martedì 18 agosto 2015
Cefalonia. Il Sacrificio della Acqui
IL SACRIFICIO
DELLA “ACQUI”
Dice il Bronzini: “Chiediamo di
ritornare ai luoghi dove abbiamo lasciato i nostri bagagli. I tedeschi
acconsentono. Senonché, quando arriviamo alla casa che avevamo lasciato sei o
sette ore prima, con tutti gli ufficiali del comando della divisione, un
ufficiale tedesco, con grida altissime, ordina di non toccare i bagagli e di
uscire subito dalla casa a mani vuote. Faccio appena in tempo a vedere per
l’ultima volta il mio bagaglio là dove l’avevo lasciato. A noi superstiti non è
stato più possibile riavere la nostra roba”.
“Gli ufficiali scampati all’eccidio
sono portati nei locali dell’ex mensa del comando della “Acqui”. Là siamo
rinchiusi e rimaniamo fino al 12 novembre. Cinquanta giorni. Dormiamo sui
paventi appena sostenuti da un insufficiente alimentazione. Ma in questi
cinquanta giorni ho potuto apprendere molte cose che credo opportuno riferire”.
“Circa la sorte dei militari di truppa
della “Acqui”, tutte le notizie le ho desunte da conversazioni con soldati e
sottufficiali italiani con medici e cappellani dei nostri ospedali, da civili
greci e dai soldati tedeschi che montavano la guardia alle nostre abitazioni”.
“Perirono per fucilazione immediata
sul campo dei battaglia gli ufficiali del terzo battaglione del 317° fanteria,
gli ufficiali del comando del 17° fanteria, gli ufficiali del 7° gruppo, da
105/28. Il maggiore Galli, aiutante maggiore in prima del 317° fanteria, non
volle arrendersi e si suicidò”.
“Furono fucilati allo stesso modo
anche gli ufficiali medici”.
“Nella notte fra il 24 e il 25
settembre, due ufficiali fuggirono dal 37° ospedale da campo. I tedeschi, il
mattino de,l 25, fucilarono per rappresaglia sette ufficiali ivi ricoverati,
tra cui il maggiore Filippini, comandante del genio divisionale ed il suo
aiutante maggiore tenente Fraticelli”.
“Gli ufficiali della “Acqui” erano,
all’8 settembre, 525. Di questi, 37, come ho detto, scamparono alle fucilazioni
della “Casa Rossa”. Si salvarono pure – perché medici, cappellani, ricoverati
in ospedale – altri 20 o 25 ufficiali. Un'altra ventina (cifra massima)
riuscirono a salvarsi rifugiandosi presso civili greci. Sicché, in totale, gli
ufficiali salvatisi, furono 80 a al massimo 90. Tenuto contro che un sessantacinque
perirono sul campo di battaglia nelle operazioni tra il 15 e il 22, gli
ufficiali fucilato dai tedeschi fra il 21 e il 25 settembre, furono circa 370.
“La forza dei sottufficiali e truppa,
all’8 settembre si aggirava sugli undicimila uomini”.
“I superstiti furono internati parte
nelle carceri giudiziarie di Argostoli, parte in una caserma della stessa
città. Conoscendo l’ampiezza di detti locali, questi, complessivamente, non
potevano contenere più di sei o sette mila uomini”.
“Essi furono spogliati di ogni cosa,
privati delle scarpe (quelli che le avevano buone), tenuti ammassati come
bestie, senza alcuna assistenza sanitaria. Alimentazione scarsissima: 25 grammi
di riso al giorno, una galletta, un pò di verdura secca”.
“Alla metà di ottobre, i tedeschi
cominciarono a proporre ai prigionieri di aderire ai servizi ausiliari nel loro
esercito. Aderirono quelli che erano più sfiniti dalla fame e tutti i soldati
semplici. Ma non più di trecento furono quelli che rimasero in Cefalonia
adibiti a lavori di fortificazione costiera. Tutto il resto venne trasportato
sul continente greco, a Missolungi, da dove, credo, sia poi stato avviato ad
Agrinion”.
