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sabato 5 settembre 2015

Cefalonia: le due giornate terribili

19-20 SETTEMBRE

 Lo sviluppo cronologico delle operazioni svoltesi nei giorni precedenti presentava, il mattino del 19, il seguente quadro: completo successo italiano nella zona di Argostoli a seguito dei combattimenti del pomeriggio e di parte della notte del 15; stasi del giorno 16; fallimento, il giorno 17, dell’azione combinata fra il fronte del Kimoniko ed il fronte di Pharsa e contrattacco tedesco al primo battaglione del 317° fanteria che ripiegava su divarata; il giorno 18, continuazione della pressione tedesca sul fronte di Divarata ed attacco italiano, senza apprezzabili successi, sul fronte di Pharsa.
In conclusione, le azioni del 17 e del 18, imperniate sul concetto di raggiungere le posizioni di Kardakata con azione contemporanea da nord e da sud, si erano infrante per la reazione tedesca nella zona di Kimoniko e per la resistenza tedesca sul fronte di Pharsa.
Fra i principali motivi del fallimento di queste operazioni si possono annoverare: l’ininterrotta azione aerea tedesca sulle zone della battaglia alla quale si opponeva assai scarsa, e quasi nulla, la nostra azione contraerea; l’efficienza difensiva delle truppe tedesche determinata dalla larga disponibilità di armi pesanti e dall’affluenza immediata di truppe scelte di rinforzo; il ritardo di oltre quattro della disponibilità di automezzi per il trasporto del primo battaglione del 317° dalla zona di S.. eufemia al Kimoniko.
L’azione aerea ed il susseguirsi continuo dei combattimenti avevano prodotto come abbiamo visto, gravissime perdite, disarticolando la compagine sia dei reparti in linea, fanteria ed artiglieria, che dei servizi.
Agli effetti quindi dell’azione per la conquista di Kardakata si impose la sosta dei giorni 19 e 20 settembre, durante i quali fu ideato ed organizzato un nuovo piano.
 Intanto, nella notte sul 19, si effettuava l’azione intesa a catturare, a capo Munta, il presidio tedesco che, fornito di stazione radio, costituiva ottima fonte informativa per il nemico.
L’azione era affidata al maggiore Altavilla del 17° fanteria, il quale disponeva, per questa impresa, di un piccolo battaglione di formazione e dell’appoggio di due pezzi da 47/32 e due pezzi da 75/40.
“Nel pomeriggio del 18 – dice il capitano Bianchi – io, travestito da civile greco assieme ad un greco della zona, entrai nel caposaldo di Capo Munta quale venditore di frutta. Ebbi così modo di osservare le postazioni delle armi e la resistenza degli ostacoli.
“La sera alle ore 23,30 ebbe inizio la preparazione di artiglieria ed alle 24 passammo all’attacco.
“Il terreno era sfavorevole per l’attaccante perché pianeggiante e senza alcun riparo. Pur tuttavia ci portammo sotto al caposaldo assai velocemente e circa alle ore 3 giungemmo sotto i reticolati. L’effetto dei nostri mortai su questi era stato minimo e fummo quindi costretti a ricorrere alle pinze”.
“I tedeschi, - dice il capitano Apollonio – accortisi dei essere circondati, e fors’anche avuto sentore dell’incertezza che regnava fra i nostri cominciò a reagire con grande violenza, soprattutto servendosi di mitragliere da 20.
“Tuttavia le nostre compagnie, guidate da magnifici ufficiali, proseguivano nell’attacco con grande perseveranza.
“Si ripeterono qui scene di ammirevoli sacrifici ed alti ardimenti.
“Il tenente Morelli veniva colpito a morte mentre portava aiuto al capitano Balbi gravemente ferito.
“il tenete Crapanzano trovava la morte mentre era arrampicato, nel tentativo di scavalcarlo, su un muro del caposaldo tedesco.
“Ogni fante gareggiava in ardimento seguendo l’esempio degli ufficiali”.
“Alle ore 4 circa, - dice il capitano Bianchi, - parte del mio secondo plotone poteva penetrare nel caposaldo. Ma veniva immediatamente contrattaccato e costretto a ripiegare. Ma circa un’ora dopo tutta la mia compagnia penetrava nel caposaldo. Si combatteva tra urla e detonazioni, all’arma bianca ed a bombe a mano, con gravi perdite da ambo le parti. Ad un tratto una bomba da mortaio tedesco da 50 mi cadde vicinissima. Intesi una vampata alla faccia e caddi disteso a terra. Ero colpito alla gamba destra, al braccio destro ed alla testa”.
