mercoledì 21 gennaio 2009
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO
FACOLTÀ DI MAGISTERO CORSO DI LAUREA IN SOCIOLOGIA
Tesi di laurea
MONTELUNGO 1943
UNA PAGINA DI CRONACA NELLA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE
Laureando STELIO TOFONE Matr. 011380 RELATORE Chiar. Prof. ENZO SANTARELLI
Anno accademico 1975-1976
CAPITOLO IV
PREPARATIVI E DINAMICA DEL FATTO D’ARMI
Dalla Puglia alla Campania:”O Roma o morte”
In quei giorni del 1943, gli Alleati Anglo-Americani non potevano neppure lontanamente immaginare quale fosse la condizione dell’Italia in guerra: per loro, il subitaneo crollo del Paese e le ripetute sconfitte rappresentavano un mistero. Da qui una sempre più spiccata diffidenza, espressa da parte loro senza troppa finzione.
Perplessità che non venne certo meno allorché essi videro pochi italiani affrontare con risolutezza del contingenti germanici; anzi, gli sporadici episodi di valore e decisione che ebbero luogo, non fecero che radicarli paradossalmente nella convinzione di frenare ogni “velleità”, e qualunque tentativo di rialzare la testa da parte degli uomini in grigioverde.
Il che risulta chiaro nel seguente commento:”quando i contingenti dell’8^ Armata inglese sbarcarono a Taranto e poi in altri porti pugliesi, reparti italiani si battevano animosamente contro i paracadutisti tedeschi a Bari, a Santeramo in Colle, a Gioia del Colle e in altri siti, in modo da assicurare da ogni sorpresa tale delicata operazione. Essi, gli italiani, non desideravano che continuare questa ardita funzione di avanguardia, tanto più che potevano contare di essere energicamente sostenuti. E furono molto delusi quando ricevettero l’ordine brusco e perentorio di fermarsi e di lasciarsi sopravanzare. Ancor più delusi furono quando vennero spogliati, a discrezione dei singoli reparti inglesi, man mano che passavano, dei loro autocarri, dei loro quadrupedi e di quant’altro poteva servire loro per una rapida avanzata”. La delusione toccò poi il fondo dell’amarezza quando, deposte le armi, furono destinati a compiti di manovalanza [1].
La fine di giugno 1943 molte Scuole Allievi Ufficiali di Complemento furono trasferite, dalle loro sedi, in Puglia con compiti di protezione degli aeroporti e data l’impreparazione militare degli allievi come reparti antiparacadutisti.
La notizia dell’armistizio raggiunse questi reparti e provocò reazioni diverse. Alcuni furono contagiati dal fatidico grido “tutti a casa”, si sbandarono e persero la via del nord; altri restarono ai loro posti subendo gli attacchi ed i soprusi dei teschi.
L’unico reparto che reagì con le armi, alla notizia dell’armistizio, fu il LI° Battaglione A.U.C. dei bersaglieri che fin dal 9 settembre partecipò a numerose azioni contro i tedeschi, dalla difesa del porto di Bari alle azioni svolte fino al 26 dello stesso mese. A seguito di ciò il LI° Battaglione fu scelto per far parte del I° Raggruppamento Motorizzato.
Pertanto accanto agli operai e contadini, che rappresentavano il grosso dei due battaglioni del 67° fanteria Legnano, vengono a trovarsi anche gli intellettuali in quanto il LI° bersaglieri è costituito, per la quasi totalità, di laureati e studenti universitari.
Fin dai primi giorni il Comandante del Raggruppamento invita tutti i componenti il LI° Battaglione, compresi gli uomini dei servizi, ad esprimere eventuali dubbi sulla partecipazione alla guerra di librazione: in sostanza si volle dare a quei giovani la facoltà di una scelta con piena facoltà di andarsene in caso di risposta negativa. Si disse che quelli che accettavano di restare dovevano essere considerati “volontari” ma questa distinzione non fu mai successivamente data alle truppe regolari del Raggruppamento.
Durante il trasferimento verso la Campania fu proprio un reparto del LI° bersaglieri che su camion e autobus ripropose la scritta garibaldina “o Roma o morte”.
Quanto si giunse ad Avellino gli scontri con i giovani locali e le scritte sulla stampa che definiva tali soldati “una compagnia di ventura” e “mercenari al soldo della casa Savoia” provocò zuffe furibonde soprattutto da parte di coloro che volevano partecipare alla guerra i liberazione con spirito repubblicano e con la convinzione di operare per un ideale a cui credeva.
