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giovedì 29 gennaio 2009

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO
FACOLTÀ DI MAGISTERO CORSO DI LAUREA IN SOCIOLOGIA
Tesi di laurea
MONTELUNGO 1943
UNA PAGINA DI CRONACA NELLA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE
Laureando STELIO TOFONE Matr. 011380 RELATORE Chiar. Prof. ENZO SANTARELLI
Anno accademico 1975-1976

CAPITOLO VI
LA REPUBBLICA FONDATA SULA LAVORO
E LE FF.AA.

Le celebrazioni dell’8 dicembre: 1944 e 1945.
Come celebrazione del 1944 ritengo che meriti essere riportato quanto scritto dal giornalista americano Herbert L. Matthews del New York Times[1] :“la prima unità d’assalto delle truppe italiane combattenti a fianco degli alleati entrò in azione l’8 dicembre 1943 contro una delle più difficili posizioni della zona di Mignano – Montelungo dominante la strada per Cassino. Fu un coraggioso ma vano sforzo che forse costò agli italiani perdite proporzionalmente più sensibili di ogni altro successivo scontro della stessa campagna che precedette l’offensiva di Cassino. Attaccati da due lati da forti elementi della divisione “Herman Goering” e presi sotto il micidiale fuoco incrociato di artiglieria, mortai e mitragliatrici, essi dovettero ritirarsi sulle posizioni di partenza, dopo una brillante carica. Ma se l’azione fallì dal punto di vista militare, almeno essa mise in luce la volontà degli italiani di combattere e morire per liberare il loro paese dai tedeschi….. La fanteria mosse verso la linea per rimpiazzare una unità americana nella notte dal 6 al 7 dicembre…. La diversità di linguaggio e di tecnica complicava le cose e, comunque, trattatasi di uomini equipaggiati alla meglio ed inquadrati affrettatamente i quali, proprio per questo, non avevano avuto molte possibilità di impiego come unità organica… Li trovai in linea, la mattina del 7, ansiosi di fare ciò che potevano; specie gli ufficiali erano in uno stato di tensione, coscienti di quanto significasse, per l’Italia, l’imminente azione….Attaccarono l’8 e trovarono il nemico ad attenderli a piè fermo e trincerato ben più saldamente di quel che ci si potesse aspettare. Poche ore dopo essi tornarono alle loro posizioni di partenza, ma molti morti restavano indietro e l’ospedaletto dell’immediata retrovia si congestionò di feriti…L’attacco ebbe un felice inizio alle 6,20; la fanteria scattò arditamente… i tedeschi reagirono con forze decise; gli Italiani, sulla sommità della collina, vennero ributtati giù da una gradinata di fuoco di cannoni e di mortai, e fu allora che l’azione delle mitragliatrici nemiche e le severe perdite cominciarono a causare un certo vacillamento fra gli attaccanti….. così Montelungo venne abbandonato, e gli Italiani tornarono là, donde erano mossi all’attacco, con uno dei loro reparti completamente annientato, come ammise il generale Dapino….Due cose apparvero chiare: l’attacco era fallito e gli Italiani avevano combattuto disperatamente. Io salii poi al posto di osservazione , e trovai il generale Dapino che guardava amaramente la collina sulla quale le speranze sue e quelle dell’Italia si erano infrante….Stando ai piedi del Montelungo e guardando in su veniva fatto pensare che l’attacco era stato poco meno che un suicidio… Il generale Dapino aveva optato per l’attacco frontale verso la cima principale, e le sue truppe avevano raggiunto l’obiettivo, ma pochi tornarono indietro… Mi sono intrattenuto con molti ufficiali e soldati, in linea. Ognuno mi parlò dei micidiali fuochi incrociati da ambo le parti. Tutti ammisero che i Tedeschi, molto più forti di quanto si potesse prevedere, aspettavano ben preparati gli Italiani. Tutti sentivano d’aver fatto quanto era possibile, ma avvertirono che i Tedeschi avevano fatto di Montelungo la posizione chiave del passo di Mignano, e che il successo, con le tenui forze di cui gli Italiani disponevano, era impossibile.
Il mattino del 16 dicembre gli Americani si portarono innanzi per assicurare la propaggine Nord di Montelungo e al momento determinato- erano le 9,15 – gli Italiani attaccarono, e questa volta raggiunsero la sommità della collina e ne discesero l’opposto versante, incontrando assai minore resistenza..”.
Per le celebrazioni dell’anno 1945 ritengo che meriti essere trascritto un brano del discorso tenuto alle truppe della ricostituita divisione “Legnano” dal suo comandante generale Utili:
“O Montelungo, golgota del Fante! A te salimmo portando le armi e lo zaino che si porta la Croce; da te scendemmo il pomeriggio del 20 dicembre, esausti di gloria; alle falde dei roccioni avevamo composto, in un cimitero di guerra che recingemmo con i reticolati, le salme dei fratelli caduti. Quota 253, quota “senza numero”, quota 343, impervia 351. Si era effettuato quello che gli increduli avrebbero giudicato follia. Ma che importa ai combattenti degli increduli? Quello che conta è la coscienza del dovere compiuto, è la Patria, che prende nota in silenzio delle virtù dei suoi figli migliori, ne esalta il valore e ne accoglie il sacrificio. Io sono convinto che il combattimento di Montelungo appartenga non alla cronaca, ma alla Storia d’Italia e che perciò non sarà più dimenticato.”
Purtroppo , almeno in questo, il generale Utili non fu un buon profeta, perché passati i primi anni, quando ancora era troppo recente il fatto, la celebrazione annuale della battaglia di Montelungo subì degli alti e bassi, ossia fu ricordata dalle forze armate in modo non sempre consono al fatto stesso.
Dal 1948 in poi, almeno fino al trentennale della Resistenza, le celebrazioni avvenute furono più un raduno di noi partecipanti a quella battaglia che, con il solo gesto di ritrovarci intorno alle tombe dei nostri commilitoni, abbiamo voluto significare a noi ed agli altri che, l’aver partecipato alla prima battaglia della guerra di Liberazione, non fu un fatto isolato , ma volle segnare, almeno per molti di noi, l’inizio di una nuova era sia politica che sociale. È anche vero che, per molti anni, i reduci di Montelungo vennero ignorati dalle autorità politiche e militari e non solo i reduci ma, soprattutto i morti, in quanto, mai nelle festività nazionali, nessun rappresentante del governo ha presenziato al cimitero di Montelungo a cerimonie contemporaneamente a quelle del sacrario di Redipuglia o quello dei caduti oltremare di Bari. Forse perché i morti della guerra di Liberazione, che sono raccolti al sacrario di Montelungo, non sono caduti per la stessa Patria degli altri ? Per lungo tempo abbiamo avuto la percezione di essere appena tollerati eppure noi di “Montelungo” non abbiamo mai fatto pesare ciò che facemmo quando are facile buttare le divise alle “ortiche” e mettere in pratica il fatidico “tutti a casa”.
Il referendum del 2 giugno e gli ambienti militari
Non si può comprendere[2] la persistenza di un pericolo fascista se non si esaminano criticamente le ragioni per le quali, dopo la insurrezione del 25 aprile e la formazione della Repubblica , è mancata quell’opera di riforma generale dello Stato e della società italiana che sola poteva eliminare, col crescente concorso di una consapevole partecipazione popolare, quelle che erano le radici profonde che affondano nel sottosuolo storico della società italiana, e dalle quali continua a germinare la pianta malefica del fascismo. Certe sorprese , timori e sbandate, e talune pericolose reazioni emotive, non sarebbero oggi possibili se si fossero tempestivamente compresi i motivi (e le conseguenze) di quella “continuità dello Stato” che la formazione della Repubblica ha soltanto intaccato, ma non è riuscita a spezzare…La liberazione del Paese avvenne attraverso due anni di lenta e contrastata avanzata degli alleati dal sud al nord, in un paese diviso in più tronconi da successive linee di combattimento. Al nord si combattevano ancora le ultime e più aspre battaglie partigiane, e già al sud si venivano attuando i primi tentativi di ricostituzione di un movimento di destra.
I rapporti di forza tra i partiti componenti il CNL erano coperti dalle regole fittizie della pariteticità e dell’umanità . Al Sud, fuori dal CNL e contro i CNL, che erano sorti per accordi dall’alto senza poter contare sull’appoggio di un robusto ed organizzato movimento popolare di massa, vi erano forze importanti: i corpi dello Stato, i comandi alleati, c’era il re, il governo Badoglio, i prefetti, i questori , la Military Police. Al nord, dove i grandi scioperi del marzo 1944 avevano indicato la grande forza del partito che li aveva proposti e voluti, il PCI , le regole dell’unanimità e della pariteticità venivano fermamente fatte osservare dal partito liberale e dalla DC, che si opponevano ad una estensione della partecipazione dei CLN dei rappresentanti delle organizzazioni di massa, che pure svolgevano reali funzioni di mobilitazioni e di lotta. Ma la lotta politica all’interno dei CLN non poteva non essere fortemente condizionata dagli sviluppi del movimento reale di lotta, dalla presenza e consistenza delle formazioni partigiane , dalla lotta e condotta nelle fabbriche. La vita dei governi dei CLN subiva le ripercussioni di tali mutamenti e delle pressioni che venivano , direttamente o indirettamente, dalle varie zone in cui era diviso il paese. Le notizie , spesso tendenziose che provenivano dal nord, se alimentavano il massimalismo inconcludente di molti gruppi socialisti ed azionisti, irrigidivano i liberali ed i democristiani in posizioni preconcette di diffidenza nei confronti dei CLN… Premevano però, vigilanti e provocatorie, le forze che intendevano porre rigorosi limiti al rinnovamento democratico del paese. Churchill più che Roosewelt, intendeva mantenere strettamente l’Italia nell’area di influenza occidentale, e portava a sostegno delle sue richieste le esigenze delle operazioni militari in corso nella penisola, che procedevano volutamente a rilento e si erano, per il momento, arrestate nella linea Gotica. Il Luogotenente voleva anzitutto guadagnare tempo, e rendere difficile ogni assestamento democratico, anche provvisorio, dello Stato. Il Vaticano era sempre più preoccupato degli sviluppi assunti dalla organizzazione del partito democratico cristiano e dalle notizie provenienti dal nord che indicavano la vastità degli accordi conclusi direttamente tra comunisti e cattolici…Infine i funzionari, i magistrati, i generali e gli ufficiali, tutti più o meno compromessi col regime e, quindi, formalmente incriminabili secondo le indicazioni del decreto Sforza del 29 luglio 1944 sull’epurazione, volevano al più presto arrestare le procedure già avviate ed impedire che se ne appropriassero di nuove. E vi era alla base il malcontento di un popolo affamato, irrequieto, la cui collera veniva deviata contro il governo dei CLN, accusato di voler imporre al paese una nuova dittatura…Dopo la liberazione del nord, secondo quanto era stato convenuto, si aprì di fatto la crisi che si concluderà…con la formazione del governo Parri …La scelta di Parri era un omaggio reso al nord partigiano, ma i termini del problema politico rimasero inalterati. Fu preso l’impegno di convocare una Consulta , che si riunì finalmente il 25 settembre. Il governo aveva il compito di preparare le elezioni amministrative e quelle politiche per la Costituente….. Intanto, svanite le diffidenze, i rapporti con i governi militari erano migliorati. Il governo militare aveva approvato misure di emergenza prese per far fronte alla crisi, come il blocco dei licenziamenti e la scala mobilie. Venivano accelerate le consegne dall’amministrazione dei territori occupati al governo italiano. La Consulta aveva iniziato a funzionare , ma una dura e giustificata critica di Parri alla vecchia democrazia prefascista aveva accentuato l’isolamento politico del Presidente del Consiglio….
Nella crisi del novembre 1944, l’intervista concessa dal Luogotenente al “New York Times” aveva posto il problema, per la soluzione della questione istituzionale, ad un referendum, piuttosto che lasciare la decisione sulla forma dello Stato alla Costituente…Ma già il 27 febbraio (1946) il Consiglio dei Ministri aveva preso una decisione definitiva per quanto riguardava l’elezione della Costituente.
Prevalse la tesi di affidare all’esito di un referendum la scelta tra monarchia e repubblica. Fu fissata la data del 2 giugno 1946. fu precisato che l’Assemblea Costituente non avrebbe avuto poteri legislativi. Questi dovevano restare nelle mani del governo, che doveva però ricevere la fiducia dell’Assemblea…I risultati del 2 giugno confermarono sostanzialmente il quadro dei rapporti di forza fissati dalle elezioni amministrative della primavera. La DC si affermò , col 35,8% dei voti validi, come il primo partito del paese…Il PCI sentì duramente il colpo della mancata affermazione come primo partito politico della classe operaia…I due partiti, comunista e socialista, che secondo i risultati delle elezioni amministrative della primavera avrebbero dovuto raccogliere la maggioranza dei seggi dell’Assemblea Costituente, il 2 giugno non raccolsero, assieme, che il 39,59% dei voti. Nel mezzogiorno raccolsero, infatti, uniti, appena il 20,71% . Era la dimostrazione della gravità, anche sul piano politico, della questione meridionale e del pericolo sempre incombente di una frattura non solo politica ma anche istituzionale tra nord e sud…
Il corpo sociale della nazione era scosso da forti tensioni. Si moltiplicavano le manifestazioni dei disoccupati, dei senza-terra, dei reduci, delle donne per il pane e contro la borsa nera. Nello stesso tempo all’estrema destra “l’uomo qualunque” andava allargando la sua influenza, e dietro al volto bonario e gioviale di Giannini già si andavano profilando le maschere sinistre degli ex repubblichini. Era evidente che la situazione non avrebbe potuto reggere a lungo all’urto di tante forze contrapposte. C’era il vaticano che chiedeva con urgenza a De Gasperi di rompere l’accordo con il PCI. C’era il governo degli Stati Uniti che già andava preparando le masse per la rottura della coalizione antifascista mondiale. Churchill aveva già affermato nel discorso di Fulton, l’esistenza di una cortina di ferro che divideva in due il vecchio Continente…Nel partito comunista italiano Togliatti era convinto della inevitabilità di giungere ad una rottura della posizione governativa…
Bisognava inoltre che la rottura non provocasse una spaccatura verticale che rigettasse i comunisti nella illegalità , ma segnasse il passaggio ad una opposizione da svolgere nel quadro delle istituzioni repubblicane che l’elaborazione della Carta Costituente andava precisando. Bisognava perciò che la rottura non compromettesse irreparabilmente i lavori dell’Assemblea Costituente. Era, quindi, necessario che la rottura avvenisse il più tardi possibile, alla fine dei lavori dell’Assemblea Costituente…l’esperienza di un governo dei comunisti era terminata, ma aveva permesso di raggiungere i tre obiettivi posti da Togliatti come motivazione della presenza dei comunisti nel governo; la liberazione dell’Italia la fondazione della Repubblica , l’approvazione della Costituzione. Notevole fu l’opera svolta dai comunisti nei rispettivi campi di attività (governative)…Importante fu l’attività svolta nel campo delle forze armate da comunisti come Mario Palermo e Colajanni per mantenere un collegamento attivo con quei generali e ufficiali che avevano scelto , dopo l’8 settembre, la via dell’onore e per porre a base della ricostituzione in cui venne a trovarsi Francesco Modanino quando fu chiamato ad essere sottosegretario alla Difesa nel periodo successivo al 2 giugno 1946.
