sabato 22 agosto 2015
Cefalonia L'Epilogo 21- 24 settembre 1943
Il capitano Pampaloni così racconta quanto avvenne il
mattino del 21 nella sua batteria appena vi giunsero i tedeschi: “Un capitano
tedesco con un centinaio di uomini ordinò il ritiro delle armi e per mezzo di
un interprete mi chiese gli otturatori minacciandomi di morte. Risposi che non
sapevo dove si trovavano. La domanda mi fu ripetuta dopo un quarto d’ora.
“Nel frattempo i tedeschi prendevano anche i portafogli,
gli orologi, le penne stilografiche e finanche le cinghie dei pantaloni.
Protestai col capitano tedesco dicendo che gli oggetti di proprietà dei
prigionieri andavano rispettati. Mi rispose: Voi non siete prigionieri ma
traditori.
“Presero una trentina di uomini che portarono via, non so
dove, e dopo ci ordinarono di metterci in riga per uno. I soldati cominciarono
ad avvertire che qualcosa di tragico stava per accadere. Qualcuno diceva: ora
ci ammazzano tutti. Io ero sereno tanto ero lontano dall’immaginare quello che
sarebbe presto avvenuto.
“Il capitano tedesco mi fece staccare dalla truppa e mi
fece cenno di camminare. Era con me il sottotenente Tognato. Il capitano
tedesco mise la pallottola in canna ed appena io gli fui qualche passo avanti
sparò. Una pallottola mi colpì al collo. Caddi senza dolore né perdere la
conoscenza. Contemporaneamente, con una mitragliatrice piazzata di lato, tutti
i miei artiglieri furono massacrati. Fu un solo grido di dolore. Poi silenzio.
Sentivo il sangue caldo che mi bagnava la spalla sinistra. Dal mio braccio
destro appariva scoperto l’orologio che non mi avevano preso prima: un tedesco
venne e se lo prese, senza accorgersi che ero ancora vivo. Subito dopo i
tedeschi, ridendo e sghignazzando, si allontanarono”.
Dice il sottotenente Ettore Beretta del 317° fanteria:
“Nel
pomeriggio del 22, a S. Erasmo, vicino Valsamata, avvenne la distruzione della
Bandiera del reggimento. Il portabandiera sottotenente Cei, singhiozza e bacia
il sacro drappo. Assistiamo alla scena muti ed affranti. Ma poi ci riscuotiamo:
anche qui i tedeschi sarebbero giunti da un momento all’altro”.
Dice il capitano Apollonio: “La sera
del 21 settembre, il ten. Col. Cessari, comandante del 17° fanteria, ordinava
al tenente Fattori di cucirsi la Bandiera, drappo e decorazioni, nell’interno
della giubba. All’indomani 22 settembre, il tenente Fattori assieme agli altri ufficiali
del comando 17° fanteria venivano trasportati in località Fokata dove furono
fucilati. A liberazione avvenuta feci esumare le salme dei 26 ufficiali
fucilati a Fokata con la speranza di trovare la Bandiera. Purtroppo si dovette
constatare che tutti gli ufficiali prima di essere sepolti, erano stati
spogliati di tutto.
“La Bandiera del 33° artiglieria
invece sarebbe stata sepolta sotto le rocce nei pressi di Keramiaes dal
capitano Italo Postal, aiutante maggiore del reggimento”.
Dice P. Formato: “Con ogni
probabilità, i tedeschi avevano precedentemente ricevuto l’ordine di
annientare, a lotta finita, l’intera divisione o di decimarla in larghissima
scala. Sta di fatto che fin dal mattino del giorno 21, di mano in mano che i
reparti italiani cominciavano ad arrendersi, venivano in gran parte annientati,
gli ufficiali venivano condotti in luoghi appartati dalla truppa.
