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lunedì 31 agosto 2015

Cefalonia. L'attacco del 317° Battaglione


21 SETTEMBRE


La preparazione di artiglieria, specialmente forte sul nodo di Kardakata, ebbe inizio alle ore 5,30.
Alle ore 6 le fanterie dovevano iniziare  l’attacco.
“Al mattino del 21 – informa il capitano Bronzini – il generale, con il capo di stato maggiore e con altri cinque ufficiali del comando della divisione si recò a Dilinata. L’osservatorio del comando della divisione era allestito sulla sommità della collina che dominava il paese”.
“Il terzo battaglione del 317° - dice il capitano Apollonio – aveva appena iniziato la manovra di avvolgimento, quando, improvvisamente, gli elementi più avanzati cominciarono a gridare: i tedeschi, i tedeschi. Era proprio vero: durante la notte, due grossi battaglioni di alpini germanici – sbarcati nei giorni precedenti nella baia di Kiriaki – da Ankona avevano raggiunto Phalari indi, avanzando lungo la strada Phalari – Dilinata, erano passati ad oriente del Dafni, e qui, fatti prigionieri senza colpo ferire alcuni elementi del terzo battaglione del 317°, avevano proseguito l’avanzata fin sotto il Rizocuzolo. Il comandante del battaglione fu così sorpreso in pieno”.
“Contemporaneamente – informa il capitano Bronzini – erano da poco passate le 6, apparvero dense formazioni di Stukas che iniziavano un esortabile martellamento dei nostri battaglioni in linea, delle artiglierie e delle retrovie. Si interrompono tutti i collegamenti telefonici. Il bombardamento si attua rapido e violento, pare un inferno. Le nostre artiglierie, neutralizzate, cessano il fuoco. Ora sono i tedeschi che da ogni parte muovono all’attacco con direttrice principale Divarata – Dilinata”.
“Alle ore 7,30 – dice l’Apollonio – il comandante del terzo battaglione del 317°, dopo circa un’ora di combattimento, alzava bandiera bianca. Ma gli altri due battaglioni, sebbene fortemente premuti, continuarono a combattere.
“Essi scrissero pagine che possono senz’altro definirsi leggendarie.
“Ufficiali e soldati in gara ressero saldamente il fronte per quattro ore infliggendo gravissime perdite ai tedeschi, che, appoggiati dagli Stukas, dai mortai e dalle numerosissime armi automatiche, tentavano di incunearsi nelle  nostre linee. Gli Stukas, a volo rasente, provocavano ingenti perdite fra i nostri. Ma i fanti della “Acqui”, anche se completamente indifesi e allo scoperto, continuavano a combattere unicamente  sostenuti dalla forza della disperazione.
“Senonchè i tedeschi, con una forte colonna avanzante ad oriente della rotabile fra Kutsuli ed il Vrokonas, iniziarono il forzamento del passo fra i monti e l’avvolgimento del nostro schieramento.
“La situazione cominciò a precipitare.
“Quando i tedeschi ebbero forzato il passo, le nostre truppe sul Rizocuzolo vennero a trovarsi in una situazione tragica: premute di fronte dalle forze tedesche provenienti, lungo i canaloni, da Kuruklata; attaccate sul fianco e sul tergo della colonna tedesca, che forzato il passo, si era suddivisa in due colonne di cui quella orientale marciava direttamente su Dilinata.
“Parte delle forze del Rizocuzolo dovettero quindi assumere schieramento con fronte ad est ed a sud.
“Qui cadde il maggiore Fanucchi mentre, già ferito due volte e grondante di sangue, incitava i suoi fanti alla resistenza.
“Spezzonati, mitragliati, bombardati da ogni parte, nella assoluta impossibilità di resistere, i fanti del secondo battaglione del 317° cominciarono a ripiegare dopo aver  lasciato sul terreno oltre 250 morti.
“Devo ricordare, di questo battaglione, il sottotenente Ettore Ferrari. Egli dopo aver guidato per due volte i suoi soldati al contrattacco, rimasto ferito, si faceva trasportare con una mitragliatrice sul punto più elevato del Rizocuzolo  e qui, quando giunse l’ordine di ripiegamento, lasciato dai suoi soldati, rimase solo a sparare. Dopo dodici mesi, su quella posizione, furono ritrovati i suoi resti ed il suo elmetto sepolti sotto un cumulo di bossoli.
“Il capitano Ciaiolo, ferito una prima volta, rifiutava di lasciare la lotta. Ferito la seconda volta, guidava i suoi uomini al contrattacco. Colpito a morte in fronte, il suo cadavere veniva strenuamente difeso dai suoi uomini: furono rinvenuti accanto a lui i resti di ottanta uomini, fra cui il suo attendente.
“Anche il primo battaglione del 17°, che doveva tenere la fronte di Pharsa, aveva resistito a lungo. Ma poi, maciullato dall’aviazione, dopo aver lasciato sul terreno oltre trecento uomini, veniva fatto prigioniero. Soldati e ufficiali venivano trucidati parte presso la curva del km. 12 della strada Kardakata – Argostoli, parte a Kardakata.
“Arresosi perciò il terzo battaglione del 317° che costituiva l’ala avvolgente, distrutto il secondo battaglione dello stesso reggimento sul Rizocuzolo, infranto e trucidato il primo battaglione del 17° sul campo di battaglia si stese un lugubre silenzio di morte”.
“I tedeschi – dice il capitano Bronzini – avanzavano ormai lungo tutto il fronte, dal Rizocuzolo al mare. Le nostre fanterie sono state travolte e si sono date, terrorizzate, a precipitosa fuga. Io mi trovo al comando tattico di Prokopata, unico ufficiale colà rimasto, essendo gli altri ufficiali, col generale all’osservatorio di Dilinata. Verso le 10 arriva la macchina del generale: c’è solo l’autista, il quale mi racconta che il generale e gli altri ufficiali sono stati circondati e fatti prigionieri; lui solo, sceso sulla strada, vi ha trovato la macchina ed è riuscito a fuggire,
“Io capisco che ormai è finita per la mia divisione.
“l’unica linea telefonica che ancora funziona è quella del generale Gherzi: mi metto in comunicazione, ma mi rispondono che il generale è ancora sul luogo della lotta. Che fare? Do fuoco a tutto il carteggio della divisione (ad eccezione dei documenti riguardanti le trattative dall’8 settembre in poi) ai cifrari, alle pubblicazioni segrete. Chiamo a raccolta elementi della compagnia carabinieri e predispongo la difesa vicina al comando della divisione. A firma del gen. Gandin invio al Comando Supremo il seguente appello: Nemico appoggiato da violentissima azione aerea avanza rapidamente su tutto il fronte, urge immediato invio caccia et bombardieri”.
“Infranta la resistenza delle fanterie – dice l’Apollonio – veniva la volta delle batterie del 33° artiglieria. Allorché gli artiglieri videro le truppe tedesche scendere dalle pendici del Vrokonas e del Rizocuzolo aprivano il fuoco a puntamento diretto.
“La nostra zione continuò ininterrotta sebbene fosse assai dolorosa la visione dei nostri fanti in fuga.
