lunedì 31 agosto 2015
Cefalonia. L'attacco del 317° Battaglione
21 SETTEMBRE
La preparazione di artiglieria,
specialmente forte sul nodo di Kardakata, ebbe inizio alle ore 5,30.
Alle ore 6 le fanterie dovevano
iniziare l’attacco.
“Al mattino del 21 – informa il
capitano Bronzini – il generale, con il capo di stato maggiore e con altri
cinque ufficiali del comando della divisione si recò a Dilinata. L’osservatorio
del comando della divisione era allestito sulla sommità della collina che
dominava il paese”.
“Il terzo battaglione del 317° - dice
il capitano Apollonio – aveva appena iniziato la manovra di avvolgimento,
quando, improvvisamente, gli elementi più avanzati cominciarono a gridare: i
tedeschi, i tedeschi. Era proprio vero: durante la notte, due grossi
battaglioni di alpini germanici – sbarcati nei giorni precedenti nella baia di
Kiriaki – da Ankona avevano raggiunto Phalari indi, avanzando lungo la strada
Phalari – Dilinata, erano passati ad oriente del Dafni, e qui, fatti
prigionieri senza colpo ferire alcuni elementi del terzo battaglione del 317°,
avevano proseguito l’avanzata fin sotto il Rizocuzolo. Il comandante del battaglione
fu così sorpreso in pieno”.
“Contemporaneamente – informa il
capitano Bronzini – erano da poco passate le 6, apparvero dense formazioni di
Stukas che iniziavano un esortabile martellamento dei nostri battaglioni in
linea, delle artiglierie e delle retrovie. Si interrompono tutti i collegamenti
telefonici. Il bombardamento si attua rapido e violento, pare un inferno. Le
nostre artiglierie, neutralizzate, cessano il fuoco. Ora sono i tedeschi che da
ogni parte muovono all’attacco con direttrice principale Divarata – Dilinata”.
“Alle ore 7,30 – dice l’Apollonio – il
comandante del terzo battaglione del 317°, dopo circa un’ora di combattimento,
alzava bandiera bianca. Ma gli altri due battaglioni, sebbene fortemente
premuti, continuarono a combattere.
“Essi scrissero pagine che possono
senz’altro definirsi leggendarie.
“Ufficiali e soldati in gara ressero
saldamente il fronte per quattro ore infliggendo gravissime perdite ai
tedeschi, che, appoggiati dagli Stukas, dai mortai e dalle numerosissime armi
automatiche, tentavano di incunearsi nelle
nostre linee. Gli Stukas, a volo rasente, provocavano ingenti perdite
fra i nostri. Ma i fanti della “Acqui”, anche se completamente indifesi e allo
scoperto, continuavano a combattere unicamente
sostenuti dalla forza della disperazione.
“Senonchè i tedeschi, con una forte
colonna avanzante ad oriente della rotabile fra Kutsuli ed il Vrokonas,
iniziarono il forzamento del passo fra i monti e l’avvolgimento del nostro
schieramento.
“La situazione cominciò a precipitare.
“Quando i tedeschi ebbero forzato il
passo, le nostre truppe sul Rizocuzolo vennero a trovarsi in una situazione
tragica: premute di fronte dalle forze tedesche provenienti, lungo i canaloni,
da Kuruklata; attaccate sul fianco e sul tergo della colonna tedesca, che
forzato il passo, si era suddivisa in due colonne di cui quella orientale
marciava direttamente su Dilinata.
“Parte delle forze del Rizocuzolo
dovettero quindi assumere schieramento con fronte ad est ed a sud.
“Qui cadde il maggiore Fanucchi mentre,
già ferito due volte e grondante di sangue, incitava i suoi fanti alla
resistenza.
“Spezzonati, mitragliati, bombardati
da ogni parte, nella assoluta impossibilità di resistere, i fanti del secondo
battaglione del 317° cominciarono a ripiegare dopo aver lasciato sul terreno oltre 250 morti.
“Devo ricordare, di questo
battaglione, il sottotenente Ettore Ferrari. Egli dopo aver guidato per due
volte i suoi soldati al contrattacco, rimasto ferito, si faceva trasportare con
una mitragliatrice sul punto più elevato del Rizocuzolo e qui, quando giunse l’ordine di
ripiegamento, lasciato dai suoi soldati, rimase solo a sparare. Dopo dodici
mesi, su quella posizione, furono ritrovati i suoi resti ed il suo elmetto sepolti
sotto un cumulo di bossoli.
“Il capitano Ciaiolo, ferito una prima
volta, rifiutava di lasciare la lotta. Ferito la seconda volta, guidava i suoi
uomini al contrattacco. Colpito a morte in fronte, il suo cadavere veniva
strenuamente difeso dai suoi uomini: furono rinvenuti accanto a lui i resti di
ottanta uomini, fra cui il suo attendente.
“Anche il primo battaglione del 17°,
che doveva tenere la fronte di Pharsa, aveva resistito a lungo. Ma poi,
maciullato dall’aviazione, dopo aver lasciato sul terreno oltre trecento
uomini, veniva fatto prigioniero. Soldati e ufficiali venivano trucidati parte
presso la curva del km. 12 della strada Kardakata – Argostoli, parte a
Kardakata.
“Arresosi perciò il terzo battaglione
del 317° che costituiva l’ala avvolgente, distrutto il secondo battaglione
dello stesso reggimento sul Rizocuzolo, infranto e trucidato il primo
battaglione del 17° sul campo di battaglia si stese un lugubre silenzio di
morte”.
“I tedeschi – dice il capitano
Bronzini – avanzavano ormai lungo tutto il fronte, dal Rizocuzolo al mare. Le nostre
fanterie sono state travolte e si sono date, terrorizzate, a precipitosa fuga.
Io mi trovo al comando tattico di Prokopata, unico ufficiale colà rimasto,
essendo gli altri ufficiali, col generale all’osservatorio di Dilinata. Verso
le 10 arriva la macchina del generale: c’è solo l’autista, il quale mi racconta
che il generale e gli altri ufficiali sono stati circondati e fatti
prigionieri; lui solo, sceso sulla strada, vi ha trovato la macchina ed è
riuscito a fuggire,
“Io capisco che ormai è finita per la
mia divisione.
“l’unica linea telefonica che ancora
funziona è quella del generale Gherzi: mi metto in comunicazione, ma mi
rispondono che il generale è ancora sul luogo della lotta. Che fare? Do fuoco a
tutto il carteggio della divisione (ad eccezione dei documenti riguardanti le
trattative dall’8 settembre in poi) ai cifrari, alle pubblicazioni segrete.
