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martedì 29 dicembre 2009

Elenco cronologico dei passi svolti da parte italiana per il potenziamento dello sforzo bellico del paese in cooperazione con gli alleati.


Allegato 1 al volume presentato dal Ministero degli Affari Esteri nel 1946 per sostenere le ragioni dell’Italia alla Conferenza della pace.

“Il contributo italiano alla guerra contro la Germania”
Ministero degli Affari Esteri
Servizio Affari Generali – Ufficio Studi e Documentazione
Roma 1946


10 settembre 1943
Il Generale Eisenhower al Maresciallo Badoglio
Messaggio col quale il Capo del Governo viene invitato ad orientare la nazione in senso avverso ai tedeschi. Il Generale Eisenhower afferma che l’intero futuro e l’onore dell’Italia dipendono da ciò che le sue forze armate sono pronte a fare.

10 settembre 1943
Il Maresciallo Badoglio al Generale Eisenhower
In risposta al messaggio precedente, il Capo del Governo assicura di avere già disposto perchè le Forze Armate Italiane agiscano con vigore contro i tedeschi ed annunzia la diramazione di un messaggio del Re e di un suo proclama alla Nazione. Chiede sia inviato a Brindisi un ufficiale alleato di collegamento e sollecita un concorso rapido e potente degli Alleati.

13 settembre 1943
Il Comando Supremo Italiano al Generale Castellano, Capo della Missione Italiana presso il Comandante in Capo Alleato.
Si fa presente l’effetto deprimente provocato nel popolo italiano dalla pubblicazione, fatta da parte tedesca, delle condizioni di armistizio. Si chiede che venga chiarito che le condizioni della nostra pace saranno in funzione del nostro apporto alla guerra contro i tedeschi.

12 settembre 1943
Il Presidente Roosevelt e il Primo Ministro Churchill al Maresciallo Badoglio.
Messaggio d’incoraggiamento al popolo italiano. Promessa di una rapida liberazione dell’Italia ed assicurazione di un posto degno tra i vecchi amici dell’Italia.

13 settembre 1943
Il Maresciallo Badoglio al Presidente Roosevelt e al Primo Ministro Churchill
Risposta al messaggio precedente. Si assicura che tutto il possibile è e sarà fatto da parte del Popolo Italiano e delle Forze armate.

13 settembre 1943
Il capo del Governo riceve l’ammiraglio Power al quale consegna la risposta precedente.
Nel colloquio che ne segue, l’Ammiraglio si dichiara lieto del comportamento della flotta italiana e riafferma la necessità che altre forze armate si affianchino agli Alleati per cacciare i tedeschi dall’Italia.

14 settembre 1943
Colloquio del Capo di S.M. Generale italiano con i Generali Mason, Mac Farlane e Taylor della Missione Alleata.
Vengono trattati vari argomenti: tra l’atro il capo di S.M. Generale fa presente nuovamente che i tedeschi si stanno impadronendo delle Isole Jonie e dalmate, minacciano la Corsica e l’Elba, hanno occupato Rodi e sono in procinto di attaccare Lero, sollecita pertanto una rapida azione alleata. Circa il modo in cui le forze italiane disponibili potranno collaborare con le forze alleate, il Capo di S.M. Generale Italiano rappresenta le necessità, in materiale e armamenti, ed espone alcune idee sulle operazioni che sarebbe bene compiere per la cacciata dei tedeschi dall’Italia e il recupero delle forze italiane dislocate in territori extrametropolitani.

15 settembre 1943
Il Comando Supremo al Generale Mac Farlane
Appunto sulla propaganda fatta dai tedeschi circa l’armistizio. Richiesta che da parte Alleata si faccia conoscere che l’applicazione delle clausole d’armistizio è subordinata al contegno italiano, e che gli italiani hanno virilmente agito contro i tedeschi.
Durante tutto il mese di settembre l’azione del comando Supremo tende in modo particolare ad ottenere che gli Alleati intervengano a sostegno delle truppe italiane che combattono in Balcania, nelle isole Jonie e dell’Egeo, in Corsica; o quanto meno, sia concesso inviare dalla Madre Patria tutti quegli aiuti che la situazione permette. Gli Alleati, non solo non intervengono, ma non consentono nemmeno che da parte italiana s’inviino quegli aiuti – particolarmente aerei e navali -che sarebbe possibile inviare.

19 settembre 1943
Colloquio del Capo di S.M. Generale Italiano con il Comm. Stone ed il Generale Mac Farlane.
Il generale Ambrosio insiste sulla necessità di agire al più presto con la propaganda e soprattutto con l’attività operativa.
Riafferma la convenienza di uno sbarco a sud di Ancona o, comunque, di operazioni che accelerino l’occupazione dell’Italia, tenendo presente che, nell’l’Italia settentrionale, si trovano le nostre industrie e che ivi sono aerei, navi mercantili e da guerra in costruzione.

21 settembre 1943
Il Generale Mac Farlane, capo della Missione Militare Alleata presso il Governo Italiano al Maresciallo Badoglio.
Comunica verbalmente che per ordine superiore, le truppe italiane non avrebbero più dovuto partecipare a combattimenti fino a nuovo ordine.

21 settembre 1943
Il Maresciallo Badoglio al Comandante in Capo Alleato.
Riferendosi alla comunicazione orale del Generale Mac Farlane, telegrafa ribadendo la decisione delle truppe italiane nel volere continuare a partecipare alla lotta contro i tedeschi.
Nessuna risposta viene data a tale telegramma.

22 settembre 1943
Il Maresciallo Badoglio al Generale Castellano, capo della Missione Italiana presso il Comandante in Capo Alleato.
Istruzione di intervenire presso il generale Eisenhower protestando contro la disposizione alleata secondo la quale il 50mo corpo d’armata italiano dovrebbe avere ormai solo compiti di retrovia.
Si insiste sul fatto che gli italiani vogliono concorrere col loro sangue alla liberazione del loro paese.

24 settembre 1943
Comunicazione del Generale Mac Farlane
Gli Anglo Americani autorizzano l’impiego di un raggruppamento motorizzato italiano che dovrà essere pronto entro il 30 settembre.
L’approntamento si svolge in mezzo ad enormi difficoltà in quanto gli alleati stessi, a diverse riprese, requisiscono, bloccano o asportano i materiali coi quali si dovrebbe equipaggiare il raggruppamento.

29 settembre 1943
Convegno di Malta
Il Generale Eisenhower invita il Governo Italiano a dichiarare guerra alla Germania, afferma di essere favorevole all’approntamento di divisioni italiane da far combattere contro i tedeschi, e promette di aiutarne l’equipaggiamento con la preda bellica.

30 settembre 1943
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Capo della Missione Militare Anglo-Americana.
Viene consegnato un promemoria (che avrebbe dovuto essere trasmesso il giorno precedente a Malta, e non lo fu perché non lo consentì l’andamento della discussione) nel quale è nuovamente prospettata la necessità di ricostruire l’Esercito Italiano che potrebbe così dare un notevole contributo alla causa delle Nazioni Unite. Con un modesto concorso anglo-americano in automezzi per tre divisioni, si potrebbe approntare subito un armata di circa 10 divisioni; a sostegno di ciò si fa osservare che le nostre unità hanno già operato ed operano in cooperazione con gli anglo-americani, in Sardegna, in Corsica e nell’Egeo.
Il promemoria non ottiene alcuna risposta diretta.

1 ottobre 1943
Disposizioni per l’approntamento di due divisioni
In seguito alle dichiarazioni del Generale Eisenhower, il Comando Supremo dispone per l’approntamento di una divisione paracadutisti e di almeno due di fanteria; del Comando 51mo Corpo d’Armata e delle divisioni “Mantova”, “Piceno”, e “Legnano”.

3 ottobre 1943
Il Capo di S.M. Italiano al Capo della Missione Militare Anglo-Americana.
Si assicura che in base a quanto concordato nella riunione di Malta, si sta provvedendo alla preparazione di alcune divisioni scelte da impiegare al più presto in zona di operazioni. Per aumentare le possibilità di cooperazione, si rappresenta l’opportunità di costituire nuove Grandi Unità utilizzando prigionieri di guerra.

6 ottobre 1943
Colloquio a S. Spirito tra il Generale Alexander ed il Capo di S.M. Generale Italiano.
Il Generale Alexander prende atto dell’avvenuta costituzione del primo raggruppamento motorizzato, e si dichiara favorevole al ricupero di qualche altra unità.

9 ottobre 1943
Il capo della Missione Militare Anglo-Americana al Capo di S.M. Generale.
Si chiede da parte alleata che gli ufficiali e soldati italiani prigionieri siano autorizzati ad aiutare gli Alleati, a beneficio della causa comune, in servizi non di combattimento ma connessi con lo sforzo bellico.

10 ottobre 1943
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Capo della Missione Militare Anglo-Americana
Il generale Taylor viene interessato perché sia revocato l’ordine alle truppe italiane in Corsica, che si devono trasferire in Sardegna, di cedere ai francesi armi, automezzi e munizioni. Si fa presente che ciò è in contrasto con le disposizioni per l’impiego delle truppe italiane nella penisola.

10 ottobre 1943
Il Sottocapo di S.M. Generale al Capo della Missione Militare Anglo-Americana
Si chiede il trasferimento dalla Sardegna nelle Puglie del 1^ Battaglione Arditi, particolarmente addestrato al sabotaggio.
Quantunque il trasporto possa avvenire con mezzi navali italiani, esso non sarà concesso che dopo successive insistenze, nel marzo 1944.

11 ottobre 1943
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Capo della Missione Militare Anglo-Americana.
Viene comunicata l’adesione di massima del Governo italiano alla proposta alleata del 9 ottobre e, a tale scopo, si unisce una dichiarazione del Maresciallo Badoglio da far pervenire ai prigionieri. Con l’occasione, si insiste sul desiderio italiano affinché i prigionieri di guerra – specialmente quelli che si offrano come volontari – possano costituire vere e proprie unità combattenti.

13 ottobre 1943
Il Capo del Governo al Generale Eisenhower
Vengono comunicate le linee del programma tracciato dalla Stato Maggiore Generale Italiano nei riguardi delle Forze Armate da usare contro i tedeschi. Tra l’altro, il Maresciallo Badoglio così si esprime: “Ora che l’Italia ha dichiarato guerra alla Germania, se non si vuole che questo sia un semplice gesto platonico, bisogna che Voi prendiate in considerazione le nostre richieste in modo da mettermi in condizioni di dare un notevole concorso di forze alle armate ai Vostri ordini. Voi mi avete scritto che l’eventuale miglioramento delle condizioni di armistizio dipenderà dall’azione esplicita del Governo italiano. Ma se Voi non mi aiutate io non potrò esplicare che buona volontà”.

17 ottobre 1943
La Missione Militare Alleata al Capo di S.M. Generale Italiano.
Promemoria riguardante le Forze Armate Italiane, esclusa la Marina (per la quale vigono accordi precedenti).
In contrasto con le dichiarazioni del Generale Eisenhower a Malta, si fa sapere che, per difficoltà di comando, di alimentazione e di rinnovo, non è previsto l’impiego su vasta scala di truppe italiane combattenti, salvo la brigata rinforzata. Viene invece previsto l’impiego, come truppe ausiliarie, di circa 10 divisioni, oltre al concorso di unità del genio, dei collegamenti ed altre specializzate.
L’Aviazione italiana verrà impiegata nei Balcani.

18 ottobre 1943
Il Generale Taylor al Maresciallo Badoglio (Memorandum con cui viene comunicata la Dichiarazione Anglo-Americano-Sovietica in merito alla cobelligeranza).
La relazione di cobelligeranza fra il Governo dell’Italia ed i Governi delle Nazioni Unite non può di per sé intaccare (affect) le clausole recentemente firmate, che conservano il loro pieno vigore e potranno essere modificate (adjusted) mediante accordo fra i governi alleati in considerazione dell’assistenza che il Governo italiano potrà portare alla causa delle Nazioni Unite.