Logicamente questi fatti scossero il morale degli uomini, anche se non in modo determinante.
Oltre ciò, in quei giorni si verificò l’invio in congedo delle classi dal 1911 al 1912, fatto che produsse un grande scombussolamento nei reparti del Raggruppamento e che provocò inoltre il famoso promemoria n. 494 operativo del 19 novembre 1943 del generale Rossi, sottocapo di Stato Maggiore, al maresciallo Messe, capo di Stato Maggiore generale: “con tale invio in congedo si compromette, con una crisi di una gravità eccezionale, la efficienza bellica del Corpo di spedizione, che, alla vigilia di andare in linea, perde seicento uomini dei più esperti e provati. Occorre, quindi:
immediata sostituzione dei congedandi con altri delle classi più giovani.
Gli elementi da trattenere dovranno essere tutti volontari e scelti uno per uno[2]
In Puglia nel frattempo, si era costituito, con tutti i residui reparti dei Battaglioni Allievi Ufficiali, un Raggruppamento al quale era stato dato il nome di “Curtatone e Montanara”.
Da questo raggruppamento si attinse, in massima parte, per completare i vuoti del congelamento delle classi 1911 e 1912.
Vari furono i motivi che portarono gli Universitari del “Curtatone e Montanare” ad arruolarsi volontari; si ebbero casi di persone che con questo gesto vollero abbreviare il tempo di separazione delle famiglie lontane – ci si illudeva ancora che le colonne motorizzate Alleate potessero raggiungere Roma in pochi giorni – molti credevano fermamente che quello era l’unico modo per riscattare la cocente umiliazione dell’armistizio e per combattere il nemico di sempre.
Non credo che molti avessero, in quel periodo, una coscienza politica tale e soprattutto una specifica preparazione politica da mettere al servizio dei molti indecisi.
Sicuramente molti di noi, volontari universitari, eravamo consapevoli di quanto stavamo facendo e per molti di noi erano chiari i futuri risvolti politici che la nazione avrebbe senz1altro avuto con la nostra modesta opera.
Non tutti, anche se poi portammo sulle nostre giubbe, come distintivo del Raggruppamento, il simbolo di casa Savoia, eravamo di fede monarchica ed anche se non avevamo chiare idee politiche eravamo decisamente portati ad una forme repubblicana di governo.
Partimmo dalla Puglia con certezza che tanti altri seguissero il nostro esempio e che partecipassero fattivamente a quella guerra di liberazione che doveva veramente darci, od almeno credevamo, una nuova Italia.
prima giornata: lo scacco dei piani iniziali.
La scarsa visibilità dovuta alla nebbia imprevista, il peso della difesa avversaria risultò di gran lunga superiore ai dati forniti dal servizio di informazioni, il mancato intervento di azioni concomitanti, l’impossibilità infine del promesso concorso dell’aviazione a causa delle avverse condizioni atmosferiche: sono tutti fattori che il nemico sfrutta, sicchè i nostri, infiltratisi nel suo dispositivo, vengono fatti segno a fuoco concentrato di armi automatiche ed artiglierie. La nebbia si dirada ed il monte non si presta ad appigli; i tedeschi tentano l’accerchiamento ed i nostri sono costretti a ripiegare sulle basi di partenza.
Il 10 dicembre il generale Dapino scriveva al generale Keyes, comandante del II° Corpo d’Armata della V^ Armata Americana, alle cui dipendenza operava il I° Raggruppamento Motorizzato: “nell’azione dell’8 dicembre il I° Raggruppamento Motorizzato italiano, dalle 6,20 alle 9,20, nel tentativo di conquistare Montelungo, ha perso il 30% della fanteria combattente – 500 perdite su circa 1600 fanti combattenti[3].
La fanteria, partita per l’attacco con slancio, confidente nell’opinione di trovarsi dinanzi ad un solo “velo di fuoco”, si trovò di fronte ad una organizzazione di fuoco lasciata intatta dalle artiglierie”.
Perché alle truppe italiane badogliane, impegnate nelle prima azione bellica contro i tedeschi, mancò il necessario appoggio delle artiglierie americane? E perché l’offensiva di Montelungo, affidata nella sua azione centrale ai fanti italiani – come primo colludo del nuovo impegno bellico dell’Italia postfascista – si trasformò in una tragica carneficina di giovani vite umane?
Scarsa organizzazione, errori tattici, mancanza di collaborazione: queste le motivazioni della tragica strage.
