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martedì 25 febbraio 2020

LO Sbarco di Salerno 7 Il Mancato riodino e consolidamento


A tre giorni dallo sbarco, con molto ottimismo, il Generale Clark giudicò che la testa di ponte fosse ormai consolidata. Le navi potevano tranquillamente scaricare carri armati ed automezzi, i rinforzi riuscivano ad affluire regolarmente sulla spiaggia; per questo assicurò al generale Alexander che avrebbe presto iniziato la marcia verso Napoli. Tale rosea previsione fu smentita il giorno 12, quando la situazione mutò a seguito del contrattacco tedesco. Era evidente che i tedeschi stavano rafforzandosi in tutto il settore e questa situazione determinò un’ondata di pessimismo: qualcuno parlava di una nuova Gallipoli. Contro il X Corpo britannico intervenne una parte della Divisione “Goering” e la 15^ Divisione corazzata, mentre la 16^ Divisione corazzata da Battipaglia avanzava lungo il Sele contro la 45Divisione USA che stava cercando di stabilire un collegamento tra il X Corpo britannico ed il VI Corpo d’Armata USA.
A nord la 45^ Divisione raggiunse Persano e sull’estrema sinistra della V Armata i rangers riuscirono a spingere alcune pattuglie fino a Castellammare di Stabia dove incontrarono una forte resistenza tedesca. Davanti alla V Armata si stavano schierando la 26a e la 29a Divisione tedesca, mentre il generale Montgomery, nonostante le sollecitazioni del generale Clark, avanzava dalla Calabria senza darsi molta premura dando a Kesserling la sensazione di poter ricacciare in mare la V Armata. Il Feldmaresciallo disponeva, oltre della 16^ Divisione corazzata e della 15 Divisione granatieri, anche della  26^, della 29^ e della 3^ granatieri che stavano sopraggiungendo da Roma; in totale egli poteva contare su circa 600 carri e molti cannoni semoventi che gli assicuravano una momentanea superiorità di mezzi rispetto all’avversario.
Nel frattempo, la 46a Divisione britannica che operava sulle alture intorno Salerno, dovette sostenere duri scontri contro i tedeschi che riuscirono ad arrivare fino alla periferia della città mentre la 45a Divisione USA combatteva accanitamente intorno a Persano contro le accanite divisioni tedesche (26a e 29a). Rimaneva, comunque, un vuoto di 8 km fra la destra del X Corpo e la sinistra del VI Corpo d’Armata; in esso si inserirono le forze tedesche che presero Altavilla. Nel pomeriggio parte del 142° reggimento si dovette ritirare in gran disordine.