“Quando i tedeschi giunsero sotto la linea dei pezzi si cominciò a sparare a zero.
“Il solo fatto che ogni batteria abbia sparato circa 200 colpi a zero sarà sufficiente a dare un’idea dell’ardore e della tenacia degli artiglieri.
“Quando, ormai, il continuare a resistere divenne impossibile, furono asportati gli otturatori e distrutti i cannocchiale panoramici. Così le batterie caddero in mano nemica inutilizzabili.
“Parte degli artiglieri riuscirono a salvarsi: ma molti. Di mano in mano che cadevano nelle mani dei tedeschi, i quali erano furenti per le gravi perdite subite, furono trucidati subito.
“Il tenente Ambrosini, una delle figure di quei giorni, dopo aver combattuto sull’osservatorio avanzato del Rizocuzolo, fu ferito gravemente. Tentò di ripiegare, ma, circondato dai tedeschi, dopo accanita resistenza, veniva immediatamente fucilato assieme ai suoi artiglieri della pattuglia di comando.
“All’altezza di Dilinata, il ten. col. Deodato, comandante del primo gruppo del 33° artiglieria, era riuscito ad organizzare una resistenza. Ma veniva subito travolto e cadeva con la pistola in pugno mentre incitava i suoi artiglieri a resistere.
“Il capitano Fiore e tutto il personale del comando gruppo, stretti come un sol uomo attorno al proprio comandante, venivano catturati e trucidati sul posto. Il capitano Pampaloni, dopo essersi difeso ad oltranza con la sua batteria, veniva fatto prigioniero e posto in riga per essere fucilato assieme al suo sottocomandante e ventidue artiglieri.
Però, data la sommarietà di tali esecuzioni, rimaneva solamente ferito al collo e perciò, fintosi morto, riuscì a scappare non appena le pattuglie tedesche si furono allontanate. Venne infine la volta della mia batteria.
“Per circa due ore essa era stata bersaglio di trenta Stukas. Ma resistemmo anche sotto gli spezzonamenti e mitragliamenti. Quasi tutte le munizioni giunte nella notte, circa tremila colpi completi, furono centrati mucchio per mucchio e saltarono in aria.
“La situazione ci apparve in tutta la sua tragicità allorché cominciarono ad affluire i primi sbandati, terrorizzati dal mitragliamento aereo incessante, sgomenti, inebetiti, per quanto avevano visto e vissuto. Nel loro accasciamento, nel loro straziante dolore, erano soprattutto dominati dalla visione della orrenda sorte toccata ai compagni caduti nelle mani del nemico.
“I tedeschi trucidavano i prigionieri!
“Imponendomi con la forza, tentai di fermare i fuggitivi per costituire una linea di resistenza. Ma mentre, per consolidare tali linee, facevo trascinare i pezzi sulla strada, una ventina di Stukas cominciarono a bombardare nuovamente la mia batteria. Una bomba cadeva al centro di essa provocando gravissime perdite e la fuga di molti soldati che avevo colà raccolti.
“Intanto pattuglie tedesche erano giunte a poche centinaia di metri dalla batteria.
“Il sottotenente Di Carlo ad un tratto abbandonava il cannone e, ubbidendo alla generosità dei suoi 22 anni, si scagliava da solo all’assalto con le bombe a mano. Una raffica di mitragliatrice lo abbatteva al suolo. Lo feci raccogliere e porre in una barella. Agonizzante, col rantolo della morte, mi disse “Apollonio non mollare. Sono pochi, te lo dico io che sono pochi. Spara a zero con le granate a palletta”. Lo baciai.
“Ma anche la mia batteria era ai suoi ultimi sussulti.
“Avevo l’animo travolto.
“La coscienza della responsabilità che mi ero assunta rendendomi uno dei più decisi assertori della lotta contro i tedeschi mi impose di compiere l’impossibile. Ad un sottotenente che mi gridò “Tu ci vuoi far massacrare tutti!” gli puntai contro la mitragliatrice e gli imposi di tacere. Accanto a me il sottotenente Mattei comprendeva e condivideva il mio doloroso travaglio”.
Il caporale Gemignani dice: “ il capitano Apollonio ordinò infine di distruggere i cannocchiali, di togliere gli otturatori, lasciando integro solamente un cannone. Dette ai superstiti l’ordine di ripiegare. Con l’unico pezzo ancora efficiente riprese a sparare per ritardare l’avanzata delle pattuglie tedesche e dare la possibilità ai suoi artiglieri di ritirarsi”.
“Alle 11 – dice il capitano Bronzini – ecco giungere a Prokopata il gen. Gandin.  Provai la stessa gioia che avrei provato rivedendo mio padre. Dice che la collina di Dilinata era stata effettivamente circondata da pattuglie tedesche ma che lui ed alcuni ufficiali del suo seguito erano riusciti a sfuggire alla cattura. Il generale approva tutto il mio  operato e si accinge a dare gli ordini per l’estrema resistenza”.
“Appena possibile – dice il capitano Apollonio – mi presentai al generale Gandin e lo informai degli ultimi avvenimenti. Narrai la impressionante scena delle truppe in fuga. Il colloquio si svolse sulla soglia del comando di Prokopata alla presenza del ten. Col. Fioretti. Il generale era apparentemente tranquillo ma gli leggevo sul volto il dramma angoscioso che sconvolgeva il suo animo. Mi congedai. Non dovevo rivederlo più”.
Nel pomeriggio di questo giorno le truppe di cui il gen. Gandin potava ancora disporre erano il secondo e il terzo battaglione del 17° fanteria già provati nei combattimenti di Argostoli nella giornata del 15 ed il secondo provato ancora nell’impresa del 19 contro Capo Munta, a cui avevano partecipato con due compagnie di fucilieri ed altri minori reparti.
“Malgrado ciò – informa il capitano Bronzini – il generale dà gli ordini per un’estrema resistenza. I resti del secondo e terzo battaglione del 17° devono schierarsi da Pharaklata al mare; il comando della divisione a Keramies. Verso le ore 24 i trasferimenti sono attuati;; ma dei reparti del 17° fanteria ben pochi uomini hanno potuto raggiungere le posizioni perché la marcia è stata continuamente ostacolata dal mitragliamento e spezzonamento aereo”.
“Quali i motivi – si chiede il capitano Apollonio – del successo tedesco? La preponderanza numerica. Infatti essi avevano quattro battaglioni schierati contro tre nostri. Ed esisteva anche la ben nota loro superiorità di armamento. Ma più di tutto bisogna tener conto del fattore addestrativi. Il 317° fanteria vedeva per la prima volta il campo di battaglia: i tedeschi, come al solito, ben addestrati, avevano già combattuto in Polonia, in Francia e soprattutto in Russia. I tedeschi disponevano pure di quattro semoventi da 105, di dodici pezzi anticarro da 75, di dodici pezzi anticarro da 55. La nostra preponderanza di artiglieria, a causa dell’aviazione e della crisi dei collegamenti, non si potè sfruttare.
“La cooperazione aereo aereo- terrestre del nemico fu di una perfezione addirittura meravigliosa.
“Solamente gli Stukas però determinarono la vittoria tedesca.

