quelli italiani ed erano tornati sulle spalline per gli ufficiali. Oltre alle mostrine italiane di corpo sul braccio sinistro compariva una bandierina (celluloide o metallo verniciato) tricolore italiana con il simbolo del gruppo sul campo centrale bianco. I paracadutisti sopra il normale battle dress indossavano un giaccone senza maniche (frequente l'uso di quelli in pelle marrone tipicamente inglese) ma anche altre tenute copiate dai tedeschi e il casco da lancio era quello inglese Mk. 1-1942 o Mk. 2-1943, anche se alcuni portavano l'elmetto da motociclista Mk.1-1942.
Per quanto riguarda gli automezzi che furono forniti ai soldati italiani c’è chi ha fatto una lista che potrà essere anche incompleta, ma significativa di quella mobilità che il nostro ex nemico aveva e che in Italia, in quanto tale orograficamente, non si poteva dispiegare al 100%. I mezzi corazzati, le artiglierie, ma non solo, ne erano un piccolo esempio. I Gruppi di Combattimento furono equipaggiati quasi interamente con materiale di provenienza alleata e più specificatamente inglese. I mezzi inglesi erano considerati sussidiari, perché con quelli non avrebbero mai vinto la guerra contro i tedeschi, pur potendo disporne anche in grandi quantità prodotte dal Commonwealth che avevano dietro le spalle. La qualità e la forza o potenza era in genere inferiore a quella tedesca
JEEP FORD GPW.
Jeep: Caratteristiche tecniche 2.199 cc - 54 hp - classe 250 kg. La sigla ormai nota come jeep che sta per GP general purpose, (foneticamente j p) usi generali, nasce con la specifica di un mezzo per il traino di piccole batterie (37mm), mezzo di comando o rimorchio . La Bantam è la prima a costruire un prototipo, poi non approvato. Anche la Ford produsse prototipi e l'originale su licenza Willys Overland Motors Inc. come è meglio conosciuta la Jeep (Willys) da chi vinse la commessa. All'epoca costava sui 1.000 $ e ne vennero prodotti 640.000 pezzi. Decine furono le varianti e gli usi introdotti su questo mezzo.
BEDFORD MW 4x2: autocarro leggero inglese, porta una squadra di 10 uomini con carico (15 cwt di portata, corrispondenti a circa 750 Kg.). Del mezzo esistevano varie versioni: quelli del Regio Esercito appartenevano alle ultime serie di produzione (D), caratterizzate da parabrezza di grandi dimensioni.
DODGE D 15: autocarro leggero Usa (15 cwt di portata, corrispondenti a circa 750 Kg.), meno diffuso del precedente. Motore a 6 cilindri 95 hp.
          CMP Canadian Military Pattern CHEVROLET C15: autocarro leggero (15 cwt di portata 750 kg) a trazione integrale di produzione canadese. Motore a 6 cilindri 85 hp, lunghezza m 4,34 - telonato.
FIAT SPA TM 40. Trattore medio a 4 ruote motrici e sterzanti. Motore Diesel a 6 cilindri 108 hp Lunghezza m 4,6. Nel dopoguerra venne costruita la versione più lunga TM48 con lo spazio retrostante per le munizioni del 76/55
MORRIS C 8 FAT (Field Artillery Tractor): Risulta essere stato assegnato ai gruppi di artiglieria per il traino di tutti i pezzi in dotazione. Esiste anche in versione ad una portiera per lato e tetto parzialmente coperto in tela.  Un esemplare della versione mk III con carrozzeria tradizionale è tuttora esposta al Museo della Motorizzazione Militare in Roma alla Cecchignola.
UNIVERSAL (BREN) CARRIER: famoso tuttofare dell'esercito inglese, fu distribuito ai reparti di fanteria, dei gruppi come trasporto (truppe e materiali) e veicolo esplorante (nel dopoguerra fu utilizzato come trattore, ma non solo, per il cannone contro carro da 6 lbs) ma anche porta squadra mortaio. 88° Rgt. Friuli - 1944
LlOYD CARRIER: derivato dall'universal carrier (4 ruote portanti per lato anziché 3),da 1 tonn. Utilizzato  per il traino dei cannoni controcarro da 6 libbre (57 mm.); data la scarsità di spazio a bordo era però previsto che ogni pezzo fosse accompagnato da due trattori, uno per le munizioni e l’altro per il personale.
CANNONE contro carro da 6 lbs., in Italia noto come cannone c.c. da 57/50
In dotazione alle compagnie c.c. dei battaglioni di fanteria, data la scarsa presenza, da parte tedesca, di mezzi corazzati nei combattimenti che coinvolsero i gruppi, i cannoni da 6 libbre furono sostanzialmente usati come armi d’accompagnamento della fanteria (canna lunga).
CANNONE contro carro da 17 lbs., in Italia noto come cannone c.c. da 76/55.
Il più potente cannone controcarro alleato (armava anche Shermann Firefly), fu dato in dotazione al gruppo contro carri (tre batterie di sei pezzi) del reggimento di artiglieria. E’ stato il primo pezzo di artiglieria ad utilizzare proiettili perforanti a scartamento di involucro (APDS), per questo era in grado di competere con armi di maggior calibro (88/55 tedesco, 90/50 americano, 90/53 italiano). Venne mantenuto in servizio anche nel dopoguerra.
OBICE da 25 lbs., in Italia noto come obice campale da 88/27.
In dotazione a 4 gruppi del reggimento artiglieria, nella versione più aggiornata con freno di bocca a due luci. Ebbe lunga vita (non solo nell’E.I.) nel dopoguerra; negli anni 50 alcuni esemplari in dotazione all’artiglieria italiana furono sottoposti al rialesaggio della canna: questa fu portata al calibro 105 mm., risultando lunga circa 22 calibri.
CANNONE contraereo Bofors da 40/50
ancora oggi (in versione aggiornata ed allungata a 70 calibri) in uso presso le principali marine mondiali come pezzo antiaereo ed antimissile.
 (studentiecultori2009@libero.it)