giovedì 20 febbraio 2020

Lo Sbarco di Salerno 6 Esecuzione



(1)  Gli sbarchi
Nel pomeriggio dell’8 settembre 1943, Hube fu avvisato della presenza di navi nemiche a 25 miglia a sud di Capri e, conseguentemente, pose al massimo grado di prontezza le unità dipendenti. Dopo poche ore (alle 20.00) ricevette, in contemporanea, l’ordine d’attuazione del piano “Achse” inerente il disarmo immediato di tutte le truppe italiane. In molti casi, queste ultime accolsero con gioia quella che ritenevano essere la fine della guerra cedendo volentieri le armi. Diverso fu l’atteggiamento del Comando della 222a Divisione il cui Comandante, Generale Gonzaga, rifiutò la cessione delle armi, venendo trucidato all’istante dal maggiore tedesco inviato per chiederne la resa. La citata 16a Divisione ebbe appena il tempo di completare il disarmo italiano che iniziò lo sbarco dei rangers e dei commandos.
La forza da sbarco alleata fu raggiunta dalla notizia dell’armistizio (diffusa da Radio Londra) mentre era in piena navigazione. Essa ascoltò, prima degli italiani, l’annuncio del Generale Eisenhower riguardante della resa italiana. Il comunicato, trasmesso dagli altoparlanti delle navi, giunse del tutto inatteso e generò grandi manifestazioni di gioia nel personale militare, che viveva le comprensibili ore di tensione che precedono un’operazione bellica di tale importanza. Un simile annuncio, su uomini tesi al massimo nell’imminenza della battaglia, poteva generare sfortunate conseguenze psicologiche e, dopo un’iniziale euforia determinata dalla convinzione che a Salerno la gente avrebbe accolto i soldati alleati come amici e la missione si sarebbe risolta in una passeggiata, gli ufficiali provvidero a smorzare l’eccessivo ottimismo fecendo presente che, qualsiasi fosse stato l’atteggiamento italiano, non sarebbe mancata l’accanita resistenza dei tedeschi (che, come accennato, erano a conoscenza della presenza della flotta alleata nel Tirreno e consideravano, da giorni, il litorale salernitano possibile obiettivo di un’operazione anfibia). Il Comando di Kesserling aveva addirittura progettato il bombardamento delle navi interessate all’operazione nel porto di partenza (Biserta).
Le condizioni meteorologiche erano ottimali per lo sbarco: notte calma e senza vento, cielo sgombro da nuvole, mare calmo. La luna era tramontata alle 00.57 e su tale dato fu stabilità l’ora dello sbarco per le 03.30 del 9 settembre, momento di massima oscurità, utile per l'occultamento della forza da sbarco, ma, di contro, svantaggiosa per le manovre di avvicinamento alla costa e per lo sbarco che, in se, non fu particolarmente complesso ma osteggiato dalla scarsa visibilità che creava problemi di orientamento alle truppe appena sbarcate dai mezzi navali, che dovevano muoversi su un terreno piatto e privo di riferimenti. Mentre i soldati alleati prendevano terra, quasi contemporaneamente la Luftwaffe diede inizio ad una serie di attacchi sia sulle navi in rada che sui mezzi in fase di sbarco, alcuni dei quali furono centrati con conseguenti ingenti perdite umane. Lo sgombero dei feriti gravi fu affidato ad imbarcazioni con i quali raggiunsero le navi ospedale presenti in rada. In casi particolari, lo sgombero avvenne direttamente in Sicilia, Malta e nord Africa, mentre i feriti più lievi vennero curati in un ospedale da campo nei pressi della Basilicata o medicati sul posto.
Attraverso alterne vicende si giunse al levar del sole, quando i Tedeschi fecero saltare il Ponte Barizzo o Ponte alla Scafa, posto sulla S.S.18 all’altezza del Sele, ma gli uomini di Dawley e Walker, nonostante le difficoltà incontrate, riuscirono a superare il “battesimo del fuoco" e stabilire una testa di ponte ampia circa otto chilometri.
Contemporaneamente, rangers ed commandos, rapidamente sbarcati a Maiori e Marina di Vietri, penetrarono nell’interno per circa due chilometri fin quando non incontrarono una forte resistenza tedesca che, con tiri di cannone e mortai, fece sospendere per parecchie ore l’afflusso di rifornimenti ed ogni ulteriore azione. Solo a giorno fatto il fuoco navale poté intervenire contro i tedeschi respingendoli verso l’interno ed infliggendo loro ingenti perdite in uomini, pezzi d’artiglieria e mezzi corazzati. Alle 16.30 le truppe alleate attraversarono le strade deserte di Salerno e proseguirono verso Cava dei Tirreni, incontrando i Commandos a Marina di Vietri.