“Gli ufficiali venivano tutti
trucidati, la truppa largamente decimata. Persino la 44a sezione di
sanità, i cui soldati portavano al braccio la fascia della Croce Rossa, fu
condotta in luogo appartato e quasi completamente annientata: di novanta uomini
ne sopravvissero una quindicina.
“L’opera di decimazione dei reparti
continuò anche dopo la resa ufficiale del comando di divisione, per tutto il
pomeriggio del 22 e per tutta la giornata del 23”.
P. Duilio Capozzi, cappellano
militare della 44 a sezione di sanità, così racconta la fine della
sua sezione: “Verso le ore 11 del 21 settembre i civili ci avvertono che i
tedeschi fra qualche ora sarebbero giunti a Phrankata.
“Questa notizia non ci turba.
“Con grande serenità, il comandante
della sezione, maggiore medico Gaetano Morelli, continua la sua opera presso i
feriti ed i malati dell’infermeria.
“Io cerco di radunare i soldati che
alle voci allarmistiche si sono sbandati. Alle 13 i tedeschi entrano a
Phrankata come belve. Nessuna resistenza da parte della sezione che ben conosce
la sua alta missione umanitaria.
“ Avviene la resa. Veniamo messi in riga per tre. Io sono
nella prima riga al centro.
“ Rimango sbalordito del comportamento dei tedeschi. Ad
un segnale, li vidi avventarsi su di noi per portarci via orologi, catene,
anelli; tutto ciò che ognuno di noi aveva di prezioso e di sacro.
“ Giunge il maggiore Morelli.
“ Un sottufficiale tedesco gli fa cenno di mettersi in
riga. Il maggiore protesta dichiarando che egli ed i soldati di sanità sono
protetti, per la loro opera umanitaria, dalle leggi internazionali.
“ Il sottufficiale, credo un maresciallo, porta la mano
alla rivoltella. Il maggiore Morelli allora
grida : “ Se devo essere ucciso, uccidetemi davanti ai miei soldati o presso i miei feriti
ed ammalati “. A queste parole, viene
preso per un braccio e posto fra i soldati.
“ Dopo un poco, un soldato tedesco che parlava abbastanza
bene l’italiano – ritengo che fosse un austriaco – invita il maggiore Morelli,
il tenente ricciuti, il maresciallo D’Amato e me a ritiraci nell’ infermeria. I soldati, egli dice, devono
essere inviati in un campo di concentramento.
“ Mi avvicino al soldato e gli chiedo di seguire i miei
uomini al campo di concentramento dove la mia missione sacerdotale sarebbe
stata più necessaria. Egli mi risponde con queste parole : “ Padre non vi e’
possibile seguire i vostri soldati perché non andranno tutti nello stesso
campo, ma chi in uno e chi in un altro. E’ meglio perciò che voi torniate nella
vostra infermeria “. Alle mie insistenze,
mi prende per un braccio e ripete energicamente : “ Vi prego, Padre,
andate nell’infermeria ! “. Gli chiedo se posso condurre con me il mio
attendente. Egli acconsente..
“ Prima di recarmi nell’infermeria, vado col mio soldato
nella mia camera da letto per prendermi la
biancheria personale. Tutto era rovesciato e manomesso. Pigliai quel
poco che c’era ed andai all’infermeria.
“ Qui un via vai di militari tedeschi alcuni dei quali
venivano per farsi medicare. Degno di nota che ognuno di essi, nell’andarsene,
portava via medicine, strumenti chirurgici, alcool, tintura di jodio,
termometri.
“ Particolare menzione merita il gesto di un militare
tedesco. Questi, dopo essere stato medicato ad un piede dal soldato Vito
Goller, trentino, spinse il suo infermiere fuori del fabbricato conducendolo
fra gli altri soldati. (Il Goller è stato poi visto da me tra i militari
massacrati).
“ Verso le 17 si presenta all’infermeria il noto
maresciallo tedesco. Ci chiede se abbiamo telefono. Gli si risponde di no.