Lo scontro politico-ideologico su Montelungo.
Per poter comprendere in quali diversi modi siano stati “visti” noi del Iº Raggruppamento Motorizzato riporto, qui di seguito, articoli e passi scritti da persone con evidente diversa estrazione politica[3]
“Quando partiamo da un paesino del beneventano per andare verso i fronte ogniuno di noi portava salda nel cuore la certezza che l’Italia in un unico slancio ci avrebbe seguiti. Credevamo di aprire la schiera di quegli Italiani che oggi – e sono tanti- gridano su allegri motivetti “FUGANTI GERMANI SUNT”: i vari liberalisti, crociani, sforziani, democratico-cristiani, prodi fino ad oggi della penna e della parola …….Sentivano il bisogno della piena solidarietà della stampa e del caldo, affettuoso consenso del popolo.
Le lacrime e le benedizioni degli animi buoni non ci sono venute meno, ma dalla stampa non e’ giunto altro che una gazzarra assordante di vuoti roboantismi, di pietismo propaganidistico costellato abbondatemente di frecciate velenose. Ma chi ha scritto e parlato lo sa chi siamo noi? Han detto che siamo volontari!................
Soldati: null’altro! Non siamo dei politicanti o degli arrivisti. Non abbiamo posto per condizione del nostro sacrificio l’esonero del giuramento al re. Siamo dei semplici soldati. Noi non conosciamo condizioni ora. Non ci riguarda se lottando per la Patria facciamo il gioco di questo o quel partito. Lo sappiamo bene Scaglione, e lo sappiano ancor meglio Benedetto Croce ed il Conte Sforza. Mai, come sotto l’infuriare della tempesta di fuco, ci siamo resi conto delle loro querele. Si illudono, questi signori, di ottenere il consenso e l’amirazione degli Alleati dettando dalle loro cattedre di giornalisti o di filosofi o di diplomatici principi di politica e fiere rampogne a chi non si puo’ difendere.
Il consenso e l’ammirazione degli Alleati l’abbiamo avuto e sentito nella valle di Mignano quando essi videro scattare contro le posizioni tedesche, in un unico balzo, cinquecento “petti” di giovani!.... La comodità dei trasporti; l’abbondanza degli armamenti, l’efficienza piena ed assoluta delle diretti vie supreme non facevano parte della nostra dotazione ed il giorno dopo leggemmo il pezzo forte di Scaglino in cui scriveva che non si poteva aver fiducia nell’esercito perché allora permeato di fascismo o invasato da furori monarchici. Se potesse immaginare Scagliano quanto male ci ha fatto il suo articolo: Ne’ e’ valso a mitigarne l’effetto il susseguente articolo sui combattenti di Mignano. Le ritrattazione odierne, misurate al sistema metrico propagandistico opportunistico, non ci convincono. La fiamma della libertà non si identifica con la brace della propria sigaretta.
L’Italia si può redimere, ricordatevelo, anche prestando giuramento al re!. Non e’ il re, capite, che ha bisogno di noi e l’Italia. Se il re in questo momento si identifica con l’Italia, ebbene sia salvo il re. A poi le beghe interne.
Salviamo di fonte agli estranei quel poco di dignità nazionale che probabilmente ancora ci rimane. “GALLIA DOCEAT”! L’imperativo del momento deve essere un solo: dimenticare le nostre sventure personali e riunirci tutti intorno alla nostra bandiere con l’intima persuasione che si combatte per la Patria, soltanto per la Patria.”
Luigi Montesanto invece[4]:
“ I cinquemila uomini che formarono il Iº Raggruppamento Motorizzato non erano tutti volontari. Faremo della retorica dicendo che tutti quei cinquemila anelavano combattere per liberare città e paesi; troppo fresco il ricordo degli inverni passati in Albania, delle estati di Libia e soprattutto dell’armistizio. Ma una parte erano volontari, e di questa parte formata da universitari allievi ufficiali li vogliano specialmente ricordarci senza percio’ sminuire il valore e la costanza di tutti quegli anziani che pur stanchi di guerra seppero ubbidire, tornarono al fronte e il 8, dicembre su Montelungo andarono ancora una volta all’attacco che per molto di loro fu anche l’ultimo.
Molti di quei giovani allievi ufficiali del 67 fanteria e del LI° battaglione bersaglieri dovettero sentirsi simili ai loro predecessori di “Curtatone e Montanara” presi come erano da uguale amore per la libertà e per la Patria.... Cosi quei giovani attraversarono con garibaldina baldanza i paesi diroccati del Molise e della Campania cantando ..... Ma l’entusiasmo calò quando avvicinandosi il fronte apparvero segni di maggiori distruzioni recenti. Poi giunse anche la sera, fredda e invernale nelle retrovie buie e fangose in cui non si udivano che grida, esclamazioni di invisibili soldati che parlavano lingue straniere e , rombavano a momenti tiri in partenza di artiglieria. Sui camion che procedevano lenti nel buio.......... quei soldati, mangiando scatolette americane, dovette sentirsi assalire da tristezza e dovettero temere di sembrare mercenari..... Per motli di essi la famiglia era oltre le linee, sotto i Tedeschi.
Ma la notte passò e venne il fronte, l’attesa nelle postazioni, il desiderio di attaccare, di misurarsi col nemico la cui invisibile presenza era certa tra i monti. Tornò la notte e con la notte venne ordine di attaccare quota 343 alla prossima alba”. Come si svolsero i fatti in quel fatale mattino e’ ormai noto a molti. Ma forse non tutti sanno che quella mattina ci furono tre medaglie d’oro alle memoria: a due sottotenenti ed ad un sergente maggiore. Loro e gli altri morirono per la libertà.” Enzo Santarelli cosi si esprime[5]:
“Il Raggruppamento Motorizzato nacque comunque come una formazione di impronta in un certo senso dinamistica, il 27, settembre 1943, prima della dichiarazione di guerra alla Germania che e’ del 13 ottobre. Il momento della trasformazione istituzionale nel CIL e’ del 18, aprile 1944, e viene pertanto a coincidere con la formazione del governo di unità nazionale, all’indomani della svolta di Salerno.
Soprattutto il Raggruppamento “Savoia” risenti di una crisi profonda.
Gabrio Lombardi attribuisce questa crisi allo sviluppo (inevitabile) della questione istituzionale, alla propaganda dei partiti antifascisti a suo tempo e’ arrivato a definire la zona di Avellino “spiritualmente malsana”, forse per la sola presenza di un uomo come Dorso, che non si sottomise al tentativo degli ufficiali monarchici dei bersaglieri di tacere sulla questione istituzionale e governativa intrecciata con lo sforzo di guerra già avviato da Badoglio[6].
Ma dopo gli incidenti di Avellino del 13, novembre nell’ultima decade dello stesso mese alcuni complementi di volontari affluirono dal centro di raccolta di Oria nella zona di Maddaloni-Limatola-Airola. Chi erano questi volontari? Innanzitutto erano prevalentemente della classa 1922, dieci anni più giovani della truppa precedentemente confluita nel Raggruppamento. Non avevano esperienza e delusioni di guerra, provenivano dallo studentato e avevano frequentato i corsi allievi ufficiali, ma erano ancora soldati semplici, in attesa di nomina a sottoufficiali. Non avevano spirito di corpo e arruolandosi in un reparto destinato al fronte, avevano compiuto una libera scelta, si collocavano su posizione molto diverse da quelle della ufficialità di carriera che dopo la frustrazione dell 8 settembre era approdata all’ultimo rifugio di un redivivo patriottismo monarchico. Non erano antifascisti radicali, ma avendo vissuto nel mezzogiorno il dramma e lo spettacolo della sconfitta e della disgregazione sociale, avevano maturato una coscienza di ltta o guerra nazionale , da condurre autonomamente -sia pure a fianco degli alleati- per la liberazione del nord, da cui spesso provenivano. Non erano molti, ma erano stati sensibilizzati dalla propaganda “democratica” degli Alleati e degli stessi gruppi antifascisti. In alcuni casi erano di idee repubblicane. Ve ne furono tra loro alcuni che avevano tentato, dopo le sbandamento, di arruolarsi nelle formazioni volontarie del generale Pavone; altri nicchie rifiutarono permanentemente di portare sulla divisa lo scudetto Savoia. Entrati e distribuiti nei vari reparti del Raggruppamento, parteciparono ai primi di dicembre ai combattimenti di Montelungo (Mignano). Fu da questi gruppi che si levo’ la protesta contro la propaganda monarchica che serpeggiava nelle forze armate e che raggiungeva anche i reparti in linee.... all’inizio di febbraio 1944 il Raggruppamento Savoia, riordinato dopo la crisi di dicembre-gennaio, ritornava in linee, sulle Mainarde. E’ a questo punto che alcuni dei volontari già o ancora appartenenti al Raggruppamento Motorizzato rendendosi pienamente contro il pericolo rappresentato dalla eventualità che un corpo designato col nome Savoia potesse fare il suo ingresso a Roma, con le altre forze Alleate, consentendo cosi di acquisire un punto di vantaggio alla monarchia... persero riservati contatti con il CLN di Napoli. Vi fu anche una pubblica denuncia sul giornale “l’Ateneo”, organo della federazione internazionale degli studenti [7].
Si trattava di un esplicito tentativo di saldatura con le forze antifasciste. L’Ateneo” era allora sostanzialmente egemonizzato da Adolfo Omodeo, ma l’articolo di cui si e’ detto, mentre polemizzava con la tesi a senso unico della “apoliticità” delle forze armate, cosi come era sostenuta dai comandi militari e dal governo di Brindisi, propugnava una sorta di Alleanza fra la base dei reparti combattenti con l’opposizione antifascista del “regno del sud” da un lato, e con i partigiani del nord, dell’altro. “Per questo – si leggeva in quell’articolo -un volontario combattente si e’deciso a parlare. Egli pensa che se vi sono navi, reparti, aerei che si battono e si prodigano (sic!) contro i Tedeschi, i loro uomini si battono per la patria, e si sentono fratelli dei liberi partigiani dell’Italia centrale e settentrionale”. Il limite di questa posizione era evidente ma la conclusione di fondo era forse più esplicita: “Lo ripetiamo : l’opposizione e’ la garanzia e l’appoggio dei combattenti”. Il punto interessante e’ tuttavia un altro. Siamo, adesso, alla viglia della svolta di aprile, che per certi versi offre una risposta positiva alla crisi e alle alternative che si aprivano anche alla base del Raggruppamento, nell’intento di costituire un “governo di guerra, governo popolare” [8], sulla linea delle proposte e dell’iniziativa politica di Ercoli. Il fatto e’ che da un lato la strategia dei CLN nel mezzogiorno ma non solo nel mezzogiorno era in crisi, dopo il congresso di Bari, grazie alla partecipazione delle forze armate riorganizzate nel sud sotto l’insegna dei Savoia; che dall’altro questa politica di cobelligeranza condotta avanti dal governo monarchico non aoolevava più a compiti di normale amministrazione”, come era sembrato in novembre a Guido Dorso, ma ad una funzione nazionale, dalla quale le forze popolari (e quindi anche i combattenti di base) erano esclusi. Dal 1 Maggio e7 il primo appello di Mario Palermo, sottosegretario comunista alla guerra, che si rivolse ai “soldati di Mignano e di Monte Marrone” e ai “ partigiani del territorio invaso”......................
Nel Raggruppamento motorizzato Savoia non erano mancate in effetti resistenza e reazioni dei pochi volontari antifascisti, ma esso costituiva pur sempre una base e forza di manovra, più o meno docile ed efficace, un tentativo conservatore contestato concordemente da tutti i partiti e gruppi antifascisti di egemonizzare in senso esclusivo il movimento di liberazione nazionale. E’ un fatto che si poneva il problema della saldatura fra le forze armate enucleatesi o riorganizzatesi nel “regno del sud e le forze partigiane in via di sviluppo ancora molto disorganico, almeno fino alla liberazione di Roma, nell’Italia centrale e settentrionale”.
Tentativi di “riconciliazione” su Montelungo
Per lunghissimo tempo noi combattenti di Montelungo fummo non solo dimenticati, ma oserei dire volutamente”sminuiti” dalla propaganda ufficiale che ha cercato di ignorare o quanto meno “tollerare” – come si usa fare con il prete povero scomodo - coloro che “QUAND’ERA PER I FRATELLI SMARRITI VANITA’ SPERARE, FOLLIA COMBATTERE.............”[9], sperarono e credettero in un domani migliore e per questo combatterono ed offrirono, in molti, la loro giovane e già tormenta esistenza.
Nel dicembre 1964\3, 20 anniversario della battaglia di Montelungo, la cerimonia commemorativa comincia ad assumere un aspetto più solenne degli anni precedenti.
Infatti, a rappresentare lo Stato, il governo, il parlamento sono intervenuti; il Ministro della difesa, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, numerosi senatori e deputati, i comandanti generali dei carabinieri e della finanza, il Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica, e per gli Alleati l’Ammiraglio Russel - Comandante del Quartiere Generale della Nato Sud-Europa, il Comandate del Mediterraneo centrale, gli Addetti Militari alla NATO ed altri.
