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giovedì 20 agosto 2015

Cefalonia. l'ultimo gruppo


L’ULTIMO GRUPPO


“Come potrei descrivere – dice P. Formato – le strazianti scene che mi dilaniarono l’animo in quelle quattro ore di martirio?”.
“Ad ogni arrivo di vittime – testimonia il Bronzoni – don Formato rinnova le preghiere e le assoluzioni. I tedeschi lo lasciano fare. Forse pensano di fucilarlo per ultimo, quando avrà terminato la sua missione.
“Verso le 10, ecco un ufficiale tedesco. È un subalterno.
“L’interprete dice che tutti gli ufficiali delle provincie di Treno, Belluno, Bolzano, Merano sono graziati. Se tra i presenti vi sono militari in queste condizioni vengano fuori. Si presentano solo dodici ufficiali che sono davvero tutti trentini. Un brivido di orgoglio mi corre per il sangue: la onestà degli ufficiali italiani è tale che nessuno, per aver salva la vita, è ricorso alla menzogna. Infatti la dichiarazione del luogo di nascita non avveniva su esibizione di documenti ma soltanto sulla parola.
“La carneficina intanto continua senza rispetto per la persona umana: i tedeschi infatti non si preoccupano di fare un elenco nominativo delle vittime. Sicché, dopo l’esecuzione, di quello che fu uomo non resta più alcuna traccia.
“Un ten. Col. di fanteria di complemento mostra ai tedeschi una fotografia in cui egli, in divisa di console della milizia, è a fianco di Mussolini. Mostra altri documenti fascisti. Pare che i tedeschi prendano in considerazione questi titoli. Ma sono appena una decina gli ufficiali che, in virtù di documenti fascisti, vengono messi da parte e piantonati”.
“Erano le tredici – dice P. Formato – quando, per caso, posai lo sguardo sul volto del sottotenente tedesco. Vi scorsi un senso di stanchezza e di terrore. Aveva le occhiaie cerchiate e gonfie. Allora mi avvicinai a lui e con le mani in alto: “Pietà! Pietà! Signor tenente, vi prego salvatemi almeno questo ultimo gruppo! Sono ormai quattro ore che fucilate! Basta, basta! Pietà in nome di Dio!”.
“Altro non potrei dire, perché caddi in ginocchio e disperati singhiozzi mi scossero il petto.
“Il mio pianto forse contribuì a commuovere maggiormente l’ufficiale. Poco dopo, si accostò a me il sottufficiale interprete e, battendomi ripetutamente la mano sulla spalla, mi disse: “Buono, buono! Ora l’ufficiale andrà a chiedere la grazia al comando tedesco”. Un senso di fiducia mi balenò nell’animo. Ma pensai subito di far chiedere collettivamente alla Madonna conferma alla mia speranza”.
“Padre Formato – dice il Bronzini – si avvicinò al gruppo di superstiti, molti dei quali erano in pianto, e disse: “Fratelli, coraggio. Recitiamo tre “Ave Maria” alla Madonna perché riesca questo ultimo tentativo!”. Tutti assieme, ad alta voce, implorammo: “Prega per noi peccatori”. Ed attendemmo pregando il ritorno dell’ufficiale tedesco”.
“Dopo mezzora – dice P. Formato – l’ufficiale torna. Parla all’interprete, il quale traduce a voce altissima: “Il comando tedesco concede la vota a quelli che sono qui presenti”. Strinsi allora la mano all’ufficiale e proruppi in un nuovo e irrefrenabile pianto”.

“Noi ultimi rimasti – dice il capitano Bronzini – ci guardammo in volto. Poi ci contammo: eravamo tredici, più don Formato quattordici. Si unirono a noi gli ufficiali trentini e quelli discriminati per meriti fascisti: siamo in tutto trentasette. Dalle 8:30 alle 13:30 sono passati per il cortile della “Casa Rossa” circa quattrocento ufficiali: siamo rimasti in vita segnati per sempre nell’anima, soli trentasette”.

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