19 ottobre 1943
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Capo della Missione Militare Alleata
In risposta al promemoria precedente si assicura che la collaborazione italiana in Italia e nei Balcani, continuerà nella maniera più intensa possibile. Si riconferma il desiderio italiano di poter partecipare alla guerra anche in una forma più diretta, e si chiede che possano essere trasferite nell’Italia continentale due divisioni di fanteria ed una di paracadutisti che si trovano in Sardegna.

22 ottobre 1943
Il Comando Supremo al Capo della Missione Militare Anglo-Americana
Viene proposta agli alleati l’utilizzazione di un battaglione arditi e due di mitraglieri.
Risposta negativa.

22 ottobre 1943
Il Comando Supremo al Capo della Missione Italiana presso il Comando in Capo degli Alleati.
Viene interessata la Missione Italiana presso il Comando in Capo Alleato affinché insista nel far presente quanto la collaborazione diretta, da noi offerta, sarebbe utile alla causa alleata. Si fanno presenti anche le possibilità di collaborazione dei prigionieri.

Ottobre 1943
Le nostre autorità intervengono più volte per ottenere la revoca, od almeno una attenuamento della disposizione secondo la quale le nostre truppe, che hanno cacciato i tedeschi dalla Corsica, debbono, nel rientrare in Sardegna, abbandonare ai francesi il proprio materiale di guerra.

29 ottobre 1943
La Missione Militare Italiana al Capo di S.M. Italiano
Promemoria nel quale si annunzia la richiesta da parte del Comandante in Capo Alleato, dell’approntamento immediato di una divisione alpina.

30 ottobre 1943
Il capo della Missione Italiana presso il Comando in capo Alleato al Comando Supremo Italiano
Il Generale Castellano riferisce sui tentativi fatti anche da parte sua in merito alla costituzione di reparti operanti italiani. Tratta anche della questione dei prigionieri , facendo presente che il loro trattamento da parte americana è ottimo, meno buono da parte degli inglesi, assolutamente inumano da parte dei francesi, sui quali anche il Generale Eisenhower ha dovuto fare forti pressioni onde indurli ad un diverso atteggiamento.

31 ottobre 1943
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Capo del Governo
Di fronte al persistere del duplice atteggiamento anglo-americano, consistente nell’insistere, da un lato, nella propaganda al combattimento, e nel ridurre, dall’altro, il nostro apporto ostacolandolo in tutte le maniere, il Capo di S.M. Generale chiede che la questione sia trattata dal Governo, al di fuori della Missione Militare dei Comandi Alleati locali.

1^ novembre 1943
Il Capo di S.M Generale Italiano al Capo della Missione Militare Alleata
Circa una richiesta di approntare subito, per necessità della 5^ Armata, tutte le unità someggiate esistenti in Sardegna, se ne fanno presente i riflessi fortemente negativi sull’efficienza delle costituende unità dell’esercito, alle quali mancherebbero i quadrupedi per le artiglierie.

8 novembre 1943
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Capo della Missione Italiana presso il Comando in Capo Alleato
Viene comunicato il nuovo ordinamento dell’Aeronautica e vengono date istruzioni di segnalare al Comando in Capo le possibilità di impiego delle forze Aeree Italiane e quelle di produzione di materiale aeronautico.
13 novembre 1943
Il Comando Supremo Italiano al capo della Missione Militare Italiana presso il Comando in Capo Alleato
Si richiedono chiarimenti per contrasti fra le disposizioni date dalla Missione Militare Alleata in Italia e le decisioni del Comandante in Capo Alleato circa il nostro concorso alle operazioni.

15 novembre 1943
Il Comando Supremo Italiano al Capo della Missione Militare Italiana presso il Comando in Capo Alleato
Istruzione di intervenire presso il Comando in Capo Alleato poiché, contrariamente a quanto esso aveva stabilito in precedenza, la Divisione “Cremona”, rientrando dalla Corsica, è stata costretta, dalla Missione Alleata stabilita in quell’isola, a lasciare anche i cannoni da 47-32.
L’azione slegata tra Comando in Capo e Missione Militare Alleata nuoce all’approntamento dei reparti, in quanto vengono tolti alle nostre disponibilità, materiali che dovrebbero servire per l’armamento delle unità richieste dal Comando Alleato stesso.

19 novembre 1943
Il Capo della Missione Militare Italiana presso il Comando in Capo Alleato al Comando Supremo Italiano
Nel riferire sulle trattative in corso per l’approntamento della Divisione “Legnano”, comunica che molte difficoltà sono frapposte dagli Alleati per l’esecuzione di questo progetto già approvato.
Il Comando in Capo Alleato ordina intanto di sospendere ogni trattativa in merito.

23 novembre 1943
Colloqui tra il nuovo Capo di S.M. Generale Italiano, Maresciallo Messe, ed il Generale Joice, Capo della Commissione di Controllo Alleata
Il Maresciallo Messe nel riaffermare la volontà italiana di cooperare attivamente nel campo operativo e nelle retrovie, espone il suo punto di vista sui provvedimenti da prendere: in particolare chiede che gli americani vengano incontro alle nostre necessità, se non aiutandoci attivamente, per lo meno evitando di asportare i nostri materiali e restituendoci quelli già asportati.

24 novembre 1943
Le nostre questioni sono prospettate al Generale Taylor.

25 novembre 1943
Il Comando Supremo alla Commissione Alleata di Controllo
Si fa presente che le continue nuove richieste, da parte di vari Comandi anglo-americani, di armi e di munizionamenti italiani, provocano serio danno all’approntamento dei reparti italiani.

29 novembre 1943
Il Capo di S.M.Generale Italiano al Capo della A.C.C.
Si precisano gli intendimenti del Comando Supremo Italiano circa la completa collaborazione da dare agli anglo-americani nel senso già espresso nel colloquio del giorno 23. Si fanno nuovamente presenti le misure da emanare, per rendere più fattiva questa collaborazione.
Lo stesso giorno il capo do S.M.Generale Italiano rappresenta nuovamente al Generale Taylor come sia ardua la ricostituzione di grandi Unità Italiane date le difficoltà derivanti da continue richieste di personale e materiale da parte degli anglo-americani.

4 dicembre 1943
Il Capo della A.C.C. al Comando Supremo
Si comunica che il punto di vista espresso dal Capo di S.M. Generale è stato reso noto al Comando in Capo Alleato.

11 dicembre 1943
Il Capo di S.M.Generale Italiano segnala alle Autorità Alleate che numerosi quadrupedi lasciati in Corsica dalle Unità italiane stanno morendo per denutrizione e per mancanza di cure; prospetta l’opportunità di esaminare se non sia il caso di farne restituire almeno una parte da utilizzare, sia per far fronte alle esigenze anglo-americane, sia per la ricostituzione delle Unità italiane.

13 dicembre 1943
Il Capo di S.M.Generale Italiano al Presidente della A.C.C.
In riferimento ad una richiesta di mortai da 81 e da 45 con relativo munizionamento, si fa presente che le truppe italiane, così menomate moralmente e materialmente, qualora fossero ulteriormente private del loro superstite materiale bellico, non sarebbero più in grado di assolvere bene i compiti ad essi affidati dal Comando in Capo Alleato; si chiede pertanto di voler riconsiderare detta richiesta.

17 dicembre 1943
Il Presidente della A.C.C. al Capo di S.M. Generale Italiano
Fa presente di avere inoltrato al Comando in Capo Alleato le osservazioni del Capo di S.M. Generale. Contemporaneamente segnala una nota di armi e munizioni da mettere subito a disposizione del Comando in Capo Alleato.

18 dicembre 1943
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Presidente della A.C.C
Assicura di aver impartito disposizioni per la consegna delle armi e delle munizioni di cui all’ultima richiesta e contemporaneamente fa presente che in tal modo verrà compromessa la possibilità di far fronte anche ai compiti minimi previsti per l’Esercito Italiano dal promemoria della Missione Militare Alleata del 17 ottobre.

20 dicembre 1943
Incontro di S. Spirito
Ad esso presenziano tra gli altri, i Generali Eisenhower ed Alexander, ed i Marescialli Messe e Badoglio. Viene trattato l’argomento della maggior partecipazione italiana alle operazioni.

24 dicembre 1943
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Presidente della A.C.C.
In relazione a nuove richieste alleate di quadrupedi, si fanno presenti le difficoltà nelle quali vengono a trovarsi le truppe italiane in corso di approntamento. Il. 6 gennaio il Generale Taylor comunica che, per necessità operative, non è consentito di recedere dalla richiesta.

1^ gennaio 1944
Il Capo di S.M Italiano al Presidente della A.C.C.
Nuove insistenze per l’impiego di truppe italiane combattenti.

12 gennaio 1944
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Presidente della A.C.C.
Si prospetta il punto di vista del Comando Supremo Italiano circa l’impiego della Divisione “Cuneo” come unità combattente. L’unità si trova in Palestina, dove è stata trasferita su ordine alleato, dopo aver aspramente combattuto contro i tedeschi nelle isole dell’Egeo. Con essa sono pure i resti della Divisione “Regina” ed elementi minori facenti parte di alcuni presidi di dette isole.
In precedenti colloqui tra il Generale Wilson ed il generale Soldarelli era già stato concordato di riordinare tali truppe nella Divisione “Cuneo” da impiegare come Grande Unità combattente. In realtà la Divisione “Cuneo” non solo non è stata impiegata, ma, benché i suoi componenti non siano stati catturati dalle autorità americane, essi non sono nemmeno rimpatriati dal Medio Oriente dove hanno avuto un trattamento sostanzialmente non dissimile da quello dei prigionieri di guerra cooperatori.

20 gennaio 1944
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Presidente della A.C.C.
Si chiede che le truppe italiane in Corsica continuino ad essere considerate come operanti alle dipendenze del Comando Alleato secondo quanto stabilito a suo tempo dal Comando in Capo Alleato. Ciò in relazione ad un ordine della Missione Militare Alleata nell’isola, secondo il quale esse devono venir poste alle dipendenze del Comando francese come elementi lavoratori.

7 febbraio 1944
Il Capo della Missione Militare Italiana presso la A.C.C. al Comando Supremo
Il Generale Castellano riferisce circa i passi compiuti da lui in recenti colloqui coi Generali Wilson e Devers (rispettivamente Comandante in Capo e Comandante in seconda nel Mediterraneo) in merito alla nostra partecipazione alla guerra.

8 febbraio 1944
La A.C.C. al Capo di S.M. Generale Italiano
Vengono preannunziate direttive circa il prossimo impiego di truppe italiane.

17 febbraio 1944
La Commissione A.C. al Comando Supremo
Vengono segnalate le modifiche del Comando delle Forze Alleate alle direttive per le Forze Armate Italiane. In sintesi esse stabiliscono:
- forza presente, compresi CC.RR., non superiore ai 500.000 uomini di cui 390.000 dell’esercito;
- i magazzini italiani in Continente ed in Sardegna sono a disposizione della parte italiana;
- una divisione deve essere equipaggiata con riserve italiane e portata in linea in una data prossima;
- due altre divisioni tenute in Puglia ed in Calabria con compiti di sicurezza il cui impiego in operazioni va ritenuto possibile (totale forza delle tre divisioni non superiore ai 32.000 uomini);
- il resto dell’esercito italiano (“Sabauda” esclusa) rimane a disposizione del generale Alexander per le divisioni della Sardegna e del continente, in relazione al compito di sicurezza interna a nord della linea Napoli-Foggia;
- un elenco di reparti da mettere a disposizione degli Alleati entro febbraio e marzo per un complesso di 45.000 uomini e altra aliquota per dopo marzo, di 65.000;
- un trasporto mensile di 10.000 uomini dalla Sardegna.
Il Gnerale Duchesne preannuncia una riunione che sarà presieduta dal Generale Mac Farlane allo scopo di esaminare e discutere il programma in questione.