A solennizzare ancor di più la cerimonia erano presenti 27 Bandiere dei Reggimenti che combatterono nella Guerra di Liberazione, i Gonfaloni dei comuni decorati al Valor Militare e delle varie associazioni. In quella occasione il Ministero della Difesa lesse il messaggio del Presidente della Repubblica; “Con animo commosso partecipo idealmente alla cerimonia commemorativa del XX anniversario dei fatti d’arme di Montelungo, alla quale motivi di forza maggiore mi impediscono di presenziare. Il sublime sacrificio di tante giovani vite testimonia la fede negli alti ideali della Patria che animò il Corpo Italiano di Liberazione, nella ferma volontà di risorgere dalle rovine di una guerra perduta. E levo un reverente pensiero alla memoria di questi eroici Caduti, con l’ammirata riconoscenza che ogni italiano deve a Coloro che più hanno dato alla Patria............”[10].
Concluse i discorsi commemorativi del 1963, tutti esaltanti i fatti di allora, il generale Aloja, Capo di Stato Maggiore dell’esercito, che cosi terminò il suo breve ma intento discorsi: “............ Il I° Raggruppamento Motorizzato in ore oscure e di smarrimento, affermò qui, a Montelungo, il diritto dell’Italia a essere accolta fra le Nazione Unite. Qui poche combatterono per tutti, garanti del valore e dell’onore dell’esercito italiano. E qui tutti si inchinano alla memoria di quei pochi”[11].
Dopo il ventennale, noi reduci di Montelungo, ci siamo intensi più a nostro agio, potevamo parlare delle nostre gesta a voce alta e non sommessamente e tra di noi; sentivamo, noi superstiti, di essere compresi in modo diverso ma soprattutto sentivamo che venivano meglio compresi quelli che caddero combattendo in quel giorno dell’immacolata. Sentivamo che la Patria cominciava ad essere viva intorno a quei morti, e on solo materialmente; cominciava ad avere un certo valore la scritta scolpita sul frontalone del Sacrario “MORTUT UT PATRIA VIVAT”.
Inizia una nuova “epoca” se cosi si può dire, per il celebrazionismo di Montelungo; il fatto d’arme dell’8, dicembre comincia ad essere visto come un momento importante nello sviluppo del movimento di Liberazione nazionale, anche se meno importante e per alcuni aspetti persino in contrasto con quel processo storico-sociale che fu la Resistenza, ma non per questo marginale o secondario. In effetti si inizia a Montelungo quel fenomeno che portò i “regolare di Badoglio” a partecipare alla stessa lotto di Liberazione che si era accesso a Roma a Porta San Paolo, a Cuneo a Napoli.
Il nuovo Risorgimento collaborava con la Resistenza a questa reggeva una certa tradizione risorgimentale nello sforzo di stabilire un più profondo legame, sociale e politico, fra esercito e popolo. Il nome di Montelungo ed il ricordo dei suoi Caduti debbono avere la forza e la virtù di affratellare e non dividere i combattenti della guerra di Liberazione con i partigiani della Resistenza.
Il mito moderato tradizionalista su Montelungo
Molto si e’ scritto sui fatti di Montelungo e tutto ciò che e’ stesso detto va sempre a lode del comportamento del soldato italiano; di cosa seppe fare in quei giorni oscuri della storia d’Italia. Se c’e’ da condannare qualcuno questi certamente non e’ il soldato che, ubbidiente ad un giuramento prestato, seppe combattere e morire, in quelle giornate dell’8 e del 16 dicembre, contro gli ex alleati di prima , ed a fianco degli ex nemici, senza nulla chiedere e senza porsi, all’inizio, problemi di nessuna sorta.
E’ piuttosto da condannare, e la storiografia ufficiale tradizionalista non lo evidenzia in modo deciso, il comportamento di assoluta “mancanza di buon senso” della nostra “ ufficialità” di alto rango, e di carriera che doveva, se non altro, studiare sulla carta, oltre che sul terreno, l’azione tattica su Montelungo del Raggruppamento.
L’essersi fidati delle notizie messe a disposizione dai comandi Americani sopratutto sul “velo di fuoco” che i Tedeschi avevano predisposto al “passo di Mignano”, senza rendersi cento dell’importanza, invece, per i Tedeschi della resistenza sulla linea Reinhard, deve essere considerate come una grossa “superficialità”.
L’ avere scelto od accettare di attaccare frontalmente, con la sola assicurazione verbale, di avere, al momento dell’attacco, i fianchi protetti da truppe della 5 Armata Americana non può essere considerata una “ingenua leggerezza” dei nostri comandi.
Per la cecità o faciloneria di alcuni Comandi, il 67° fanteria ed il LI° battaglione allievi ufficiali dei bersaglieri vengono quasi distrutti e nei superstiti viene annullata quella volontà di combattere che li aveva portati in linea a Montelungo.
Si continuerà a parlare della battaglia di Montelungo come di un fatto a se stante, di un mito; ogni anno ci siamo ritrovati o ci ritroviamo al Sacrario ad ascoltare i discorsi commemorativi che, di volta in volta, sono stati intonati ai momenti politici che si attraversavano.
Quello che è veramente importante da mettere in evidenza è il fatto che a Montelungo nel lontano 1943 molti di noi, tengo a ripetere “……quand’era per i fratelli smarriti veniva sperare, follia combattere….” Accorremmo volontariamente credendo di partecipare a quell’opera di redenzione e resurrezione della Patria alla quale fermamente credevamo.
Nessuno di noi, credo, si chiedeva, in quella nebbiosa mattina dell’8 dicembre 1943, del perché si trovasse a giocare, a vent’anni, con la morte su quel monte, ai più, sconosciuto fino a poche ore prima.
Fummo modesti nel compiere il nostro dovere perché credevamo in quello che stavamo facendo e molte volte sentendo, nell’allocuzioni celebrative dell’8 dicembre, parole roboanti e spesso vacue, allora, noi superstiti di quelle giornate, ci sentiamo offesi per tutti coloro che caddero credendo che quello era il solo modo di riscattare l’Italia.
Come è stato già detto, allora in pochi combattemmo per tutti e dovemmo essere “i garanti del valore e dell’onore del risorto esercito italiano”.
Il mito di Montelungo non può essere appannaggio di una tradizione di parte; a Montelungo non si andò a combattere per essere festeggiati poi. A Montelungo si è combattuto per la Liberazione dell’Italia e per partecipare alla Resistenza contro il nazifascismo.
Dopo trent’anni: il senso di un recupero democratico.
Sono due anni che noi di Montelungo siamo diventati “degni” di essere ricordati in modo “decoroso” ed i discorsi che, alla data dell’8 dicembre 1974 e 1975, sono stati fatti, sia nel sacrario che in altri luoghi testimoniano che ormai, “quelli del I° Raggruppamento”, non sono più “i badogliani mercenari di casa Savoia” ma semplicemente degli Italiani che vollero combattere per liberare l’Italia dei Tedeschi.
L’8 dicembre 1974 il generale P. Tolomeo, Comandante la Regione Meridionale Militare, così parlò ai convenuti[12]::
“Un’alba stinta, pesante di nebbia che penetra dentro le ossa. Una di quelle giornate che iniziano ovattate di pessimismo. Anche nel cuore di quegli uomini che per terra attendevano le 6,20, l’ora stabilita per l’attacco, c’era il silenzio dei momenti estremi.
Carponi a terra, nessuno si chiedeva perché a minuti avrebbe giocato con la morte, perché era necessario conquistare quella roccia che sovrastava grigia e brulla, perché a vent’anni, fatti per l’amore e per la vita, si masticava fango e si viveva da bruti……
Dalle 5,30 alle 6,20, un’ora di attesa lì per terra, nel fango. Alle 6,20, un’ora di attesa lì per terra, nel fango. Alle 6,20: avanti, avanti, ritti in piedi con i muscoli docili, flessibili, con il cuore gonfio di speranza di sopravvivere, con la gola piena di parole belle che sapevano allora si d’amore e non di morte……
Alle 9,30 non più un passo avanti – la sinfonia eroica è alle battute finali per innalzare al cielo l’inno della morte.
Quanti sono rimasti a mordere l’erba? 47 morti, 102 feriti, 151 dispersi.
Chi erano? Voi, o fratelli, che combatteste fianco a fianco quel giorno con loro, ed oggi siete qui presenti, Voi ben li ricordate.
Giovanissimi tutti, alcuni adolescenti addirittura, allievi dell’Accademie Militari dell’esercito e della marina, dell’aeronautica, allievi ufficiali di complemento: erano di certo i migliori, credevano nella Patria, nei suoi valori immortali, sentivano che da loro la Storia attendeva eroismo, si fede, ma anche e soprattutto redenzione…..
Ma è possibile che il tempo riesca a cancellare così facilmente il caldo del loro sangue, la fierezza del loro sguardo, l’amore che avevano, nonostante tutto, per l’Italia?
Le zolle rocciose di Montelungo devono saperci dire qualcosa, altrimenti tutti noi, nessuno escluso, abbiamo vissuto invano.
Si Montelungo, trascende la sua stessa gloria, e diventa simbolo della rinascita italiana.
Quei morti, i superstiti valorosi di oggi, attendono una risposta a quell’alba dell’8 dicembre 1943. Non riconosceva parola vana, non luminoso esempio altrettanto vana parola, ma sublimazione del loro sacrificio alla ricerca di un valore effettivo della vita…….”
Nell’anniversario della battaglia ricordato nel 1975 molte sono state le autorevoli persone che hanno voluto “riscoprire” Montelungo.
Il “primo cittadino “ di Mignano ha ricordato con accenti piuttosto polemici, come “la vera resistenza italiana sia nata a Montelungo”, non nascondendo la sua meraviglia perché il fatto d’arme dell’8 dicembre ancora non abbia trovato giusta collocazione nella storia d’Italia e ricordano come “soltanto dopo un attento esame e valutazione della esaltante prova di Mignano, gli Alleati ebbero ad apportare una prima revisione alle clausole dell’armistizio”.[13].
Il sottosegretario alla difesa, onorevole Radi[14], per conto del governo così ha rievocato il fatto d’armi: “La battaglia di Mignano rappresenta per tutti gli Italiani una pietra miliare nella storia della loro riscossa e della loro rinascita come nazione libera e democrazia….. Il tributo di sangue fu molto elevato ma attraverso il sacrificio di quei nostri soldati fu evidente la volontà dell’Italia di contribuire alla vittoria. Combatterono in pochi ma per tutti noi. Il loro sacrificio, il loro coraggio, il loro valore non furono subito conosciuti, ma con il passare degli anni la battaglia di Mignano ha acquisito sempre più il carattere di un simbolo che esalta valori umani, di dignità, di sacrificio. Trenta anni fa cominciava in effetti una nuova storia, e l’Italia si affacciava sulla scena della vita Europea democratica, con dignità, con la volontà di riuscire, con la fede in un domani migliore….. Nel ricordare il comportamento eroico dei nostri soldati a Montelungo, ho sentito rifiorire la tensione ideale e politica che animò gli Italiani nel momento del sacrificio. Si combatté con l’aspirazione ad un mondo nuovo, libero, giusto, non più sudditi di regime. Erano pochi, in quei momenti, ad essere consapevoli che stava sorgendo una nuova Italia, non solo di “elite”, ma di tutto il popolo che reclamava il suo diritto ad assurgere alla direzione dello Stato, dopo essere stato escluso da ogni partecipazione e da ogni scelta”.
Concludeva i discorsi celebrativi del 1975 il Presidente della Giunta Regionale della Campania Onorevole Mancino, a nome del Comitato Regionale per le celebrazioni del trentennale della Resistenza, con le seguenti parole: “Questa celebrazione vogliamo tenerla qui a Mignano, a ricordo di una battaglia che ha il significato storico di una svolta. Dopo l’8 settembre non era facile prendere coscienza di una nuova strada, del processo di recupero del credito che il fascismo aveva fatto perdere con la dittatura e con la guerra. Ne fu consapevole quel primo nucleo dell’esercito, che volle tracciare e proseguire la nuova strada non sulle retrovie, ma sul fronte del combattimento, per riscattarci da vent’anni di oscurantismo, per iniziare la nuova epoca della rinascita e della ricostruzione della libertà. Non morirono invano i soldati di Montelungo: furono esempio al popolo italiano e a tutti i popoli oppressi d’Europa, testimonianza di una decisa volontà di riscatto, viatico verso la libertà e la vittoria”.
Il riconoscimento più bello lo abbiamo avuto dal Senatore Mario Palermo, che fu sottosegretario alla guerra nel governo di Salerno, il quale parlando a Napoli, nella sala dei Baroni al Maschio Angioino, per celebrare il 32° anniversario della battaglia di Mignano ha tenuto una conferenza sul tema: “Contributo delle forze armate alla lotta di Liberazione”.
Il Senatore Palermo, tra l’altro ha detto:”….le forze armate ufficiali, sottufficiali e semplici militari, pur in mezzo al disorientamento sociale e civile succeduto alla prima guerra mondiale, alla caduta di tante illusioni alle quali avevano creduto i combattenti, agli attacchi che ai reduci venivano anche da settori di sinistra popolari, non si lasciarono mai attrarre dai temi della propaganda fascista. Sono le errate decisioni di Vittorio Emanuele impedirono anzi all’esercito di intervenire per porre fine, in breve tempo, all’azione eversiva delle forze della destra. Né le forze armate possono essere coinvolte nella responsabilità per i dolorosi insuccessi seguiti alla nostra entrata in guerra accanto ai Tedeschi. Insuccessi che sono dovuti invece al fallimento militare, politico e morale del fascismo e del mondo che lo aveva sorretto.
L’8 settembre segnò invece il punto di avvio di un generale risveglio delle coscienze del Paese e delle sue Forze Armate i cui componenti, nella grandissima maggioranza, posti di fronte ad una scelta, scelsero per l’avvenire e non per il passato, per la libertà contro i suoi rinnegatori.
E dal 1943 al 1945 le Forze Armate diedero il loro validissimo contributo alla guerra che si combatteva nella penisola per la sconfitta del nazismo.