“Anche lo sfruttamento del successo i tedeschi lo affidarono, si può dire esclusivamente, all’aviazione; la quale, trasformatasi, quasi direi, in fanteria, compì addirittura dei prodigi nel mitragliare le nostre truppe a pochi metri dal suolo”.

mercoledì 26 agosto 2015

Cefalonia. L'Ultimo giorno di combattimento

22 SETTEMBRE 1943

Alle ore 7, i resti del secondo e terzo battaglione del 17° fanteria schierati da Pharaklata al mare venivano attaccati da tre colonne tedesche provenienti da Pharsa, da Dilinata, da Pulata.
“Si accese – dice l’Apollonio – una lotta furibonda. Si combattè all’estremo di ogni possibilità. Il ten. Col. Cessari , il ten. Col. Maltesi, il capitano Pestoni, il ten. Tamburi, il sottotenente medico Condemi, il sottotenente Natile, il ten. Peroni, dopo aver strenuamente combattuto con i loro uomini fino alle 11, si arresero. Subito dopo la cattura vennero fucilati assieme ad altri ufficiali nel vallone di S. Barbara”
Così conclude il capitano Bronzini: “Gli eventi precipitano. All’alba i tedeschi hanno ripreso violento il bombardamento aereo su tutta l’isola.
“Le nostre truppe sul fronte da Pharaklata al mare, dopo strenua resistenza, hanno ceduto.
“C’è di più: colonne tedesche hanno compiuto durante la notte un aggiramento più largo. Attraversando le montagne della catena dell’Aenos, hanno occupato la conca di Valsamata e nella mattinata sono già quasi a Keramies.
“Il generale decide di chiedere la resa. “Invia in macchina il capitano Saettone, con l’interprete capitano Tomasi, a parlamentare con i tedeschi.
“Sulla sede del comando della divisione viene issata bandiera bianca.
“Sono le 11 del 22 settembre.
“I nostri parlamentari vengono ammessi a parlare con un maggiore degli alpini tedesco. Questi accorda la resa senza condizioni ed invia un sottotenente dal gen. Gandin per trattare le modalità.
“Gli aerei tedeschi cessano il bombardamento ed abbandonano il cielo dell’isola.
“Un silenzio di tomba cade su tutta l’isola. La battaglia di Cefalonia è finita”.

sabato 22 agosto 2015

Cefalonia L'Epilogo 21- 24 settembre 1943

 LA FINE DELLA 44a SEZIONE DI SANITA’