Sono le estreme conseguenze di un insieme di problemi che fanno capo ad una delle questioni più intrigate, scaturite dopo la nascita del cosiddetto “Regno del Sud”: la questione della cobelligeranza.
Verso un recupero: difesa e lotta sul terreno
il fallimento della prima azione su Montelungo deve essere attribuito al fatto che due delle premesse fondamentali per il successo delle truppe italiane – un eminente grado di efficacia del tiro di preparazione d’artiglieria e la sicurezza e l’appoggio sul fianco sinistro per parte delle truppe americane – sono venute a mancare.
Anche sulla destra – dove si sperava che l’azione vigorosa del 143° reggimento fanteria americano, appoggiato dal fuoco della 36^ divisione Texas, potesse riuscire ad alleggerire almeno la pressione tedesca sul fronte del Raggruppamento – non si era riusciti a conquistare gli obiettivi assegnati. Veniva così a cadere un’altra delle premesse per il successo delle truppe del Raggruppamento ossia che le truppe americane avrebbero potuto minacciare da oriente le posizioni di Montelungo, sia di fianco che su rovescio.
Nel frattempo il nemico contrattacca e preme in direzione di quota 253, favorito anche dal tempo, che frattanto si è fatto abbastanza sereno, sferra, con artiglierie, mortai e armi automatiche, un violento tiro di repressione sia sull’anzidetta quota 253, sia sulle posizioni di Ponte Primo Peccia.
Le fanterie del Raggruppamento, ritornate sulle basi di partenza, vi si disposero a difesa mantenendone, per tutto il resto della giornata, le posizioni, mentre la nostra artiglieria, in cooperazione con quella americana, continuò ad eseguire concentramenti di fuoco su quota 343, sulla quota “senza numero” a sud-est di quota 343 e sulla ferrovia [4].
Il comandante del Raggruppamento, l’indomani dell’azione, diede disposizioni per la sistemazione a difesa delle posizioni sulla linea: impluvio a sud di Ponte Primo Peccia – Ponte Primo Peccia quota 253 – quota 193- ansa della strada statale n.6. Su tali posizioni doveva essere fatta una difesa ad oltranza. La ferrovia e la strada nazionale n.6 dovevano essere sbarrate ed eventuali attacchi avversari dovevano essere contenuti con azione di arresto effettuato con le armi della fanteria e con l’artiglieria, e respinti con azione di contrassalto o di contrattacco. L’artiglieria americana avrebbe concorso allo sbarramento ed eventualmente anche alla repressione.
Per la difesa del settore erano assegnate le stesse truppe che avevano costituito la colonna d’attacco, e cioè: 67° fanteria, LI° battaglione bersaglieri, V° battaglione controcarri, due plotoni artiglieri e due sezioni da 20 contraerei. Non si ritiene opportuno prospettare di ritirare gli uomini dalla prima linea per dar loro modo di ricostituirsi e questo per non dare un’impressione sfavorevole del Raggruppamento e soprattutto perché il II° Corpo Americano progettava già un’imminente ripresa offensiva; una richiesta in questo senso avrebbe potuto destare negli alleati una impressione negativa.
Il comandante del Raggruppamento fece presente alle nostre maggiori autorità la necessità che la fanteria del Raggruppamento venisse rinforzata “con truppe fresche, scelte, bene inquadrate e non provate”; le quali potessero “costituire il primo scaglione del futuro attacco”. . Occorre – soggiungeva nella su relazione il comandante del Raggruppamento – che sia inviato al più presto un intero battaglione organico, urge poi l’invio di un reparto, anche piccolo, di arditi i quali, con azioni di pattuglia, precedendo come nuclei di combattimento le compagnie avanzate, possano rincuorare e ridare confidenza e fiducia alla fanteria attualmente abbattuta” [5].
Era urgente che il Raggruppamento venisse “rinforzato al più presto con un intero battaglione organico di fanteria ed una compagnia organica di bersaglieri”; mentre i due attuali battaglioni del 67° fanteria avrebbero potuto “contrarsi in uno solo”.
Insistendo perché gli elementi richiesti fossero sceltissimi, suggeriva di attingerli o dalla divisione “Nembo”, o dal reparto arditi della Sardegna, o anche dai volontari. Nello stesso tempo informava le autorità americane degli inconvenienti verificatisi nell’azione dell’8 dicembre e fece presente che sarebbe stato opportuno “concedere il tempo di riorganizzare le truppe di fanteria del Raggruppamento così duramente provate”, avvertendo di aver già richiesto alle superiori autorità italiane l’invio di un nuovo battaglione di fanteria [6].