18 febbraio 1944
La Sottocommissione Alleata al Capo di S.M. Generale Italiano
Si comunica che la Divisione “Cuneo” sarà trattenuta in Palestina ed il suo personale impiegato parte come lavoratori e parte organizzato in compagnie genio zappatori; ciò è in contrasto con le precedenti intese intercorse in proposito tra il generale Soldarelli ed il generale Wilson che prevedevano l’impiego della Divisione come Grande Unità combattente.

27 febbraio 1944
Il Capo di S.M. Generale Italiano alla Commissione Alleata
Il Capo di S.M. rappresenta il caso della Divisione “Cuneo” pur non entrando in merito ai motivi che hanno causato un cambiamento nell’impiego cui le truppe dovevano essere destinate, fa rilevare come questi reparti non debbano essere considerati come prigionieri di guerra e propone il rimpatrio graduale, dati o gravi riflessi che detta decisione avrà sul morale delle truppe. La posizione dei militari della “Cuneo” è ancora oggetto di successivi molteplici interventi del Comando Supremo presso le Autorità Alleate, sia presso gli organi di governo, essenzialmente per la questione del loro status, modificato poi arbitrariamente da “cobelligeranti” a “prigionieri cooperatori”. Non si otterranno in proposito risultati positivi.

4 marzo 1944
Convegno di Salerno
Ad esso partecipano, tra gli altri, il Maresciallo ed il Generale Mac Farlane. Vengono trattati vari argomenti riflettenti l’Esercito Italiano.

30 maggio 1944
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Presidente della A.C.C.
Si fa presente che con l’invio in linea della Divisione “Nembo”, non rimangono praticamente a disposizione altre unità italiane pronte a entrare in azione. Vi sono però delle Grandi Unità, che convenientemente armate ed equipaggiate sarebbero in grado in brevissimo tempo, di partecipare alle operazioni, come è vivo desiderio della popolazione italiana. In tale eventualità potrebbe impiegarsi in primo luogo la Divisione “Cremona”, che, materialmente e moralmente è quella più avanzata nell’approntamento.

3 giugno 1944
Colloqui tra i Generali Alexander e Mac Farlane ed il Maresciallo Messe.
Il Generale Alexander riconosce che da parte alleata non si è fatto a sufficienza per la partecipazione italiana alla guerra e promette il suo interessamento. Esprime pure il suo compiacimento per il comportamento delle truppe italiane in combattimento.

22 giugno 1944
Il Ministero degli Esteri alla R. Rappresentanza a Mosca.
Istruzioni di proporre al governo sovietico l’inquadramento di prigionieri di guerra italiani in Russia in Unità omogenee che convenientemente armate ed equipaggiate, ed al comando di ufficiali italiani potrebbero essere messe a disposizione del Comando Supremo Sovietico per essere impiegate ai fini della guerra comune.

28 giugno 1944
Riunione di Bolsena presieduta dal Generale Alexander.
Tra le varie questioni viene trattata in modo particolare quella dell’assorbimento dei patrioti nelle formazioni regolari. Si stabilisce che i patrioti riconosciuti come tali, saranno avviati ai centri di affluenza stabiliti, dopo di che, fisicamente e moralmente in migliori condizioni, saranno fatti affluire al C.I.L.
Nei riguardi del potenziamento dello sforzo bellico il Generale Alexander:
- conferma la sua viva soddisfazione per l’opera svolta dai reparti del C.I.L. in modo particolare della Divisione “Nembo”.
- dichiara di aver chiesto a Washington l’autorizzazione di aver mano libera per l’ulteriore impiego di reparti combattenti italiani;
- accenna di essere a conoscenza che in Sardegna le Divisioni “Cremona”, “Friuli”, “Granatieri” si presentano bene e potrebbero, armate ed equipaggiate con materiale britannico, essere in 4-6 settimane addestrate per essere impiegate con le truppe operanti. Spera di ottenere presto l’autorizzazione relativa.

7 agosto 1944
Il Presidente del Consiglio Italiano al Maresciallo Stalin
Il Presidente Bonomi dà assicurazioni sulla decisa volontà degli italiani di combattere contro i tedeschi. Egli fa presente che la limitatezza della collaborazione che viene attualmente fornita è dovuta a deficienza di mezzi e potrà essere potenziata solo se cesseranno molte sterili diffidenze che la ostacolano.

10 agosto 1944
Il Sottosegretario Italiano agli Esteri al Capo della A.C.C.
Si propone la pubblicazione di un breve comunicato relativo al potenziamento del Corpo di Liberazione Italiano. La risposta sarà negativa.

14 settembre 1944
Il SottosegretarioIitaliano agli Affari Esteri ai rappresentanti britannico e americano.
Richiesta di precisazioni circa la notizia secondo la quale 30.000 prigionieri di guerra italiani verranno impiegati per servizi nelle coste meridionali della Francia. Si chiede che le truppe italiane vengano invece usate in combattimento. Il passo italiano non otterrà nessun effetto.

13 novembre 1944
Il Segretario Generale del Ministero degli Esteri Italiano al Rappresentante Sovietico a Roma.
Si danno notizie sulle difficoltà per l’approntamento di unità combattenti italiane, difficoltà derivanti soprattutto dall’impiego dei reparti in servizi d’ordine pubblico e dalla deficienza di specializzati assorbiti nelle Unità ausiliarie alle dipendenze alleate.

6 gennaio 1945
Il Capo di S.M. Generale Italiano al Maresciallo Alexander.
Appunto contenente varie proposte circa le principali questioni riguardanti l’esercito italiano e i patrioti. In particolare si propone che vengano nuovamente riuniti sotto un unico comando (come era avvenuto fino al 15 settembre 1944 per il Corpo Italiano di Liberazione) i gruppi combattenti italiani, e si eviti che – come è stato invece deciso – essi agiscano frazionati alle dipendenze di Grandi Unità alleate. Si propone inoltre l’assorbimento dei patrioti nell’Esercito.

11 gennaio 1945
Il comitato di Liberazione Nazionale al Primo Ministro Churchill, al Presidente Roosewelt, al Maresciallo Stalin ed al Generale De Gaulle.
Telegramma col quale si chiede che venga autorizzata una maggiore attiva collaborazione del popolo italiano nella lotta contro i tedeschi.

15 gennaio 1945
Il Ministero degli Esteri al R .Ambasciatore a Londra
Trasmissione di una lettera del Capo di S.M. della R.Aeronautica al Capo della Sottocommissione per l’aeronautica dell’A,C., contenente proposte e notizie sui provvedimenti per il potenziamento della R.Aeronautica nella lotta contro la Germania. Il R. Ambasciatore è incaricato di svolgere opera politica in merito.

mercoledì 11 novembre 2009

Quando l’Accademia Navale fu veramente grande
Dino Sesani

A Livorno, all’interno dell’Accademia Navale una lapide di marmo reca incise queste parole:
“per eventi di guerra e nel triennio agosto 1943 - giugno1946 l’Accademia Navale in continuità operosa trasmigrata a Venezia prima a Brindisi dopo, qui a Livorno risorgendo da rovine appena rimosse nell’estate del 1946 tenacemente affermava volontà e attività ricostruttrici esempio nel presente auspicio per l’avvenire della Patria”.
A Livorno i bombardamenti che ne avevano colpito e in parte distrutto gli edifici non consentivano un regolare svolgimento delle attività dell’ Istituto, e così l’Accademia Navale si era trasferita all’Hotel Excelsior, al Lido di Venezia, utilizzando anche gli splendidi locali del Casinò.
Fra la fine di luglio ed i primi di agosto arrivarono, in questa bizzarra sede, gli allievi destinati a diventare il Corso che di lì a qualche mese si sarebbe chiamato “Vedette” mentre gli “Argonauti” – gli anziani – erano in Alto Adriatico, imbarcati sulla Divisione Navi Scuola, costituita da Vespucci e Colombo. Gli anzianissimi – Le Raffiche – erano parcheggiati a Colle Isarco, in provincia di Bolzano, da dove raggiunsero Venezia poco prima della fine di agosto. I Corsi di complemento erano stati sistemati a Brioni, non lontano da Pola.
L’Excelsior era ed è, uno splendido luogo dove trascorrere romantiche vacanze, ma come Accademia Navale, aveva un sacco di inconvenienti. Molti allievi dell’epoca ricordano ancora con terrore la mostruosa quantità di scale che dovevano salire e scendere sempre di corsa più volte al giorno dal quarto piano dell’Hotel dove avevano il loro alloggio al quarto piano del Casino dove erano le aule.
Venne l’8 settembre e il Comando dell’Accademia decise, nel giro di poche ore, di imbarcare allievi, insegnanti, istruttori, famigli, marinai e tutto quanto poteva essere rapidamente trasportato, a bordo del Saturnia, noto transatlantico superstite della flotta mercantile italiana appena uscito dal bacino di carenaggio, in porto a Venezia, mentre il gemello Vulcania salpava, diretto a Brioni, per prelevare gli Allievi dei Corsi di Complemento: missione purtroppo, drammaticamente fallita con la cattura da parte dei Tedeschi dei 739 giovani ed il loro internamento in un campo di prigionia.
Essi rifiutarono tutti di collaborare con i nazisti ed i repubblichini. Per questo loro atteggiamento pagarono un altissimo prezzo in termini di vite umane, di stenti e di malattie che ne hanno segnato successivamente l’esistenza.
L’imbarco e la partenza da Venezia ebbero aspetti da “esodo biblico controllato” che varrebbe la pena di raccontare, ma è abbastanza indicativa anche la pura e semplice sequenza degli eventi.
8 settembre 1943 : si va a scuola e si svolgono le esercitazioni programmate. Poco prima delle 20 si sparge la notizia dell’armistizio;
9 settembre : a metà pomeriggio siamo tutti a bordo del Saturnia, che salpa verso le 20, a luci oscurate. Fuori del porto ci sono due motosiluranti tedesche in grado di farci la festa e così rientriamo a Venezia.
10 settembre: si salpa intorno alle 14 si dirige verso sud, zigzagando, incontro ad una limpida notte di luna piena, che mette sgradevolmente in risalto l’imponente sagoma della nave . Tutti gli Allievi passano la notte in coperta, indossando il salvagente.
11 settembre: verso le 15 siamo all’altezza di Brindisi ed emerge vicino a noi un sommergibile che alza bandiera polacca. Ci fermiamo : uno dei nostri Ufficiali va a bordo del sommergibile e rientra poco dopo. Rimettiamo in moto e, dopo alcune ore, siamo incagliati sotto costa, poco a sud di Brindisi.
12 settembre: si sbarca dal Saturnia su alcuni rimorchiatori che, nella solita atmosfera di esodo biblico controllato, ci portano al Collegio Navale di Brindisi.
Nel frattempo a due miglia circa dall’imboccatura del porto di Venezia , le motosiluranti tedesche attaccano e affondano dopo un furioso combattimento, il cacciatorpediniere “Quintino Sella” provocando la morte di oltre un centinaio di marinai.
A Brindisi non ci sono né Alleati né Tedeschi. Ci sono il Re, la Regina, il Principe Ereditario che sono alloggiati all’Ammiragliato. A loro gli Allievi forniscono un servizio di guardia armata e sicurezza. In serata il Ministro della Marina, Ammiraglio De Courten, visita l’Accademia e parla agli Allievi.
13 – 14 settembre: sono i giorni del “facchinaggio”. Tutti concorrono al trasferimento al Collegio Navale del materiale salvato da Venezia.
Il 14 arrivano a Brindisi il Vespucci ed il Colombo con a bordo il secondo corso , dopo una drammatica rischiosissima navigazione attraverso l’Adriatico.
15 settembre: alle 8,30 “colpo” (il segnale di tromba per l’inizio o la fine delle lezioni) . Si torna a scuola nelle aule del Collegio e gli insegnanti sono in grado di esordire affermando: “Come si diceva la settimana scorsa a Venezia…”
Incomincia così la vera trasferta dell’Accademia Navale che durerà fino al giugno del 1946.
Nei giorni e mesi che seguirono successe di tutto, sia pure con un trend abbastanza rapido verso una relativa normalizzazione, peraltro sempre lontanissima dagli standard livornesi.
Nei primissimi giorni mancava l’acqua potabile e si facevano lunghe file per averne un bicchiere. In mancanza d’altro veniva distribuita una scatoletta di carne e si sperimentò quanto fosse difficile utilizzarla senza un apriscatole, ma solo con l’aiuto della baionetta.
Gli Allievi, per tutta la durata della guerra di liberazione, su pressante loro richiesta, accolta senza difficoltà dal Comando, imbarcavano a turno sul naviglio di superficie impegnato in missioni di guerra per la scorta ai convogli alleati, nei sommergibili e sulle motosiluranti che operavano sbarchi di sabotatori ed informatori nelle zone occupate dai tedeschi.
Quattro di essi del terzo corso, Miele, Del Soldato, Maritati e Rossini non sono più tornati.
In questo contesto così lontano dal consueto, ciò che non subì la minima variazione, il più piccolo cedimento; ciò che, come si dice, “non fece una piega” furono le regole della vita d’Accademia.
Quel “colpo di tromba” del 15 settembre del 1943, ripristinò stabilmente tutte le norme in vigore. L’orario, la ginnastica mattinale, il rapporto , l’assemblea, le punizioni, lo studio, gli esercizi militari, il compito di nautica del sabato pomeriggio. Ma, soprattutto, la disciplina, il rispetto reciproco, la lealtà come requisito primario, il dovere dell’impegno: in una parola tutto il patrimonio educativo e formativo di sempre.
Grande davvero questa Accademia Navale in trasferta: alle prese con decisioni ad altissimo rischio, con responsabilità enormi e problemi assolutamente nuovi come, ad esempio, quello di assistere molti che avevano rinunciato ad andare avanti o non avevano superato gli esami, ma non potevano rientrare nelle loro famiglie, al di là del fronte.
Un’Accademia forte soltanto della sua tradizione e della qualità e dedizione degli uomini che la incarnavano in quei giorni difficili.
Essi vanno ricordati tutti con un rispetto ed una gratitudine che sono diventati più forti e motivati col passare del tempo.; l’Ammiraglio Comandante che decise, in poche ore, di trasferirci, assumendosi le responsabilità delle nostre vite e naturalmente, anche tutti gli altri, nei loro diversi ruoli: gli Ufficiali, i Sottufficiali, gli Insegnanti, i famigli.
Non vi fu in alcuno di loro e di noi allievi nessuna esitazione, alcun ripensamento circa il dovere da compiere, vale a dire l’obbedienza all’ordine impartito alla Marina di raggiungere con qualsiasi mezzo il territorio occupato dagli Alleati, reagendo con la forza, laddove i mezzi a disposizione lo consentissero, ad ogni attacco, da qualsiasi provenienza.
Di quel periodo sono anche da ricordare le particolari condizioni psicologiche in cui vivevano tutti, almeno fino al 1945: la gran parte non aveva notizie della famiglia, mentre aveva quotidiane notizie dei bombardamenti che colpivano le nostre città un po’ dappertutto.
Il mondo, al di fuori della miracolosa cittadella dell’Accademia, era contraddittorio, violento, totalmente diverso dagli schemi secondo cui eravamo cresciuti.
Non si possono chiudere queste note senza ricordare il contributo di sangue dei nostri compagni di corso, arruolatisi volontari nei reparti del 1° raggruppamento motorizzato dell’Esercito, che ebbero il battesimo del fuoco a Montelungo l’8 Dicembre 1943 sul fronte tenuto dalla 5° Armata americana.
Cinque di essi caddero combattendo e riposano ora nel sacrario di Montelungo: Giovanni Battista Bornaghi, Roberto Morelli, Dario Sibilia, Ludovico Luraschi.
A loro va il nostro commosso ricordo.