Due furono i momenti predominanti: il primo è quello della reazione spontanea dei reparti lasciati senza direttive ed istruzioni dopo la “fuga di Roma”, contro i nazisti ormai presenti su gran parte del suolo nazionale. Innumerevoli episodi di eroismo si ebbero in Italia e sui fronti ove l’esercito italiano era presente.
Il secondo è quello della riorganizzazione dello esercito per combattere una guerra regolare accanto agli Alleati, e la prima battaglia fu appunto quella di Montelungo per proseguire poi con il CIL alla liberazione degli Abruzzi, delle Marche, dell’Emilia, fino alla vittoria finale.
Il senatore Palermo ha così concluso: “…….. il contributo delle Forze Armate alla guerra di Librazione è stato quindi grande, ed esso non deve non può essere sottovalutato: e sarebbe certamente stato decisivo per lo svolgimento della guerra e quindi per il futuro del Paese se coloro che avevano la responsabilità del governo non avessero commesso gravissimi errori prima dell’8 settembre.
Ecco perché le forze armate hanno diritto alla gratitudine degli Italiani”.

[1] Vedi appendice – allegato n.59.
[2] Giorgio Amendola, op. cit., pagg.704 e segg.
[3] Vedi Appendice – Allegato n. 60.
[4] Vedi Appendice – Allegato n. 61.
[5] Enzo SANTARELLI – Dal “Dibattito sull’ideologia politica del CIL” di L. Bedeschi – Argalia Urbino 1971, pagg. 86 e segg.
[6] Vedi Appendice – Allegato n. 25.
[7] Vedi Appendice – Allegato n. 62.
[8] Enzo SANTARELLI – Dal “Dibattito sull’ideologia del C.I.L.” di Lorenzo Bedeschi, pagg. 89/91.
[9] Da una lapide posta nel cimitero di guerra di Montelungo.
[10] Vedi Appendice – Allegato n. 39.
[11] Idem “ “ “ .
[12] Vedi Appendice – Allegato n. 63.
[13] Vedi Appendice – Allegato n. 64
[14] idem “ n. 65.

mercoledì 28 gennaio 2009

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO
FACOLTÀ DI MAGISTERO CORSO DI LAUREA IN SOCIOLOGIA
Tesi di laurea
MONTELUNGO 1943
UNA PAGINA DI CRONACA NELLA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE
Laureando STELIO TOFONE Matr. 011380 RELATORE Chiar. Prof. ENZO SANTARELLI
Anno accademico 1975-1976

CAPITOLO V
NUOVI SVILUPPI DEL QUADRO POLITICO NAZIONALE

Da MONTELUNGO alla “svolta” di Salerno
Il periodo del governo di Salerno fu un periodo molto importante della storia recente del nostro paese anche se fu un periodo di vita politica confusa, complicata, intricata, per le condizioni in cui allora si trovava l’Italia, per il modo in cui si muovevano i partiti, per i gravi problemi che essi avevano e per le difficoltà di trovare una soluzione a questi problemi. Ad ogni modo la costituzione del governo Salerno, presieduto, dal generale Badoglio e con la partecipazione di tutti i partiti antifascisti, ebbe una grandissima importanza per tutti gli sviluppi successivi della situazione del nostro paese. Lascio alle parole di Palmiro Togliatti, rientrato da Mosca a Napoli alla fine di marzo 1944, la descrizione della situazione nell’Italia del Sud ed i motivi che portarono i comunisti al governo:
“Non si può dire che esistesse un apparato della produzione. Il silurificio di Baia distrutto. Gli alti-forni dell’Ilva di Bagnoli fatti a pezzi dai bombardamenti. Il porto di Napoli, eccetto una piccola parte dove approdava il naviglio da guerra alleato, era pieno di relitti dei bombardamenti che avevano mandato a picco le navi che stavano nel porto.
Funzionavano, in parte, le officine della Naval-meccanica, ma solo per riparazioni al naviglio di guerra e ai trasporti degli Alleati. Il lavoro, nel porto, nella città e nella costiera dipendeva tutto dalle unità di occupazione alleate e gli operai non erano pagati nella moneta corrente italiana, ma con quelle famose amlire, coniate dagli alleati e di cui essi stessi stabilizzavano quale doveva essere il valore sul mercato. Venivano ad essere regolate dall’alto le condizioni del salario e le condizioni della esistenza, quindi, della massa dei cittadini.
I trasporti non funzionavano, le ferrovie erano completamente disorganizzate .... la situazione era tragica anche per quello che riguardava l’animo, lo spirito, le coscienze degli uomini. Era scomparso l’apparato fascista. Si erano ricostruiti i partiti e questi conducevano una certa agitazione in particolare contro la monarchia. Maledicendo il fascismo ed esecrando la monarchia si riusciva anche facilmente a ottenere l’applauso, benché si comprendesse abbastanza agevolmente che gli applausi anche entusiastici nascondevano uno stato d’animo di disperazione, creato, oltre che dalle sofferenze, dal fatto che le grandi masse popolari non vedevano davanti a se nessuna via aperta per uscire da quella situazione .... Che cosa bisognava in quella situazione? Noi comprendemmo e dicemmo apertamente che bisognava unire le forze e gli animi di tutti gli Italiani, di tutta la nazione per fare risorgere la nazione italiana, e che questa resurrezione doveva incominciare dalla partecipazione dell’Italia alla guerra contro la Germania e contro i fascisti che la servivano. Due terzi dell’Italia erano in mano dei Tedeschi e noi sapevamo che nelle regioni settentrionali gia’ erano organizzate le unita’ partigiane e i migliori tra gli Italiani combattevano.
Bisognava che questo sforzo, che era partito dal basso, riuscisse a culminare nella formazione di un governo nazionale in cui tutti gli Italiani potessero dirigere lo sforzo di tutto il paese per risorgere, riprendere un posto in mezzo alle nazioni e risanare le piaghe.
Questa fu la nostra aspirazione fondamentale, il nostro punto di partenza....[1]”.
Ripercussioni sui CLN di Napoli e di Roma
Il modo con cui fu annunciato l’armistizio, la sorpresa, la fuga del re e di Badoglio, la formazione in Roma del C.L.N., l’inizio della lotta armata, riproposero con forza l’esigenza di un governo di unità nazionale, capace di condurre la guerra nazionale e antifascista [2]. Il tema del governo di unità antifascista e nazionale fu al centro della travagliata vita del Comitato di Liberazione Nazionale: a Roma ed a Milano, nell’Italia occupata, varie furono le vicende di quella confusa discussione che interessò anche la zona d’Italia già liberata a Napoli e Bari, in situazioni molto diverse e con i diversi problemi posti al Centro ed al Nord dalla necessità di condurre la guerra partigiana e di organizzare nelle città e nelle campagne la lotta di massa, ed al Sud dalla presenza del re, del governo Badoglio, e dei comandi militari Alleati.
Il collegamento tra i vecchi antifascisti e le nuove leve della Resistenza, se fu facile ad attuarsi sul terreno della lotta armata, fu assai piu’ lento sul piano culturale. Tutti i partiti del CLN si vennero profondamente trasformando nel corso degli anni 1943 – 1945.
Il P.C.I. passò, in breve tempo, da un piccolo partito di quadri ad un largo partito di massa e vide crescere l’autorità ed il prestigio del proprio gruppo dirigente che aveva costituito a Roma, il 30 agosto 1943, la Direzione del partito.
Tristi giorni, quelli dell’armistizio, per ogni italiano, soprattutto per ogni soldato italiano. La gioia di vedere finalmente ripudiata una alleanza e una guerra che erano state imposte dal dittatore, veniva amaramente offuscata [3].
Ancora una volta gli Anglo-Americani avevano dimostrato profonda incomprensione della situazione italiana; attraverso l’imposizione di un armistizio durissimo avevano pregiudicato irrimediabilmente la possibilità di una partecipazione decisiva delle forze armate italiane alla guerra contro la Germania. Le trattative di armistizio erano condotte male da parte italiana; ma erano state peggio impostate da parte Anglo-americana.
Ora l’Italia era devastata dalla guerra e le inermi popolazioni esposte alle rappresaglie tedesche. Molti, smarriti, dubitavano. Era lecito, per l’Italia, conchiudere l’armistizio? Era decoroso aver conchiuso quell’armistizio? E la fuga. Precipitosa, dell’alba del giorno 9 settembre?
Secondo il Lombardi [4], era lecito l’armistizio perché alla guerra gli italiani erano stati trascinati, nel giugno del 1940, dall’arbitrio di una minoranza faziosa che aveva tradito gli interessi e la volontà della maggioranza. La “fuga” da Roma – sempre secondo il Lombardi – fu una triste necessità; nella situazione determinatasi improvvisa durante la notte del 9 il re e Badoglio avevano il dovere di allontanarsi da Roma. Rimanere, essi, e farsi catturare sicuramente entro poche ore dai Tedeschi, sarebbe stato imperdonabile errore che si sarebbe aggiunto agli errori in precedenza commessi. Per condurre il paese verso la liberazione, accanto agli Anglo-Americani, era indispensabile che nel governo del Sud si potesse vedere da tutti, inequivoca, la continuità con il governo legittimo precedente l’8 settembre.
Il 10 ottobre, con telegramma dal Sud, si chiedeva al colonnello Montezemolo di assumere il compito direttivo e organizzativo dell’ufficio informazioni che era sorto, per opera dello stesso Montezemolo, a Roma occupata. A Roma molti lavoravano, contro il tedesco; moltissimi erano pronti a lavorare. Occorreva coordinare gli sforzi; chi raccogliesse, dal sacrificio dei singoli, il vantaggio di sintesi, per l’Italia [5]. Così nel campo strettamente informativo, come nel settore più vasto della organizzazione della resistenza.
Accanto all’attività tipicamente informativa Montezemolo si dedicò alla organizzazione delle “bande” in ogni regione del territorio occupato dai Tedeschi.
Il maggior numero di elementi, era dato dai militari sbandati dell’8 settembre. E taluni affluirono alle “bande” che i vari partiti venivano organizzando; molti rimasero senza colore politico, italiani che semplicemente volevano condurre – a qualunque costo – la lotta contro l’oppressore.
Le “bande” adempivano a molteplici compiti, nella economia della guerra; conservavano gli uomini in libertà sottraendoli alle “chiamate” tedesche e fasciste; alimentavano nella popolazione lo spirito di resistenza e di reazione alla oppressione nazifascista; svolgevano sistematica opera di sabotaggio; distoglievano dal fronte notevoli contingenti di truppa germanica e repubblicana necessari a presidiare il territorio “infestato dalle bande”; mantenevano in continuo allarme le unità comunque lontane dalla linea di fuoco; predisponevano, per la vigilia della liberazione, la rivolta armata in ogni regione d’Italia, la protezione degli impianti industriali e delle linee di comunicazione.
Singolare era la situazione del governo dopo l’8 settembre. Il capo dello stato ed il capo del governo, con alcuni ministri, a Brindisi; la maggior parte dei ministri, a Roma; in mezzo, il fronte di combattimento.
A Nord della linea di fuoco il dominatore tedesco e il nascente governo fantoccio della repubblica sociale.
I ministri lasciati a Roma il 9 settembre, pur essendo rimasti formalmente in carica, non potevano fare altro che vivere alla macchia dove c’erano altri individui che attivamente lavoravano e si proclamavano spontanea espressione della nuova Italia. Dopo la breve parentesi di luce, tra il 25 luglio e l’8 settembre, i partiti politici antifascisti erano tornati nell’ombra; ma questa volta con decisa volontà di osare [6].
Il Comitato di Liberazione Nazionale, costituito di autorevoli esponenti dei vari colori dell’antifascismo, si orientava ad assumere il governo non appena Roma fosse stata liberata dai Tedeschi. I politici antifascisti non si rendevano sufficientemente conto, allora, che se l’Italia occupata era sotto la dominazione Tedesca, l’Italia libera, era sotto il controllo Anglo-Americano.
In proposito e’ interessante vedere come fin dai primi di ottobre 1943 si lavorava per la formazione del futuro governo politico.
Da Roma si telegrafava a Brindisi: “18 OTTOBRE – NOTI PARTITI PROGETTANO GOVERNO COME COMITATO SALUTE PUBBLICA COMPRENDENTE CASATI DEGASPERI NENNI MARCHESI LUSSU ALT”.
E tre giorni piu’ tardi, dopo aver raggiunto Bonomi: “ 21 OTTOBRE – CONFERITO BONOMI ALT RISPONDE QUALE PRESIDENTE COMITATO LIBERAZIONE NAZIONALE COMPRENDENTE LIBERALI CASATI DEMOCRISTIANI DEGASPERI DEMOLAVORO RUINI AZIONE LAMALFA SOCIALISTI BUOZZI NENNI COMUNISTI ROVEDA SCOCCIMARRO AMENDOLA ALT NOME DETTI SEI PARTITI BONOMI SUBORDINA PARTECIPAZIONE GOVERNO TRE PUNTI ALT PRIMO ALT RINNOVARE MINISTERO NON ENTRARE ATTUALE AVALLANDONE ATTI PRECEDENTI ALT. SECONDO ALT GOVERNO POLITICO NON MILITARE ALT SEI PARTITI DISPOSTI COLLABORARE BADOGLIO CAPO MILITARE ET NON CAPO GOVERNO ALT TERZO ALT QUESTIONE ISTITUZIONALE RINVIATA ASSEMBLEA CIOE’ NON SOLO DELIBERA GOVERNO MA ANCHE FORMA GOVERNO ALT GOVERNO INTANTO CONTINUA FARE CAPO CORONA MA SI IMPEGNA EVITARE AZIONI CHE POSSANO PREGIUDICARE FUTURA LIBERA ESPRESSIONE PAESE AL RIGUARDO ALT.
BONOMI RITIENE SAREBBE COSI’ RAGGIUNTA UNITA’ ANIMI PER GUERRA ALTA CHIEDE NON SI FACCIANO NOMI SINO AVVENUTA LIBERAZIONE ROMA ALT SI EST IMPEGNATO EVITARE SPECULAZIONI POLITICHE ER DISSIDENTI IN ROMA DURANTE TRAPASSO ALT PERSONALMENTE RILEVO UTILITA’ QUESTO IMPEGNO ALT RESTO SARA’ TRATTATO ROMA ALT TERZO PUNTO DOVUTO SINISTRE DI CUI PARTITO AZIONE PUO’ ESSERE......SCOSSO DA ATTEGGIAMENTO SFORZO ALT COMANDO RAPPRESENTA MOLTO MA NON TUTTO ALT".