In contemporanea, la 46Divisione del X Corpo d’Armata effettuò sbarchi a nord di Battipaglia sulle spiagge “rossa” e “verde” e la 56Divisione sulle spiagge “Sugar” e “Roger” situate a sud della predetta località. Lo sbarco non avvenne secondo quanto pianificato, in quanto due battaglioni della 46a  Divisione sbarcarono sulla spiaggia assegnata a due battaglioni della 56a Divisione creando notevole confusione. Man mano che schiariva, le artiglierie tedesche effettuavano tiri sempre più efficaci contro i mezzi da sbarco e le spiagge. La situazione mutò quando intervenne il fuoco navale a supporto del X Corpo d’Armata, che iniziò a contrastare efficacemente, con i cannoni da 381 mm, le forze tedesche.
Nonostante le difficoltà incontrate durante la prima giornata, nel settore affidato ai britannici furono sbarcati 1600 veicoli e 50 tonnellate di materiali.
Per quanto concerne lo sbarco della 36a divisione USA a Paestum, le spiagge interessate furono a Nord quella “Rossa” e “Verde” affidate al 142° reggimento e a Sud quella “Gialla” ed “Azzurra” assegnata al 141°.


Le prime ondate di mezzi da sbarco giunsero a terra all’ora prestabilita (03.30). Ben presto però i tedeschi concentrarono un violento fuoco di cannoni, mortai e mitragliatrici, unitamente ad attacchi aerei sui mezzi da sbarco del 142° reggimento. Anche in questo caso fu risolutivo il fuoco navale grazie al quale gli statunitensi riuscirono a portare a terra le artiglierie campali che si rivelarono efficaci contro i carri tedeschi. L’azione navale permise il successivo sbarco anche del 143° fanteria e consentì al 142° di inoltrarsi verso l’interno delle spiagge “Rossa” e “Verde”, fino a raggiungere la stazione di Capaccio.
Il 141° reggimento incontrò grosse difficoltà sulle spiagge “Gialla” ed “Azzurra” ove rimase inchiodato per circa 20 ore. Comunque, il caposaldo tedesco presso Paestum cadde in possesso degli statunitensi, i quali poterono avanzare e raggiungere, alle ore 11.00, Monte Soprano.
Intanto nel settore britannico i primi carri armati cominciavano a sbarcare (10.30 del 9 settembre). Un battaglione della 169a Brigata raggiunse le vicinanze dell’aeroporto di Montecorvino che comunque rimase nelle mani dei Tedeschi.
Al termine della giornata, nonostante fossero stati raggiunti gli obiettivi prefissati e conseguiti, soprattutto nel settore britannico, progressi che inducevano ad un cauto ottimismo, regnava nei Comandi alleati una grande preoccupazione di carattere strategico: i circa 15 km di distanza tra i due Corpi d'Armata ed, in particolare, il corridoio compreso tra il punto in cui il Calore si getta nel Sele e la S.S.19 (già citata come asse d’afflusso dei rinforzi nemici provenienti dalla Calabria). Per colmare il gap occorreva riparare il Ponte Barizzo per permettere alle truppe della 45a Divisione di ridurre la distanza tra i due Corpi.
Nella giornata del 10 settembre, commandos e rangers si scontrarono, sui monti alla base della penisola di Sorrento, contro una parte della divisione “Goering”, riuscendo a conservare le posizioni raggiunte, sebbene a costo di forti perdite. Ciò consentì alla 46a Divisione di consolidare la propria posizione.
Gli attacchi tedeschi dell’11 si svolsero proprio nella "terra di nessuno” esistente tra i due Corpi alleati, un vero e proprio tallone d'Achille, che fece riscontrare numerose perdite di materiali ammucchiati sulle spiagge.
Nel settore del VI Corpo d’Armata la resistenza tedesca si fece estremamente efficace, anche grazie all’arrivo della 29a Divisione granatieri corazzata tedesca proveniente dalla Calabria. Ciò malgrado la 36a Divisione riuscì ad attestarsi sulla linea Agropoli – Altavilla.
Fu un giorno non facile per la marina statunitense: i Tedeschi miravano sulla nave ammiraglia di Hewitt, inconfondibile sia per la stazza che per la quantità di antenne che la sovrastavano, facendole cambiare posizione.
Comunque il fronte alleato, nelle prime 48 ore, era avanzato di circa 16 chilometri nel punto di massima progressione, ma soltanto di 1.5 km sulla sua sinistra.
Sui muri della città di Salerno, venne affisso il Proclama numero 1: un manifesto a firma di Alexander, Comandante Supremo del 15° Gruppo d'Armata, nel quale si informava la cittadinanza che il Colonnello Thomas Aloysius Lane dell'Esercito USA avrebbe assunto ufficialmente la carica di governatore militare della città. I rapporti con la popolazione locale furono incentrati sulla collaborazione, il rispetto e l'aiuto reciproci: non mancarono giovani donne disposte a lavare le divise impolverate dei soldati, furono evacuati interi villaggi a rischio di bombardamenti ed alla popolazione fu distribuito "Meat & Vegetable Stew", il mitico stufato di carne e legumi in scatola. Tra le forze d'occupazione e le autorità locali nacquero rapporti di grande cordialità ma mancò completamente il supporto dei reparti italiani, sul quale Clark contava, almeno per impedire il libero movimento dei tedeschi nella zona dei combattimenti.