Investiga dappertutto e poi dice, in francese : voi restare fermi qui, nessuno
uscire, se avere telefono tutti kaputt, domani guerra finita Cefalonia. Dopo di
che se ne andò lasciando alla porta dell’infermeria due o tre soldati di
guardia.
“ Sono le ore 18 circa.
“ A ridestarci dai nostri amari pensieri viene il rumore
di alcune scariche di mitragliatrice, de diverse direzioni, nelle immediate
vicinanze del paese.
“ Tutti crediamo che si tratti di resistenze sporadiche
ancora in corso da parte dei nostri.
“ Ma all’imbrunire, alcune donne greche si precipitano
gemendo nell’infermeria e ci dicono : “
I tedeschi hanno ucciso, fucilato tutti i vostri soldati “. Non crediamo, in un
primo momento, a tanta viltà. Ma esse hanno visto con i propri occhi.
“ La strage era avvenuta
verso le ore 18, ora in cui avevamo sentito le raffiche di
mitragliatrice.
“ Il maggiore Morelli chiede se i tedeschi sono ancora in
paese. Le donne rispondono affermativamente, ma aggiungono di sapere che in
serata essi se ne sarebbero andati.
“ All’alba del 22, col maresciallo D’Amato e con un
civile che ci fa da guida, visito i vari luoghi ove furono eseguite le
fucilazioni.
“ Un’ orribile scena appare ai miei occhi ! Circa
quattrocento soldati, - di cui sessanta della sezione di sanità, - resi
irriconoscibili perché colpiti da pallottole esplosive, giacciono in diversi
punti nelle vicinanze di Phrankata. Torno all’infermeria col cuore spezzato e
narro al maggiore Morelli quanto ho visto.
“ Un soldato dalmata, di cui non ricordo il nome, della
compagnia genio lavoratori, scampato alla mitraglia e fintosi morto ma poi
colpito con pallottola esplosiva al braccio destro dal cosiddetto “ colpo di
grazia “, mi ha narrato quanto segue: “ eravamo più di cento nel gruppo dove
ero io. Prima di essere fucilato un soldato tedesco che parlava bene l’italiano
ci dice che siamo stati condannati alla fucilazione perché considerati traditori.
A nulla valsero le nostre proteste, le nostre lacrime. Ci abbracciammo, ci
baciammo. Mostrammo loro le fotografie dei nostri genitori, delle nostre mogli,
dei nostri bambini. I soldati di sanità levando il braccio in alto mostravano
il bracciale bianco con la sovrapposta Croce Rossa, mostravano il regolamentare
patentino della Sanità internazionale. Tutto ciò a nulla valse : dovevamo
morire. Scariche di mitragliatrice da ogni lato spensero così la vita di tanta
gioventù. Io sono salvo per miracolo. Non credo a me stesso di essere vivo “.
“Mi adoperai – continua P. Capozzi – per dare ai morti
degna sepoltura ma ciò mi fu negato dalle autorità militari tedesche, che
incaricarono per questo ufficio i civili greci”.
“Potrei avvicinare il sacerdote ortodosso del paese e lo
pregai di assistere alla tumulazione. Me lo promise e lo fece. Su ognuna delle
grandi fossi comuni fu innalzata la Croce”.
“Così la 44esima sezione di sanità, che aveva mitigato
tante sofferenze sul fronte occidentale e sul fronte greco-albanese, finiva la
sua umana e sacra missione nell’eccidio di Phrankata. Eccidio che fu opera
della seconda compagnia della prima divisione alpina tedesca”.