Dino Sesani del Corso Vedette


Questo scritto è la sintesi di un articolo pubblicato dalla Rivista “Marinai d’Italia” qualche tempo fa redatto e firmato dall’Ammiraglio Giorgio Porciani recentemente scomparso.

domenica 1 novembre 2009

Spunti sulla Prigionia di Guerra al Femminile

Massimo Coltrinari


Nella recente esperienza della missione in Irak, si affacciano all’orizzonte del nostro impegno militare, oltre a tutto quello che può essere operare in un teatro fuori area Nato e su un terreno diverso da quello nazionale, due novità: l’impiego in zona d’operazioni, ancorché a fini di pace, di personale femminile e quindi possibilità che questo personale possa subire una delle conseguenze dell’impiego in un conflitto, ovvero cadere in potere dell’avversario, cioè cadere prigioniero.
Le avvisaglie di queste novità le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: personale non militare femminile sono state prigioniere per un perizio relativamente breve di “avversari”. Si fa riferimento alla vicenda delle due Serene e della giornalista Giuliana Sgrena. Da queste esperienze si ha la base per affrontare, almeno teoricamente, un argomento che spesso è ignorato e non affrontato per gli uomini, mentre per le donne non è nemmeno ipotizzato. La prigionia militare femminile è un argomento nuovo, non affrontato e soprattutto non pertinente, in “re ipsa”, come tutto quello che attiene alla prigionia di guerra stessa.
Il reclutamento del personale femminile nelle forze Armate ri recente nel nostro paese, dopo decenni di opposizione è stato accolto come una grande conquista, un raggiungimento di livelli “come altre altre nazioni all’avanguardia”, ad altre attestazioni di autoesaltazione in molti casi fuori luogo. In realtà l’Italia ha avuto sempre scarsissime risorse da destinare allo strumento militare, l’unica risorsa che ha avuto in modo largo è stato il personale: il tasso di nascita in Italia è stato sempre altro e gli “uomini” sono sono mai amcati. Il problema è sempre stato come vestirli, armarli e nutririli nelle froze armatae in modo adeguato e in relazione alle necessità operative. E in presenza di scarse risorse, vestire e mantenere un uomo costa di meno che vestire emanate un uomo e una donna. Ma mai vi è stata una carenza di “materia prima” sotto il profilo del perronale. Con i tassi di natalità da “nazione civilizzata” ovvero bassi e piatti, questa risorsa è venuta meno; in più si è scatenato un movimento di “equiata” di cui propri non si sentiva il bisogno. Quindi queste deu componeti,anche in presenza di una riduzione di personale, ha fatto si che oggi, ritenendoci nazione “civile”, per dare pari opportunità alla donna, eccoci ad avere nelle Forze Armate uomini e donne, con il relativo aggravio di costi.
Ma non è solo questo. Sotto la divisa non si fanno distinzioni un soldato è un soldato, non vi è il soldato e la “soldata”: quando la bomba cade non fa distinzioni. E si deve ragionare in teremini di soldato, sia esso di sesso maschile sia di sesso femminile. Questo occorre sempre ricordarlo a chi, donna, indossa una divisa, qualunque essa sia. Non vi sono trattamente speciali e le conseguenze, se impreparti,possono essere devastanti. Oggi,in Italia, vedendo tante giovani che si pavoneggio nelle loro uniformi, che civettano con questi aspetti militarizzanti, un richiamo a quello che c’è dietro l’angolo, il rovescio della medaglia può essere utile per evitare traumi e tragedie future.
Quindi un soldato, disesso femminile, in linea anche in missioni di pace, può cadere in potere dell’”avversario” ovvero prigioniero. E qui occorre affrontare il tema e preparsvisi.
Non vi sono precedenti nel nostro paesi di prigionia militare femminile, ne tantomeno studi e riferimenti affinché questo tema sia sviscerato come dovrebbe. Ma vi sono esperienze analoghe, di Internamento in guerra e di Internamento di pace. Tralasciando l’Internamento di pace un buon riferimento può rappresentare l’Internamento di guerra, ovvero quella compoente dell’Inetrnamento in genrmania che ha interessato, per motivi raziali, politici ed etnici un buon numero di donne. Inoltre vi è una esperienza similare alla prigionia femminile in quella delle donne entrate nella resistenza, entrate nella formazioni combattenti partigiane cadute prigioniere dei nazifascisti ed avviate nei lager in Germania.
Da queste esperienze si possono avere delle indicazioni e degli approfondimenti per il presente; nel contempo si affronta un tema della guerra di liberazione, quello dell’Internamento femminile, che tra l’oblio generale dell’Internamento in genere è il più dimenticato e il più incompreso.
In articolo per “Rassegna”, la rivista della Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia
(ANRP) ho fatto cenni all’Internamento Femminile, un internamento, quello in Germania, dopo l’8 settembre 1943 nel nostro Paese ancora incide nella nostra coscienza nazionale, anche se la percezione di questa tragedia è solo sotto l’ottica maschile. Questo si verifica sia riguardo agli oppressori ( stato hitleriano , singoli nazisti) sia riguardo alle azioni ed alle reazioni delle vittime dell’internamento.
Queste dinamiche sono state sempre presentate e studiate come se l’internamento interessasse solo gli uomini, relegando l’internamento a cui furono soggette le donne a profili marginali, quasi insignificanti, in una visione subalterna, nel substrato, forse anche inconscio, che la guerra e le sue conseguenze sono “cose da uomini”. In una proiezione abbastanza reale, questo approccio si ha per le situazioni di impiego del nostro personale femminile. Tutto è pensato in un ottica maschile, quasi che chi non è maschio non è ammesso. Ora difficile fare degli scenari in cui nostro personale femminile sia caduto prigioniero in mano “avversaria” e questa non è la rivista più indicata per affrondire questi argomenti. Andiamo quindi in parafrasi su quanto scritto per l’ANRP e vediamo a che cosa sono andati incontro le donne, quelle che sono entrate nelle formazioni combattenti, per avere un punto di riferimento e avere quindi degli orientamenti. Nel contempo, come detto, portiamo all’attenzione un apsetto della nostra storia caduto nell’oblio

Nello stato nazista, si scriveva nella’articilo della ANRP, la concezione ideologia era stata approntata primariamente e forse esclusivamente da uomini, facendo appello alla durezza, alla spietatezza, alla mortificazione e negazione di tutto quello che poteva anche apparire dolce, tenero e comprensivo. L’ideologia nazista quindi portava una profonda avversione per il sesso femminile, dividendo le donne in due parti: quelle appartenente ad una categoria superiore, e perciò in chiave di purezza della razza, di “alto valore riproduttivo” e quelle di categoria inferiore, a cui assegnavano in quanto tali, un “valore riproduttivo nullo”, ricorrendo in modo sistematico alla sterilizzazione, all’aborto, e poi anche alla loro soppressione.
Appartenenti alla seconda categoria, coloro che erano internate, per motivi politici, religiosi, etnici ecc., in un lager avevano già contro tutto un apparato ideologico, a prescindere se ebrea, resistente, oppositrice, o ogni altra categoria, che infieriva contro la sua identità femminile.

lunedì 20 aprile 2009



EDIZIONE NUOVA CULTURA
LA RICOSTRUZIONE E LO STUDIO DI UN AVVENIMENTO
MILITARE

COLTRINARI M. - COLTRINARI L.
ISBN 978886134267
pagg. 292 - 2009 - € 18,50
f.to 17X24
Collana Storia In Laboratorio