     Carta dello Sbarco pubblicata con post in data 21 agosto 2019 su questo blog

    (ricerca.cesvamòistitutonastroazzurro.org)

lunedì 10 febbraio 2020

Lo Sbarco di Salerno 4 Pianificazione


4.    LA RICOSTRUZIONE STORICA DELL’OPERAZIONE “AVALANCHE”

a.   Pianificazione
Con l’Operazione “Avalanche” gli Alleati intendono conquistare Napoli per poi procedere alla successiva liberazione di Roma, costringere i tedeschi ad abbandonare rapidamente il sud dell’Italia ed acquisire le infrastrutture portuali e aeroportuali site nel meridione ritenute essenziali non solo per il prosieguo della campagna d’Italia ma anche per le attività da attuarsi nei Balcani.  Per contro, secondo la pianificazione di Kesserling, i tedeschi mirano, dopo aver attuato il disarmo degli italiani, a mantenere il controllo della maggior parte del territorio della penisola allo scopo di ritardare il più a lungo possibile la progressione alleata. Coscienti delle difficoltà insite nella difesa della Puglia e della Calabria, ove appare inopportuno schierare ingenti quantità di truppe a causa dell’elevato rischio che queste possano rimanere imbottigliate in conseguenza di rapide azioni di sbarco alleate a nord della “punta” e del “tacco” dello stivale italiano, i tedeschi contano di attestarsi sulla linea di difesa Salerno-Bari, salvo lasciare un esiguo contingente di truppe in prossimità di Castrovillari a fungere da “esca” per gli alleati.
Il piano elaborato dal Generale Mark W. Clark per la citata operazione “Avalanche” (Valanga), prevede l’impiego delle seguenti unità:


        X Corpo d’Armata britannico al comando del Generale Mc Creery, costituito dalle Divisioni di fanteria britanniche 46a (con 1°, 3° e 4° battaglione Ranger USA e 2° e 41° battaglioni Commandos UK) e 56a, 7a Divisione Corazzata e 23a Brigata Corazzata;

        VI Corpo d’Armata statunitense del Generale Dawley, composto dalla 36a Divisione, 45a Divisione (di cui due reggimenti in riserva a bordo delle navi), 3a Divisione e 44a Divisione;

        82a Divisione Aviotrasportata (USA);

        7a Divisione britannica, il cui sbarco è previsto il D+4, da impiegare per la conquista di Napoli.