“Mentre sembrava di aver già in pugno la vittoria, - dice il capitano Apollonio, - giungevano improvvisamente gli Stukas che capovolgevano nettamente la situazione. Avventandosi a pochi metri dal suo, mitragliavano e spezzonavano palmo a palmo. I nostri fanti erano completamente allo scoperto. Si ripetè allora il solito spettacolo angoscioso: prima un po’ di scompiglio per cercare un riparo, poi, malgrado gli eroici tentativi di fermarla da parte di alcuni ufficiali, la fuga.
“L’azione finiva disastrosamente nel sangue.
“I patrioti greci, che dovevano partecipare all’azione, al momento buono si erano dileguati. Sotto Capo Munta perirono circa 150 uomini. I feriti rimasti sul terreno vennero fatti fucilare dal tenente tedesco Rademaker, al quale fu più tardi concessa la croce di ferro. Le salme non furono mai sepolte, ma fatte sparire con altri sistemi”.
Nelle prime ore del 19 partì per Brindisi, col sottotenente di vascello Di Rocco il motoscafo della Croce Rossa, con lo scopo di prospettare al Comando Supremo la situazione di Cefalonia e, soprattutto, di sollecitare l’intervento dell’aviazione. Ma l’esito della spedizione, superato dagli avvenimenti, fu nullo.
“Nella notte fra il 18 e il 19, - informa il capitano Bronzini – pervenne dal Comando Supremo un telegramma col quale venimmo informati che nella giornata del 18 duecento bombardieri americani avevano bombardato l’aeroporto di Araxos.
“La notizia, comunicata alle truppe il mattino del 19, sollevò l’animo dei soldati i quali erano depressi non solo per gli incessanti bombardamenti quanto anche, e soprattutto, per essersi visti privi di aiuti dall’Italia ed abbandonati nei momenti più duri della lotta.
“L’assenza della nostra aviazione e la mancanza di quegli aiuti dall’Italia sui quali, all’inizio della lotta, tutti avevamo riposto molta fiducia furono i fattori che, uniti a tutti gli altri, indebolirono lo spirito del nostro soldato.
“L’inferiorità nostra era ormai evidente.
“Il nemico dal cielo controlla ogni nostro movimento, lo disturba, addirittura lo impedisce.
“Il terreno che ci circonda è carsico, scoperto, visibile metro per metro,
“I nostri battaglioni di fanteria no dispongono, come non hanno mai disposto, di armi contraeree e sono costretti a subire passivamente l’azione aerea nemica”.
Siamo così al giorno 20, in cui non si verificarono avvenimenti di rilievo ma si concretò, come abbiamo accennato, l’organizzazione per le operazioni del giorno successivo.
Dopo l’esito dei combattimenti dei giorno precedenti, il gen. Gandin aveva avuto modo di constatare che la difesa tedesca attorno a Kardakata era divenuta assai solida e profonda.
Essa non era infatti imperniata solamente sulle posizioni di Kutsuli, a nord di Pharsa, ma si estendeva sui robusti bastione, di difficile accesso, rappresentati dalle propaggini sud-occidentali del M. Dafni.
In altri termini, lo schieramento difensivo tedesco, elastico e profondo assai più del previsto, poggiava su tre scaglioni, di cui più forte il secondo: posizioni di Kuruklata, posizioni delle pendici sud-occidentali del Dafni, posizioni di Kardakata.
Il gen. Gandin, pertanto, constatata l’impossibilità di ottenere risultati definitivi operando frontalmente o con manovra sui fianchi a limitato raggio, decise di eseguire una audace manovra di avvolgimento.
Il suo concetto operativo era il seguente: il primo battaglione del 17° fanteria doveva agire da perno continuando a tenere le posizioni a nord di Pharsa; il terzo barragliene del 317° fanteria doveva costituire l’ala avvolgente, puntando attraverso le pendici del Dafni, su Kardakata; il secondo battaglione del 317° - posto fra il primo ed il terzo – non appena si fosse accentuata l’azione avvolgente del terzo battaglione, doveva attaccare sulla fronte e sul fianco le posizioni tedesche di Kuruklata.
“La notte del 20 – dice il capitano Apollonio – il gen. Gandin si soffermava presso la compagnia del capitano Ciaiolo rivelando una grande serenità e fiducia. Parlando affabilmente, come il suo solito, con i soldati, li incitava a compiere ancora l’ultimo sacrificio che sarebbe poi stato remunerato dalla sicura vittoria dell’indomani. Curò personalmente la dislocazione di quattro mitragliatrici. Affermò che all’indomani sarebbero giunti cinque aerei italiani. Imbattutosi in un soldato dell’Italia meridionale, gli disse: scrivi subito che domani partirà posta per l’Italia”.


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