Chiamo a raccolta elementi della compagnia carabinieri e predispongo la difesa
vicina al comando della divisione. A firma del gen. Gandin invio al Comando
Supremo il seguente appello: Nemico appoggiato da violentissima azione aerea
avanza rapidamente su tutto il fronte, urge immediato invio caccia et
bombardieri”.
“Infranta la resistenza delle fanterie
– dice l’Apollonio – veniva la volta delle batterie del 33° artiglieria.
Allorché gli artiglieri videro le truppe tedesche scendere dalle pendici del
Vrokonas e del Rizocuzolo aprivano il fuoco a puntamento diretto.
“La nostra zione continuò ininterrotta
sebbene fosse assai dolorosa la visione dei nostri fanti in fuga.
“Quando i tedeschi giunsero sotto la
linea dei pezzi si cominciò a sparare a zero.
“Il solo fatto che ogni batteria abbia
sparato circa 200 colpi a zero sarà sufficiente a dare un’idea dell’ardore e
della tenacia degli artiglieri.
“Quando, ormai, il continuare a
resistere divenne impossibile, furono asportati gli otturatori e distrutti i
cannocchiale panoramici. Così le batterie caddero in mano nemica
inutilizzabili.
“Parte degli artiglieri riuscirono a
salvarsi: ma molti. Di mano in mano che cadevano nelle mani dei tedeschi, i
quali erano furenti per le gravi perdite subite, furono trucidati subito.
“Il tenente Ambrosini, una delle
figure di quei giorni, dopo aver combattuto sull’osservatorio avanzato del
Rizocuzolo, fu ferito gravemente. Tentò di ripiegare, ma, circondato dai
tedeschi, dopo accanita resistenza, veniva immediatamente fucilato assieme ai
suoi artiglieri della pattuglia di comando.
“All’altezza di Dilinata, il ten. col.
Deodato, comandante del primo gruppo del 33° artiglieria, era riuscito ad
organizzare una resistenza. Ma veniva subito travolto e cadeva con la pistola
in pugno mentre incitava i suoi artiglieri a resistere.
“Il capitano Fiore e tutto il
personale del comando gruppo, stretti come un sol uomo attorno al proprio comandante,
venivano catturati e trucidati sul posto. Il capitano Pampaloni, dopo essersi
difeso ad oltranza con la sua batteria, veniva fatto prigioniero e posto in
riga per essere fucilato assieme al suo sottocomandante e ventidue artiglieri.
Però, data la sommarietà di tali
esecuzioni, rimaneva solamente ferito al collo e perciò, fintosi morto, riuscì
a scappare non appena le pattuglie tedesche si furono allontanate. Venne infine
la volta della mia batteria.
“Per circa due ore essa era stata
bersaglio di trenta Stukas. Ma resistemmo anche sotto gli spezzonamenti e
mitragliamenti. Quasi tutte le munizioni giunte nella notte, circa tremila
colpi completi, furono centrati mucchio per mucchio e saltarono in aria.
“La situazione ci apparve in tutta la
sua tragicità allorché cominciarono ad affluire i primi sbandati, terrorizzati
dal mitragliamento aereo incessante, sgomenti, inebetiti, per quanto avevano
visto e vissuto. Nel loro accasciamento, nel loro straziante dolore, erano
soprattutto dominati dalla visione della orrenda sorte toccata ai compagni
caduti nelle mani del nemico.
“I tedeschi trucidavano i prigionieri!
“Imponendomi con la forza, tentai di
fermare i fuggitivi per costituire una linea di resistenza. Ma mentre, per
consolidare tali linee, facevo trascinare i pezzi sulla strada, una ventina di
Stukas cominciarono a bombardare nuovamente la mia batteria. Una bomba cadeva
al centro di essa provocando gravissime perdite e la fuga di molti soldati che
avevo colà raccolti.
“Intanto pattuglie tedesche erano
giunte a poche centinaia di metri dalla batteria.
“Il sottotenente Di Carlo ad un tratto
abbandonava il cannone e, ubbidendo alla generosità dei suoi 22 anni, si
scagliava da solo all’assalto con le bombe a mano. Una raffica di
mitragliatrice lo abbatteva al suolo. Lo feci raccogliere e porre in una
barella. Agonizzante, col rantolo della morte, mi disse “Apollonio non mollare.
Sono pochi, te lo dico io che sono pochi. Spara a zero con le granate a
palletta”. Lo baciai.
“Ma anche la mia batteria era ai suoi
ultimi sussulti.
“Avevo l’animo travolto.
“La coscienza della responsabilità che
mi ero assunta rendendomi uno dei più decisi assertori della lotta contro i
tedeschi mi impose di compiere l’impossibile. Ad un sottotenente che mi gridò
“Tu ci vuoi far massacrare tutti!” gli puntai contro la mitragliatrice e gli
imposi di tacere. Accanto a me il sottotenente Mattei comprendeva e condivideva
il mio doloroso travaglio”.
Il caporale Gemignani dice: “ il
capitano Apollonio ordinò infine di distruggere i cannocchiali, di togliere gli
otturatori, lasciando integro solamente un cannone. Dette ai superstiti
l’ordine di ripiegare. Con l’unico pezzo ancora efficiente riprese a sparare
per ritardare l’avanzata delle pattuglie tedesche e dare la possibilità ai suoi
artiglieri di ritirarsi”.
“Alle 11 – dice il capitano Bronzini –
ecco giungere a Prokopata il gen. Gandin.
Provai la stessa gioia che avrei provato rivedendo mio padre. Dice che
la collina di Dilinata era stata effettivamente circondata da pattuglie
tedesche ma che lui ed alcuni ufficiali del suo seguito erano riusciti a
sfuggire alla cattura. Il generale approva tutto il mio operato e si accinge a dare gli ordini per
l’estrema resistenza”.
“Appena possibile – dice il capitano
Apollonio – mi presentai al generale Gandin e lo informai degli ultimi
avvenimenti. Narrai la impressionante scena delle truppe in fuga. Il colloquio
si svolse sulla soglia del comando di Prokopata alla presenza del ten. Col.
Fioretti. Il generale era apparentemente tranquillo ma gli leggevo sul volto il
dramma angoscioso che sconvolgeva il suo animo. Mi congedai. Non dovevo
rivederlo più”.
Nel pomeriggio di questo giorno le
truppe di cui il gen. Gandin potava ancora disporre erano il secondo e il terzo
battaglione del 17° fanteria già provati nei combattimenti di Argostoli nella
giornata del 15 ed il secondo provato ancora nell’impresa del 19 contro Capo
Munta, a cui avevano partecipato con due compagnie di fucilieri ed altri minori
reparti.