Il sostegno alleato e la controffensiva italiana.
Il giorno 13 dicembre il comando della 36^ divisione Texas emanò l’ordine d’operazione relativo alla ripresa offensiva [7](7); e successivamente pervennero al Raggruppamento italiano gli ordini di operazione del 141° e del 142° reggimento fanteria americani interessati nella ripresa offensiva. La 36^ divisione, rinforzata da vari elementi, avrebbe attaccato nei giorni 15 e 16 dicembre per conquistare Montelungo, San Pietro, San Vittore e le alture a nord e a nord-est di san Vittore. In relazione a ciò veniva disposto che:
sulla “destra”, il 141° reggimento fanteria americano con non meno di un battaglione avrebbe attaccato il 15 dicembre per occupare San Pietro, mantenendosi in contatto sulla destra col 143° reggimento americano, che nella stessa giornata del 15 avrebbe continuato il movimento offensivo per occupare le alture a nord e ad est di San Vittore;
sulla “sinistra”, il 142° reggimento fanteria americano, con parecchi elementi di rinforzo, muovendosi dalle posizioni di Monte Maggiore avrebbe, nella notte dal 15 al 16 dicembre, attaccato da ovest Montelungo per occupare le ultime alture a nord-ovest di quota 343, mantenendosi in contatto sulla destra col Raggruppamento italiano;
al “centro”, il Raggruppamento motorizzato italiano avrebbe, il mattino del 16 dicembre a giorno fatto, attaccato Montelungo per conquistarne la quota 343 e rastrellarne le pendici mantenendo sulla destra il contatto col 141° fanteria americano;
nelle prime ore pomeridiane del 15 un battaglione chimico avrebbe provveduto ad annebbiare le pendici nord-est di Montelungo da quota 343 in su.
Questa volta l’azione affidata al Raggruppamento appariva, rispetto a quella dell’8 dicembre, inquadrata meglio e più razionalmente. In più due notevoli vantaggi erano a favore del Raggruppamento:
le truppe italiane avevano avuto tempo e modo di orientarsi sul terreno, sul nemico ed avevano potuto rinfrancare il proprio spirito combattivo nei riguardi dei Tedeschi;
le azioni sui fianchi avrebbero dovuto essere intraprese dagli Americani un giorno prima e quindi si poteva controllarne i risultati prima di muoversi. Inoltre Montelungo sarebbe stato, per effetto dell’attacco del 142° fanteria americano, preso di rovescio e a cominciare dalla sua quota più alta.
In tal modo le proporzioni tra compito e forze, per il Raggruppamento, si potevano dire ben rispettate, e lo sforzo richiesto commisurato allo scopo da raggiungere. A seguito delle disposizioni della 36^ divisione Texas il comandante del Raggruppamento emanò il suo ordine di operazione ove accennava al compito affidato al Raggruppamento “prendere e tenere quota 343 e rastrellare le pendici di Montelungo ad Est della ordinata 96” e precisava inoltre “Intendo – impadronirmi in un primo tempo, agendo per l’alto, della altura “senza indicazione di quota” a 300 metri a Nord-Ovest di quota 253 – attaccare, in secondo tempo, per le pendici Sud, quota 343”[8].
Come nell’azione dell’8 dicembre, anche questa volta ci sarebbe stata un’unica colonna d’attacco così costituita:
il II° battaglione del 67° fanteria “Legnano”;
il LI° battaglione Allievi Ufficiali bersaglieri;
il V° battaglione controcarri;
le due sezioni mitragliere da 20 contraeree;
i due plotoni artiglieri.
L’attacco sarebbe stato preceduto da una preparazione d’artiglieria della durata di trenta minuti. Al mattino del 16, poco dopo le ore 7.30, giunge notizia che truppe americane hanno occupato quota 141 e quota 351 di Montalungo. Alle 9.15 la colonna d’attacco italiana si muove dalle basi di partenza ed inizia l’attacco che si protrae fino ad oltre le ore 13 quando le truppe italiane occupano la quota 343.
Si effettuano i collegamenti sia sulla sinistra che sulla destra, che sulla quota 351 con le truppe americane ed a sera tutto Montelungo è saldamente presidiato da truppe italiane e americane. Appena conquistato Montelungo, il comando del Raggruppamento diede disposizioni per l’organizzazione a difesa del monte; “la linea di sicurezza” fu portata alla strada nazionale n°6; “la linea di resistenza” fu mantenuta sulla linea di cresta. La quota 343 venne considerata cardine della difesa [9].