Il volume si prefigge di fornire, a studenti e ricercatori, prendendo le mosse dai dettami e
finalità del Progetto "Storia in laboratorio" promosso dalla Associazione Combattenti
della Guerra di Liberazione volto a divulgare e far conoscere la Storia alle nuove
generazioni, uno strumento utile al fine di ricostruire e studiare, il più correttamente
possibile, un evento storico-militare (del passato) proponendo un metodo di analisi
consequenziale.Prendendo a riferimento il fenomeno "guerra", il volume propone
schemi attagliati, anche in combinazione tra loro, alla guerra classica, alla guerra
rivoluzionaria e/o sovversiva, con le più varie accezioni, ed alle recenti peace support
operations, ove, in questo caso, i soggetti protagonisti da due passano a tre (parti in
conflitto/ forze di interposizione o "di pace").Sono "note",suggerimenti che ognuno
dei destinatari può, anzi deve, interpretare secondo la sua creatività, nella più ampia
accezione della libertà di pensiero, rispettando solo i criteri di scientificità e di coerenza,
al solo fine della conoscenza, la più ampia, onesta e completa possibile.
Un volume che vuole essere uno strumento, più da consultare che da leggere.
EDIZIONI NUOVA CULTURA - P.le Aldo Moro 5 00185 ROMA - Per info visitare il sito: www.nuovacultura.it
Per ordinare il testo invia una e-mail all'indirizzo:
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direttamente: contatta Gennario Guerriero
06 97613088 3397010065

martedì 3 febbraio 2009

LA SECONDA GUERRA MONDIALE NEL CINEMA POLACCO
rassegna a cura di Malgorzata e Marek Hendrykowski

primo appuntamento4 FEBBRAIO 2009
Nuovo Cinema Aquila - spazio per nuove visionivia l'Aquila 68 - Pigneto -
RomaInfo.: 06.70.61.43.90
ingresso libero
Programma:
ore 18.30 inaugurazione della rassegna in presenza di Marcel Lozinski, Malgorzata e Marek Hendrykowski, Paolo Morawskiore

ore 19.00 proiezione del film Westerplatte Polonia, 1967, 91', v.o. sott. it.
Regia: Stanislaw RozewiczSceneggiatura: Jan Jozef SzczepanskiFotografia: Jerzy WojcikMusica: Wojciech KilarMontaggio: Lidia PacewiczProduzione: Zespol Filmowy Rytm (Polonia)

ore 21.00 proiezione del film La foresta di Katyn /Las KatynskiPolonia - Francia, 1990, 53', v.o. sott. it.
Regia e sceneggiatura: Marcel LozinskiInspirazione: Andrzej WajdaFotografia: Jacek Petrycki, Andrzej AdamczakMusica: Danuta ZankowskaMontaggio: Katarzyna Maciejko-KowalczykProduzione: Wytwornia Filmow Dokumentalnych i Fabularnych (Polonia), Les Films du Losange (Francia)

giovedì 29 gennaio 2009

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO
FACOLTÀ DI MAGISTERO CORSO DI LAUREA IN SOCIOLOGIA
Tesi di laurea
MONTELUNGO 1943
UNA PAGINA DI CRONACA NELLA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE
Laureando STELIO TOFONE Matr. 011380 RELATORE Chiar. Prof. ENZO SANTARELLI
Anno accademico 1975-1976

CAPITOLO VI
LA REPUBBLICA FONDATA SULA LAVORO
E LE FF.AA.