“Malgrado ciò – informa il capitano
Bronzini – il generale dà gli ordini per un’estrema resistenza. I resti del
secondo e terzo battaglione del 17° devono schierarsi da Pharaklata al mare; il
comando della divisione a Keramies. Verso le ore 24 i trasferimenti sono
attuati;; ma dei reparti del 17° fanteria ben pochi uomini hanno potuto
raggiungere le posizioni perché la marcia è stata continuamente ostacolata dal
mitragliamento e spezzonamento aereo”.
“Quali i motivi – si chiede il
capitano Apollonio – del successo tedesco? La preponderanza numerica. Infatti
essi avevano quattro battaglioni schierati contro tre nostri. Ed esisteva anche
la ben nota loro superiorità di armamento. Ma più di tutto bisogna tener conto
del fattore addestrativi. Il 317° fanteria vedeva per la prima volta il campo
di battaglia: i tedeschi, come al solito, ben addestrati, avevano già
combattuto in Polonia, in Francia e soprattutto in Russia. I tedeschi
disponevano pure di quattro semoventi da 105, di dodici pezzi anticarro da 75,
di dodici pezzi anticarro da 55. La nostra preponderanza di artiglieria, a
causa dell’aviazione e della crisi dei collegamenti, non si potè sfruttare.
“La cooperazione aereo aereo-
terrestre del nemico fu di una perfezione addirittura meravigliosa.
“Solamente gli Stukas però
determinarono la vittoria tedesca.
“Anche lo sfruttamento del successo i
tedeschi lo affidarono, si può dire esclusivamente, all’aviazione; la quale,
trasformatasi, quasi direi, in fanteria, compì addirittura dei prodigi nel
mitragliare le nostre truppe a pochi metri dal suolo”.
mercoledì 26 agosto 2015
Cefalonia. L'Ultimo giorno di combattimento
22 SETTEMBRE 1943
Alle ore 7, i resti del secondo e
terzo battaglione del 17° fanteria schierati da Pharaklata al mare venivano
attaccati da tre colonne tedesche provenienti da Pharsa, da Dilinata, da
Pulata.
“Si accese – dice l’Apollonio – una
lotta furibonda. Si combattè all’estremo di ogni possibilità. Il ten. Col.
Cessari , il ten. Col. Maltesi, il capitano Pestoni, il ten. Tamburi, il
sottotenente medico Condemi, il sottotenente Natile, il ten. Peroni, dopo aver
strenuamente combattuto con i loro uomini fino alle 11, si arresero. Subito
dopo la cattura vennero fucilati assieme ad altri ufficiali nel vallone di S.
Barbara”
Così conclude il capitano Bronzini:
“Gli eventi precipitano. All’alba i tedeschi hanno ripreso violento il
bombardamento aereo su tutta l’isola.
“Le nostre truppe sul fronte da
Pharaklata al mare, dopo strenua resistenza, hanno ceduto.
“C’è di più: colonne tedesche hanno
compiuto durante la notte un aggiramento più largo. Attraversando le montagne
della catena dell’Aenos, hanno occupato la conca di Valsamata e nella mattinata
sono già quasi a Keramies.
“Il generale decide di chiedere la
resa. “Invia in macchina il capitano Saettone, con l’interprete capitano
Tomasi, a parlamentare con i tedeschi.
“Sulla sede del comando della
divisione viene issata bandiera bianca.
“Sono le 11 del 22 settembre.
“I nostri parlamentari vengono ammessi
a parlare con un maggiore degli alpini tedesco. Questi accorda la resa senza
condizioni ed invia un sottotenente dal gen. Gandin per trattare le modalità.
“Gli aerei tedeschi cessano il
bombardamento ed abbandonano il cielo dell’isola.
“Un silenzio di tomba cade su tutta
l’isola. La battaglia di Cefalonia è finita”.
sabato 22 agosto 2015
Cefalonia L'Epilogo 21- 24 settembre 1943
LA FINE DELLA 44a SEZIONE DI SANITA’
Il capitano Pampaloni così racconta quanto avvenne il
mattino del 21 nella sua batteria appena vi giunsero i tedeschi: “Un capitano
tedesco con un centinaio di uomini ordinò il ritiro delle armi e per mezzo di
un interprete mi chiese gli otturatori minacciandomi di morte. Risposi che non
sapevo dove si trovavano. La domanda mi fu ripetuta dopo un quarto d’ora.
“Nel frattempo i tedeschi prendevano anche i portafogli,
gli orologi, le penne stilografiche e finanche le cinghie dei pantaloni.
Protestai col capitano tedesco dicendo che gli oggetti di proprietà dei
prigionieri andavano rispettati. Mi rispose: Voi non siete prigionieri ma
traditori.
“Presero una trentina di uomini che portarono via, non so
dove, e dopo ci ordinarono di metterci in riga per uno. I soldati cominciarono
ad avvertire che qualcosa di tragico stava per accadere. Qualcuno diceva: ora
ci ammazzano tutti. Io ero sereno tanto ero lontano dall’immaginare quello che
sarebbe presto avvenuto.
“Il capitano tedesco mi fece staccare dalla truppa e mi
fece cenno di camminare. Era con me il sottotenente Tognato. Il capitano
tedesco mise la pallottola in canna ed appena io gli fui qualche passo avanti
sparò. Una pallottola mi colpì al collo. Caddi senza dolore né perdere la
conoscenza. Contemporaneamente, con una mitragliatrice piazzata di lato, tutti
i miei artiglieri furono massacrati. Fu un solo grido di dolore. Poi silenzio.
Sentivo il sangue caldo che mi bagnava la spalla sinistra. Dal mio braccio
destro appariva scoperto l’orologio che non mi avevano preso prima: un tedesco
venne e se lo prese, senza accorgersi che ero ancora vivo. Subito dopo i
tedeschi, ridendo e sghignazzando, si allontanarono”.
Dice il sottotenente Ettore Beretta del 317° fanteria:
“Nel
pomeriggio del 22, a S. Erasmo, vicino Valsamata, avvenne la distruzione della
Bandiera del reggimento. Il portabandiera sottotenente Cei, singhiozza e bacia
il sacro drappo. Assistiamo alla scena muti ed affranti. Ma poi ci riscuotiamo:
anche qui i tedeschi sarebbero giunti da un momento all’altro”.