“A Valsamata – dice il già citato sottotenente Beretta
del 317° fanteria – vengo fermato, io ed i miei uomini, da una pattuglia
tedesca. Ci viene chiesto: ci sono ufficiali? Rispondiamo negativamente. Allora
ci danno ordine di deporre in mezzo alla strada tutte le armi e di proseguire
per Argostoli, senza scorta. Durante il percorso non si vedono che cadaveri di
soldati di ogni arma nelle più diverse posizioni. Molti hanno ancora l’elmetto
in testa e lo zaino sulle spalle. Molti sono completamente denudati col corpo
intriso di sangue. Giungo e supero Phrankata. Siamo a 2 km da passo Columi. Ad
un tratto da un cespuglio esce un fanciullo greco di poco più di 10 anni e mi
dice: non passate per Columi, là fucilano tutti. Stamane qui, a Phrankata,
hanno fucilato tutta la sezione di sanità ed altri soldati che si trovavano con
essa. Decido allora di cambiare itinerario”.
“Giungo ad Argostoli verso la mezzanotte. Veniamo
circondati da una pattuglia tedesca, ma io e il sergente maggiore Mucci
riusciamo a fuggire”.
“Io mi dirigo presso una famiglia che conoscevo. Busso,
ma mi apre un soldato tedesco che mi afferra e mi chiede se sono ufficiale. Gli
rispondo che sono un soldato semplice. Egli allora mi spinge col calcio del
fucile in una stanza chiudendomi dentro. Durante la notte mi vengono a
interrogare un maresciallo tedesco ed un interprete, tedesco anche lui. Ma quest’ultimo
ha un viso umano; appena può mi dice: parla poco, dì solamente che sei soldato.
Se ti scoprono che sei un ufficiale vieni fucilato e buttato nel pozzo del
cortile come è accaduto poco fa ad un ufficiale di marina”.
“A mezzogiorno del 23 vengo nuovamente interrogato. Ma mi
si pone il dilemma: o divenire soldato tedesco od il carcere. Rispondo che mi
sentirei onoratissimo di divenire soldato tedesco ma che sono costretto a
scegliere il carcere per ritrovare alcuni miei amici molto cari. Vengo accompagnato
nel carcere. Raccomando a tutti di non svelare la mia qualità di ufficiale”.
“Qui trovo il sottotenente Mazzarino, del mio reggimento,
anch’egli in panni di soldato. Ogni tanto i tedeschi vengono in cerca di
ufficiali ma non riescono ad identificarci”.
“E lo stesso giorno 22 – dice il capitano Apollonio – i
tedeschi iniziavano la rappresaglia”.
“Il maggiore Hirschfeld proclamava ai suoi soldati: “Miei
alpini, le 24 ore che seguono vi appartengono”.
“Memorabile, il 22 la strage di Troionata. Qui furono
fucilate 600 persone tra ufficiali e soldati. Essi furono radunati in un
recinto ai lati del quale furono piazzate le mitragliatrici. Urla strazianti,
invocazioni alla “mamma”, rantoli e sangue tra i fucilati. Tra i fucilati il
ten. Col. Fiandini, il maggiore Altavilla, il capitano Zebei, il tenente
,medico Ambrosini ”.
“A narrare ai posteri sì grande infamia sono ancora vivi
testimoni oculari che si salvarono restando per ore ed ore sotto i cadaveri dei
compagni”.
“Dopo 18 ore dall’eccidio, giunse un sottoufficiale
tedesco che gridò: “Italiani, se siete ancora vivi o feriti venite fuori, non
vi faremo più nulla”. Quindi ci cedettero ed uscirono. Si udì poco dopo una
sghignazzata seguita da scarica di mitragliatrice”.
“Anche le case dei civili greci venivano invase e
depredate. La sera del 22 a resa ormai accettata e nota a tutti, avrebbe dovuto
far cessare la sete di sangue. Difatti a notte inoltrata un sottoufficiale
tedesco in una caserma di Argostoli, radunati tutti gli ufficiali stranieri
(fungevo io da interprete), disse “le intelligenze sono rientrate nelle
intelligenze. Tutto è ritornato alla normalità. Ormai non c’è più nulla da
temere””.
“Ed invece il 24 mattina ebbero inizio le “fucilazioni
regolari in massa”, mediante 3 plotoni di esecuzione, a Capo S. Teodoro ”.
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