Le celebrazioni dell’8 dicembre: 1944 e 1945.
Come celebrazione del 1944 ritengo che meriti essere riportato quanto scritto dal giornalista americano Herbert L. Matthews del New York Times[1] :“la prima unità d’assalto delle truppe italiane combattenti a fianco degli alleati entrò in azione l’8 dicembre 1943 contro una delle più difficili posizioni della zona di Mignano – Montelungo dominante la strada per Cassino. Fu un coraggioso ma vano sforzo che forse costò agli italiani perdite proporzionalmente più sensibili di ogni altro successivo scontro della stessa campagna che precedette l’offensiva di Cassino. Attaccati da due lati da forti elementi della divisione “Herman Goering” e presi sotto il micidiale fuoco incrociato di artiglieria, mortai e mitragliatrici, essi dovettero ritirarsi sulle posizioni di partenza, dopo una brillante carica. Ma se l’azione fallì dal punto di vista militare, almeno essa mise in luce la volontà degli italiani di combattere e morire per liberare il loro paese dai tedeschi….. La fanteria mosse verso la linea per rimpiazzare una unità americana nella notte dal 6 al 7 dicembre…. La diversità di linguaggio e di tecnica complicava le cose e, comunque, trattatasi di uomini equipaggiati alla meglio ed inquadrati affrettatamente i quali, proprio per questo, non avevano avuto molte possibilità di impiego come unità organica… Li trovai in linea, la mattina del 7, ansiosi di fare ciò che potevano; specie gli ufficiali erano in uno stato di tensione, coscienti di quanto significasse, per l’Italia, l’imminente azione….Attaccarono l’8 e trovarono il nemico ad attenderli a piè fermo e trincerato ben più saldamente di quel che ci si potesse aspettare. Poche ore dopo essi tornarono alle loro posizioni di partenza, ma molti morti restavano indietro e l’ospedaletto dell’immediata retrovia si congestionò di feriti…L’attacco ebbe un felice inizio alle 6,20; la fanteria scattò arditamente… i tedeschi reagirono con forze decise; gli Italiani, sulla sommità della collina, vennero ributtati giù da una gradinata di fuoco di cannoni e di mortai, e fu allora che l’azione delle mitragliatrici nemiche e le severe perdite cominciarono a causare un certo vacillamento fra gli attaccanti….. così Montelungo venne abbandonato, e gli Italiani tornarono là, donde erano mossi all’attacco, con uno dei loro reparti completamente annientato, come ammise il generale Dapino….Due cose apparvero chiare: l’attacco era fallito e gli Italiani avevano combattuto disperatamente. Io salii poi al posto di osservazione , e trovai il generale Dapino che guardava amaramente la collina sulla quale le speranze sue e quelle dell’Italia si erano infrante….Stando ai piedi del Montelungo e guardando in su veniva fatto pensare che l’attacco era stato poco meno che un suicidio… Il generale Dapino aveva optato per l’attacco frontale verso la cima principale, e le sue truppe avevano raggiunto l’obiettivo, ma pochi tornarono indietro… Mi sono intrattenuto con molti ufficiali e soldati, in linea. Ognuno mi parlò dei micidiali fuochi incrociati da ambo le parti. Tutti ammisero che i Tedeschi, molto più forti di quanto si potesse prevedere, aspettavano ben preparati gli Italiani. Tutti sentivano d’aver fatto quanto era possibile, ma avvertirono che i Tedeschi avevano fatto di Montelungo la posizione chiave del passo di Mignano, e che il successo, con le tenui forze di cui gli Italiani disponevano, era impossibile.
Il mattino del 16 dicembre gli Americani si portarono innanzi per assicurare la propaggine Nord di Montelungo e al momento determinato- erano le 9,15 – gli Italiani attaccarono, e questa volta raggiunsero la sommità della collina e ne discesero l’opposto versante, incontrando assai minore resistenza..”.
Per le celebrazioni dell’anno 1945 ritengo che meriti essere trascritto un brano del discorso tenuto alle truppe della ricostituita divisione “Legnano” dal suo comandante generale Utili:
“O Montelungo, golgota del Fante! A te salimmo portando le armi e lo zaino che si porta la Croce; da te scendemmo il pomeriggio del 20 dicembre, esausti di gloria; alle falde dei roccioni avevamo composto, in un cimitero di guerra che recingemmo con i reticolati, le salme dei fratelli caduti. Quota 253, quota “senza numero”, quota 343, impervia 351. Si era effettuato quello che gli increduli avrebbero giudicato follia. Ma che importa ai combattenti degli increduli? Quello che conta è la coscienza del dovere compiuto, è la Patria, che prende nota in silenzio delle virtù dei suoi figli migliori, ne esalta il valore e ne accoglie il sacrificio. Io sono convinto che il combattimento di Montelungo appartenga non alla cronaca, ma alla Storia d’Italia e che perciò non sarà più dimenticato.”
Purtroppo , almeno in questo, il generale Utili non fu un buon profeta, perché passati i primi anni, quando ancora era troppo recente il fatto, la celebrazione annuale della battaglia di Montelungo subì degli alti e bassi, ossia fu ricordata dalle forze armate in modo non sempre consono al fatto stesso.
Dal 1948 in poi, almeno fino al trentennale della Resistenza, le celebrazioni avvenute furono più un raduno di noi partecipanti a quella battaglia che, con il solo gesto di ritrovarci intorno alle tombe dei nostri commilitoni, abbiamo voluto significare a noi ed agli altri che, l’aver partecipato alla prima battaglia della guerra di Liberazione, non fu un fatto isolato , ma volle segnare, almeno per molti di noi, l’inizio di una nuova era sia politica che sociale. È anche vero che, per molti anni, i reduci di Montelungo vennero ignorati dalle autorità politiche e militari e non solo i reduci ma, soprattutto i morti, in quanto, mai nelle festività nazionali, nessun rappresentante del governo ha presenziato al cimitero di Montelungo a cerimonie contemporaneamente a quelle del sacrario di Redipuglia o quello dei caduti oltremare di Bari. Forse perché i morti della guerra di Liberazione, che sono raccolti al sacrario di Montelungo, non sono caduti per la stessa Patria degli altri ? Per lungo tempo abbiamo avuto la percezione di essere appena tollerati eppure noi di “Montelungo” non abbiamo mai fatto pesare ciò che facemmo quando are facile buttare le divise alle “ortiche” e mettere in pratica il fatidico “tutti a casa”.
Il referendum del 2 giugno e gli ambienti militari
Non si può comprendere[2] la persistenza di un pericolo fascista se non si esaminano criticamente le ragioni per le quali, dopo la insurrezione del 25 aprile e la formazione della Repubblica , è mancata quell’opera di riforma generale dello Stato e della società italiana che sola poteva eliminare, col crescente concorso di una consapevole partecipazione popolare, quelle che erano le radici profonde che affondano nel sottosuolo storico della società italiana, e dalle quali continua a germinare la pianta malefica del fascismo. Certe sorprese , timori e sbandate, e talune pericolose reazioni emotive, non sarebbero oggi possibili se si fossero tempestivamente compresi i motivi (e le conseguenze) di quella “continuità dello Stato” che la formazione della Repubblica ha soltanto intaccato, ma non è riuscita a spezzare…La liberazione del Paese avvenne attraverso due anni di lenta e contrastata avanzata degli alleati dal sud al nord, in un paese diviso in più tronconi da successive linee di combattimento. Al nord si combattevano ancora le ultime e più aspre battaglie partigiane, e già al sud si venivano attuando i primi tentativi di ricostituzione di un movimento di destra.
I rapporti di forza tra i partiti componenti il CNL erano coperti dalle regole fittizie della pariteticità e dell’umanità . Al Sud, fuori dal CNL e contro i CNL, che erano sorti per accordi dall’alto senza poter contare sull’appoggio di un robusto ed organizzato movimento popolare di massa, vi erano forze importanti: i corpi dello Stato, i comandi alleati, c’era il re, il governo Badoglio, i prefetti, i questori , la Military Police. Al nord, dove i grandi scioperi del marzo 1944 avevano indicato la grande forza del partito che li aveva proposti e voluti, il PCI , le regole dell’unanimità e della pariteticità venivano fermamente fatte osservare dal partito liberale e dalla DC, che si opponevano ad una estensione della partecipazione dei CLN dei rappresentanti delle organizzazioni di massa, che pure svolgevano reali funzioni di mobilitazioni e di lotta. Ma la lotta politica all’interno dei CLN non poteva non essere fortemente condizionata dagli sviluppi del movimento reale di lotta, dalla presenza e consistenza delle formazioni partigiane , dalla lotta e condotta nelle fabbriche. La vita dei governi dei CLN subiva le ripercussioni di tali mutamenti e delle pressioni che venivano , direttamente o indirettamente, dalle varie zone in cui era diviso il paese. Le notizie , spesso tendenziose che provenivano dal nord, se alimentavano il massimalismo inconcludente di molti gruppi socialisti ed azionisti, irrigidivano i liberali ed i democristiani in posizioni preconcette di diffidenza nei confronti dei CLN… Premevano però, vigilanti e provocatorie, le forze che intendevano porre rigorosi limiti al rinnovamento democratico del paese. Churchill più che Roosewelt, intendeva mantenere strettamente l’Italia nell’area di influenza occidentale, e portava a sostegno delle sue richieste le esigenze delle operazioni militari in corso nella penisola, che procedevano volutamente a rilento e si erano, per il momento, arrestate nella linea Gotica. Il Luogotenente voleva anzitutto guadagnare tempo, e rendere difficile ogni assestamento democratico, anche provvisorio, dello Stato. Il Vaticano era sempre più preoccupato degli sviluppi assunti dalla organizzazione del partito democratico cristiano e dalle notizie provenienti dal nord che indicavano la vastità degli accordi conclusi direttamente tra comunisti e cattolici…Infine i funzionari, i magistrati, i generali e gli ufficiali, tutti più o meno compromessi col regime e, quindi, formalmente incriminabili secondo le indicazioni del decreto Sforza del 29 luglio 1944 sull’epurazione, volevano al più presto arrestare le procedure già avviate ed impedire che se ne appropriassero di nuove. E vi era alla base il malcontento di un popolo affamato, irrequieto, la cui collera veniva deviata contro il governo dei CLN, accusato di voler imporre al paese una nuova dittatura…Dopo la liberazione del nord, secondo quanto era stato convenuto, si aprì di fatto la crisi che si concluderà…con la formazione del governo Parri …La scelta di Parri era un omaggio reso al nord partigiano, ma i termini del problema politico rimasero inalterati. Fu preso l’impegno di convocare una Consulta , che si riunì finalmente il 25 settembre. Il governo aveva il compito di preparare le elezioni amministrative e quelle politiche per la Costituente….. Intanto, svanite le diffidenze, i rapporti con i governi militari erano migliorati. Il governo militare aveva approvato misure di emergenza prese per far fronte alla crisi, come il blocco dei licenziamenti e la scala mobilie. Venivano accelerate le consegne dall’amministrazione dei territori occupati al governo italiano. La Consulta aveva iniziato a funzionare , ma una dura e giustificata critica di Parri alla vecchia democrazia prefascista aveva accentuato l’isolamento politico del Presidente del Consiglio….
Nella crisi del novembre 1944, l’intervista concessa dal Luogotenente al “New York Times” aveva posto il problema, per la soluzione della questione istituzionale, ad un referendum, piuttosto che lasciare la decisione sulla forma dello Stato alla Costituente…Ma già il 27 febbraio (1946) il Consiglio dei Ministri aveva preso una decisione definitiva per quanto riguardava l’elezione della Costituente.
Prevalse la tesi di affidare all’esito di un referendum la scelta tra monarchia e repubblica. Fu fissata la data del 2 giugno 1946. fu precisato che l’Assemblea Costituente non avrebbe avuto poteri legislativi. Questi dovevano restare nelle mani del governo, che doveva però ricevere la fiducia dell’Assemblea…I risultati del 2 giugno confermarono sostanzialmente il quadro dei rapporti di forza fissati dalle elezioni amministrative della primavera. La DC si affermò , col 35,8% dei voti validi, come il primo partito del paese…Il PCI sentì duramente il colpo della mancata affermazione come primo partito politico della classe operaia…I due partiti, comunista e socialista, che secondo i risultati delle elezioni amministrative della primavera avrebbero dovuto raccogliere la maggioranza dei seggi dell’Assemblea Costituente, il 2 giugno non raccolsero, assieme, che il 39,59% dei voti. Nel mezzogiorno raccolsero, infatti, uniti, appena il 20,71% . Era la dimostrazione della gravità, anche sul piano politico, della questione meridionale e del pericolo sempre incombente di una frattura non solo politica ma anche istituzionale tra nord e sud…
Il corpo sociale della nazione era scosso da forti tensioni. Si moltiplicavano le manifestazioni dei disoccupati, dei senza-terra, dei reduci, delle donne per il pane e contro la borsa nera. Nello stesso tempo all’estrema destra “l’uomo qualunque” andava allargando la sua influenza, e dietro al volto bonario e gioviale di Giannini già si andavano profilando le maschere sinistre degli ex repubblichini. Era evidente che la situazione non avrebbe potuto reggere a lungo all’urto di tante forze contrapposte. C’era il vaticano che chiedeva con urgenza a De Gasperi di rompere l’accordo con il PCI. C’era il governo degli Stati Uniti che già andava preparando le masse per la rottura della coalizione antifascista mondiale. Churchill aveva già affermato nel discorso di Fulton, l’esistenza di una cortina di ferro che divideva in due il vecchio Continente…Nel partito comunista italiano Togliatti era convinto della inevitabilità di giungere ad una rottura della posizione governativa…