Il Golfo di Salerno fu diviso in due settori di sbarco: quello posto a nord del fiume Sele venne affidato al X Corpo d’Armata britannico e quello a sud al VI Corpo d’Armata statunitense.
A questo punto è giusto chiedersi per quale motivo gli Alleati preferirono la zona di Salerno rinunciando a quella di Gaeta o allo sbarco diretto nel porto di Napoli (opzioni considerate in fase di pianificazione). A tal fine occorre indicare le valutazioni che gli Alleati espressero, in termini di vantaggi e svantaggi, che portarono alla scelta di Salerno:
(1)  Vantaggi:
        accesso dal mare esente da problemi, con spiagge piatte ed assenza di secche;
        la piana del Sele, dopo la bonifica operata dal regime fascista, risulta facilmente percorribile ed insiste, nell’area, un buon asse viario che adduce alla città  Potenza[1];
        Napoli risulta raggiungibile, attraverso il valico di Chiunzi, partendo dalla località costiera di Vietri sul mare;
        l’area è servita da un’efficiente rete ferroviaria ed è provvista di aeroporto (all’epoca di Montecorvino oggi di Salerno-Pontecagnano);
        la zona di Salerno, contrariamente a quella di Gaeta, non risultava troppo lontana dalla Sicilia e consentiva di garantire il necessario supporto aereo mentre il Golfo di Napoli doveva ritenersi escluso dalle operazioni, in quanto i suoi approdi erano minati;
        presenza di alture dominanti (cime che in taluni casi sfiorano i 1000 metri) che circondano una sorta di “triangolo” pianeggiante e che, se conquistate, avrebbero consentito una validissima difesa da contrattacchi nemici.

(2)  Svantaggi
        la citata parte pianeggiante, se in mano ai tedeschi, avrebbe consentito (come in effetti avvenne) a questi di godere di una perfetta visuale su tutta l’area avvedendosi di ogni manovra avversaria;
        il litorale interessato all’operazione è diviso in due dal fiume Sele (è presente anche un suo affluente, il Calore) troppo profondo per essere guadato, che dividendo in due la zona avrebbe creato grossi problemi di collegamento tra le teste di sbarco (come si verificò);
        le acque del Golfo di Salerno, come tutte quelle prospicienti importanti zone portuali o suscettibili di sbarchi e/o incursioni, erano minate.
La protezione del fianco settentrionale della testa di sbarco prevedeva l’impiego dei tre battaglioni di rangers e due di commandos britannici che sarebbero sbarcati davanti a Majori e a Marina di Vietri per poi bloccare le due strade che da Napoli portavano a sud e tramite le quali era probabile sarebbero affluiti i rinforzi tedeschi. Stabilite le teste di sbarco, i due Corpi d’Armata avrebbero sfruttato l’iniziale successo spingendosi verso l’interno per costituire un saldo perimetro difensivo basato sull’arco delle colline sovrastante le spiagge. La loro linea essenziale di demarcazione sarebbe stata costituita dal fiume Sele, mentre il loro punto perimetrale di congiunzione sarebbe