Dice il capitano Apollonio: “La sera
del 21 settembre, il ten. Col. Cessari, comandante del 17° fanteria, ordinava
al tenente Fattori di cucirsi la Bandiera, drappo e decorazioni, nell’interno
della giubba. All’indomani 22 settembre, il tenente Fattori assieme agli altri ufficiali
del comando 17° fanteria venivano trasportati in località Fokata dove furono
fucilati. A liberazione avvenuta feci esumare le salme dei 26 ufficiali
fucilati a Fokata con la speranza di trovare la Bandiera. Purtroppo si dovette
constatare che tutti gli ufficiali prima di essere sepolti, erano stati
spogliati di tutto.
“La Bandiera del 33° artiglieria
invece sarebbe stata sepolta sotto le rocce nei pressi di Keramiaes dal
capitano Italo Postal, aiutante maggiore del reggimento”.
Dice P. Formato: “Con ogni
probabilità, i tedeschi avevano precedentemente ricevuto l’ordine di
annientare, a lotta finita, l’intera divisione o di decimarla in larghissima
scala. Sta di fatto che fin dal mattino del giorno 21, di mano in mano che i
reparti italiani cominciavano ad arrendersi, venivano in gran parte annientati,
gli ufficiali venivano condotti in luoghi appartati dalla truppa.
“Gli ufficiali venivano tutti
trucidati, la truppa largamente decimata. Persino la 44a sezione di
sanità, i cui soldati portavano al braccio la fascia della Croce Rossa, fu
condotta in luogo appartato e quasi completamente annientata: di novanta uomini
ne sopravvissero una quindicina.
“L’opera di decimazione dei reparti
continuò anche dopo la resa ufficiale del comando di divisione, per tutto il
pomeriggio del 22 e per tutta la giornata del 23”.
P. Duilio Capozzi, cappellano
militare della 44 a sezione di sanità, così racconta la fine della
sua sezione: “Verso le ore 11 del 21 settembre i civili ci avvertono che i
tedeschi fra qualche ora sarebbero giunti a Phrankata.
“Questa notizia non ci turba.
“Con grande serenità, il comandante
della sezione, maggiore medico Gaetano Morelli, continua la sua opera presso i
feriti ed i malati dell’infermeria.
“Io cerco di radunare i soldati che
alle voci allarmistiche si sono sbandati. Alle 13 i tedeschi entrano a
Phrankata come belve. Nessuna resistenza da parte della sezione che ben conosce
la sua alta missione umanitaria.
“ Avviene la resa. Veniamo messi in riga per tre. Io sono
nella prima riga al centro.
“ Rimango sbalordito del comportamento dei tedeschi. Ad
un segnale, li vidi avventarsi su di noi per portarci via orologi, catene,
anelli; tutto ciò che ognuno di noi aveva di prezioso e di sacro.
“ Giunge il maggiore Morelli.
“ Un sottufficiale tedesco gli fa cenno di mettersi in
riga. Il maggiore protesta dichiarando che egli ed i soldati di sanità sono
protetti, per la loro opera umanitaria, dalle leggi internazionali.
“ Il sottufficiale, credo un maresciallo, porta la mano
alla rivoltella. Il maggiore Morelli allora
grida : “ Se devo essere ucciso, uccidetemi davanti ai miei soldati o presso i miei feriti
ed ammalati “. A queste parole, viene
preso per un braccio e posto fra i soldati.
“ Dopo un poco, un soldato tedesco che parlava abbastanza
bene l’italiano – ritengo che fosse un austriaco – invita il maggiore Morelli,
il tenente ricciuti, il maresciallo D’Amato e me a ritiraci nell’ infermeria. I soldati, egli dice, devono
essere inviati in un campo di concentramento.
“ Mi avvicino al soldato e gli chiedo di seguire i miei
uomini al campo di concentramento dove la mia missione sacerdotale sarebbe
stata più necessaria. Egli mi risponde con queste parole : “ Padre non vi e’
possibile seguire i vostri soldati perché non andranno tutti nello stesso
campo, ma chi in uno e chi in un altro. E’ meglio perciò che voi torniate nella
vostra infermeria “. Alle mie insistenze,
mi prende per un braccio e ripete energicamente : “ Vi prego, Padre,
andate nell’infermeria ! “. Gli chiedo se posso condurre con me il mio
attendente. Egli acconsente..
“ Prima di recarmi nell’infermeria, vado col mio soldato
nella mia camera da letto per prendermi la
biancheria personale. Tutto era rovesciato e manomesso. Pigliai quel
poco che c’era ed andai all’infermeria.
“ Qui un via vai di militari tedeschi alcuni dei quali
venivano per farsi medicare. Degno di nota che ognuno di essi, nell’andarsene,
portava via medicine, strumenti chirurgici, alcool, tintura di jodio,
termometri.
“ Particolare menzione merita il gesto di un militare
tedesco. Questi, dopo essere stato medicato ad un piede dal soldato Vito
Goller, trentino, spinse il suo infermiere fuori del fabbricato conducendolo
fra gli altri soldati. (Il Goller è stato poi visto da me tra i militari
massacrati).
“ Verso le 17 si presenta all’infermeria il noto
maresciallo tedesco. Ci chiede se abbiamo telefono. Gli si risponde di no.
Investiga dappertutto e poi dice, in francese : voi restare fermi qui, nessuno
uscire, se avere telefono tutti kaputt, domani guerra finita Cefalonia. Dopo di
che se ne andò lasciando alla porta dell’infermeria due o tre soldati di
guardia.
“ Sono le ore 18 circa.
“ A ridestarci dai nostri amari pensieri viene il rumore
di alcune scariche di mitragliatrice, de diverse direzioni, nelle immediate
vicinanze del paese.
“ Tutti crediamo che si tratti di resistenze sporadiche
ancora in corso da parte dei nostri.
“ Ma all’imbrunire, alcune donne greche si precipitano
gemendo nell’infermeria e ci dicono : “
I tedeschi hanno ucciso, fucilato tutti i vostri soldati “. Non crediamo, in un
primo momento, a tanta viltà. Ma esse hanno visto con i propri occhi.
“ La strage era avvenuta
verso le ore 18, ora in cui avevamo sentito le raffiche di
mitragliatrice.
“ Il maggiore Morelli chiede se i tedeschi sono ancora in
paese. Le donne rispondono affermativamente, ma aggiungono di sapere che in
serata essi se ne sarebbero andati.
“ All’alba del 22, col maresciallo D’Amato e con un
civile che ci fa da guida, visito i vari luoghi ove furono eseguite le
fucilazioni.