Da Brindisi il Maresciallo Badoglio rispondeva assumendo, di fronte al partiti, ben precisa posizione:
“ 10 NOVEMBRE - 53 - AVUTA VISIONE PROPOSTE BONOMI ET PRESI ORDINI DAL RE MARESCIALLO BADOGLIO COSI’ RISPONDE: CONTINUERO’ REGGERE GOVERNO SINO A COMPLETA LIBERAZIONE ROMA ALT CIO’ OTTENUTO DARO’ DIMISSIONI E MI RITIRERO’ VITA PRIVATA ALT NON HO MAI CHIESTO CHE ALCUNO AVALLI OPERA MIA DELLA QUALE VOGLIO MANTENERE INTIERA RESPONSABILITÀ ALT A ROMA IL RE PROVVEDERA’ COSTITUZIONE NUOVO GOVERNO CON UOMINI POLITICI ALT”
Nella città di Roma si attende con ansia il momento della Liberazione ma i mesi trascorrono nella angoscia fino al momento che lo sbarco di Anzio risveglia la speranza di vedere finalmente gli Alleati; ma con il passar dei giorni tutte ritorna come prima.
Per poter comprendere, anche in minima parte, quello che era lo stato d'animo di quei giorni, è significativo quanto disse alla Camera del Comuni lo stesso Churchill il 22 gennaio 1944: “Io avevo sperato di lanciare sulla spiaggia un gatto selvaggio, mentre invece ci troviamo sulla riva con una balena arenata"[7].
Ad illuminare quelle tragiche giornate romane, oltre il messaggio del colonnello Montezemolo, inviato a Brindisi e qui riprodotto – “INCRUDISCONO MISURE POLIZIA ALT IERI GROSSE RETATE CENTRO CITTA’ ALT CATTURATI CONCENTRATI MACAO ALT SNERVANTE ATTESA ET TRAPELATA AZIONE DISCORDE PARTITI DEMORALIZZA ET DISORIENTA POPOLAZIONE ALT INFORMATORE RIFERISCE CHE NOSTRE BANDE DOPO AVERE OCCUPATO VELLETRI SONO STATE SOPRAFFATTE ET ANNIENTATE ALT" – si tenga presente 1’amaro commento di Churchill: “………. questa è la storia della battaglia di Anzio, una storia di grandi occasioni perdute e di speranze infrante…..”[8]
Il programma di Salerno e la forze armate
“La “svolta” di Salerno è la scelta da parta dal partito comunista di diventare un partito di Governo. Togliatti comprende che gli operai, che hanno vissuto l'esperienza del fascismo, del tribunale speciale, dei carceri, delle isole di confino, dell'esilio, della guerra di Spagna e dei campi di concentramento nazisti, sentono la necessità di essere liberati dal nichilismo politico dello pseudocomunismo astensionista dal passato, dall'estremismo parolaio, dalla impotenza del massimalismo, e di essere liberati ancora dalla mancanza di principi, dall’opportunismo, dal fariseismo altrettanto impotente dai riformisti.
Gli operai sentono il bisogno di avere un partito nuovo”[9].
Aver colto questo bisogno operaio di un nuovo modo di far politica, averlo tradotto in un piano organico e flessibile, e infine averlo imposto come programma di un partito di governo rimane, senza dubbio, un capolavoro di tattica politica.
Il fine strategico sarebbe stato l’egemonia, nel senso di direzione politica, della classe operaia dentro lo stato.
“Proprio su questa forza in espansione, accresciuta e organizzata, bisognava – sempre secondo Togliatti – che il partito facesse leva per riproporre, all’interno della macchina statale e in una posizione egemone dentro un blocco politico di forze sociali e nazionali, il dualismo classe operaia – capitale, per tentare di trasformare questo rapporto storicamente perdente per la classe operaia in uno strategicamente vincente".
Con la "svolta" di Salerno Togliatti, sul piano dalla politica interna, riusciva a forzare gli avvenimenti costringendoli a modificarsi a favore dal partito comunista.
Nel 1944, la situazione di attesa che ristagnava nel mondo politico italiano faceva prevedere per i partiti politici in generale e per il partito comunista, in particolare, ben altri approdi: o il perdurare dalla stasi politica fino alla liberazione, o un ruolo del CLN, subordinato agli interessi moderati e conservatori appoggiati dalla monarchia e dagli Inglesi, o addirittura "un tentativo disperato di insurrezione destinato sicuramente a una tragica sconfitta, da cui sarebbero occorsi molti anni prima che il movimento operaio potesse liberamente riorganizzarsi"[10]. L’aver scelto la via dal governo voleva dire modificare lo sbocco dogli avvenimenti, ampliare il terreno di scontro, agire in una situazione di potere. Togliatti riconduceva il partito sul terreno dove Lenin lo aveva fatto nascere, quello della pratica statuale, imponendogli nuove forme di "far politica". Con piani concreti, scelte determinate, nuovi obbiettivi il partito costringeva tutti gli altri partiti a misurarsi e a confrontarsi sulla sua scelta sul suo programma[11].
Nel suo programma politico quello che primeggiava era: "ripristino dell'autorità e della funzione dello Stato in seno alla vita produttiva dal Paese" -"Lotta perché lo Stato facesse sentire il suo peso nella redistribuzione del reddito mediante una politica fiscale tesa ad evitare l’impiego del risparmio a fini speculativi"[12].
Si doveva creare una "democrazia progressiva" capace di tagliare, per mezzo della necessarie riforme, le radici economiche e sociali dal fascismo; una democrazia, che superando i limiti della tradizionale democrazia borghese, si volgesse verso il socialismo.
Con questa "svolta" nella gestione governativa si rendeva necessaria anche e soprattutto una operazione di democratizzazione dell’esercito, almeno di quella parte che, armi alla mano, stava combattendo, o si apprestava a farlo, a fianco degli Alleati.
Si poneva, impellente, il "problema del volontariato ed in questo senso ci fu una spinta determinante da parte del PCI sia con la propaganda politica che con l'azione di governo fino a concludersi con 1’afflusso dei partigiani nel CIL, nucleo di quello che avrebbe dovuto essere il nuovo esercito democratico nazionale.
Per la soluzione della "democraticizzazione dell'esercito" il principale provvedimento, elaborato dal sottosegretario alla guerra, era volto ad assicurare "libertà di pensiero politico a tutti i soldati ed ufficiali onde sia spezzato per sempre il costume fascista che tendeva a trasformare i militari in macchine senza coscienza”[13].
Si credeva con questo di abbattere una volta per tutte i sistemi di gestione monarchico-fascista della guerra e soprattutto degli uomini che la dovevano fare. Si doveva insomma iniziare un nuovo periodo; la realtà purtroppo non fu cosi, infatti "i patrioti arruolatisi dovettero subito reagire ai mal celati propositi reazionari degli arruolatori grazie alle cattive intenzioni di quelli che avrebbero voluto preparare una guardia armata al neo-fascismo, e malgrado la buone intenzioni di vari patrioti che avrebbero voluto battersi contro l’invasore tedesco, la soluzione del problema del volontariato dovette essere rimandato a tempi migliori"[14].
La linea democratica progressiva seguita dai comunisti consigliava di porre, volta a volta, i problemi più urgenti e centrali, alla cui soluzione era affidata la possibilità di creare sempre nuovi spazi alla ripresa democratica del paese. Fare la guerra per difendere il paese e conquistare l'indipendenza; creare con la conquistata indipendenza le condizioni per risolvere, con il ricorso alle elezioni, il problema istituzionale.
“A Salerno[15] fu significativo il fatto che un partito comunista, per la prima volta nell'Europa occidentale, partecipasse al governo e proprio in una nazione come l'Italia in cui le forze cattoliche e vaticane miravano alla successione di un sistema che stava tramontando; se il partito comunista riuscì a tanto fu per la sua capacità politica e per il suo contributo alla lotta antifascista e all’organizzazione della Resistenza".
In un primo periodo - dall'aprile 1944 all'aprile 1945 - l'obiettivo principale dei comunisti fu quello di "fare la guerra" e di recare il massimo aiuto politico e militare ai patrioti che combattevano nelle regioni occupate, per giungere alla liberazione del paese col massimo concorso dagli italiani. Dopo l'insurrezione nazionale del 25 aprile 1945 l'obiettivo principale divenne quello della ricostruzione del paese, della convocazione al più presto delle elezioni di una Costituente e della fondazione dalla Repubblica.
Un comunista alla difesa e 1° "esercito democratico”
Con l'iniziativa dalla costituzione di un governo rappresentativo dei partiti del Comitato Liberazione Nazionale più il partito democratico Italiano, monarchico, sotto la presidenza di Badoglio, e con l’accantonamento della questione monarchica, si rovesciò 1a situazione mettendo in primo piano le forze democratiche e popolari avanzate assicurando propositi di rinnovamento che non avrebbe potuto avere un governo conservatore. Naturalmente ci furono difficoltà e contrasti sia tra i partiti stessi e sia tra questi e le autorità alleate che allora controllavano di fatto tutta l’Italia già liberata.
Le proposte che il governo fece, misero in crisi la politica fatta fino a quel momento dagli Alleati verso l'Italia. Esse aprivano la strada ad una ricostruzione e rinascita dello Stato italiano a cui gli Alleati non erano più in grado di opporsi.
E’ interessante in proposito il pensiero di Palmiro Togliatti che disse: "Circa i risultati dell’operazione compiuta costituendo il governo di Salerno il giudizio che do è nettamente positivo e si estende anche a ciò che fece Badoglio. Non voglio qui giudicare Badoglio per ciò che fece sotto il fascismo e 1’8 settembre, però in quel momento noi sentimmo che egli lavorava insieme con noi per riuscire a dare all'Italia una fisionomia politica, avere un governo che potesse rappresentarci di fronte Mondo, impegnarsi nella guerra ed in questo trovare la via della redenzione nazionale del nostro paese…
Far ciò che riguarda la politica militare, si deve al governo di Salerno l’iniziativa di trasformare il raggruppamento precedentemente costituito in quel Corpo Italiano di Liberazione alla cui testa fu il generale Utili… Concludendo, il governo di Salerno ebbe una parte positiva nello sviluppo della lotta per la Liberazione e fu giusta l'iniziativa che portò alla sua costituzione. E’ evidente, l'apporto decisivo doveva venire e venne dal Nord, dalla costituzione dell'esercito partigiano, dai suoi combattimenti, dai suoi sacrifici e dalla sue vittorie. Ma a Salerno era stato fatto un passo avanti di notevole lunghezza. E il popolo lo comprese. Quando il governo si costituì, ci fu uno slancio di entusiasmo nelle masse meridionali delle città e delle campagne. Noi ci chiedevamo il perché di questo entusiasmo, dato che il governo non poteva dare e non dette grandi cose concrete al popolo. Una cosa, però, il popolo aveva riconquistato: aveva riconquistato la speranza che l’Italia sarebbe stata di nuovo un paese nel quale fosse possibile e fosse degno di vivere.
Per questo noi lavorammo, per questo noi combattemmo… Non per niente il Comitato di Liberazione dell’Alta Italia approvò quanto a Salerno si era fatto e dichiarò ufficialmente di "collaborare pienamente col governo democratico costituito con la partecipazione dei Comitati antifascisti". Giustamente erano state interpretate, a Salerno, le più profonde aspirazioni della coscienza nazionale"[16].
La costituzione del Corpo Italiano di Liberazione
Nel sacrario che domina la monumentale platea di marmo sulle pietraie del Monte - severo tempio, aperto sulla sua facciata misurata da forti colonne ioniche - sono conservati i corpi dei Caduti di Montelungo. Fuori del tempio, in gironi degradanti, è allineato il bianco "reggimento di marmo" di oltre mille tombe. Tutti i caduti militari della guerra di Liberazione dal 1943 al 1945. Fra loro ha voluto trovare estremo riposo il loro comandante, il generale Utili.
La stessa disposizione del Cimitero è dunque simbolica; il Corpo Italiano di Liberazione si costituì infatti intorno al primo nucleo combattente, o cioé attorno a quel I° Raggruppamento Motorizzato cui va la gloria di Montelungo[17].
Dopo lo ripetute insistenze del generale Utili arriva dalla Sardegna il battaglione paracadutisti che con i due battaglioni dal 68° fanteria "Legnano" formano il rinnovato Raggruppamento.
Gli americani, con uno di quei soliti tiri mancini li mettono a combattere coi marocchini del C.E.F. Infatti con l'ordine 341 dell'8 febbraio 1944 il Raggruppamento italiano è messo a disposizione del generale Guillaume Comandante il Gruppo Nord[18].
E’ ancora un chiaro segno che da parte alleata si diffida ancora. Il Raggruppamento viene ad operare nell’ambito della 2^ divisione marocchina comandata dal generale francese Dody e farà da cuscinetto fra i Marocchini ed i Polacchi di Anders che combattono con 1’8^ Armata e si trovano - nello schieramento - alla sinistra dei Marocchini stessi.
Il 10 febbraio il generale Guillaume, comandante del Gruppo Nord, recava il suo saluto allo truppe del Raggruppamento con queste parole: "Sono fiero di avere alle mie dipendenze truppe italiane ed esprimo loro, "messieurs les officiers”, la mia vera soddisfazione. Entrambi i nostri paesi sono stati portati per colpa dei governanti a commettere gravi errori politici che noi, combattenti nel nome della libertà, cercheremo di correggere scacciando e distruggendo il comune nemico per liberare le nostre famiglie oppresse. Sono sicuro che da questo storico giorno in cui le armi italo-francesi riprendono a combattere a fianco a fianco contro lo stesso nemico, come nella passata guerra, sorgerà una nuova era di comprensione e di collaborazione sincera. Noi dobbiamo essere oltre che degli Alleati anche degli amici[19].