stato Ponte Sele, sulla statale 18. Al X Corpo d’Armata era affidato il compito di occupare il piccolo porto di Salerno e l’aeroporto di Montecorvino (oggi di Pontecagnano) dal quale il generale Clark sperava di far operare, dal giorno D+1 reparti di caccia. Successivamente, il X Corpo d’Armata avrebbe sfondato a Nord e proseguito per Napoli onde occuparla entro il 21 settembre, data entro la quale era previsto l’arrivo del primo contingente di rincalzo. I punti chiave da conquistare, quindi, risultavano essere: l’aeroporto di Montecorvino e l’importante nodo stradale-ferroviario di Battipaglia posto a sud, il porto di Salerno ed il passo di Chiunzi a Nord, essenziale per poter successivamente puntare in direzione di Napoli.
Come era avvenuto per l’Operazione “Husky”, anche per la “Avalanche” vi fu una forte parcellizzazione dei comandi e reparti impegnati nella stessa, che dovettero imbarcarsi da porti diversi. Tale problematica fu risolta grazie all’ottimo coordinamento attuato da Clark e dai suoi comandanti ai vari livelli che, non essendo coinvolti nelle operazioni in atto, poterono dedicarsi alla preparazione dell’operazione. Su questa influirono, invece, negativamente le incertezze connesse alla scelta del piano da attuarsi (tra i diversi proposti) e all’imponderatezza relativa al tonnellaggio disponibile (in termini di naviglio). Anche Clark contribuì a complicare la pianificazione apportando cambiamenti che influirono sulle tabelle orarie dei convogli e delle varie ondate d’assalto. La protezione navale, in funzione di un’eventuale mancata resa della flotta italiana, fu decisamente potente, come nel caso dell’Operazione “Husky”, poiché affidata alla Forza “H” dell’Ammiraglio Willis, che contava quattro corazzate, due portaerei e la 12a squadriglia incrociatori, costituita da quattro unità. Questo schieramento doveva contrastare eventuali unità italiane provenienti da La Spezia e Genova, mentre una forza a parte, costituita da quattro corazzate, avrebbe fatto altrettanto nei confronti di unità provenienti da Taranto e dall’Adriatico. Per quanto concerne l’appoggio alle forze a terra, a favore del X Corpo d’Armata di terra era orientata la 15a squadriglia incrociatori britannica, articolata su tre unità, mentre a sostegno del VI Corpo d’Armata erano disponibili quattro incrociatori USA ed un monitore britannico. Il comando delle unità navali d’assalto fu assunto dall’Ammiraglio Hewitt che issò le sue insegne su nave “Alcon” (USA) a bordo della quale salì anche Clark.
Dato che il golfo di Salerno risultava minato, navi cacciamine avrebbero ripulito le zone di ancoraggio delle unità e creato corridoi per l’accesso alle spiagge.
Per quanto concerne l’impiego della componente aerea, costituita da circa 1300 bombardieri pesanti, 1400 caccia e caccia-bombardieri e 406 aerei da trasporto; questa si basava su tre principi (che avrebbero in seguito costituito una costante nelle operazioni alleate):