Il capitano Pampaloni così racconta quanto avvenne il mattino del 21 nella sua batteria appena vi giunsero i tedeschi: “Un capitano tedesco con un centinaio di uomini ordinò il ritiro delle armi e per mezzo di un interprete mi chiese gli otturatori minacciandomi di morte. Risposi che non sapevo dove si trovavano. La domanda mi fu ripetuta dopo un quarto d’ora.
“Nel frattempo i tedeschi prendevano anche i portafogli, gli orologi, le penne stilografiche e finanche le cinghie dei pantaloni. Protestai col capitano tedesco dicendo che gli oggetti di proprietà dei prigionieri andavano rispettati. Mi rispose: Voi non siete prigionieri ma traditori.
“Presero una trentina di uomini che portarono via, non so dove, e dopo ci ordinarono di metterci in riga per uno. I soldati cominciarono ad avvertire che qualcosa di tragico stava per accadere. Qualcuno diceva: ora ci ammazzano tutti. Io ero sereno tanto ero lontano dall’immaginare quello che sarebbe presto avvenuto.
“Il capitano tedesco mi fece staccare dalla truppa e mi fece cenno di camminare. Era con me il sottotenente Tognato. Il capitano tedesco mise la pallottola in canna ed appena io gli fui qualche passo avanti sparò. Una pallottola mi colpì al collo. Caddi senza dolore né perdere la conoscenza. Contemporaneamente, con una mitragliatrice piazzata di lato, tutti i miei artiglieri furono massacrati. Fu un solo grido di dolore. Poi silenzio. Sentivo il sangue caldo che mi bagnava la spalla sinistra. Dal mio braccio destro appariva scoperto l’orologio che non mi avevano preso prima: un tedesco venne e se lo prese, senza accorgersi che ero ancora vivo. Subito dopo i tedeschi, ridendo e sghignazzando, si allontanarono”.
Dice il sottotenente Ettore Beretta del 317° fanteria:
“Nel pomeriggio del 22, a S. Erasmo, vicino Valsamata, avvenne la distruzione della Bandiera del reggimento. Il portabandiera sottotenente Cei, singhiozza e bacia il sacro drappo. Assistiamo alla scena muti ed affranti. Ma poi ci riscuotiamo: anche qui i tedeschi sarebbero giunti da un momento all’altro”.
            Dice il capitano Apollonio: “La sera del 21 settembre, il ten. Col. Cessari, comandante del 17° fanteria, ordinava al tenente Fattori di cucirsi la Bandiera, drappo e decorazioni, nell’interno della giubba. All’indomani 22 settembre, il tenente Fattori assieme agli altri ufficiali del comando 17° fanteria venivano trasportati in località Fokata dove furono fucilati. A liberazione avvenuta feci esumare le salme dei 26 ufficiali fucilati a Fokata con la speranza di trovare la Bandiera. Purtroppo si dovette constatare che tutti gli ufficiali prima di essere sepolti, erano stati spogliati di tutto.
            “La Bandiera del 33° artiglieria invece sarebbe stata sepolta sotto le rocce nei pressi di Keramiaes dal capitano Italo Postal, aiutante maggiore del reggimento”.
            Dice P. Formato: “Con ogni probabilità, i tedeschi avevano precedentemente ricevuto l’ordine di annientare, a lotta finita, l’intera divisione o di decimarla in larghissima scala. Sta di fatto che fin dal mattino del giorno 21, di mano in mano che i reparti italiani cominciavano ad arrendersi, venivano in gran parte annientati, gli ufficiali venivano condotti in luoghi appartati dalla truppa.
            “Gli ufficiali venivano tutti trucidati, la truppa largamente decimata. Persino la 44a sezione di sanità, i cui soldati portavano al braccio la fascia della Croce Rossa, fu condotta in luogo appartato e quasi completamente annientata: di novanta uomini ne sopravvissero una quindicina.
            “L’opera di decimazione dei reparti continuò anche dopo la resa ufficiale del comando di divisione, per tutto il pomeriggio del 22 e per tutta la giornata del 23”.
            P. Duilio Capozzi, cappellano militare della 44 a sezione di sanità, così racconta la fine della sua sezione: “Verso le ore 11 del 21 settembre i civili ci avvertono che i tedeschi fra qualche ora sarebbero giunti a Phrankata.
            “Questa notizia non ci turba.
            “Con grande serenità, il comandante della sezione, maggiore medico Gaetano Morelli, continua la sua opera presso i feriti ed i malati dell’infermeria.
            “Io cerco di radunare i soldati che alle voci allarmistiche si sono sbandati. Alle 13 i tedeschi entrano a Phrankata come belve. Nessuna resistenza da parte della sezione che ben conosce la sua alta missione umanitaria.
“ Avviene la resa. Veniamo messi in riga per tre. Io sono nella prima riga al centro.
“ Rimango sbalordito del comportamento dei tedeschi. Ad un segnale, li vidi avventarsi su di noi per portarci via orologi, catene, anelli; tutto ciò che ognuno di noi aveva di prezioso e di sacro.
“ Giunge il maggiore Morelli.
“ Un sottufficiale tedesco gli fa cenno di mettersi in riga. Il maggiore protesta dichiarando che egli ed i soldati di sanità sono protetti, per la loro opera umanitaria, dalle leggi internazionali.
“ Il sottufficiale, credo un maresciallo, porta la mano alla rivoltella. Il maggiore Morelli allora  grida : “ Se devo essere ucciso, uccidetemi davanti  ai miei soldati o presso i miei feriti ed  ammalati “. A queste parole, viene preso per un braccio e posto fra i soldati.
“ Dopo un poco, un soldato tedesco che parlava abbastanza bene l’italiano – ritengo che fosse un austriaco – invita il maggiore Morelli, il tenente ricciuti, il maresciallo D’Amato e me a ritiraci nell’  infermeria. I soldati, egli dice, devono essere inviati in un campo di concentramento.
“ Mi avvicino al soldato e gli chiedo di seguire i miei uomini al campo di concentramento dove la mia missione sacerdotale sarebbe stata più necessaria. Egli mi risponde con queste parole : “ Padre non vi e’ possibile seguire i vostri soldati perché non andranno tutti nello stesso campo, ma chi in uno e chi in un altro. E’ meglio perciò che voi torniate nella vostra infermeria “. Alle mie insistenze,  mi prende per un braccio e ripete energicamente : “ Vi prego, Padre, andate nell’infermeria ! “. Gli chiedo se posso condurre con me il mio attendente. Egli acconsente..
“ Prima di recarmi nell’infermeria, vado col mio soldato nella mia camera da letto per prendermi la  biancheria personale. Tutto era rovesciato e manomesso. Pigliai quel poco che c’era ed andai all’infermeria.
“ Qui un via vai di militari tedeschi alcuni dei quali venivano per farsi medicare. Degno di nota che ognuno di essi, nell’andarsene, portava via medicine, strumenti chirurgici, alcool, tintura di jodio, termometri.
“ Particolare menzione merita il gesto di un militare tedesco. Questi, dopo essere stato medicato ad un piede dal soldato Vito Goller, trentino, spinse il suo infermiere fuori del fabbricato conducendolo fra gli altri soldati. (Il Goller è stato poi visto da me tra i militari massacrati).