“Il tenente Lorenzo Caccavale, della
Marina, scampato alle fucilazioni del 24 settembre, fu dai tedeschi incaricato
di occuparsi delle operazioni di carico e scarico nel porto di Argostoli. Ad
ogni partenza, egli ci riferiva il numero approssimativo degli uomini
imbarcati. Si calcola al massimo seimila cinquecento uomini”.
“Sicché, fra le operazioni dal 15 al
22, le fucilazioni ed i patimenti, perirono in Cefalonia circa sei mila
soldati.
“Interi reparti che avevano richiesto
la resa, furono disarmati, allineati e mitragliati.
“Né le disgrazie della “Acqui”
finirono qui.
“Nel trasporto sul continente greco,
tre navi, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, finirono sulle mine e
saltarono in aria con gran parte del carico umano, stipato nelle stive senza
alcuna pietà.
“Si calcola in tal modo, che siano
periti circa tremila uomini , il che porterebbe il totale dei periti della
“Acqui” a circa novemila uomini su undicimila.
“Circa i quattro quinti della truppa
ed altrettanto degli ufficiali.
“Il 28 settembre – dice il
sottotenente Bravetta – ci imbarcarono sulla nave greca “Alma”. Alle 11 la nave
parte. A poche miglia dall’isola cozza contro una mina. La esplosione è enorme
ed in breve la nave affonda. Lo spostamento d’aria mi lancia in acqua, dove
cerco con tutte le mie forze si salvarmi. Molte sono le grida dei naufraghi: ma
i tedeschi che sono su piccole imbarcazioni non si curano di loro…
“Dice il soldato Dante Umbri, del 317°
fanteria: “Rimasi all’ospedale di Argostoli pochi giorni. Poi mi fecero far
fagotto ed imbarcare. Durante il tragitto non ressi e svenni. Nel salire sulla
passerella, siccome non ce la facevo da solo, chiesi aiuto. I tedeschi mi
presero la poca roba e me la gettarono in mare. Poi, con urtoni, mi fecero
raggiungere il ponte. Ma siccome avevo la febbre assai lata, mi fecero scendere
e mi ricondussero all’ospedale. La nave partì, ma appena al largo cozzò contro
una mina ed affondò. Quasi tutti gli imbarcati perirono. Mi raccontò la
tragedia uno dei pochi soldati superstiti, il fante Cutrona, siciliano. Io
ringrazio il Signore di avermi salvati da questo pericolo nel quale sarei
certamente perito, data la mia debolezza. Il secondo viaggio, invece, andò
bene. Ma durante la traversata, non feci altro che vedere cadaveri dei miei
compagni che andavano alla deriva. Quale terribile spettacolo!”.
“Nei giorni successivi alle
fucilazioni – continua il Bronzini – veniva spesso a trovarci un soldato
tedesco di Bolzano che avendo in precedenza optato per la Germania, era
considerato cittadino del Reich. Questi mi raccontò che Hitler in persona aveva
dato l’ordine di uccidere tutti i militari della “Acqui”, ma che in un secondo
tempo aveva limitato l’ordine ai soli ufficiali.
“Se ciò è vero, si spiega come fino al
23 settembre i tedeschi abbiano sterminato senza discriminazione e come dopo
tale data abbiano infierito sui soli ufficiali.
“Un soldato tedesco mi ha poi detto
che questi ordini non trovarono alcuna opposizione fra le autorità italiane
fasciste”.
“Io ed il cappellano don Luigi
Ghilardini – dice il capitano Apollonio – chiedemmo alle autorità tedesche il
nulla osta per il seppellimento dei resti degli ufficiali e dei soldati
italiani sparsi nell’Isola. Il comando della 104a Jäger Division ci
rispose con un netto rifiuto. Il comandante tedesco di Cefalonia commentò la
comunicazione con le seguenti parole: i ribelli non hanno diritto a sepoltura”.
“Il mattino del 2 novembre 1943, dopo
50 giorni di prigionia, - conclude P.
Formato, - fummo imbarcati a Samos ed avviati sul continente greco”.
“Con quale animo,m in quella
piovigginosa mattina, vedemmo dal ponte della nave, scomparire fra le nebbie,
l’isola del nostro martirio!”.
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