“ Un’ orribile scena appare ai miei occhi ! Circa
quattrocento soldati, - di cui sessanta della sezione di sanità, - resi
irriconoscibili perché colpiti da pallottole esplosive, giacciono in diversi
punti nelle vicinanze di Phrankata. Torno all’infermeria col cuore spezzato e
narro al maggiore Morelli quanto ho visto.
“ Un soldato dalmata, di cui non ricordo il nome, della
compagnia genio lavoratori, scampato alla mitraglia e fintosi morto ma poi
colpito con pallottola esplosiva al braccio destro dal cosiddetto “ colpo di
grazia “, mi ha narrato quanto segue: “ eravamo più di cento nel gruppo dove
ero io. Prima di essere fucilato un soldato tedesco che parlava bene l’italiano
ci dice che siamo stati condannati alla fucilazione perché considerati traditori.
A nulla valsero le nostre proteste, le nostre lacrime. Ci abbracciammo, ci
baciammo. Mostrammo loro le fotografie dei nostri genitori, delle nostre mogli,
dei nostri bambini. I soldati di sanità levando il braccio in alto mostravano
il bracciale bianco con la sovrapposta Croce Rossa, mostravano il regolamentare
patentino della Sanità internazionale. Tutto ciò a nulla valse : dovevamo
morire. Scariche di mitragliatrice da ogni lato spensero così la vita di tanta
gioventù. Io sono salvo per miracolo. Non credo a me stesso di essere vivo “.
“Mi adoperai – continua P. Capozzi – per dare ai morti
degna sepoltura ma ciò mi fu negato dalle autorità militari tedesche, che
incaricarono per questo ufficio i civili greci”.
“Potrei avvicinare il sacerdote ortodosso del paese e lo
pregai di assistere alla tumulazione. Me lo promise e lo fece. Su ognuna delle
grandi fossi comuni fu innalzata la Croce”.
“Così la 44esima sezione di sanità, che aveva mitigato
tante sofferenze sul fronte occidentale e sul fronte greco-albanese, finiva la
sua umana e sacra missione nell’eccidio di Phrankata. Eccidio che fu opera
della seconda compagnia della prima divisione alpina tedesca”.
“A Valsamata – dice il già citato sottotenente Beretta
del 317° fanteria – vengo fermato, io ed i miei uomini, da una pattuglia
tedesca. Ci viene chiesto: ci sono ufficiali? Rispondiamo negativamente. Allora
ci danno ordine di deporre in mezzo alla strada tutte le armi e di proseguire
per Argostoli, senza scorta. Durante il percorso non si vedono che cadaveri di
soldati di ogni arma nelle più diverse posizioni. Molti hanno ancora l’elmetto
in testa e lo zaino sulle spalle. Molti sono completamente denudati col corpo
intriso di sangue. Giungo e supero Phrankata. Siamo a 2 km da passo Columi. Ad
un tratto da un cespuglio esce un fanciullo greco di poco più di 10 anni e mi
dice: non passate per Columi, là fucilano tutti. Stamane qui, a Phrankata,
hanno fucilato tutta la sezione di sanità ed altri soldati che si trovavano con
essa. Decido allora di cambiare itinerario”.
“Giungo ad Argostoli verso la mezzanotte. Veniamo
circondati da una pattuglia tedesca, ma io e il sergente maggiore Mucci
riusciamo a fuggire”.
“Io mi dirigo presso una famiglia che conoscevo. Busso,
ma mi apre un soldato tedesco che mi afferra e mi chiede se sono ufficiale. Gli
rispondo che sono un soldato semplice. Egli allora mi spinge col calcio del
fucile in una stanza chiudendomi dentro. Durante la notte mi vengono a
interrogare un maresciallo tedesco ed un interprete, tedesco anche lui. Ma quest’ultimo
ha un viso umano; appena può mi dice: parla poco, dì solamente che sei soldato.
Se ti scoprono che sei un ufficiale vieni fucilato e buttato nel pozzo del
cortile come è accaduto poco fa ad un ufficiale di marina”.
“A mezzogiorno del 23 vengo nuovamente interrogato. Ma mi
si pone il dilemma: o divenire soldato tedesco od il carcere. Rispondo che mi
sentirei onoratissimo di divenire soldato tedesco ma che sono costretto a
scegliere il carcere per ritrovare alcuni miei amici molto cari. Vengo accompagnato
nel carcere. Raccomando a tutti di non svelare la mia qualità di ufficiale”.
“Qui trovo il sottotenente Mazzarino, del mio reggimento,
anch’egli in panni di soldato. Ogni tanto i tedeschi vengono in cerca di
ufficiali ma non riescono ad identificarci”.
“E lo stesso giorno 22 – dice il capitano Apollonio – i
tedeschi iniziavano la rappresaglia”.
“Il maggiore Hirschfeld proclamava ai suoi soldati: “Miei
alpini, le 24 ore che seguono vi appartengono”.
“Memorabile, il 22 la strage di Troionata. Qui furono
fucilate 600 persone tra ufficiali e soldati. Essi furono radunati in un
recinto ai lati del quale furono piazzate le mitragliatrici. Urla strazianti,
invocazioni alla “mamma”, rantoli e sangue tra i fucilati. Tra i fucilati il
ten. Col. Fiandini, il maggiore Altavilla, il capitano Zebei, il tenente
,medico Ambrosini ”.
“A narrare ai posteri sì grande infamia sono ancora vivi
testimoni oculari che si salvarono restando per ore ed ore sotto i cadaveri dei
compagni”.
“Dopo 18 ore dall’eccidio, giunse un sottoufficiale
tedesco che gridò: “Italiani, se siete ancora vivi o feriti venite fuori, non
vi faremo più nulla”. Quindi ci cedettero ed uscirono. Si udì poco dopo una
sghignazzata seguita da scarica di mitragliatrice”.
“Anche le case dei civili greci venivano invase e
depredate. La sera del 22 a resa ormai accettata e nota a tutti, avrebbe dovuto
far cessare la sete di sangue. Difatti a notte inoltrata un sottoufficiale
tedesco in una caserma di Argostoli, radunati tutti gli ufficiali stranieri
(fungevo io da interprete), disse “le intelligenze sono rientrate nelle
intelligenze. Tutto è ritornato alla normalità. Ormai non c’è più nulla da
temere””.