“ Verso le 17 si presenta all’infermeria il noto maresciallo tedesco. Ci chiede se abbiamo telefono. Gli si risponde di no. Investiga dappertutto e poi dice, in francese : voi restare fermi qui, nessuno uscire, se avere telefono tutti kaputt, domani guerra finita Cefalonia. Dopo di che se ne andò lasciando alla porta dell’infermeria due o tre soldati di guardia.
“ Sono le ore 18 circa.
“ A ridestarci dai nostri amari pensieri viene il rumore di alcune scariche di mitragliatrice, de diverse direzioni, nelle immediate vicinanze del paese.
“ Tutti crediamo che si tratti di resistenze sporadiche ancora in corso da parte dei nostri.
“ Ma all’imbrunire, alcune donne greche si precipitano gemendo nell’infermeria  e ci dicono : “ I tedeschi hanno ucciso, fucilato tutti i vostri soldati “. Non crediamo, in un primo momento, a tanta viltà. Ma esse hanno visto con i propri occhi.
“ La strage era avvenuta  verso le ore 18, ora in cui avevamo sentito le raffiche di mitragliatrice.
“ Il maggiore Morelli chiede se i tedeschi sono ancora in paese. Le donne rispondono affermativamente, ma aggiungono di sapere che in serata essi se ne sarebbero andati.
“ All’alba del 22, col maresciallo D’Amato e con un civile che ci fa da guida, visito i vari luoghi ove furono eseguite le fucilazioni.
“ Un’ orribile scena appare ai miei occhi ! Circa quattrocento soldati, - di cui sessanta della sezione di sanità, - resi irriconoscibili perché colpiti da pallottole esplosive, giacciono in diversi punti nelle vicinanze di Phrankata. Torno all’infermeria col cuore spezzato e narro al maggiore Morelli quanto ho visto.
“ Un soldato dalmata, di cui non ricordo il nome, della compagnia genio lavoratori, scampato alla mitraglia e fintosi morto ma poi colpito con pallottola esplosiva al braccio destro dal cosiddetto “ colpo di grazia “, mi ha narrato quanto segue: “ eravamo più di cento nel gruppo dove ero io. Prima di essere fucilato un soldato tedesco che parlava bene l’italiano ci dice che siamo stati condannati alla fucilazione perché considerati traditori. A nulla valsero le nostre proteste, le nostre lacrime. Ci abbracciammo, ci baciammo. Mostrammo loro le fotografie dei nostri genitori, delle nostre mogli, dei nostri bambini. I soldati di sanità levando il braccio in alto mostravano il bracciale bianco con la sovrapposta Croce Rossa, mostravano il regolamentare patentino della Sanità internazionale. Tutto ciò a nulla valse : dovevamo morire. Scariche di mitragliatrice da ogni lato spensero così la vita di tanta gioventù. Io sono salvo per miracolo. Non credo a me stesso di essere vivo “.
“Mi adoperai – continua P. Capozzi – per dare ai morti degna sepoltura ma ciò mi fu negato dalle autorità militari tedesche, che incaricarono per questo ufficio i civili greci”.
“Potrei avvicinare il sacerdote ortodosso del paese e lo pregai di assistere alla tumulazione. Me lo promise e lo fece. Su ognuna delle grandi fossi comuni fu innalzata la Croce”.
“Così la 44esima sezione di sanità, che aveva mitigato tante sofferenze sul fronte occidentale e sul fronte greco-albanese, finiva la sua umana e sacra missione nell’eccidio di Phrankata. Eccidio che fu opera della seconda compagnia della prima divisione alpina tedesca”.
“A Valsamata – dice il già citato sottotenente Beretta del 317° fanteria – vengo fermato, io ed i miei uomini, da una pattuglia tedesca. Ci viene chiesto: ci sono ufficiali? Rispondiamo negativamente. Allora ci danno ordine di deporre in mezzo alla strada tutte le armi e di proseguire per Argostoli, senza scorta. Durante il percorso non si vedono che cadaveri di soldati di ogni arma nelle più diverse posizioni. Molti hanno ancora l’elmetto in testa e lo zaino sulle spalle. Molti sono completamente denudati col corpo intriso di sangue. Giungo e supero Phrankata. Siamo a 2 km da passo Columi. Ad un tratto da un cespuglio esce un fanciullo greco di poco più di 10 anni e mi dice: non passate per Columi, là fucilano tutti. Stamane qui, a Phrankata, hanno fucilato tutta la sezione di sanità ed altri soldati che si trovavano con essa. Decido allora di cambiare itinerario”.
“Giungo ad Argostoli verso la mezzanotte. Veniamo circondati da una pattuglia tedesca, ma io e il sergente maggiore Mucci riusciamo a fuggire”.
“Io mi dirigo presso una famiglia che conoscevo. Busso, ma mi apre un soldato tedesco che mi afferra e mi chiede se sono ufficiale. Gli rispondo che sono un soldato semplice. Egli allora mi spinge col calcio del fucile in una stanza chiudendomi dentro. Durante la notte mi vengono a interrogare un maresciallo tedesco ed un interprete, tedesco anche lui. Ma quest’ultimo ha un viso umano; appena può mi dice: parla poco, dì solamente che sei soldato. Se ti scoprono che sei un ufficiale vieni fucilato e buttato nel pozzo del cortile come è accaduto poco fa ad un ufficiale di marina”.
“A mezzogiorno del 23 vengo nuovamente interrogato. Ma mi si pone il dilemma: o divenire soldato tedesco od il carcere. Rispondo che mi sentirei onoratissimo di divenire soldato tedesco ma che sono costretto a scegliere il carcere per ritrovare alcuni miei amici molto cari. Vengo accompagnato nel carcere. Raccomando a tutti di non svelare la mia qualità di ufficiale”.
“Qui trovo il sottotenente Mazzarino, del mio reggimento, anch’egli in panni di soldato. Ogni tanto i tedeschi vengono in cerca di ufficiali ma non riescono ad identificarci”.
“E lo stesso giorno 22 – dice il capitano Apollonio – i tedeschi iniziavano la rappresaglia”.
“Il maggiore Hirschfeld proclamava ai suoi soldati: “Miei alpini, le 24 ore che seguono vi appartengono”.
“Memorabile, il 22 la strage di Troionata. Qui furono fucilate 600 persone tra ufficiali e soldati. Essi furono radunati in un recinto ai lati del quale furono piazzate le mitragliatrici. Urla strazianti, invocazioni alla “mamma”, rantoli e sangue tra i fucilati. Tra i fucilati il ten. Col. Fiandini, il maggiore Altavilla, il capitano Zebei, il tenente ,medico Ambrosini ”.
“A narrare ai posteri sì grande infamia sono ancora vivi testimoni oculari che si salvarono restando per ore ed ore sotto i cadaveri dei compagni”.
“Dopo 18 ore dall’eccidio, giunse un sottoufficiale tedesco che gridò: “Italiani, se siete ancora vivi o feriti venite fuori, non vi faremo più nulla”. Quindi ci cedettero ed uscirono. Si udì poco dopo una sghignazzata seguita da scarica di mitragliatrice”.
“Anche le case dei civili greci venivano invase e depredate. La sera del 22 a resa ormai accettata e nota a tutti, avrebbe dovuto far cessare la sete di sangue. Difatti a notte inoltrata un sottoufficiale tedesco in una caserma di Argostoli, radunati tutti gli ufficiali stranieri (fungevo io da interprete), disse “le intelligenze sono rientrate nelle intelligenze. Tutto è ritornato alla normalità. Ormai non c’è più nulla da temere””.