A Montelungo si accese la prima scintilla di quella vivida fiamma che si propagò per tutto il Paese illuminando gli animi di una nuova luce di speranza e di sacrificio: la fulgida luce della Resistenza. Montelungo, dissipate in parte le diffidenze alleate, permise all’esercito italiano di reinserirsi nella lotta con forze sempre più cospicue. Al I° Raggruppamento Motorizzato si sostituì un nuovo I° Raggruppamento, adatto alla guerra di montagna e fornito dei tradizionali muli; si aumentò anche l'organico che raggiunse i 10000 uomini[20].
Nel marzo del 1944 il Raggruppamento venne aumentato negli organici fino a raggiungere 25000 uomini tra cui truppe alpine, bersaglieri e paracadutisti e si chiamò Corpo Italiano di Liberazione assumendo anche, sempre a1 comando del generale Utili, un ruolo più impegnativo[21].
Successivamente il CIL dette vita ai 6 Gruppi di combattimento: Cremona – Friuli - Folgore - Legnano - Mantova - Piceno.
Le loro gesta sono ormai consegnate alla storia: Montelungo, Monte Marrone, Le Mainarde, Orsogna, Chieti, Guardiagrele, L'Aquila, Teramo, Tolentino, Macerata, i combattimenti di Filottrano, il forzamento del Musone, l'avanzata sulla linea dell’Esino, la liberazione di Jesi, Urbino, Bologna sono 1e tappe gloriose delle forzme italiane di Liberazione. La fiaccola, accesa a Montelungo 1’8 dicembre 1943, aveva continuato a brillare[22].
Quei pochi avevano combattuto per tutti, garanti del valore si conquistarono un posto nella nuova storia della Nazione e favorirono il reingresso dell'Italia nella coscienza mondiale.
Una questione di democratizzazione dello stato.
Dalla caduta del fascismo alla fine della guerra si succedettero in Italia quattro governi.
Furono governi di ispirazione antifascista e di impegno a restaurazione democratica ma soltanto governi di emergenza, non risultanti da un sistema di elezioni popolari.
Il primo governo Badoglio, nelle sue due formazioni di Roma e Brindisi, fu di emanazione regia; i successivi furono nominati anch’essi dal capo dello Stato, ma fondamentalmente emanazione dei partiti collegati nel Comitato di Liberazione Nazionale. L’avvento di ognuno di questi governi contrassegna una crisi[23].
La crisi del fascismo e della guerra fascista diede vita a1 primo governo Badoglio. L’impegno del re di delegare i suoi poteri al figlio e di far convocare la Costituente a guerra finita originò il secondo ministero Badoglio con la collaborazione dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale.
La riconferma legislativa di tali impegni e del patto di tregua istituzionale mediante la nuova formula del giuramento dei ministri contrassegnò l'avvento del primo governo Bonomi[24].
L'esplosione delle controversie tra i sei partiti del CLN – che già ne avevano tormentato l'esistenza in periodo di clandestinità – su la interpretazione e l'osservanza dei patti di tregua istituzionale, si risolse nel rifiuto del partito d'azione e del partito socialista di partecipare al secondo governo Bonomi in attesa del "vento del Nord".
Quanto al modo della loro nascita va ricordato che il primo governo Badoglio fu preparato nel segreto del Quirinale tra le angosce di disastri militari, di un'alleanza rivoltasi in dura sudditanza, dello sfacelo di un regime che aveva impedito la formazione di forze politiche di ricambio e di una disfatta che minacciava di compromettere definitivamente l’unità e l'indipendenza nazionale[25].
Che la monarchia stessa, come dinastia e come istituzione si sentisse in pericolo, era opinione generale e su di essa avevano premuto, con lusinghe o minacce, sempre in strettissimo segreto,persone e movimenti di differente estrazione: fascisti, antifascisti, militari ed ecclesiastici.[26]
Ma quello che ufficialmente si chiama il secondo Ministero Badoglio, quello con i partiti dle CNL (con Sforza, Croce,Togliatti,Rodinò, Mancini, Omodeo, Arangio-Ruiz e Tarchiani) ebbe origine da un lungo e serio travaglio in regime di libertà, di democratica organizzazione dei partiti che accoglievano non solo i meridionali, ma numerosi elementi rifugiatisi dal settentrione e di reduci Commissione Alleata di Controllo.[27]
Dalla formazione di quel governo e dalla mutata formula del giuramento dei ministri, nella quale non si parlava più della fedeltà al re e successori, i partiti che l’avevano pretesa trassero la conclusione di aver attuato una quasi rivoluzione.
I patti per la formazione del primo governo Bonomi in realtà non fecero che ribadire l’impegno di rimettere al paese, a territorio nazionale liberato, la scelta della forma istituzionale dello Stato, con l’elezione di una Assemblea Costituente per deliberare la nuova Costituzione. Il patto di tregua istituzionale fu ribadito dalla nuova formula di giuramento che non comportava dichiarazione di fedeltà alla Corona, ma imponeva però ai Ministri l’obbligo di “non compiere atti che comunque pregiudicassero la questione istituzionale”.[28]
Fu ancora un colpo di testa dei socialisti affiancati dagli azionisti ostinati a voler forzare la interpretazione e l’applicazione di quei patti, che dette origine alla più inopportuna delle crisi, quella del novembre 1944 alla vigilia del più duro inverno di guerra per le poverissime popolazioni del sud e per le martoriate popolazioni e formazioni partigiane del nord. Ne derivò il secondo governo Bonomi con soli quattro partiti della coalizione. Ma ormai, questa volta, la crisi si svolgeva in regime di libertà e di pubblici dibattiti, fuori degli intrighi della clandestinità e dei Comitati ristretti e delle convocazioni di comodo. I partiti erano vigilanti e potevano facilmente consultarsi e dare impegnative istruzioni ai loro rappresentanti: l’opinione pubblica veniva così informata.[29]

[1] (1) PALMIRO TOGLIATTI – Trent’anni di Storia italiana, Einaudi editore, Torino 1962, pagg. 366 e segg.
(2) GIORGIO AMENDOLA – Riflessioni su una esperienza di govrno del PCI (1944-1947), Storia contemporanea, Dicembre 1974, Il Mulino, pag. 707.
[2] GABRIO LOMBARDI – Montezemolo e il fronte clandestino di Roma, pag.14.
[3] GABRIO LOMBARDI - Montezemolo e il fronte clandestino di Roma, pag.15.
[4]
[5] (5) GABRIO LOMBARDI - Montezemolo e il fronte clandestino di Roma, pag.21.
[6] GABRIO LOMBARDI - Montezemolo e il fronte clandestino di Roma, pag.41.
[7] WINSTON CHURCHILL – “La seconda guerra mondiale”, Mondadori, pag. 631.
[8] WINSTON CHURCHILL – “La seconda guerra mondiale”, Mondadori, pag. 701.
[9] PALMIRO TOGLIATTI – “Partito nuovo” – in Rinascita, 1944
[10] GIORGIO AMENDOLA – “Riflessioni su una esperienza di governo del PCI (1944-1947); articolo pubblicato su “Storia contemporanea” di dicembre 1974, pag.724.
[11] PALMIRO TOGLIATTI – articolo citato
[12] GIORGIO AMENDOLA – “Riflessioni su una esperienza di governo del PCI (1944-1947); articolo pubblicato su “Storia contemporanea” di dicembre 1974, pag.729.
[13] LORENZO BEDESCHI, op. cit., pag.90
[14] Idem
[15] ENZO SANTARELLI – Dalla prefazione del libro di Agostino Degli Espinosa “Il regno del Sud”, pag.XVIII.
[16] PALMIRO TOGLIATTI – 30 anni di Storia Italiana, Einaudi Editore,Torino, pagg.366 e segg.
[17] Vedi Appendice – Allegato n.39.
[18] Vedi Appendice – Allegati nn.40, 41, 42.
[19] ANTONIO RICCHEZZA – L’esercito del Sud – pag.131.
[20] Vedi Appendice – Allegati nn.43 – 44.
[21] Vedi Appendice – Allegato n. 45.
[22] Vedi Appendice – Allegati nn. 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58.
[23] AGOSTINO DEGLI ESPINOSA, opera citata.
[24] Idem.
[25] Leone Cattani – Dal 25 luglio alla Repubblica (1943-1946) Torino ERI 1966, pagg.71 e segg.
[26] Agostino Degli Spinosa, opera citata.
[27] Leone Cattani – opera citata.
[28] Agostino Degli Spinosa, opera citata
[29] Leone Cattani, opera citata.

mercoledì 21 gennaio 2009

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO
FACOLTÀ DI MAGISTERO CORSO DI LAUREA IN SOCIOLOGIA
Tesi di laurea
MONTELUNGO 1943
UNA PAGINA DI CRONACA NELLA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE
Laureando STELIO TOFONE Matr. 011380 RELATORE Chiar. Prof. ENZO SANTARELLI
Anno accademico 1975-1976

CAPITOLO IV
PREPARATIVI E DINAMICA DEL FATTO D’ARMI

Dalla Puglia alla Campania:”O Roma o morte”
In quei giorni del 1943, gli Alleati Anglo-Americani non potevano neppure lontanamente immaginare quale fosse la condizione dell’Italia in guerra: per loro, il subitaneo crollo del Paese e le ripetute sconfitte rappresentavano un mistero. Da qui una sempre più spiccata diffidenza, espressa da parte loro senza troppa finzione.
Perplessità che non venne certo meno allorché essi videro pochi italiani affrontare con risolutezza del contingenti germanici; anzi, gli sporadici episodi di valore e decisione che ebbero luogo, non fecero che radicarli paradossalmente nella convinzione di frenare ogni “velleità”, e qualunque tentativo di rialzare la testa da parte degli uomini in grigioverde.
Il che risulta chiaro nel seguente commento:”quando i contingenti dell’8^ Armata inglese sbarcarono a Taranto e poi in altri porti pugliesi, reparti italiani si battevano animosamente contro i paracadutisti tedeschi a Bari, a Santeramo in Colle, a Gioia del Colle e in altri siti, in modo da assicurare da ogni sorpresa tale delicata operazione. Essi, gli italiani, non desideravano che continuare questa ardita funzione di avanguardia, tanto più che potevano contare di essere energicamente sostenuti. E furono molto delusi quando ricevettero l’ordine brusco e perentorio di fermarsi e di lasciarsi sopravanzare. Ancor più delusi furono quando vennero spogliati, a discrezione dei singoli reparti inglesi, man mano che passavano, dei loro autocarri, dei loro quadrupedi e di quant’altro poteva servire loro per una rapida avanzata”. La delusione toccò poi il fondo dell’amarezza quando, deposte le armi, furono destinati a compiti di manovalanza [1].
La fine di giugno 1943 molte Scuole Allievi Ufficiali di Complemento furono trasferite, dalle loro sedi, in Puglia con compiti di protezione degli aeroporti e data l’impreparazione militare degli allievi come reparti antiparacadutisti.
La notizia dell’armistizio raggiunse questi reparti e provocò reazioni diverse. Alcuni furono contagiati dal fatidico grido “tutti a casa”, si sbandarono e persero la via del nord; altri restarono ai loro posti subendo gli attacchi ed i soprusi dei teschi.
L’unico reparto che reagì con le armi, alla notizia dell’armistizio, fu il LI° Battaglione A.U.C. dei bersaglieri che fin dal 9 settembre partecipò a numerose azioni contro i tedeschi, dalla difesa del porto di Bari alle azioni svolte fino al 26 dello stesso mese. A seguito di ciò il LI° Battaglione fu scelto per far parte del I° Raggruppamento Motorizzato.
Pertanto accanto agli operai e contadini, che rappresentavano il grosso dei due battaglioni del 67° fanteria Legnano, vengono a trovarsi anche gli intellettuali in quanto il LI° bersaglieri è costituito, per la quasi totalità, di laureati e studenti universitari.
Fin dai primi giorni il Comandante del Raggruppamento invita tutti i componenti il LI° Battaglione, compresi gli uomini dei servizi, ad esprimere eventuali dubbi sulla partecipazione alla guerra di librazione: in sostanza si volle dare a quei giovani la facoltà di una scelta con piena facoltà di andarsene in caso di risposta negativa. Si disse che quelli che accettavano di restare dovevano essere considerati “volontari” ma questa distinzione non fu mai successivamente data alle truppe regolari del Raggruppamento.
Durante il trasferimento verso la Campania fu proprio un reparto del LI° bersaglieri che su camion e autobus ripropose la scritta garibaldina “o Roma o morte”.
Quanto si giunse ad Avellino gli scontri con i giovani locali e le scritte sulla stampa che definiva tali soldati “una compagnia di ventura” e “mercenari al soldo della casa Savoia” provocò zuffe furibonde soprattutto da parte di coloro che volevano partecipare alla guerra i liberazione con spirito repubblicano e con la convinzione di operare per un ideale a cui credeva.
Logicamente questi fatti scossero il morale degli uomini, anche se non in modo determinante.
Oltre ciò, in quei giorni si verificò l’invio in congedo delle classi dal 1911 al 1912, fatto che produsse un grande scombussolamento nei reparti del Raggruppamento e che provocò inoltre il famoso promemoria n. 494 operativo del 19 novembre 1943 del generale Rossi, sottocapo di Stato Maggiore, al maresciallo Messe, capo di Stato Maggiore generale: “con tale invio in congedo si compromette, con una crisi di una gravità eccezionale, la efficienza bellica del Corpo di spedizione, che, alla vigilia di andare in linea, perde seicento uomini dei più esperti e provati. Occorre, quindi:
immediata sostituzione dei congedandi con altri delle classi più giovani.
Gli elementi da trattenere dovranno essere tutti volontari e scelti uno per uno[2]
In Puglia nel frattempo, si era costituito, con tutti i residui reparti dei Battaglioni Allievi Ufficiali, un Raggruppamento al quale era stato dato il nome di “Curtatone e Montanara”.
Da questo raggruppamento si attinse, in massima parte, per completare i vuoti del congelamento delle classi 1911 e 1912.
Vari furono i motivi che portarono gli Universitari del “Curtatone e Montanare” ad arruolarsi volontari; si ebbero casi di persone che con questo gesto vollero abbreviare il tempo di separazione delle famiglie lontane – ci si illudeva ancora che le colonne motorizzate Alleate potessero raggiungere Roma in pochi giorni – molti credevano fermamente che quello era l’unico modo per riscattare la cocente umiliazione dell’armistizio e per combattere il nemico di sempre.