Bisognava inoltre che la rottura non provocasse una spaccatura verticale che rigettasse i comunisti nella illegalità , ma segnasse il passaggio ad una opposizione da svolgere nel quadro delle istituzioni repubblicane che l’elaborazione della Carta Costituente andava precisando. Bisognava perciò che la rottura non compromettesse irreparabilmente i lavori dell’Assemblea Costituente. Era, quindi, necessario che la rottura avvenisse il più tardi possibile, alla fine dei lavori dell’Assemblea Costituente…l’esperienza di un governo dei comunisti era terminata, ma aveva permesso di raggiungere i tre obiettivi posti da Togliatti come motivazione della presenza dei comunisti nel governo; la liberazione dell’Italia la fondazione della Repubblica , l’approvazione della Costituzione. Notevole fu l’opera svolta dai comunisti nei rispettivi campi di attività (governative)…Importante fu l’attività svolta nel campo delle forze armate da comunisti come Mario Palermo e Colajanni per mantenere un collegamento attivo con quei generali e ufficiali che avevano scelto , dopo l’8 settembre, la via dell’onore e per porre a base della ricostituzione in cui venne a trovarsi Francesco Modanino quando fu chiamato ad essere sottosegretario alla Difesa nel periodo successivo al 2 giugno 1946.
Lo scontro politico-ideologico su Montelungo.
Per poter comprendere in quali diversi modi siano stati “visti” noi del Iº Raggruppamento Motorizzato riporto, qui di seguito, articoli e passi scritti da persone con evidente diversa estrazione politica[3]
“Quando partiamo da un paesino del beneventano per andare verso i fronte ogniuno di noi portava salda nel cuore la certezza che l’Italia in un unico slancio ci avrebbe seguiti. Credevamo di aprire la schiera di quegli Italiani che oggi – e sono tanti- gridano su allegri motivetti “FUGANTI GERMANI SUNT”: i vari liberalisti, crociani, sforziani, democratico-cristiani, prodi fino ad oggi della penna e della parola …….Sentivano il bisogno della piena solidarietà della stampa e del caldo, affettuoso consenso del popolo.
Le lacrime e le benedizioni degli animi buoni non ci sono venute meno, ma dalla stampa non e’ giunto altro che una gazzarra assordante di vuoti roboantismi, di pietismo propaganidistico costellato abbondatemente di frecciate velenose. Ma chi ha scritto e parlato lo sa chi siamo noi? Han detto che siamo volontari!................
Soldati: null’altro! Non siamo dei politicanti o degli arrivisti. Non abbiamo posto per condizione del nostro sacrificio l’esonero del giuramento al re. Siamo dei semplici soldati. Noi non conosciamo condizioni ora. Non ci riguarda se lottando per la Patria facciamo il gioco di questo o quel partito. Lo sappiamo bene Scaglione, e lo sappiano ancor meglio Benedetto Croce ed il Conte Sforza. Mai, come sotto l’infuriare della tempesta di fuco, ci siamo resi conto delle loro querele. Si illudono, questi signori, di ottenere il consenso e l’amirazione degli Alleati dettando dalle loro cattedre di giornalisti o di filosofi o di diplomatici principi di politica e fiere rampogne a chi non si puo’ difendere.
Il consenso e l’ammirazione degli Alleati l’abbiamo avuto e sentito nella valle di Mignano quando essi videro scattare contro le posizioni tedesche, in un unico balzo, cinquecento “petti” di giovani!.... La comodità dei trasporti; l’abbondanza degli armamenti, l’efficienza piena ed assoluta delle diretti vie supreme non facevano parte della nostra dotazione ed il giorno dopo leggemmo il pezzo forte di Scaglino in cui scriveva che non si poteva aver fiducia nell’esercito perché allora permeato di fascismo o invasato da furori monarchici. Se potesse immaginare Scagliano quanto male ci ha fatto il suo articolo: Ne’ e’ valso a mitigarne l’effetto il susseguente articolo sui combattenti di Mignano. Le ritrattazione odierne, misurate al sistema metrico propagandistico opportunistico, non ci convincono. La fiamma della libertà non si identifica con la brace della propria sigaretta.
L’Italia si può redimere, ricordatevelo, anche prestando giuramento al re!. Non e’ il re, capite, che ha bisogno di noi e l’Italia. Se il re in questo momento si identifica con l’Italia, ebbene sia salvo il re. A poi le beghe interne.
Salviamo di fonte agli estranei quel poco di dignità nazionale che probabilmente ancora ci rimane. “GALLIA DOCEAT”! L’imperativo del momento deve essere un solo: dimenticare le nostre sventure personali e riunirci tutti intorno alla nostra bandiere con l’intima persuasione che si combatte per la Patria, soltanto per la Patria.”
Luigi Montesanto invece[4]:
“ I cinquemila uomini che formarono il Iº Raggruppamento Motorizzato non erano tutti volontari. Faremo della retorica dicendo che tutti quei cinquemila anelavano combattere per liberare città e paesi; troppo fresco il ricordo degli inverni passati in Albania, delle estati di Libia e soprattutto dell’armistizio. Ma una parte erano volontari, e di questa parte formata da universitari allievi ufficiali li vogliano specialmente ricordarci senza percio’ sminuire il valore e la costanza di tutti quegli anziani che pur stanchi di guerra seppero ubbidire, tornarono al fronte e il 8, dicembre su Montelungo andarono ancora una volta all’attacco che per molto di loro fu anche l’ultimo.
Molti di quei giovani allievi ufficiali del 67 fanteria e del LI° battaglione bersaglieri dovettero sentirsi simili ai loro predecessori di “Curtatone e Montanara” presi come erano da uguale amore per la libertà e per la Patria.... Cosi quei giovani attraversarono con garibaldina baldanza i paesi diroccati del Molise e della Campania cantando ..... Ma l’entusiasmo calò quando avvicinandosi il fronte apparvero segni di maggiori distruzioni recenti. Poi giunse anche la sera, fredda e invernale nelle retrovie buie e fangose in cui non si udivano che grida, esclamazioni di invisibili soldati che parlavano lingue straniere e , rombavano a momenti tiri in partenza di artiglieria. Sui camion che procedevano lenti nel buio.......... quei soldati, mangiando scatolette americane, dovette sentirsi assalire da tristezza e dovettero temere di sembrare mercenari..... Per motli di essi la famiglia era oltre le linee, sotto i Tedeschi.
Ma la notte passò e venne il fronte, l’attesa nelle postazioni, il desiderio di attaccare, di misurarsi col nemico la cui invisibile presenza era certa tra i monti. Tornò la notte e con la notte venne ordine di attaccare quota 343 alla prossima alba”. Come si svolsero i fatti in quel fatale mattino e’ ormai noto a molti. Ma forse non tutti sanno che quella mattina ci furono tre medaglie d’oro alle memoria: a due sottotenenti ed ad un sergente maggiore. Loro e gli altri morirono per la libertà.” Enzo Santarelli cosi si esprime[5]:
“Il Raggruppamento Motorizzato nacque comunque come una formazione di impronta in un certo senso dinamistica, il 27, settembre 1943, prima della dichiarazione di guerra alla Germania che e’ del 13 ottobre. Il momento della trasformazione istituzionale nel CIL e’ del 18, aprile 1944, e viene pertanto a coincidere con la formazione del governo di unità nazionale, all’indomani della svolta di Salerno.
Soprattutto il Raggruppamento “Savoia” risenti di una crisi profonda.
Gabrio Lombardi attribuisce questa crisi allo sviluppo (inevitabile) della questione istituzionale, alla propaganda dei partiti antifascisti a suo tempo e’ arrivato a definire la zona di Avellino “spiritualmente malsana”, forse per la sola presenza di un uomo come Dorso, che non si sottomise al tentativo degli ufficiali monarchici dei bersaglieri di tacere sulla questione istituzionale e governativa intrecciata con lo sforzo di guerra già avviato da Badoglio[6].
Ma dopo gli incidenti di Avellino del 13, novembre nell’ultima decade dello stesso mese alcuni complementi di volontari affluirono dal centro di raccolta di Oria nella zona di Maddaloni-Limatola-Airola. Chi erano questi volontari? Innanzitutto erano prevalentemente della classa 1922, dieci anni più giovani della truppa precedentemente confluita nel Raggruppamento. Non avevano esperienza e delusioni di guerra, provenivano dallo studentato e avevano frequentato i corsi allievi ufficiali, ma erano ancora soldati semplici, in attesa di nomina a sottoufficiali. Non avevano spirito di corpo e arruolandosi in un reparto destinato al fronte, avevano compiuto una libera scelta, si collocavano su posizione molto diverse da quelle della ufficialità di carriera che dopo la frustrazione dell 8 settembre era approdata all’ultimo rifugio di un redivivo patriottismo monarchico. Non erano antifascisti radicali, ma avendo vissuto nel mezzogiorno il dramma e lo spettacolo della sconfitta e della disgregazione sociale, avevano maturato una coscienza di ltta o guerra nazionale , da condurre autonomamente -sia pure a fianco degli alleati- per la liberazione del nord, da cui spesso provenivano. Non erano molti, ma erano stati sensibilizzati dalla propaganda “democratica” degli Alleati e degli stessi gruppi antifascisti. In alcuni casi erano di idee repubblicane. Ve ne furono tra loro alcuni che avevano tentato, dopo le sbandamento, di arruolarsi nelle formazioni volontarie del generale Pavone; altri nicchie rifiutarono permanentemente di portare sulla divisa lo scudetto Savoia. Entrati e distribuiti nei vari reparti del Raggruppamento, parteciparono ai primi di dicembre ai combattimenti di Montelungo (Mignano). Fu da questi gruppi che si levo’ la protesta contro la propaganda monarchica che serpeggiava nelle forze armate e che raggiungeva anche i reparti in linee.... all’inizio di febbraio 1944 il Raggruppamento Savoia, riordinato dopo la crisi di dicembre-gennaio, ritornava in linee, sulle Mainarde. E’ a questo punto che alcuni dei volontari già o ancora appartenenti al Raggruppamento Motorizzato rendendosi pienamente contro il pericolo rappresentato dalla eventualità che un corpo designato col nome Savoia potesse fare il suo ingresso a Roma, con le altre forze Alleate, consentendo cosi di acquisire un punto di vantaggio alla monarchia... persero riservati contatti con il CLN di Napoli. Vi fu anche una pubblica denuncia sul giornale “l’Ateneo”, organo della federazione internazionale degli studenti [7].
Si trattava di un esplicito tentativo di saldatura con le forze antifasciste. L’Ateneo” era allora sostanzialmente egemonizzato da Adolfo Omodeo, ma l’articolo di cui si e’ detto, mentre polemizzava con la tesi a senso unico della “apoliticità” delle forze armate, cosi come era sostenuta dai comandi militari e dal governo di Brindisi, propugnava una sorta di Alleanza fra la base dei reparti combattenti con l’opposizione antifascista del “regno del sud” da un lato, e con i partigiani del nord, dell’altro. “Per questo – si leggeva in quell’articolo -un volontario combattente si e’deciso a parlare. Egli pensa che se vi sono navi, reparti, aerei che si battono e si prodigano (sic!) contro i Tedeschi, i loro uomini si battono per la patria, e si sentono fratelli dei liberi partigiani dell’Italia centrale e settentrionale”. Il limite di questa posizione era evidente ma la conclusione di fondo era forse più esplicita: “Lo ripetiamo : l’opposizione e’ la garanzia e l’appoggio dei combattenti”. Il punto interessante e’ tuttavia un altro. Siamo, adesso, alla viglia della svolta di aprile, che per certi versi offre una risposta positiva alla crisi e alle alternative che si aprivano anche alla base del Raggruppamento, nell’intento di costituire un “governo di guerra, governo popolare” [8], sulla linea delle proposte e dell’iniziativa politica di Ercoli. Il fatto e’ che da un lato la strategia dei CLN nel mezzogiorno ma non solo nel mezzogiorno era in crisi, dopo il congresso di Bari, grazie alla partecipazione delle forze armate riorganizzate nel sud sotto l’insegna dei Savoia; che dall’altro questa politica di cobelligeranza condotta avanti dal governo monarchico non aoolevava più a compiti di normale amministrazione”, come era sembrato in novembre a Guido Dorso, ma ad una funzione nazionale, dalla quale le forze popolari (e quindi anche i combattenti di base) erano esclusi. Dal 1 Maggio e7 il primo appello di Mario Palermo, sottosegretario comunista alla guerra, che si rivolse ai “soldati di Mignano e di Monte Marrone” e ai “ partigiani del territorio invaso”......................
Nel Raggruppamento motorizzato Savoia non erano mancate in effetti resistenza e reazioni dei pochi volontari antifascisti, ma esso costituiva pur sempre una base e forza di manovra, più o meno docile ed efficace, un tentativo conservatore contestato concordemente da tutti i partiti e gruppi antifascisti di egemonizzare in senso esclusivo il movimento di liberazione nazionale. E’ un fatto che si poneva il problema della saldatura fra le forze armate enucleatesi o riorganizzatesi nel “regno del sud e le forze partigiane in via di sviluppo ancora molto disorganico, almeno fino alla liberazione di Roma, nell’Italia centrale e settentrionale”.
Tentativi di “riconciliazione” su Montelungo
Per lunghissimo tempo noi combattenti di Montelungo fummo non solo dimenticati, ma oserei dire volutamente”sminuiti” dalla propaganda ufficiale che ha cercato di ignorare o quanto meno “tollerare” – come si usa fare con il prete povero scomodo - coloro che “QUAND’ERA PER I FRATELLI SMARRITI VANITA’ SPERARE, FOLLIA COMBATTERE.............”[9], sperarono e credettero in un domani migliore e per questo combatterono ed offrirono, in molti, la loro giovane e già tormenta esistenza.
Nel dicembre 1964\3, 20 anniversario della battaglia di Montelungo, la cerimonia commemorativa comincia ad assumere un aspetto più solenne degli anni precedenti.
Infatti, a rappresentare lo Stato, il governo, il parlamento sono intervenuti; il Ministro della difesa, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, numerosi senatori e deputati, i comandanti generali dei carabinieri e della finanza, il Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica, e per gli Alleati l’Ammiraglio Russel - Comandante del Quartiere Generale della Nato Sud-Europa, il Comandate del Mediterraneo centrale, gli Addetti Militari alla NATO ed altri.
A solennizzare ancor di più la cerimonia erano presenti 27 Bandiere dei Reggimenti che combatterono nella Guerra di Liberazione, i Gonfaloni dei comuni decorati al Valor Militare e delle varie associazioni. In quella occasione il Ministero della Difesa lesse il messaggio del Presidente della Repubblica; “Con animo commosso partecipo idealmente alla cerimonia commemorativa del XX anniversario dei fatti d’arme di Montelungo, alla quale motivi di forza maggiore mi impediscono di presenziare. Il sublime sacrificio di tante giovani vite testimonia la fede negli alti ideali della Patria che animò il Corpo Italiano di Liberazione, nella ferma volontà di risorgere dalle rovine di una guerra perduta. E levo un reverente pensiero alla memoria di questi eroici Caduti, con l’ammirata riconoscenza che ogni italiano deve a Coloro che più hanno dato alla Patria............”[10].