“Ed invece il 24 mattina ebbero inizio le “fucilazioni regolari in massa”, mediante 3 plotoni di esecuzione, a Capo S. Teodoro ”.

venerdì 21 agosto 2015

Cefalonia. La Casa Rossa


LA “CASA ROSSA”


Dice il capitano Bronzini: “Fra le condizioni della resa c’era quella che gli ufficiali del comando della “Acqui”, col bagaglio personale, con una attendente a persona, si dovevano recare con i propri mezzi da Keramiaes ad Argostoli per le ore 21 del giorno 22”.
“Noi facemmo i preparativi con gli autocarri di cui disponevamo”.
“Verso le 18, l’autocolonna si mosse: c’erano gli ufficiali dello stato maggiore della “Acqui”, del comando di artiglieria e del genio divisionali, a cui si erano aggiunti ufficiali sbandati di altri reparti”.
“In testa era la macchina del gen. Candin ed affianco del generale sedeva il sottotenente tedesco che aveva svolto le trattative”.
“Arrivammo ad Argostoli che era quasi buio”.
“L’autocolonna sostò una decina di minuti al blocco tedesco posto all’entrata meridionale della città. Riprendemmo la marcia ed attraversammo Argostoli. Constatammo che le rovine dovute al bombardamento erano enormi. Le vie, specialmente lungo il poro, rigurgitavano di armati tedeschi”.
“Dei greci nessun segno di vita”.
“L’autocolonna venne fatta fermare di fronte all’ingresso situato affianco dell’ex comando marina di Argostoli”.
Ci fecero salire all’ultimo piano in un grande appartamento di 15 stanze. E quella fu la dimora provvisoria.
“A Keramiaes, prima di partire, ciascuno di noi aveva lasciato ala propria pistola sul tavolo del generale per evitare l’umiliazione di doverla consegnare a qualche soldato tedesco”.
“Quando fummo chiusi a chiave nell’appartamento erano le 21. Qui trascorremmo la notte del 22 e tutto il giorno del 23”.
“Il mattino del 23 – testimonia il capitano Bianchi – i tedeschi entrarono nell’ospedale dove io mi trovavo, prelevarono il comandante di marina Mastrangeli ed il capitano Castellani, che furono poco dopo fucilati”.
“In tutta l’isola intanto – dice il capitano Pampaloni – continuava la caccia ll’italiano”.
“Quando io riuscii a scampare alla strage mi nascosi in un bosco”.
“Poi raggiunsi di notte Pharaklata”.
“Avrei voluto andare ad Argostoli, all’ospedale militare ma non avevo più forze; bussai, a caso, ad una porta di una famiglia greca. Mi venne data ospitalità fraterna. La ferita al collo mi venne curata con liquore e foglie: per fortuna non ci furono complicazioni. Quella famiglia mi dette ospitalità sebbene in paese ci fossero i tedeschi. Fu essa che mi convinse a non andare all’ospedale: e fu gran fortuna perché due giorni dopo i tedeschi presero dall’ospedale tutti gli ufficiali, feriti o ammalati, e li fucilarono. L’ospitalità da parte della famigli greca continuò anche dopo che si seppe che a Divinata i tedeschi, scoperto un italiano in una casa, avevano fucilato tutti i componenti della famiglia, donne bambini e vecchi”.
             “Tutto il mattino e buona parte del pomeriggio del 24 – dice il sottotenente Beretta – dalle carceri di Argostoli sentimmo scariche di mitragliatrici non molto lontane. Nella notte, noi prigionieri sopraggiunti ci riferirono quello che era avvenuto alla casa rossa”.
            “Il mattino del 24 – dice il Bronzini – il capo di stato maggiore entra nella stanza occupata da me e dai capitani Saettone e Carocci e ci dice: “Un sottotenente tedesco è venuto ora a prendere il nostro generale””.
            “Sono le 7:30”.
            “Un brivido di tristezza ci corse per il sangue e per l’anima”.
            “Ci guardammo in viso, colpiti dal dolore di questa separazione”.
            “Alle ore 8 il capo di stato maggiore ritorna: “Presto, - dice – sono venuti a chiamare anche noi. L’interprete ha detto che dobbiamo andare al comando tedesco per essere trasferiti in un altro luogo dove ci assicura che staremo meglio. Intanto gli attendenti trasporteranno là il bagaglio personale””.
            “Scendiamo le scale: siamo all’incirca una quarantina di ufficiali”.
            “Sulla strada ci attendono 2 autocarrette. Vi saliamo e assai stretti nel poco spazio, ci avviamo verso questo comando tedesco che ci deve interrogare”.
            “Che cosa ci chiederanno?”
            “Mentre le autocarrette, traballano per l’eccessivo carico e la cattiva strada, attraversano Argostoli vediamo sfilare sotto il nostro sguardo più di una casa portante le insegne di comandi tedeschi”.
            “Lasciamo le ultime case di Argostoli, entriamo in campagna”.
            “Le autocarrette filano verso punta S. Teodoro, la doppiano, e proseguono a sud, sulla strada di Lardigo. Ad un km sotto S. Teodoro c’è una piccola villetta rossa distrutta dai bombardamenti dei giorni precedenti: conserva però ancora intatto l’alto muro di cinta che circonda il giardino”.
            “Le autocarrette si fermano davanti al cancello”.
            “Soldato tedeschi armati di mitra ci fanno entrare nel recinto”.
            “Intanto giungono, l’una dietro l’altra, altre autocarrette che scaricano a decine ufficiali di ogni arma: tutti quelli che sono stati fatti prigionieri durante i combattimenti o si sono arresi, a capitolazione avvenuta, il 22”.
            “La mattina del 24 – dice P. Formato – verso le 7, vediamo il generale partire bruscamente prelevato da un ufficiale tedesco”.
            “Ci viene comunicato che dobbiamo tenerci pronti per subire un interrogatorio, alle 8, presso un comando tedesco”.
            “Alle 7:45 ci riuniscono tutti e ci fanno salire su varie autocarrette”.
            “Una sentinella tedesca vedendomi in veste sacerdotale col bracciale della Croce Rossa vorrebbe impedirmi di salire. Ma un ufficiale presente alla scena fa bruscamente cenno che salga anch’io con gli altri”.
            “l’episodio, dal modo come si svolge, pone nell’animo mio e degli altri un presentimento angoscioso ”.
            “Tuttavia si è quasi tutti sereni”.
            “Le autocarrette oltrepassano l’ospedale civile, la polveriera, le ultime abitazioni di Argostoli, filano veloci dietro la penisola di S.Teodoro dove sappiamo che altro non c’è che deserto roccioso”.
            “Ad una rustica villetta solitaria di color rosso ci addossano al muro di cinta”.
            ”Di fronte a noi una decina di soldati tedeschi indossano l’elmetto di combattimento ed imbracciano il mitra”.
            “ Tutti allora ci rendiamo conto della situazione”.