“Ed invece il 24 mattina ebbero inizio le “fucilazioni
regolari in massa”, mediante 3 plotoni di esecuzione, a Capo S. Teodoro ”.
venerdì 21 agosto 2015
Cefalonia. La Casa Rossa
LA “CASA ROSSA”
Dice il capitano Bronzini: “Fra le condizioni della resa
c’era quella che gli ufficiali del comando della “Acqui”, col bagaglio
personale, con una attendente a persona, si dovevano recare con i propri mezzi
da Keramiaes ad Argostoli per le ore 21 del giorno 22”.
“Noi facemmo i preparativi con gli autocarri di cui
disponevamo”.
“Verso le 18, l’autocolonna si mosse: c’erano gli
ufficiali dello stato maggiore della “Acqui”, del comando di artiglieria e del
genio divisionali, a cui si erano aggiunti ufficiali sbandati di altri
reparti”.
“In testa era la macchina del gen. Candin ed affianco del
generale sedeva il sottotenente tedesco che aveva svolto le trattative”.
“Arrivammo ad Argostoli che era quasi buio”.
“L’autocolonna sostò una decina di minuti al blocco
tedesco posto all’entrata meridionale della città. Riprendemmo la marcia ed
attraversammo Argostoli. Constatammo che le rovine dovute al bombardamento
erano enormi. Le vie, specialmente lungo il poro, rigurgitavano di armati
tedeschi”.
“Dei greci nessun segno di vita”.
“L’autocolonna venne fatta fermare di fronte all’ingresso
situato affianco dell’ex comando marina di Argostoli”.
Ci fecero salire all’ultimo piano in un grande
appartamento di 15 stanze. E quella fu la dimora provvisoria.
“A Keramiaes, prima di partire, ciascuno di noi aveva
lasciato ala propria pistola sul tavolo del generale per evitare l’umiliazione
di doverla consegnare a qualche soldato tedesco”.
“Quando fummo chiusi a chiave nell’appartamento erano le
21. Qui trascorremmo la notte del 22 e tutto il giorno del 23”.
“Il mattino del 23 – testimonia il capitano Bianchi – i
tedeschi entrarono nell’ospedale dove io mi trovavo, prelevarono il comandante
di marina Mastrangeli ed il capitano Castellani, che furono poco dopo
fucilati”.
“In tutta l’isola intanto – dice il capitano Pampaloni –
continuava la caccia ll’italiano”.
“Quando io riuscii a scampare alla strage mi nascosi in
un bosco”.
“Poi raggiunsi di notte Pharaklata”.
“Avrei voluto andare ad Argostoli, all’ospedale militare
ma non avevo più forze; bussai, a caso, ad una porta di una famiglia greca. Mi
venne data ospitalità fraterna. La ferita al collo mi venne curata con liquore
e foglie: per fortuna non ci furono complicazioni. Quella famiglia mi dette ospitalità
sebbene in paese ci fossero i tedeschi. Fu essa che mi convinse a non andare
all’ospedale: e fu gran fortuna perché due giorni dopo i tedeschi presero
dall’ospedale tutti gli ufficiali, feriti o ammalati, e li fucilarono.
L’ospitalità da parte della famigli greca continuò anche dopo che si seppe che
a Divinata i tedeschi, scoperto un italiano in una casa, avevano fucilato tutti
i componenti della famiglia, donne bambini e vecchi”.
“Tutto il mattino e buona parte
del pomeriggio del 24 – dice il sottotenente Beretta – dalle carceri di
Argostoli sentimmo scariche di mitragliatrici non molto lontane. Nella notte,
noi prigionieri sopraggiunti ci riferirono quello che era avvenuto alla casa
rossa”.
“Il mattino del 24 – dice il
Bronzini – il capo di stato maggiore entra nella stanza occupata da me e dai
capitani Saettone e Carocci e ci dice: “Un sottotenente tedesco è venuto ora a
prendere il nostro generale””.
“Sono le
7:30”.
“Un
brivido di tristezza ci corse per il sangue e per l’anima”.
“Ci
guardammo in viso, colpiti dal dolore di questa separazione”.
“Alle
ore 8 il capo di stato maggiore ritorna: “Presto, - dice – sono venuti a
chiamare anche noi. L’interprete ha detto che dobbiamo andare al comando
tedesco per essere trasferiti in un altro luogo dove ci assicura che staremo
meglio. Intanto gli attendenti trasporteranno là il bagaglio personale””.
“Scendiamo
le scale: siamo all’incirca una quarantina di ufficiali”.
“Sulla
strada ci attendono 2 autocarrette. Vi saliamo e assai stretti nel poco spazio,
ci avviamo verso questo comando tedesco che ci deve interrogare”.
“Che
cosa ci chiederanno?”
“Mentre
le autocarrette, traballano per l’eccessivo carico e la cattiva strada,
attraversano Argostoli vediamo sfilare sotto il nostro sguardo più di una casa
portante le insegne di comandi tedeschi”.
“Lasciamo
le ultime case di Argostoli, entriamo in campagna”.
“Le
autocarrette filano verso punta S. Teodoro, la doppiano, e proseguono a sud,
sulla strada di Lardigo. Ad un km sotto S. Teodoro c’è una piccola villetta
rossa distrutta dai bombardamenti dei giorni precedenti: conserva però ancora
intatto l’alto muro di cinta che circonda il giardino”.
“Le
autocarrette si fermano davanti al cancello”.
“Soldato
tedeschi armati di mitra ci fanno entrare nel recinto”.
“Intanto
giungono, l’una dietro l’altra, altre autocarrette che scaricano a decine
ufficiali di ogni arma: tutti quelli che sono stati fatti prigionieri durante i
combattimenti o si sono arresi, a capitolazione avvenuta, il 22”.
“La
mattina del 24 – dice P. Formato – verso le 7, vediamo il generale partire
bruscamente prelevato da un ufficiale tedesco”.
“Ci
viene comunicato che dobbiamo tenerci pronti per subire un interrogatorio, alle
8, presso un comando tedesco”.
“Alle
7:45 ci riuniscono tutti e ci fanno salire su varie autocarrette”.
“Una
sentinella tedesca vedendomi in veste sacerdotale col bracciale della Croce
Rossa vorrebbe impedirmi di salire. Ma un ufficiale presente alla scena fa
bruscamente cenno che salga anch’io con gli altri”.
“l’episodio,
dal modo come si svolge, pone nell’animo mio e degli altri un presentimento
angoscioso ”.
“Tuttavia
si è quasi tutti sereni”.
“Le
autocarrette oltrepassano l’ospedale civile, la polveriera, le ultime
abitazioni di Argostoli, filano veloci dietro la penisola di S.Teodoro dove
sappiamo che altro non c’è che deserto roccioso”.