        neutralizzazione della Luftwaffe (in modo da costringerla a retrocedere su aeroporti lontani) tramite massicce incursioni di caccia e bombardieri;

        riduzione/annullamento della possibilità tedesca di far affluire rinforzi nella zona d’operazione bombardando i punti nevralgici della rete stradale, ferroviaria e i porti;

        protezione, con l’impiego di caccia, delle zone d’assalto fin quando le forze di terra non fossero uscite dalle loro teste di sbarco, le navi d’assalto non si fossero disperse e l’intera zona avesse costituito, per la Luftwaffe, un obiettivo pagante.


Stretto appoggio sarebbe stato fornito alle truppe da sbarco con le restanti risorse dopo che i suddetti compiti primari fossero stati soddisfatti. Inoltre, sarebbero stati compiuti attacchi su vasta scala per evitare di rivelare il vero punto di attacco da reiterare, dopo lo sbarco, nella zona di Napoli per sospingere la Luftwaffe al nord e tagliare tutte le strade che portavano al campo di battaglia.
Grave omissione, fatta in fase di pianificazione, fu non prevedere il bombardamento delle difese presenti sulla spiaggia di Salerno. L’esperienza siciliana portò, infatti, a ritenere improbabile che il nemico potesse, stante il fattore sorpresa, predisporre per tempo un’energica difesa dell’ampio litorale salernitano. Il momento critico di qualunque sbarco, è infatti quello in cui il nemico prende visione del punto in cui esso sta avvenendo e predispone, di conseguenza, un vigoroso contrattacco. La forza dell’attaccante sta proprio nella capacità di ritardare e impedire tale evento. Se vi fosse stata una preparazione d’artiglieria navale, sarebbe stato necessario bonificare dalle mine navali una determinata zona di mare dando ai tedeschi la possibilità di intuire, con circa 24 ore di anticipo, le spiagge scelte per lo sbarco. Inoltre, è probabile che Clark abbia considerato inopportuno colpire città e villaggi di un Paese non più nemico (e distruggere gli antichi templi e le vestigia della città di Paestum) e preferito contare sul fattore sorpresa e sull’aiuto degli italiani. Sulla scorta di tale scelta, Mc Creery predispose, per il suo X Corpo d’Armata, un appoggio navale ravvicinato specificamente programmato, da attuarsi in caso d’assenza del fattore sorpresa. Diversamente fece il Dawley per il VI Corpo d’Armata, ritenendo sufficiente poter contare, alla bisogna, sul generico fuoco d’appoggio navale.
Per quanto concerne le forze germaniche, parrebbe che il Generale Hube, Comandante del XIV Corpo d’Armata corazzato, fosse informato sulla possibilità di uno sbarco nella zona di Salerno. In tal senso, fece affluire nel suo settore, proveniente dal versante adriatico, la 16a Divisione corazzata per rafforzare le difese italiane. Tale unità, già impiegata a Stalingrado, poteva contare su 4000 reduci dalle campagne di Polonia, Francia oltre che sovietica e possedeva un’alta motivazione. La grande unità aveva rapidamente adattato le sue tattiche al nuovo teatro d’operazioni predisponendo, nella zona di Salerno, una serie di capisaldi dominanti le più probabili zone di sbarco, unico sistema per poter difendere i 50 chilometri di costa ad essa affidati. I varchi, sarebbero stati protetti da campi minati, ostruzioni in filo spinato e sorvegliati da forti pattuglie costituite da fanteria, carri e cannoni semoventi mentre alla 222^ Divisione costiera italiana toccava il compito di difendere i settori meno suscettibili di sbarco presenti nel golfo di Salerno.

 Vds Carta  pubblica con post in data 14 agosto 2019 su questo blog 
      (ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org)


[1] La S.S.18, proveniente da Napoli, attraversa Salerno, da dove si diparte la S.S.88 per Avellino, poi Battipaglia, da dove partiva la S.S.19 per Eboli e Potenza.
[2] Nel settore britannico la situazione rimaneva pressoché invariata.
[3] "I Tedeschi assisteranno stamane a qualcosa che non si sarebbero mai aspettati. Oggi gliele daremo di santa ragione. Gli lanceremo addosso tutto quello che è a portata di mano ad eccezione dei lavandini"; così dichiarò il generale Edwin J. House, Comandante del XII Comando Supporto Aereo, coordinatore delle azioni aeree alleate a Salerno. (“Salerno 1943, operazione Avalanche”, A. PESCE, Ermanno ALBERELLI editore, 2000)

mercoledì 5 febbraio 2020

Lo Sbarco di Salerno 3

        