            

Cefalonia. Padre Formato

PADRE FORMATO


            “ Indelebile rimarrà nei cuori dei superstiti della “ Casa Rossa” – dice il Capitano Apollonio – la figura del cappellano del 33° reggimento artiglieria don Romualdo Formato. Condotto sul posto per essere fucilato, assistette tutti gli ufficiali confortandoli con parole fraterne ed elevate”.
            “ Per fortuna, - dice il capitano Bronzini – è con noi don Romualdo Formato. La persona di questo prete è una grazia di Dio. Egli vuole fino all’ultimo restare con il suo reggimento e dividerne la sorte”.
            “Per tre volte, - dice P. Formato – sia per ritardare l’esecuzione in massa che ritengo immediata sia per tentare di evitare l’infame eccidio, avanzo verso un gruppo di sottufficiali tedeschi che comandano quei pochi armati”.
            “ Dico ad alta voce: “ In nome di Dio!, qui ci sono soldati che non hanno altra responsabilità che quella di aver obbedito ai loro superiori! Contro tutte le norme internazionali, volete sottoporci alla morte dopo che il Vostro Comando ha ufficialmente stipulato ed accettato la resa e dopo che ci ha tutti disarmati! Imploro a nome di tutti almeno un sommario interrogatorio. Proclamo tutti innocenti e non meritevoli di pena capitale!””.
            “L’interprete tedesco, un sottufficiale, traduce invano le mie parole”.
            “I tedeschi, di proposito, non hanno mandato sul posto alcun ufficiale che potrebbe assumersi qualche responsabilità”.
            “Di mano in mano che giungono le autocarrette – testimonia il capitano Bronzini – più di un ufficiale si trova addosso un soldato tedesco che gli afferra i polsi per cercarvi l’orologio, che fruga in ogni tasca asportandone il portafoglio e gli oggetti di valore, che toglie gli anelli dalle dita”.
            “Don Formato intanto parla con l’interprete: questi dice che l’ordine è di fucilare tutti. Il sacerdote implora invano. Mostra allora il suo abito talare e chiede se anche lui dovrà subire la stessa sorte. La risposta è affermativa”.
            “Noi credevamo che in questo stesso recinto ci avrebbero piazzate davanti le mitragliatrici e ci avrebbero uccisi. Invece la procedura delle esecuzioni non sarà così e non tarda a rivelarsi”.
            “Quando mostrai il mio abito talare e il bracciale della Croce Rossa – dice P. Formato – venni duramente ricacciato al muro e mi fu detto, con ironia, testualmente così: “Bah! Parlare di Croce Rossa al quinto anno di guerra!”.
            “Visto allora che non c’era altro da fare mi rivolsi agli ufficiali con queste parole: “Amici e fratelli! Conoscete ormai la sorte che ci attende. Non ci resta ormai che rivolgerci a Dio e raccomandarci alla sua infinita misericordia. Gli chiederemo, tutti insieme, perdono delle nostre colpe, ed io, suo ministro, per l’autorità che Egli stesso e la sua Chiesa mi accorda in questa tragica circostanza, impartirò a tutti l’assoluzione sacramentale. Accettiamo serenamete la morte come olocausto espiatorio per le colpe della vita. Il nostro sangue, per virtù del sangue di Cristo Crocifisso, sia alla nostra anima lavacro di purificazione. Disponiamoci a presentarci fiduciosi al trono di Dio, padre e consolatore nostro!”.
“Seguì una scena, tristissima e al contempo sublime”.
“Come al tempo dei primi cristiani, nel martirio degli anfiteatri, tutti si raccolgono in preghiera attorno al sacerdote benedicente”.
“Tutti sono in ginocchio”.
“Molti levano le mani al cielo, altri hanno un libretto di preghiere od una corona del rosario. Qualcuno fissa gli occhi su un’immagine sacra od una medaglietta tolte dal collo. Molti levano dal portafoglio le fotografie dei loro cari e le mostrano ai vicini”.
“Recitiamo, tutti insieme, con gran calma, adagio adagio, scandendo bene e forte le parole l’atto di dolore”.
“Quindi, a voce altissima, recito al plurale l’intera formula d’assoluzione come è prescritta per il sacramento individuale della penitenza”.
“Poi cominciarono le esecuzioni con ritmo accelerato”.

“La medesima opera ripetevo con gli altri gruppi, di mano in mano che sopraggiungevano le autocarrette”.