Non credo che molti avessero, in quel periodo, una coscienza politica tale e soprattutto una specifica preparazione politica da mettere al servizio dei molti indecisi.
Sicuramente molti di noi, volontari universitari, eravamo consapevoli di quanto stavamo facendo e per molti di noi erano chiari i futuri risvolti politici che la nazione avrebbe senz1altro avuto con la nostra modesta opera.
Non tutti, anche se poi portammo sulle nostre giubbe, come distintivo del Raggruppamento, il simbolo di casa Savoia, eravamo di fede monarchica ed anche se non avevamo chiare idee politiche eravamo decisamente portati ad una forme repubblicana di governo.
Partimmo dalla Puglia con certezza che tanti altri seguissero il nostro esempio e che partecipassero fattivamente a quella guerra di liberazione che doveva veramente darci, od almeno credevamo, una nuova Italia.
prima giornata: lo scacco dei piani iniziali.
La scarsa visibilità dovuta alla nebbia imprevista, il peso della difesa avversaria risultò di gran lunga superiore ai dati forniti dal servizio di informazioni, il mancato intervento di azioni concomitanti, l’impossibilità infine del promesso concorso dell’aviazione a causa delle avverse condizioni atmosferiche: sono tutti fattori che il nemico sfrutta, sicchè i nostri, infiltratisi nel suo dispositivo, vengono fatti segno a fuoco concentrato di armi automatiche ed artiglierie. La nebbia si dirada ed il monte non si presta ad appigli; i tedeschi tentano l’accerchiamento ed i nostri sono costretti a ripiegare sulle basi di partenza.
Il 10 dicembre il generale Dapino scriveva al generale Keyes, comandante del II° Corpo d’Armata della V^ Armata Americana, alle cui dipendenza operava il I° Raggruppamento Motorizzato: “nell’azione dell’8 dicembre il I° Raggruppamento Motorizzato italiano, dalle 6,20 alle 9,20, nel tentativo di conquistare Montelungo, ha perso il 30% della fanteria combattente – 500 perdite su circa 1600 fanti combattenti[3].
La fanteria, partita per l’attacco con slancio, confidente nell’opinione di trovarsi dinanzi ad un solo “velo di fuoco”, si trovò di fronte ad una organizzazione di fuoco lasciata intatta dalle artiglierie”.
Perché alle truppe italiane badogliane, impegnate nelle prima azione bellica contro i tedeschi, mancò il necessario appoggio delle artiglierie americane? E perché l’offensiva di Montelungo, affidata nella sua azione centrale ai fanti italiani – come primo colludo del nuovo impegno bellico dell’Italia postfascista – si trasformò in una tragica carneficina di giovani vite umane?
Scarsa organizzazione, errori tattici, mancanza di collaborazione: queste le motivazioni della tragica strage.
Sono le estreme conseguenze di un insieme di problemi che fanno capo ad una delle questioni più intrigate, scaturite dopo la nascita del cosiddetto “Regno del Sud”: la questione della cobelligeranza.
Verso un recupero: difesa e lotta sul terreno
il fallimento della prima azione su Montelungo deve essere attribuito al fatto che due delle premesse fondamentali per il successo delle truppe italiane – un eminente grado di efficacia del tiro di preparazione d’artiglieria e la sicurezza e l’appoggio sul fianco sinistro per parte delle truppe americane – sono venute a mancare.
Anche sulla destra – dove si sperava che l’azione vigorosa del 143° reggimento fanteria americano, appoggiato dal fuoco della 36^ divisione Texas, potesse riuscire ad alleggerire almeno la pressione tedesca sul fronte del Raggruppamento – non si era riusciti a conquistare gli obiettivi assegnati. Veniva così a cadere un’altra delle premesse per il successo delle truppe del Raggruppamento ossia che le truppe americane avrebbero potuto minacciare da oriente le posizioni di Montelungo, sia di fianco che su rovescio.
Nel frattempo il nemico contrattacca e preme in direzione di quota 253, favorito anche dal tempo, che frattanto si è fatto abbastanza sereno, sferra, con artiglierie, mortai e armi automatiche, un violento tiro di repressione sia sull’anzidetta quota 253, sia sulle posizioni di Ponte Primo Peccia.
Le fanterie del Raggruppamento, ritornate sulle basi di partenza, vi si disposero a difesa mantenendone, per tutto il resto della giornata, le posizioni, mentre la nostra artiglieria, in cooperazione con quella americana, continuò ad eseguire concentramenti di fuoco su quota 343, sulla quota “senza numero” a sud-est di quota 343 e sulla ferrovia [4].
Il comandante del Raggruppamento, l’indomani dell’azione, diede disposizioni per la sistemazione a difesa delle posizioni sulla linea: impluvio a sud di Ponte Primo Peccia – Ponte Primo Peccia quota 253 – quota 193- ansa della strada statale n.6. Su tali posizioni doveva essere fatta una difesa ad oltranza. La ferrovia e la strada nazionale n.6 dovevano essere sbarrate ed eventuali attacchi avversari dovevano essere contenuti con azione di arresto effettuato con le armi della fanteria e con l’artiglieria, e respinti con azione di contrassalto o di contrattacco. L’artiglieria americana avrebbe concorso allo sbarramento ed eventualmente anche alla repressione.
Per la difesa del settore erano assegnate le stesse truppe che avevano costituito la colonna d’attacco, e cioè: 67° fanteria, LI° battaglione bersaglieri, V° battaglione controcarri, due plotoni artiglieri e due sezioni da 20 contraerei. Non si ritiene opportuno prospettare di ritirare gli uomini dalla prima linea per dar loro modo di ricostituirsi e questo per non dare un’impressione sfavorevole del Raggruppamento e soprattutto perché il II° Corpo Americano progettava già un’imminente ripresa offensiva; una richiesta in questo senso avrebbe potuto destare negli alleati una impressione negativa.
Il comandante del Raggruppamento fece presente alle nostre maggiori autorità la necessità che la fanteria del Raggruppamento venisse rinforzata “con truppe fresche, scelte, bene inquadrate e non provate”; le quali potessero “costituire il primo scaglione del futuro attacco”. . Occorre – soggiungeva nella su relazione il comandante del Raggruppamento – che sia inviato al più presto un intero battaglione organico, urge poi l’invio di un reparto, anche piccolo, di arditi i quali, con azioni di pattuglia, precedendo come nuclei di combattimento le compagnie avanzate, possano rincuorare e ridare confidenza e fiducia alla fanteria attualmente abbattuta” [5].
Era urgente che il Raggruppamento venisse “rinforzato al più presto con un intero battaglione organico di fanteria ed una compagnia organica di bersaglieri”; mentre i due attuali battaglioni del 67° fanteria avrebbero potuto “contrarsi in uno solo”.
Insistendo perché gli elementi richiesti fossero sceltissimi, suggeriva di attingerli o dalla divisione “Nembo”, o dal reparto arditi della Sardegna, o anche dai volontari. Nello stesso tempo informava le autorità americane degli inconvenienti verificatisi nell’azione dell’8 dicembre e fece presente che sarebbe stato opportuno “concedere il tempo di riorganizzare le truppe di fanteria del Raggruppamento così duramente provate”, avvertendo di aver già richiesto alle superiori autorità italiane l’invio di un nuovo battaglione di fanteria [6].
Il sostegno alleato e la controffensiva italiana.
Il giorno 13 dicembre il comando della 36^ divisione Texas emanò l’ordine d’operazione relativo alla ripresa offensiva [7](7); e successivamente pervennero al Raggruppamento italiano gli ordini di operazione del 141° e del 142° reggimento fanteria americani interessati nella ripresa offensiva. La 36^ divisione, rinforzata da vari elementi, avrebbe attaccato nei giorni 15 e 16 dicembre per conquistare Montelungo, San Pietro, San Vittore e le alture a nord e a nord-est di san Vittore. In relazione a ciò veniva disposto che:
sulla “destra”, il 141° reggimento fanteria americano con non meno di un battaglione avrebbe attaccato il 15 dicembre per occupare San Pietro, mantenendosi in contatto sulla destra col 143° reggimento americano, che nella stessa giornata del 15 avrebbe continuato il movimento offensivo per occupare le alture a nord e ad est di San Vittore;
sulla “sinistra”, il 142° reggimento fanteria americano, con parecchi elementi di rinforzo, muovendosi dalle posizioni di Monte Maggiore avrebbe, nella notte dal 15 al 16 dicembre, attaccato da ovest Montelungo per occupare le ultime alture a nord-ovest di quota 343, mantenendosi in contatto sulla destra col Raggruppamento italiano;
al “centro”, il Raggruppamento motorizzato italiano avrebbe, il mattino del 16 dicembre a giorno fatto, attaccato Montelungo per conquistarne la quota 343 e rastrellarne le pendici mantenendo sulla destra il contatto col 141° fanteria americano;
nelle prime ore pomeridiane del 15 un battaglione chimico avrebbe provveduto ad annebbiare le pendici nord-est di Montelungo da quota 343 in su.
Questa volta l’azione affidata al Raggruppamento appariva, rispetto a quella dell’8 dicembre, inquadrata meglio e più razionalmente. In più due notevoli vantaggi erano a favore del Raggruppamento:
le truppe italiane avevano avuto tempo e modo di orientarsi sul terreno, sul nemico ed avevano potuto rinfrancare il proprio spirito combattivo nei riguardi dei Tedeschi;
le azioni sui fianchi avrebbero dovuto essere intraprese dagli Americani un giorno prima e quindi si poteva controllarne i risultati prima di muoversi. Inoltre Montelungo sarebbe stato, per effetto dell’attacco del 142° fanteria americano, preso di rovescio e a cominciare dalla sua quota più alta.
In tal modo le proporzioni tra compito e forze, per il Raggruppamento, si potevano dire ben rispettate, e lo sforzo richiesto commisurato allo scopo da raggiungere. A seguito delle disposizioni della 36^ divisione Texas il comandante del Raggruppamento emanò il suo ordine di operazione ove accennava al compito affidato al Raggruppamento “prendere e tenere quota 343 e rastrellare le pendici di Montelungo ad Est della ordinata 96” e precisava inoltre “Intendo – impadronirmi in un primo tempo, agendo per l’alto, della altura “senza indicazione di quota” a 300 metri a Nord-Ovest di quota 253 – attaccare, in secondo tempo, per le pendici Sud, quota 343”[8].
Come nell’azione dell’8 dicembre, anche questa volta ci sarebbe stata un’unica colonna d’attacco così costituita:
il II° battaglione del 67° fanteria “Legnano”;
il LI° battaglione Allievi Ufficiali bersaglieri;
il V° battaglione controcarri;
le due sezioni mitragliere da 20 contraeree;
i due plotoni artiglieri.
L’attacco sarebbe stato preceduto da una preparazione d’artiglieria della durata di trenta minuti. Al mattino del 16, poco dopo le ore 7.30, giunge notizia che truppe americane hanno occupato quota 141 e quota 351 di Montalungo. Alle 9.15 la colonna d’attacco italiana si muove dalle basi di partenza ed inizia l’attacco che si protrae fino ad oltre le ore 13 quando le truppe italiane occupano la quota 343.
Si effettuano i collegamenti sia sulla sinistra che sulla destra, che sulla quota 351 con le truppe americane ed a sera tutto Montelungo è saldamente presidiato da truppe italiane e americane. Appena conquistato Montelungo, il comando del Raggruppamento diede disposizioni per l’organizzazione a difesa del monte; “la linea di sicurezza” fu portata alla strada nazionale n°6; “la linea di resistenza” fu mantenuta sulla linea di cresta. La quota 343 venne considerata cardine della difesa [9].
Riconoscimenti internazionali e echi nazionali
Il generale Dapino, dopo la battaglia disse: “Il compito affidatoci era molto superiore alle nostre modeste possibilità, i mezzi assolutamente insufficienti ed inferiori a quelli dell’avversario, le stesse informazioni sulla ubicazione ed efficienza delle posizioni nemiche non rispondenti a verità. Ma tutto ciò aveva un valore secondario. Si trattava di dimostrare al Mondo che i soldati italiani volevano battersi per liberare dal gioco straniero i fratelli del Nord. E per questo accettammo l’impari lotta”[10].
Il 17 dicembre 1943, a conclusione della vittoriosa battaglia per la conquista di Montelungo, il generale Clark, comandante la V^ Armata Americana alle cui dipendenze operava il I° Raggruppamento Motorizzato, inviava il seguente messaggio ai soldati italiani: “Desidero congratularmi cogli ufficiali e i soldati del vostro comando per il successo riportato nel loro attacco di ieri su Montelungo e quota 343. Questa azione dimostra la determinazione dei soldati italiani a liberare il loro paese dalla dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli oppressi d’Europa”[11].
Queste parole rappresentavano il più ambito premio alla nostra fede ed alla nostra volontà e sanzionano l’atto di nascita del nuovo risorgimento italiano. Il discorso iniziato dai caduti di Montelungo non poteva esaurirsi in una semplice azione di guerra, doveva proseguire, svilupparsi, andare avanti.
Dal nucleo veterani di Montelungo nacque il Corpo Italiano di Liberazione che fu in linea ininterrottamente dal febbraio al settembre 1944 e “lacero e scanzonato”, si battè a fianco dei Francesi, degli Inglesi e dei Polacchi con una tenacia e con un valore che furono obiettivamente riconosciuti. Da questo riconoscimento, cioè dalla certezza che dare le armi e l’equipaggiamento Alleati ai soldati italiani valeva la spesa, scaturì la decisione di formare i sei Gruppi di combattimento che al Po di Primaro, sul Senio e sull’Idice si prodigarono generosamente per la vittoria finale [12].