“Ad una
rustica villetta solitaria di color rosso ci addossano al muro di cinta”.
”Di
fronte a noi una decina di soldati tedeschi indossano l’elmetto di combattimento
ed imbracciano il mitra”.
“ Tutti
allora ci rendiamo conto della situazione”.
Cefalonia. Padre Formato
PADRE FORMATO
“
Indelebile rimarrà nei cuori dei superstiti della “ Casa Rossa” – dice il
Capitano Apollonio – la figura del cappellano del 33° reggimento artiglieria
don Romualdo Formato. Condotto sul posto per essere fucilato, assistette tutti
gli ufficiali confortandoli con parole fraterne ed elevate”.
“ Per
fortuna, - dice il capitano Bronzini – è con noi don Romualdo Formato. La
persona di questo prete è una grazia di Dio. Egli vuole fino all’ultimo restare
con il suo reggimento e dividerne la sorte”.
“Per tre
volte, - dice P. Formato – sia per ritardare l’esecuzione in massa che ritengo
immediata sia per tentare di evitare l’infame eccidio, avanzo verso un gruppo
di sottufficiali tedeschi che comandano quei pochi armati”.
“ Dico
ad alta voce: “ In nome di Dio!, qui ci sono soldati che non hanno altra
responsabilità che quella di aver obbedito ai loro superiori! Contro tutte le
norme internazionali, volete sottoporci alla morte dopo che il Vostro Comando
ha ufficialmente stipulato ed accettato la resa e dopo che ci ha tutti
disarmati! Imploro a nome di tutti almeno un sommario interrogatorio. Proclamo
tutti innocenti e non meritevoli di pena capitale!””.
“L’interprete
tedesco, un sottufficiale, traduce invano le mie parole”.
“I
tedeschi, di proposito, non hanno mandato sul posto alcun ufficiale che
potrebbe assumersi qualche responsabilità”.
“Di mano
in mano che giungono le autocarrette – testimonia il capitano Bronzini – più di
un ufficiale si trova addosso un soldato tedesco che gli afferra i polsi per
cercarvi l’orologio, che fruga in ogni tasca asportandone il portafoglio e gli
oggetti di valore, che toglie gli anelli dalle dita”.
“Don
Formato intanto parla con l’interprete: questi dice che l’ordine è di fucilare
tutti. Il sacerdote implora invano. Mostra allora il suo abito talare e chiede
se anche lui dovrà subire la stessa sorte. La risposta è affermativa”.
“Noi
credevamo che in questo stesso recinto ci avrebbero piazzate davanti le
mitragliatrici e ci avrebbero uccisi. Invece la procedura delle esecuzioni non
sarà così e non tarda a rivelarsi”.
“Quando
mostrai il mio abito talare e il bracciale della Croce Rossa – dice P. Formato
– venni duramente ricacciato al muro e mi fu detto, con ironia, testualmente
così: “Bah! Parlare di Croce Rossa al quinto anno di guerra!”.
“Visto
allora che non c’era altro da fare mi rivolsi agli ufficiali con queste parole:
“Amici e fratelli! Conoscete ormai la sorte che ci attende. Non ci resta ormai
che rivolgerci a Dio e raccomandarci alla sua infinita misericordia. Gli
chiederemo, tutti insieme, perdono delle nostre colpe, ed io, suo ministro, per
l’autorità che Egli stesso e la sua Chiesa mi accorda in questa tragica circostanza,
impartirò a tutti l’assoluzione sacramentale. Accettiamo serenamete la morte
come olocausto espiatorio per le colpe della vita. Il nostro sangue, per virtù
del sangue di Cristo Crocifisso, sia alla nostra anima lavacro di
purificazione. Disponiamoci a presentarci fiduciosi al trono di Dio, padre e
consolatore nostro!”.
“Seguì una scena, tristissima e al
contempo sublime”.
“Come al tempo dei primi cristiani,
nel martirio degli anfiteatri, tutti si raccolgono in preghiera attorno al
sacerdote benedicente”.
“Tutti sono in ginocchio”.
“Molti levano le mani al cielo, altri
hanno un libretto di preghiere od una corona del rosario. Qualcuno fissa gli
occhi su un’immagine sacra od una medaglietta tolte dal collo. Molti levano dal
portafoglio le fotografie dei loro cari e le mostrano ai vicini”.
“Recitiamo, tutti insieme, con gran
calma, adagio adagio, scandendo bene e forte le parole l’atto di dolore”.
“Quindi, a voce altissima, recito al
plurale l’intera formula d’assoluzione come è prescritta per il sacramento
individuale della penitenza”.
“Poi cominciarono le esecuzioni con
ritmo accelerato”.
“La medesima opera ripetevo con gli
altri gruppi, di mano in mano che sopraggiungevano le autocarrette”.
giovedì 20 agosto 2015
Cefalonia La Tragica Sfilata
LA TRAGICA
SFILATA
“La procedura dell’esecuzione –
informa il capitano Bronzini – è la seguente: un interprete tedesco – nessun
ufficiale è sul luogo – grida “fuori 8” oppure “fuori 12”. Otto o dodici
ufficiali si presentano e vengono accompagnati fuori dal recinto. Subito dopo
si sente la breve scarica di fucileria”.
“I tedeschi – dice P. Formato – hanno
formate tre squadre di 8 uomini ciascuna. La prima mira alla testa, la seconda
al petto, la terza dà il cosiddetto “colpo di grazia” alla tempia”.
“Quando l’interprete tedesco grida
“fuori 8” – precisa il capitano Bronzini – sono sempre più di 8 ufficiali a
presentarsi, ma gli esuberanti vengono respinti. Giacché si deve morire, non è
meglio affrontare subito la morte e toglierci dal penare? C’è chi si confessa.
Moltissimi scrivono biglietti di estremo saluto ai cari lontani. Altri vogliono
che oggetti personali o ricordi vadano ad essi. Consegnano il tutto a don
Formato”.
“Fuori 8”, “fuori 12” grida la solita
voce.
“Le scariche si alternano alle
chiamate”.
“Dei soldati tedeschi che ci montano
la guardia attorno, alcuni sono tristi, altri paiono indifferenti, qualcuno ci
guarda sorridendo e ci dice: kaputt, kaputt”.
“Il contegno degli ufficiali italiani
è esemplare. Un giovane sottotenente si buttò a terra e cominciò a ridere,
ridere forte fin quando non lo presero e lo portarono alla fucilazione. Un
altro giovane ufficiale piangeva. Tutti gli altri si comportarono degnamente”.