giovedì 20 agosto 2015

Cefalonia La Tragica Sfilata

LA TRAGICA SFILATA


“La procedura dell’esecuzione – informa il capitano Bronzini – è la seguente: un interprete tedesco – nessun ufficiale è sul luogo – grida “fuori 8” oppure “fuori 12”. Otto o dodici ufficiali si presentano e vengono accompagnati fuori dal recinto. Subito dopo si sente la breve scarica di fucileria”.
“I tedeschi – dice P. Formato – hanno formate tre squadre di 8 uomini ciascuna. La prima mira alla testa, la seconda al petto, la terza dà il cosiddetto “colpo di grazia” alla tempia”.
“Quando l’interprete tedesco grida “fuori 8” – precisa il capitano Bronzini – sono sempre più di 8 ufficiali a presentarsi, ma gli esuberanti vengono respinti. Giacché si deve morire, non è meglio affrontare subito la morte e toglierci dal penare? C’è chi si confessa. Moltissimi scrivono biglietti di estremo saluto ai cari lontani. Altri vogliono che oggetti personali o ricordi vadano ad essi. Consegnano il tutto a don Formato”.
“Fuori 8”, “fuori 12” grida la solita voce.
“Le scariche si alternano alle chiamate”.
“Dei soldati tedeschi che ci montano la guardia attorno, alcuni sono tristi, altri paiono indifferenti, qualcuno ci guarda sorridendo e ci dice: kaputt, kaputt”.
“Il contegno degli ufficiali italiani è esemplare. Un giovane sottotenente si buttò a terra e cominciò a ridere, ridere forte fin quando non lo presero e lo portarono alla fucilazione. Un altro giovane ufficiale piangeva. Tutti gli altri si comportarono degnamente”.
“Tutti si mantengono meravigliosamente calmi; - dice P. Formato -. Ognuno prima di andare sotto il plotone di esecuzione passa da me a consegnarmi o l’anello della fede per la consorte lontana o una catenina d’oro o l’orologio o qualunque altro ricordo. Tutti mi fanno scrivere l’indirizzo della propria famiglia ed alcuni mi dettano le ultime volontà o delicatissime commissioni. Molti temendo di non fare in tempo a consegnarmi le loro cose, e non potendosi staccare dal muro, m’invocano nervosamente dalla parte loro. Per qualche tempo, in quel sinistro luogo di morte, non si è udito che un solo grido ripetuto con voce altissima da cento e cento petti: “Cappellano! Cappellano! Qui, un momento solo!” A me sembra di impazzire, non sapendo dove accorrere prima. Mentre, come un automa, corro da una parte all’altra lungo quel tragico assembramento di morituri, ricevo oggetti, scrivo appunti, do a tutti la mia parola di conforto cristiano. I tedeschi mi lasciano fare. Per oltre 4 ore si prolunga lo strazio di quel martirio, di quegli addii, di quegli abbracci interminabili, di quei baci che ci fanno vicendevolmente inzuppare di lacrime i volti. Alcuni si gettano ai miei piedi e non contenti dell’assoluzione generale vogliono ripetere la confessione individuale. Altri si attaccano alla mia veste come per non staccarsene più. Molti mi prendono le mani e convulsamente e baciano, e le bagnano di lacrime cocenti e di freddo sudore ”.
“Ad un tratto – dice il sottotenente Esposito – ci fu come un attimo di sospensione: un ufficiale, il sottotenente Clerici, si avvia alla fucilazione cantando la “Leggenda del Piave””.
“Il sottotenente La Terza – prosegue P. Formato – mi dice: “Cappellano, mi attacco a te, così resto un minuto di più in vita”. Fu violentemente strappato dai miei piedi e gettato fuori del recinto”.
“Il mio colonnello Romagnoli, che aveva una venerazione per una sua figliola studentessa universitaria e crocerossina volontaria, consegnandomi un anello e un orologetto d’oro, mi dice solennemente: “Don Formato, voi conoscete l’indirizzo della mia famiglia. Se riuscirete ad andare a Roma, recatevi voi a confortare mia moglie e portatele questo anello. L’orologetto invece lo porterete a mia figlia e le direte che viva sempre nel ricordo di suo padre. Addio, don Formato, e grazie della vostra opera nel mio reggimento”. Dopo avermi abbracciato e baciato, il mio colonnello va alla morte. E’ calmo, imponente, con la pipa fra le labbra”.
“Il capitano Montanari, che aveva recentemente perduto la madre, mi dice: “don Formato, dirai a papà che sono morto da forte soldato e da buon cristiano””.
“Il sottotenente Poma: “don Formato, và a trovare papà e dì a tutti che non piangano molto: io muoio con la coscienza tranquilla””.
“Il tenente Bernardini, consegnandomi due fotografie da portare alla fidanzata, mi dice: “Cappellano, dite a quella povera ragazza che se non ci siamo potuti unire su questa terra ci ricongiungeremo lassù ””.
“Anche il capitano Carocci – testimonia il Bronzini – ufficiale d’ordinanza del gen. Gandin, si presenta spontaneamente. Mi dice: “a me non importa morire. Ma i miei non si consoleranno mai. A rivederci”. Cammina con passo svelto come quando accorreva alle chiamate del suo generale. Sul cancello, si volge verso me e Saettone, ci sorride e ci saluta con la mano. Dopo un po’ ecco la scarica. Povero Carocci, dico a saettone. Ma nel dire così mi viene alle labbra un pensiero: caro Saettone, dico, perché ho detto “povero” a Carocci? Sono più povero io che, come lui, devo morire e non ho come lui il coraggio di presentarmi alla morte. Saettone mi risponde: “fai male. Dai tedeschi non c’è nulla da sperare. Adesso me ne vado anche io””.
“Così dicendo si affianca al capo di stato maggiore, ten. Col. Fioretti, che in quel momento usciva dal gruppo per presentarsi ad una delle solite chiamate”.
“Anche il ten. Col Fioretti mi saluta e mostrandomi una fotografia, che da tempo tiene nelle mani, mi dice: “vede, questi sono i miei bambini. Quando sono partito per venire qui hanno pianto tanto e nel salutarmi non volevano staccarsi da me. Poveri piccoli, forse loro presentivano qualcosa”. Fioretti si allontana.
“Povero Fioretti! Aveva iniziato il servizio alla “Acqui”, quale capo di stato maggiore, appena il 4 settembre.
“Il capitano Gasco, comandante della 2a compagnia carabinieri, ufficiale di complemento che da civile insegna filosofia al Liceo Alfieri di Torino, padre di cinque piccoli figli, nell’andarsene mi dice: “i miei studi preferiti, in questo momento, sono per me di tanto conforto, ma penso ai miei bambini e a mia moglie. Come faranno senza di me?”. Se ne va senza turbamento. Giunto al cancello, si volge a me e ad altri, si pone rigido sull’attenti e grida: “morirò da carabiniere”.
“Così vedo avviarsi alla morte i miei colleghi del comando della divisione: i capitani Caruso, Caffarelli, Cartocci-Bartolomei. Se ne vanno pure spontaneamente il ten. Onorato dell’ufficio cifra, il tenente Sandalli, comandante della 27a sezione carabinieri, il capitano Adevaldo Ferrari del comando artiglieria.
“Da alcuni ufficiali ultimi giunti vengo a sapere che i tedeschi, durante i giorni 21 e 22, hanno fucilato sullo stesso campo di battaglia molti nostri soldati ed ufficiali. Il gen. Gherzi, al momento della fucilazione, ha scoperto il petto ed ha gridato “Viva l’Italia!”.
“La maggior parte degli ufficiali catturati durante i combattimenti sono stati internati nel carcere e parte in una caserma di Argostoli. Gli ufficiali del carcere sono già stati fucilati. Ora è la volta di quelli della caserma, che sono circa duecento.
“Giungono infatti altre camionette cariche di nuove vittime.
“Il cortile quasi si vuota, poi si riempie di nuovo: si vuota e si riempie.

“Decine e decine di ufficiali di cui non conosco il nome vanno alla morte”.