Kesserling nelle sue memorie ricorda il fatto di Montelungo così: “Fino al 10 settembre avevo già fissato sulla carta l’andamento delle linee di resistenza per il caso di una eventuale ritirata delle forze tedesche dall’Italia meridionale. Si sarebbe potuto costituire posizioni difensive a Sud di Roma, forse su di una linea che avesse al centro il monte di Mignano (denominata in seguito linea Reinhardt) o sulla linea Garigliano-Cassino (denominata in seguito linea Gustav). Disposi che la “linea Reinhardt” venisse posta per il 1° novembre in stato di difesa…..Avevo piena fiducia in quella linea, che la configurazione del terreno rendeva assai forte e speravo di poterla mantenere a lungo, forse fino al nuovo anno, per avere tempo di fortificare la “linea Gustav” in modo tale da renderla quasi inespugnabile per le forze Anglo-Americane, Riponevo molte speranze nella “linea Reinhardt” la quale però poteva essere mantenuta solo a condizione di tenere il passo di Mignano; questo era imprendibile fino a quando noi avessimo tenuto l’altura di quota 1170. In seguito all’improvviso cedimento della divisione granatieri corazzati che combatteva in quel settore, il nemico riuscì ad impadronirsi di sorpresa del massiccio montuoso di cui non fu più possibile riprendere possesso. Alla fine del 1943, dopo lotte particolarmente violente svoltesi dal 6 al 18 dicembre, la calma potè tornare finalmente su quel difficile settore del fronte”.
Il colonnello Ernest Georg von Heiking che quell’8 dicembre comandava, con il grado di capitano, il battaglione tedesco della 29^ divisione corazzata granatieri, a difesa della posizione “Montelungo”, sulla “linea Reinhardt” così racconta: “Li vedevamo cadere come birilli e ci fu un momento di scompiglio, come una sosta, fra i soldati attaccanti. Sembravano privi di comando. Capimmo che non si doveva trattare di soldati alleati. Gli alleati usavano una tecnica di attacco completamente diversa: non si esponevano così, allo scoperto. Osservando meglio ci accorgemmo che davanti a noi avevamo per la prima volta dei fanti italiani, i nostri ex alleati.
I miei soldati allora, che erano rimasti sorpresi dall’avanzata – e anche spaventati – ripresero coraggio e sferrarono a loro volta un violento contrattacco, azionando le mitragliatrici senza pietà…Io credo che la causa principale dell’insuccesso con cui si concluse l’impresa fosse soprattutto una mancanza di collaborazione tra la brigata italiana e gli Americani, che avevano il comando delle operazioni”[13].
Dopo la prima giornata di Montelungo il generale Walker, comandante la 36^ Divisione Texas, scrive al generale Dapino “…. ho udito da parecchie fonti del magnifico comportamento delle vostre truppe quando si sono lanciate all’attacco di Montelungo. Vi prego di estendere ai vostri ufficiali e soldati le mie congratulazioni per l’entusiasmo, lo spirito e il magnifico coraggio da essi dimostrato. Le nostre truppe trovarono difficile il loro primo incontro con il nemico. Le vostre hanno avuto una esperienza simile. Sono sicuro che le vostre truppe con una maggiore esperienza integreranno, con le nostre, il loro entusiasmo, onde portare a termine l’opera di distruzione del nostro comune avversario” [14].
Gli Americani, in altre parole, si rendono conto che quello subito dagli italiani è stato un vero colpo. Forse hanno chiesto troppo. Forse l’obiettivo non era così facile né modesto come essi ritenevano e loro stessi si dichiararono stupiti della resistenza avversaria davvero fuori delle previsioni.
L’11 dicembre 1943, sulle pagine del giornale “Bergamo Repubblicana” (Anno 25°, n° 39) si possono così leggere queste parole sotto il titolo L’ESORDIO DELLE TRUPPE BADOGLIANE SL FRONTE DELL’ITALIA MERIDIONALE: “Poiché alle divisioni Anglo-Americane che attaccano da settimane ad Ovest di Mignano non è riuscito di effettuare una rottura delle linee tedesche malgrado l’efficace appoggio dell’artiglieria e il forte impiego di formazioni di apparecchi, sono stati gettati, il 9 dicembre, per la prima volta nella lotta battaglioni delle truppe di Badoglio. Il reggimento attaccante è stato ricacciato con gravi perdite di sangue; dei 1500 soldati attaccanti ne sono stati contati 532, morti davanti alle postazioni tedesche. A una gran parte è riuscito però di arrendersi alle truppe germaniche, di mettersi in tal modo al sicuro e sfuggire alla violenza sanguinaria dei liberatori americani. Essi sono stati ricevuti e trattati bene dai soldati del Reich memori della provata fratellanza d’armi sui campi di battaglia d’Africa e di Russia. Gli Anglo-Americani che considerano gli Italiani come carne da cannone, hanno gettato nella lotta questi battaglioni senza una adeguata preparazione di artiglieria, là dove essi stessi non avevano potuto ottenere nessun risultato malgrado l’impiego di una inaudita massa di uomini e mezzi” [15].
Tra i commenti sprezzanti, uno dei più concisi, ma certamente dei più acidi, lo dobbiamo al francese CARPENTIER: “Il I° Motorizzato avrebbe fatto (stando alle parole del generale) un’apparizione tanto breve quanto scarsamente brillante”[16].
Successivamente i Francesi del C.E.F., con i quali collaborerà il I° Motorizzato, nel bollettino n° 76 del 22 febbraio 1944 riconosceranno l’ardimento dei reparti italiani sottolineando il fatto che le pattuglie del Raggruppamento si stanno rilevando “particolarmente audaci”[17].
Il giornalista americano Herbert Matthews, commentando l’eroismo dei combattenti italiani di Montelungo, scrisse in un articolo in prima pagina del “New York Times”: “Non potrei fare a meno di riandare con lo spirito alla carica della infiammata brigata di Balaclava, esempio classico anglosassone degli attacchi suicidi”.
All’indomani della battaglia i Tedeschi così si espressero: “… l’ardimento e l’eroismo del reparto italiano impegnato fu tale da meravigliare e sorprendere. I fanti si erano battuti da leoni. Quando, dopo le prime ore dell’8 dicembre, potemmo rastrellare il terreno, riconoscendo tra i caduti truppe italiane, comprendemmo”.
Si era riacceso l’entusiasmo e l’orgoglio dei nostri comandi per il fiero comportamento dei soldati di nuovo passati all’azione. Il Maresciallo Messe[18], Capo di Stato Maggiore Generale, additò alla riconoscenza nazionale i valorosi del Raggruppamento: “In una situazione particolarmente difficile e con duro obiettivo da raggiungere, avete saputo dimostrare ammirevole slancio, spirito di sacrificio. I comandi americani lo hanno cavallerescamente affermato, lo stesso nemico ha dovuto convenirne. In momenti difficilissimi per il nostro Paese avete confermato come gli Italiani si sappiano battere quando sono animati da un puro ideale. Avete tenuto alto il prestigio delle nostre armi, avete onorato l’esercito, le sue bandiere, la Patria. Il Paese è fiero di voi”. Il generale Dapino invece: “Voi ben conoscevate l’importanza della prova alla quale eravate sottoposti. Voi sapevate che gli occhi dell’Italia e del Mondo intero erano fissi su di voi per vedere se, dopo tutte le dolorose vicende che hanno colpito il nostro paese, gli Italiani sapessero ancora combattere; sentivate che a voi era affidato il destino della Patria. Consci della gravità dell’ora e della vostra responsabilità, voi avete dimostrato col vostro comportamento, che l’Italia è degna di sopravvivere, perché ha ancora figli che credono nel suo avvenire e sono pronti a morire per esso”[19].
La crisi delle Unita’ combattenti
Il 1° Raggruppamento Motorizzato era figlio della crisi, una crisi che non solo era affatto diminuita ma che sembrava essersi appiccicata addosso agli uomini che lo componevano.
Lo stesso generale Dapino si era accorto che qualcosa non andava per il giusto verso; la campagna antimonarchica sembrava appuntarsi in particolar modo contro il piccolo scudetto che portavano i soldati del Raggruppamento apostrofati di frequente con il termine – che per alcuni suonava come dispregiativo – di “Badogliani” o “Raggruppamento Savoia”.
Si cominciava a parlare, anche tra i militari, dei partiti politici e della propaganda politica che si stava facendo nelle zone dell’Italia liberata. Uno dei discorsi ricorrenti, tra i soldati del Raggruppamento, era quello che si poteva tranquillamente assentarsi dai reparti per presentarsi ai distretti militari del sud ove veniva concessa la licenza illimitata. Non c’era nessuna legge che obbligava il cittadino italiano a riprendere le armi ed a continuare la lotta dopo l’armistizio.
Il morale della truppa era ridotto a zero: imperava l’abulia e la anomia, occorreva rimettere in moto la macchina bellica momentaneamente ferma; manchiamo di tutto per gli alleati: uomini, mezzi, addestramento. L’immobilismo del fronte, il continuo passare di immense formazioni di quadrimotori diretti a portare distruzioni e morte al Nord, la mancanza assoluta di notizie dalla casa e soprattutto l’impotenza a poter modificare quello stato di cose, avevano trasformato, anche gli idealisti più puri che erano accorsi a combattere con il sacro entusiasmo, in esser senza volontà [20] [21].
A comandare il Raggruppamento fu posto il generale Utili in sostituzione del generale Dapino. Utili era un uomo che aveva combattuto, per tutta la sua vita, contro l’apatia e la “routine” e si dimostrò la sola persona adatta a concretizzare quella frase che avrebbe reso famoso sia tra gli Italiani che gli Alleati [22].
“.... ragazzi in piedi... perché questa e’ l’aurora di un giorno migliore....” [23].
Il generale Utili era destinato ad imprimere una profonda svolta al corso degli eventi e soprattutto a dare alla partecipazione Italiana alla lotta dal Sud, un nuovo, più pregnante, significato.
Utili conosceva bene il problema, quella complessa persona che si chiama soldato italiano e sapeva quali corde toccare per ottenere da lui il massimo, per far si che egli desse il meglio di sé.
E tutto ciò in un clima che certamente era sfavorevole ad una opera di risanamento morale sui pochi combattenti del Raggruppamento; infatti sul giornale “Italia Libera” del 15 febbraio 1944, edizione straordinaria recante la critica al proclama Badoglio per il ritorno al Governo italiano delle province liberate, gli italiani, che si ostinavano a combattere contro ogni sorta di avversità, sono definiti:
“... tipici esponenti del fascismo; del fascismo la cui mentalità e i cui sistemi fioriscono, protetti ed incoraggiati, all’ombra dello scudo sabaudo sostituito al fascio littorio....” [24].
Molteplici furono quelli che compresero i vari perché che portarono alla crisi delle truppe del Raggruppamento ed e’ interessante vedere tra i tanti quanto da me sotto riportato.
“Riesaminando oggi, nei particolari, le vicende del giorno 8 “dicembre” scrive il Medeghini, “si deve concludere che vi fu da parte di chi ordinò l’azione una lieve leggerezza. Perché le truppe italiane furono spinte a incunearsi nel dispositivo nemico ancora saldamente tenuto senza che al loro fianchi si fossero svolte o almeno si stessero svolgendo quelle azioni offensive che erano state preannunciate e che sole avrebbero potuto giustificare una fondata speranza di successo, su un obiettivo particolarmente difficile quale quello di Montelungo”. [25]
Senz’altro quell’attacco era stato preparato e condotto con una tecnica da “passeggiata da effettuarsi lungo la linea di massima pendenza”. E non si era tenuto conto degli eventuali imprevisti, anche di carattere meteorologico che avrebbero potuto verificarsi durante lo svolgimento dell’azione”.
Come disse un altro teste di allora, Gabrio Lombardi, “il comando italiano. Sedotto dalla portata spirituale di un possibile successo, non valutò forse tutte le difficoltà....” [26].
Il generale Utili invece così disse: “.... gli italiani si batterono a Montelungo con uno slancio che fece a tutti grande impressione; si batterono per la verità, in funzione di cavie; ossia soli e non sostenuti, lungo una spina di pesce che si allungava verso il centro dell’arena, e sotto gli sguardi di gente che dall’anfiteatro circostante li osservava curiosamente colle armi al piede. Si capisce che, se fu un onore, non fu un successo.
Non era colpa loro. D’altronde non e’ qui il caso di indagare come, a provocare il risultato, gli errori politici si siano intrecciati cogli errori tecnici....[27].
Dopo i fatti d’arme di Montelungo dell’8 e 16 dicembre era evidente che impiegare subito e nuovamente, in un’operazione bellica, il Raggruppamento sarebbe equivalso ad un suicidio.
Il risultato finale, dopo quella prova era stato di aver portato il Raggruppamento allo stremo: 79 morti, 190 feriti, 159 dispersi. E ci sarebbe voluto – come dira’ in seguito il generale Utili – un altro “sforzo febbrile e disperato per ricostruire cio’ che era stato sciupato, coll’indifferenza che il bambino potrebbe avere per il giocattolo; ricostruirlo, con piu’ grosse difficolta’ di prima sia materiali sia spirituali”. [28]


[1] ENEA CASTELLI – Profilo storico del LI° Battaglione A.U.C. 1943 nella guerra di liberazione. U. Manfredi Editore, Palermo, 1971, pag. 17.
[2] ANTONIO RICCHEZZE – qui si parla di voi – pagg. 39-40.
[3] Vedi Appendice – Allegato n. 32.
[4] MINISTERO DELLA DIFESA – op. cit., pagg. 53-57.
[5] MINISTERO DELLA DIFESA – op. cit., pagg. 58-60.
[6] Vedi appendice – Allegato n. 32
[7] Vedi appendice – Allegato n. 33
[8] Vedi appendice – Allegato n. 34.
[9] MINISTRO DELLA DIFESA – op. cit., pag. 68.
[10] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 5-7
[11] Vedi appendice – Allegato n. 15.
[12] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 5-7
[13] Vedi appendice – Allegato n. 30.
[14] Vedi appendice – Allegato n. 35.
[15] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 69-70.
[16] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 77.
[17] ANTONIO RICCHEZZA – Qui si parla di voi, pag. 124.
[18] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 79.
[19]
[20] Vedi Appendice – Allegato n.36
[21] Vedi Appendice – Allegato n.37
[22] Vedi Appendice – Allegato n.38
[23] ANTONIO RICCHEZZA – Qui si parla di voi, pag. 106.
[24] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pag.133.
[25] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg.67-68.
[26] GABRIO LOMBARDI, Il corpo italiano di liberazione, pag.21.
[27] ANTONIO RICCHEZZA, L’Esercito del Sud, pag.68.
[28] ANOTNIO RICCHEZZA, L’Esercito del Sud, pag.79.