“Tutti si mantengono meravigliosamente
calmi; - dice P. Formato -. Ognuno prima di andare sotto il plotone di
esecuzione passa da me a consegnarmi o l’anello della fede per la consorte
lontana o una catenina d’oro o l’orologio o qualunque altro ricordo. Tutti mi
fanno scrivere l’indirizzo della propria famiglia ed alcuni mi dettano le
ultime volontà o delicatissime commissioni. Molti temendo di non fare in tempo
a consegnarmi le loro cose, e non potendosi staccare dal muro, m’invocano
nervosamente dalla parte loro. Per qualche tempo, in quel sinistro luogo di
morte, non si è udito che un solo grido ripetuto con voce altissima da cento e
cento petti: “Cappellano! Cappellano! Qui, un momento solo!” A me sembra di
impazzire, non sapendo dove accorrere prima. Mentre, come un automa, corro da
una parte all’altra lungo quel tragico assembramento di morituri, ricevo
oggetti, scrivo appunti, do a tutti la mia parola di conforto cristiano. I
tedeschi mi lasciano fare. Per oltre 4 ore si prolunga lo strazio di quel
martirio, di quegli addii, di quegli abbracci interminabili, di quei baci che
ci fanno vicendevolmente inzuppare di lacrime i volti. Alcuni si gettano ai
miei piedi e non contenti dell’assoluzione generale vogliono ripetere la
confessione individuale. Altri si attaccano alla mia veste come per non
staccarsene più. Molti mi prendono le mani e convulsamente e baciano, e le
bagnano di lacrime cocenti e di freddo sudore ”.
“Ad un tratto – dice il sottotenente
Esposito – ci fu come un attimo di sospensione: un ufficiale, il sottotenente
Clerici, si avvia alla fucilazione cantando la “Leggenda del Piave””.
“Il sottotenente La Terza – prosegue
P. Formato – mi dice: “Cappellano, mi attacco a te, così resto un minuto di più
in vita”. Fu violentemente strappato dai miei piedi e gettato fuori del
recinto”.
“Il mio colonnello Romagnoli, che
aveva una venerazione per una sua figliola studentessa universitaria e crocerossina
volontaria, consegnandomi un anello e un orologetto d’oro, mi dice
solennemente: “Don Formato, voi conoscete l’indirizzo della mia famiglia. Se
riuscirete ad andare a Roma, recatevi voi a confortare mia moglie e portatele
questo anello. L’orologetto invece lo porterete a mia figlia e le direte che
viva sempre nel ricordo di suo padre. Addio, don Formato, e grazie della vostra
opera nel mio reggimento”. Dopo avermi abbracciato e baciato, il mio colonnello
va alla morte. E’ calmo, imponente, con la pipa fra le labbra”.
“Il capitano Montanari, che aveva
recentemente perduto la madre, mi dice: “don Formato, dirai a papà che sono
morto da forte soldato e da buon cristiano””.
“Il sottotenente Poma: “don Formato,
và a trovare papà e dì a tutti che non piangano molto: io muoio con la
coscienza tranquilla””.
“Il tenente Bernardini, consegnandomi
due fotografie da portare alla fidanzata, mi dice: “Cappellano, dite a quella
povera ragazza che se non ci siamo potuti unire su questa terra ci
ricongiungeremo lassù ””.
“Anche il capitano Carocci –
testimonia il Bronzini – ufficiale d’ordinanza del gen. Gandin, si presenta
spontaneamente. Mi dice: “a me non importa morire. Ma i miei non si
consoleranno mai. A rivederci”. Cammina con passo svelto come quando accorreva alle
chiamate del suo generale. Sul cancello, si volge verso me e Saettone, ci
sorride e ci saluta con la mano. Dopo un po’ ecco la scarica. Povero Carocci,
dico a saettone. Ma nel dire così mi viene alle labbra un pensiero: caro
Saettone, dico, perché ho detto “povero” a Carocci? Sono più povero io che,
come lui, devo morire e non ho come lui il coraggio di presentarmi alla morte.
Saettone mi risponde: “fai male. Dai tedeschi non c’è nulla da sperare. Adesso
me ne vado anche io””.
“Così dicendo si affianca al capo di
stato maggiore, ten. Col. Fioretti, che in quel momento usciva dal gruppo per
presentarsi ad una delle solite chiamate”.
“Anche il ten. Col Fioretti mi saluta
e mostrandomi una fotografia, che da tempo tiene nelle mani, mi dice: “vede,
questi sono i miei bambini. Quando sono partito per venire qui hanno pianto
tanto e nel salutarmi non volevano staccarsi da me. Poveri piccoli, forse loro
presentivano qualcosa”. Fioretti si allontana.
“Povero Fioretti! Aveva iniziato il
servizio alla “Acqui”, quale capo di stato maggiore, appena il 4 settembre.
“Il capitano Gasco, comandante della 2a
compagnia carabinieri, ufficiale di complemento che da civile insegna filosofia
al Liceo Alfieri di Torino, padre di cinque piccoli figli, nell’andarsene mi
dice: “i miei studi preferiti, in questo momento, sono per me di tanto
conforto, ma penso ai miei bambini e a mia moglie. Come faranno senza di me?”.
Se ne va senza turbamento. Giunto al cancello, si volge a me e ad altri, si
pone rigido sull’attenti e grida: “morirò da carabiniere”.
“Così vedo avviarsi alla morte i miei
colleghi del comando della divisione: i capitani Caruso, Caffarelli,
Cartocci-Bartolomei. Se ne vanno pure spontaneamente il ten. Onorato
dell’ufficio cifra, il tenente Sandalli, comandante della 27a
sezione carabinieri, il capitano Adevaldo Ferrari del comando artiglieria.
“Da alcuni ufficiali ultimi giunti
vengo a sapere che i tedeschi, durante i giorni 21 e 22, hanno fucilato sullo
stesso campo di battaglia molti nostri soldati ed ufficiali. Il gen. Gherzi, al
momento della fucilazione, ha scoperto il petto ed ha gridato “Viva l’Italia!”.
“La maggior parte degli ufficiali
catturati durante i combattimenti sono stati internati nel carcere e parte in
una caserma di Argostoli. Gli ufficiali del carcere sono già stati fucilati.
Ora è la volta di quelli della caserma, che sono circa duecento.
“Giungono infatti altre camionette
cariche di nuove vittime.
“Il cortile quasi si vuota, poi si
riempie di nuovo: si vuota e si riempie.
“Decine e decine di ufficiali di cui
non conosco il nome vanno alla morte”.
Iscriviti a:
Post (Atom)