Concluse i discorsi commemorativi del 1963, tutti esaltanti i fatti di allora, il generale Aloja, Capo di Stato Maggiore dell’esercito, che cosi terminò il suo breve ma intento discorsi: “............ Il I° Raggruppamento Motorizzato in ore oscure e di smarrimento, affermò qui, a Montelungo, il diritto dell’Italia a essere accolta fra le Nazione Unite. Qui poche combatterono per tutti, garanti del valore e dell’onore dell’esercito italiano. E qui tutti si inchinano alla memoria di quei pochi”[11].
Dopo il ventennale, noi reduci di Montelungo, ci siamo intensi più a nostro agio, potevamo parlare delle nostre gesta a voce alta e non sommessamente e tra di noi; sentivamo, noi superstiti, di essere compresi in modo diverso ma soprattutto sentivamo che venivano meglio compresi quelli che caddero combattendo in quel giorno dell’immacolata. Sentivamo che la Patria cominciava ad essere viva intorno a quei morti, e on solo materialmente; cominciava ad avere un certo valore la scritta scolpita sul frontalone del Sacrario “MORTUT UT PATRIA VIVAT”.
Inizia una nuova “epoca” se cosi si può dire, per il celebrazionismo di Montelungo; il fatto d’arme dell’8, dicembre comincia ad essere visto come un momento importante nello sviluppo del movimento di Liberazione nazionale, anche se meno importante e per alcuni aspetti persino in contrasto con quel processo storico-sociale che fu la Resistenza, ma non per questo marginale o secondario. In effetti si inizia a Montelungo quel fenomeno che portò i “regolare di Badoglio” a partecipare alla stessa lotto di Liberazione che si era accesso a Roma a Porta San Paolo, a Cuneo a Napoli.
Il nuovo Risorgimento collaborava con la Resistenza a questa reggeva una certa tradizione risorgimentale nello sforzo di stabilire un più profondo legame, sociale e politico, fra esercito e popolo. Il nome di Montelungo ed il ricordo dei suoi Caduti debbono avere la forza e la virtù di affratellare e non dividere i combattenti della guerra di Liberazione con i partigiani della Resistenza.
Il mito moderato tradizionalista su Montelungo
Molto si e’ scritto sui fatti di Montelungo e tutto ciò che e’ stesso detto va sempre a lode del comportamento del soldato italiano; di cosa seppe fare in quei giorni oscuri della storia d’Italia. Se c’e’ da condannare qualcuno questi certamente non e’ il soldato che, ubbidiente ad un giuramento prestato, seppe combattere e morire, in quelle giornate dell’8 e del 16 dicembre, contro gli ex alleati di prima , ed a fianco degli ex nemici, senza nulla chiedere e senza porsi, all’inizio, problemi di nessuna sorta.
E’ piuttosto da condannare, e la storiografia ufficiale tradizionalista non lo evidenzia in modo deciso, il comportamento di assoluta “mancanza di buon senso” della nostra “ ufficialità” di alto rango, e di carriera che doveva, se non altro, studiare sulla carta, oltre che sul terreno, l’azione tattica su Montelungo del Raggruppamento.
L’essersi fidati delle notizie messe a disposizione dai comandi Americani sopratutto sul “velo di fuoco” che i Tedeschi avevano predisposto al “passo di Mignano”, senza rendersi cento dell’importanza, invece, per i Tedeschi della resistenza sulla linea Reinhard, deve essere considerate come una grossa “superficialità”.
L’ avere scelto od accettare di attaccare frontalmente, con la sola assicurazione verbale, di avere, al momento dell’attacco, i fianchi protetti da truppe della 5 Armata Americana non può essere considerata una “ingenua leggerezza” dei nostri comandi.
Per la cecità o faciloneria di alcuni Comandi, il 67° fanteria ed il LI° battaglione allievi ufficiali dei bersaglieri vengono quasi distrutti e nei superstiti viene annullata quella volontà di combattere che li aveva portati in linea a Montelungo.
Si continuerà a parlare della battaglia di Montelungo come di un fatto a se stante, di un mito; ogni anno ci siamo ritrovati o ci ritroviamo al Sacrario ad ascoltare i discorsi commemorativi che, di volta in volta, sono stati intonati ai momenti politici che si attraversavano.
Quello che è veramente importante da mettere in evidenza è il fatto che a Montelungo nel lontano 1943 molti di noi, tengo a ripetere “……quand’era per i fratelli smarriti veniva sperare, follia combattere….” Accorremmo volontariamente credendo di partecipare a quell’opera di redenzione e resurrezione della Patria alla quale fermamente credevamo.
Nessuno di noi, credo, si chiedeva, in quella nebbiosa mattina dell’8 dicembre 1943, del perché si trovasse a giocare, a vent’anni, con la morte su quel monte, ai più, sconosciuto fino a poche ore prima.
Fummo modesti nel compiere il nostro dovere perché credevamo in quello che stavamo facendo e molte volte sentendo, nell’allocuzioni celebrative dell’8 dicembre, parole roboanti e spesso vacue, allora, noi superstiti di quelle giornate, ci sentiamo offesi per tutti coloro che caddero credendo che quello era il solo modo di riscattare l’Italia.
Come è stato già detto, allora in pochi combattemmo per tutti e dovemmo essere “i garanti del valore e dell’onore del risorto esercito italiano”.
Il mito di Montelungo non può essere appannaggio di una tradizione di parte; a Montelungo non si andò a combattere per essere festeggiati poi. A Montelungo si è combattuto per la Liberazione dell’Italia e per partecipare alla Resistenza contro il nazifascismo.
Dopo trent’anni: il senso di un recupero democratico.
Sono due anni che noi di Montelungo siamo diventati “degni” di essere ricordati in modo “decoroso” ed i discorsi che, alla data dell’8 dicembre 1974 e 1975, sono stati fatti, sia nel sacrario che in altri luoghi testimoniano che ormai, “quelli del I° Raggruppamento”, non sono più “i badogliani mercenari di casa Savoia” ma semplicemente degli Italiani che vollero combattere per liberare l’Italia dei Tedeschi.
L’8 dicembre 1974 il generale P. Tolomeo, Comandante la Regione Meridionale Militare, così parlò ai convenuti[12]::
“Un’alba stinta, pesante di nebbia che penetra dentro le ossa. Una di quelle giornate che iniziano ovattate di pessimismo. Anche nel cuore di quegli uomini che per terra attendevano le 6,20, l’ora stabilita per l’attacco, c’era il silenzio dei momenti estremi.
Carponi a terra, nessuno si chiedeva perché a minuti avrebbe giocato con la morte, perché era necessario conquistare quella roccia che sovrastava grigia e brulla, perché a vent’anni, fatti per l’amore e per la vita, si masticava fango e si viveva da bruti……
Dalle 5,30 alle 6,20, un’ora di attesa lì per terra, nel fango. Alle 6,20, un’ora di attesa lì per terra, nel fango. Alle 6,20: avanti, avanti, ritti in piedi con i muscoli docili, flessibili, con il cuore gonfio di speranza di sopravvivere, con la gola piena di parole belle che sapevano allora si d’amore e non di morte……
Alle 9,30 non più un passo avanti – la sinfonia eroica è alle battute finali per innalzare al cielo l’inno della morte.
Quanti sono rimasti a mordere l’erba? 47 morti, 102 feriti, 151 dispersi.
Chi erano? Voi, o fratelli, che combatteste fianco a fianco quel giorno con loro, ed oggi siete qui presenti, Voi ben li ricordate.
Giovanissimi tutti, alcuni adolescenti addirittura, allievi dell’Accademie Militari dell’esercito e della marina, dell’aeronautica, allievi ufficiali di complemento: erano di certo i migliori, credevano nella Patria, nei suoi valori immortali, sentivano che da loro la Storia attendeva eroismo, si fede, ma anche e soprattutto redenzione…..
Ma è possibile che il tempo riesca a cancellare così facilmente il caldo del loro sangue, la fierezza del loro sguardo, l’amore che avevano, nonostante tutto, per l’Italia?
Le zolle rocciose di Montelungo devono saperci dire qualcosa, altrimenti tutti noi, nessuno escluso, abbiamo vissuto invano.
Si Montelungo, trascende la sua stessa gloria, e diventa simbolo della rinascita italiana.
Quei morti, i superstiti valorosi di oggi, attendono una risposta a quell’alba dell’8 dicembre 1943. Non riconosceva parola vana, non luminoso esempio altrettanto vana parola, ma sublimazione del loro sacrificio alla ricerca di un valore effettivo della vita…….”
Nell’anniversario della battaglia ricordato nel 1975 molte sono state le autorevoli persone che hanno voluto “riscoprire” Montelungo.
Il “primo cittadino “ di Mignano ha ricordato con accenti piuttosto polemici, come “la vera resistenza italiana sia nata a Montelungo”, non nascondendo la sua meraviglia perché il fatto d’arme dell’8 dicembre ancora non abbia trovato giusta collocazione nella storia d’Italia e ricordano come “soltanto dopo un attento esame e valutazione della esaltante prova di Mignano, gli Alleati ebbero ad apportare una prima revisione alle clausole dell’armistizio”.[13].
Il sottosegretario alla difesa, onorevole Radi[14], per conto del governo così ha rievocato il fatto d’armi: “La battaglia di Mignano rappresenta per tutti gli Italiani una pietra miliare nella storia della loro riscossa e della loro rinascita come nazione libera e democrazia….. Il tributo di sangue fu molto elevato ma attraverso il sacrificio di quei nostri soldati fu evidente la volontà dell’Italia di contribuire alla vittoria. Combatterono in pochi ma per tutti noi. Il loro sacrificio, il loro coraggio, il loro valore non furono subito conosciuti, ma con il passare degli anni la battaglia di Mignano ha acquisito sempre più il carattere di un simbolo che esalta valori umani, di dignità, di sacrificio. Trenta anni fa cominciava in effetti una nuova storia, e l’Italia si affacciava sulla scena della vita Europea democratica, con dignità, con la volontà di riuscire, con la fede in un domani migliore….. Nel ricordare il comportamento eroico dei nostri soldati a Montelungo, ho sentito rifiorire la tensione ideale e politica che animò gli Italiani nel momento del sacrificio. Si combatté con l’aspirazione ad un mondo nuovo, libero, giusto, non più sudditi di regime. Erano pochi, in quei momenti, ad essere consapevoli che stava sorgendo una nuova Italia, non solo di “elite”, ma di tutto il popolo che reclamava il suo diritto ad assurgere alla direzione dello Stato, dopo essere stato escluso da ogni partecipazione e da ogni scelta”.
Concludeva i discorsi celebrativi del 1975 il Presidente della Giunta Regionale della Campania Onorevole Mancino, a nome del Comitato Regionale per le celebrazioni del trentennale della Resistenza, con le seguenti parole: “Questa celebrazione vogliamo tenerla qui a Mignano, a ricordo di una battaglia che ha il significato storico di una svolta. Dopo l’8 settembre non era facile prendere coscienza di una nuova strada, del processo di recupero del credito che il fascismo aveva fatto perdere con la dittatura e con la guerra. Ne fu consapevole quel primo nucleo dell’esercito, che volle tracciare e proseguire la nuova strada non sulle retrovie, ma sul fronte del combattimento, per riscattarci da vent’anni di oscurantismo, per iniziare la nuova epoca della rinascita e della ricostruzione della libertà. Non morirono invano i soldati di Montelungo: furono esempio al popolo italiano e a tutti i popoli oppressi d’Europa, testimonianza di una decisa volontà di riscatto, viatico verso la libertà e la vittoria”.
Il riconoscimento più bello lo abbiamo avuto dal Senatore Mario Palermo, che fu sottosegretario alla guerra nel governo di Salerno, il quale parlando a Napoli, nella sala dei Baroni al Maschio Angioino, per celebrare il 32° anniversario della battaglia di Mignano ha tenuto una conferenza sul tema: “Contributo delle forze armate alla lotta di Liberazione”.
Il Senatore Palermo, tra l’altro ha detto:”….le forze armate ufficiali, sottufficiali e semplici militari, pur in mezzo al disorientamento sociale e civile succeduto alla prima guerra mondiale, alla caduta di tante illusioni alle quali avevano creduto i combattenti, agli attacchi che ai reduci venivano anche da settori di sinistra popolari, non si lasciarono mai attrarre dai temi della propaganda fascista. Sono le errate decisioni di Vittorio Emanuele impedirono anzi all’esercito di intervenire per porre fine, in breve tempo, all’azione eversiva delle forze della destra. Né le forze armate possono essere coinvolte nella responsabilità per i dolorosi insuccessi seguiti alla nostra entrata in guerra accanto ai Tedeschi. Insuccessi che sono dovuti invece al fallimento militare, politico e morale del fascismo e del mondo che lo aveva sorretto.
L’8 settembre segnò invece il punto di avvio di un generale risveglio delle coscienze del Paese e delle sue Forze Armate i cui componenti, nella grandissima maggioranza, posti di fronte ad una scelta, scelsero per l’avvenire e non per il passato, per la libertà contro i suoi rinnegatori.
E dal 1943 al 1945 le Forze Armate diedero il loro validissimo contributo alla guerra che si combatteva nella penisola per la sconfitta del nazismo.
Due furono i momenti predominanti: il primo è quello della reazione spontanea dei reparti lasciati senza direttive ed istruzioni dopo la “fuga di Roma”, contro i nazisti ormai presenti su gran parte del suolo nazionale. Innumerevoli episodi di eroismo si ebbero in Italia e sui fronti ove l’esercito italiano era presente.
Il secondo è quello della riorganizzazione dello esercito per combattere una guerra regolare accanto agli Alleati, e la prima battaglia fu appunto quella di Montelungo per proseguire poi con il CIL alla liberazione degli Abruzzi, delle Marche, dell’Emilia, fino alla vittoria finale.
Il senatore Palermo ha così concluso: “…….. il contributo delle Forze Armate alla guerra di Librazione è stato quindi grande, ed esso non deve non può essere sottovalutato: e sarebbe certamente stato decisivo per lo svolgimento della guerra e quindi per il futuro del Paese se coloro che avevano la responsabilità del governo non avessero commesso gravissimi errori prima dell’8 settembre.
Ecco perché le forze armate hanno diritto alla gratitudine degli Italiani”.

[1] Vedi appendice – allegato n.59.
[2] Giorgio Amendola, op. cit., pagg.704 e segg.
[3] Vedi Appendice – Allegato n. 60.
[4] Vedi Appendice – Allegato n. 61.
[5] Enzo SANTARELLI – Dal “Dibattito sull’ideologia politica del CIL” di L. Bedeschi – Argalia Urbino 1971, pagg. 86 e segg.
[6] Vedi Appendice – Allegato n. 25.
[7] Vedi Appendice – Allegato n. 62.
[8] Enzo SANTARELLI – Dal “Dibattito sull’ideologia del C.I.L.” di Lorenzo Bedeschi, pagg. 89/91.
[9] Da una lapide posta nel cimitero di guerra di Montelungo.
[10] Vedi Appendice – Allegato n. 39.
[11] Idem “ “ “ .
[12] Vedi Appendice – Allegato n. 63.
[13] Vedi Appendice – Allegato n. 64
[14] idem “ n. 65.