           LO SCENARIO POLITICO-STRATEGICO

“…….l’alternativa fra l’Italia meridionale e la Sardegna implicava la differenza fra la gloriosa campagna e la pura convenienza” W. S. Churchill, da The Hinge of Fate. Con queste parole il più importante statista britannico del XX secolo sintetizza la scelta operata a favore dell’invasione della Sicilia (Operazione Husky). La volontà di colpire al cuore la parte più debole dell’Asse non è ovviamente casuale. Con la perdita della Tunisia, inutilmente difesa da italiani e tedeschi con grande dispendio di residue energie (che avrebbero potuto trovare migliore impiego nella difesa del territorio metropolitano italiano) viene meno il fronte africano e per gli Alleati si palesa l’opportunità di attuare operazioni volte a eliminare l’Italia dal conflitto ed impegnare il maggior numero di unità tedesche nel teatro che per Washington costituisce il fronte europeo secondario, un fronte “a tempo”, cioè da attivarsi in funzione dello sbarco in Normandia per poi diminuire d’importanza in contemporanea con l’inizio di “Overlord”, per la quale si renderà necessario reperire il maggior numero di unità, anche a costo di sottrarle al teatro italiano.
È, questa, una visione che si discosta di molto da quella di Londra che, invece, prevede di prendere Roma prima dell’inverno del 1943, anche a scapito di “Overlord”, allo scopo di puntare verso l’Europa centrale ed evitare che tale regione possa ricadere sotto la sfera d’influenza sovietica. Non è un caso, se nelle conferenze di Teheran e Yalta gli intenti di Stalin, volti a ottenere il controllo dell’Europa centro-orientale trovano proprio nel lungimirante premier britannico, ma non in quello statunitense (Roosevelt), iniziale disappunto successivamente celato solo per esigenze dettate da mera opportunità politica. L’idea di iniziare l’assalto alla “Fortezza Europa” iniziando dal territorio italiano è, comunque, seppur con intenti diversi, condivisa dagli Alleati che si mostrano uniti anche nei confronti della proposta di capitolazione da sottoporre agli italiani. Essi giocano con abilità la trattativa di resa avviata dall’Italia che mira ad ottenere uno status di cobelligerante se non di nuovo alleato, concedendo ad essa solo generiche assicurazioni di un benevolo trattamento proporzionale all’impegno profuso restando fermi sulla formula della resa senza condizioni. Di fronte alle delegazioni inviate da Badoglio essi sapranno giocare d’astuzia facendo, infine, sottoscrivere al Generale Castellano solo l’armistizio “breve” senza consentire al Generale Zanussi di riferire a Roma il contenuto di quello “lungo”, assai più dettagliato e realistico circa il futuro ruolo dell’ex-nemico. Anche sulla data nella quale rendere pubblico l’accordo, gli Alleati seppero giocare d’astuzia e prevenire ogni possibile tentennamento italiano. Infatti, anche al fine di prevenire eventuali difficoltà o ripensamenti da parte italiana, palesatisi relativamente alla difendibilità di Roma (a seguito dell’abortito lancio della 82^ Divisione paracadutisti statunitense in prossimità della capitale) essi seppero riservarsi la scelta del momento in cui rendere pubblico l’armistizio in funzione delle imminenti operazioni da porre in essere. L’annuncio della capitolazione italiana fu dato da Eisenhower, tramite Radio Algeri, alle 18.30 dell’8 settembre 1943 (ripetuto dopo 10 minuti, in assenza di analogo comunicato italiano) costringendo Badoglio ad annunciare la resa italiana da Radio Roma alle 19.45, mentre questi, stante quanto riferitogli da Castellano, riteneva che tale comunicato non sarebbe occorso prima del 12-15 settembre 1943. Tenendo fede alle originarie intenzioni alleate, l’annuncio dell’armistizio (che sarebbe dovuto avvenire in forma congiunta tra Eisenhower e Badoglio) ebbe luogo la sera prima dell’avvio dell’Operazione “Avalanche” (9 settembre 1943).
Mentre la Regia Marina e la Regia Aeronautica ricevettero tempestivamente  precise disposizioni da attuarsi ad armistizio avvenuto, il Regio Esercito fu sostanzialmente colto alla sprovvista, talora mentre suoi comandi ed unità stavano attuando attività congiunte con l’alleato tedesco. Ciò generò stupore e risentimento nei confronti del Governo italiano portando in alcuni casi, come per la settima Armata (Generale Arisio), alla cessione di istallazioni, equipaggiamenti, armamento all’ormai ex-Alleato che sulle prime, in base alle disposizioni emanate inizialmente da Kesserling, si limitò a sciogliere i reparti italiani e rimandare a casa quadri e soldati. Successivamente, anche in base alle disposizioni emanate da Rommel, i tedeschi arrestarono e deportarono in Germania migliaia di soldati per utilizzarli come forza lavoro.  

Vds. La Carta dello sbarco e delle operazioni pubblicata in data 8 agosto 2019 con post su questo blog

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