venerdì 21 agosto 2015
Cefalonia. La Casa Rossa
LA “CASA ROSSA”
Dice il capitano Bronzini: “Fra le condizioni della resa
c’era quella che gli ufficiali del comando della “Acqui”, col bagaglio
personale, con una attendente a persona, si dovevano recare con i propri mezzi
da Keramiaes ad Argostoli per le ore 21 del giorno 22”.
“Noi facemmo i preparativi con gli autocarri di cui
disponevamo”.
“Verso le 18, l’autocolonna si mosse: c’erano gli
ufficiali dello stato maggiore della “Acqui”, del comando di artiglieria e del
genio divisionali, a cui si erano aggiunti ufficiali sbandati di altri
reparti”.
“In testa era la macchina del gen. Candin ed affianco del
generale sedeva il sottotenente tedesco che aveva svolto le trattative”.
“Arrivammo ad Argostoli che era quasi buio”.
“L’autocolonna sostò una decina di minuti al blocco
tedesco posto all’entrata meridionale della città. Riprendemmo la marcia ed
attraversammo Argostoli. Constatammo che le rovine dovute al bombardamento
erano enormi. Le vie, specialmente lungo il poro, rigurgitavano di armati
tedeschi”.
“Dei greci nessun segno di vita”.
“L’autocolonna venne fatta fermare di fronte all’ingresso
situato affianco dell’ex comando marina di Argostoli”.
Ci fecero salire all’ultimo piano in un grande
appartamento di 15 stanze. E quella fu la dimora provvisoria.
“A Keramiaes, prima di partire, ciascuno di noi aveva
lasciato ala propria pistola sul tavolo del generale per evitare l’umiliazione
di doverla consegnare a qualche soldato tedesco”.
“Quando fummo chiusi a chiave nell’appartamento erano le
21. Qui trascorremmo la notte del 22 e tutto il giorno del 23”.
“Il mattino del 23 – testimonia il capitano Bianchi – i
tedeschi entrarono nell’ospedale dove io mi trovavo, prelevarono il comandante
di marina Mastrangeli ed il capitano Castellani, che furono poco dopo
fucilati”.
“In tutta l’isola intanto – dice il capitano Pampaloni –
continuava la caccia ll’italiano”.
“Quando io riuscii a scampare alla strage mi nascosi in
un bosco”.
“Poi raggiunsi di notte Pharaklata”.
“Avrei voluto andare ad Argostoli, all’ospedale militare
ma non avevo più forze; bussai, a caso, ad una porta di una famiglia greca. Mi
venne data ospitalità fraterna. La ferita al collo mi venne curata con liquore
e foglie: per fortuna non ci furono complicazioni. Quella famiglia mi dette ospitalità
sebbene in paese ci fossero i tedeschi. Fu essa che mi convinse a non andare
all’ospedale: e fu gran fortuna perché due giorni dopo i tedeschi presero
dall’ospedale tutti gli ufficiali, feriti o ammalati, e li fucilarono.
L’ospitalità da parte della famigli greca continuò anche dopo che si seppe che
a Divinata i tedeschi, scoperto un italiano in una casa, avevano fucilato tutti
i componenti della famiglia, donne bambini e vecchi”.
“Tutto il mattino e buona parte
del pomeriggio del 24 – dice il sottotenente Beretta – dalle carceri di
Argostoli sentimmo scariche di mitragliatrici non molto lontane. Nella notte,
noi prigionieri sopraggiunti ci riferirono quello che era avvenuto alla casa
rossa”.
“Il mattino del 24 – dice il
Bronzini – il capo di stato maggiore entra nella stanza occupata da me e dai
capitani Saettone e Carocci e ci dice: “Un sottotenente tedesco è venuto ora a
prendere il nostro generale””.
“Sono le
7:30”.
“Un
brivido di tristezza ci corse per il sangue e per l’anima”.
“Ci
guardammo in viso, colpiti dal dolore di questa separazione”.
“Alle
ore 8 il capo di stato maggiore ritorna: “Presto, - dice – sono venuti a
chiamare anche noi. L’interprete ha detto che dobbiamo andare al comando
tedesco per essere trasferiti in un altro luogo dove ci assicura che staremo
meglio. Intanto gli attendenti trasporteranno là il bagaglio personale””.
“Scendiamo
le scale: siamo all’incirca una quarantina di ufficiali”.
“Sulla
strada ci attendono 2 autocarrette. Vi saliamo e assai stretti nel poco spazio,
ci avviamo verso questo comando tedesco che ci deve interrogare”.
“Che
cosa ci chiederanno?”
“Mentre
le autocarrette, traballano per l’eccessivo carico e la cattiva strada,
attraversano Argostoli vediamo sfilare sotto il nostro sguardo più di una casa
portante le insegne di comandi tedeschi”.
“Lasciamo
le ultime case di Argostoli, entriamo in campagna”.
“Le
autocarrette filano verso punta S. Teodoro, la doppiano, e proseguono a sud,
sulla strada di Lardigo. Ad un km sotto S. Teodoro c’è una piccola villetta
rossa distrutta dai bombardamenti dei giorni precedenti: conserva però ancora
intatto l’alto muro di cinta che circonda il giardino”.
“Le
autocarrette si fermano davanti al cancello”.
“Soldato
tedeschi armati di mitra ci fanno entrare nel recinto”.
“Intanto
giungono, l’una dietro l’altra, altre autocarrette che scaricano a decine
ufficiali di ogni arma: tutti quelli che sono stati fatti prigionieri durante i
combattimenti o si sono arresi, a capitolazione avvenuta, il 22”.
“La
mattina del 24 – dice P. Formato – verso le 7, vediamo il generale partire
bruscamente prelevato da un ufficiale tedesco”.
“Ci
viene comunicato che dobbiamo tenerci pronti per subire un interrogatorio, alle
8, presso un comando tedesco”.
“Alle
7:45 ci riuniscono tutti e ci fanno salire su varie autocarrette”.
“Una
sentinella tedesca vedendomi in veste sacerdotale col bracciale della Croce
Rossa vorrebbe impedirmi di salire. Ma un ufficiale presente alla scena fa
bruscamente cenno che salga anch’io con gli altri”.
“l’episodio,
dal modo come si svolge, pone nell’animo mio e degli altri un presentimento
angoscioso ”.
“Tuttavia
si è quasi tutti sereni”.
“Le
autocarrette oltrepassano l’ospedale civile, la polveriera, le ultime
abitazioni di Argostoli, filano veloci dietro la penisola di S.Teodoro dove
sappiamo che altro non c’è che deserto roccioso”.
“Ad una
rustica villetta solitaria di color rosso ci addossano al muro di cinta”.
”Di
fronte a noi una decina di soldati tedeschi indossano l’elmetto di combattimento
ed imbracciano il mitra”.
“ Tutti
allora ci rendiamo conto della situazione”.
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