Riconoscimenti internazionali e echi nazionali
Il generale Dapino, dopo la battaglia disse: “Il compito affidatoci era molto superiore alle nostre modeste possibilità, i mezzi assolutamente insufficienti ed inferiori a quelli dell’avversario, le stesse informazioni sulla ubicazione ed efficienza delle posizioni nemiche non rispondenti a verità. Ma tutto ciò aveva un valore secondario. Si trattava di dimostrare al Mondo che i soldati italiani volevano battersi per liberare dal gioco straniero i fratelli del Nord. E per questo accettammo l’impari lotta”[10].
Il 17 dicembre 1943, a conclusione della vittoriosa battaglia per la conquista di Montelungo, il generale Clark, comandante la V^ Armata Americana alle cui dipendenze operava il I° Raggruppamento Motorizzato, inviava il seguente messaggio ai soldati italiani: “Desidero congratularmi cogli ufficiali e i soldati del vostro comando per il successo riportato nel loro attacco di ieri su Montelungo e quota 343. Questa azione dimostra la determinazione dei soldati italiani a liberare il loro paese dalla dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli oppressi d’Europa”[11].
Queste parole rappresentavano il più ambito premio alla nostra fede ed alla nostra volontà e sanzionano l’atto di nascita del nuovo risorgimento italiano. Il discorso iniziato dai caduti di Montelungo non poteva esaurirsi in una semplice azione di guerra, doveva proseguire, svilupparsi, andare avanti.
Dal nucleo veterani di Montelungo nacque il Corpo Italiano di Liberazione che fu in linea ininterrottamente dal febbraio al settembre 1944 e “lacero e scanzonato”, si battè a fianco dei Francesi, degli Inglesi e dei Polacchi con una tenacia e con un valore che furono obiettivamente riconosciuti. Da questo riconoscimento, cioè dalla certezza che dare le armi e l’equipaggiamento Alleati ai soldati italiani valeva la spesa, scaturì la decisione di formare i sei Gruppi di combattimento che al Po di Primaro, sul Senio e sull’Idice si prodigarono generosamente per la vittoria finale [12].
Kesserling nelle sue memorie ricorda il fatto di Montelungo così: “Fino al 10 settembre avevo già fissato sulla carta l’andamento delle linee di resistenza per il caso di una eventuale ritirata delle forze tedesche dall’Italia meridionale. Si sarebbe potuto costituire posizioni difensive a Sud di Roma, forse su di una linea che avesse al centro il monte di Mignano (denominata in seguito linea Reinhardt) o sulla linea Garigliano-Cassino (denominata in seguito linea Gustav). Disposi che la “linea Reinhardt” venisse posta per il 1° novembre in stato di difesa…..Avevo piena fiducia in quella linea, che la configurazione del terreno rendeva assai forte e speravo di poterla mantenere a lungo, forse fino al nuovo anno, per avere tempo di fortificare la “linea Gustav” in modo tale da renderla quasi inespugnabile per le forze Anglo-Americane, Riponevo molte speranze nella “linea Reinhardt” la quale però poteva essere mantenuta solo a condizione di tenere il passo di Mignano; questo era imprendibile fino a quando noi avessimo tenuto l’altura di quota 1170. In seguito all’improvviso cedimento della divisione granatieri corazzati che combatteva in quel settore, il nemico riuscì ad impadronirsi di sorpresa del massiccio montuoso di cui non fu più possibile riprendere possesso. Alla fine del 1943, dopo lotte particolarmente violente svoltesi dal 6 al 18 dicembre, la calma potè tornare finalmente su quel difficile settore del fronte”.
Il colonnello Ernest Georg von Heiking che quell’8 dicembre comandava, con il grado di capitano, il battaglione tedesco della 29^ divisione corazzata granatieri, a difesa della posizione “Montelungo”, sulla “linea Reinhardt” così racconta: “Li vedevamo cadere come birilli e ci fu un momento di scompiglio, come una sosta, fra i soldati attaccanti. Sembravano privi di comando. Capimmo che non si doveva trattare di soldati alleati. Gli alleati usavano una tecnica di attacco completamente diversa: non si esponevano così, allo scoperto. Osservando meglio ci accorgemmo che davanti a noi avevamo per la prima volta dei fanti italiani, i nostri ex alleati.
I miei soldati allora, che erano rimasti sorpresi dall’avanzata – e anche spaventati – ripresero coraggio e sferrarono a loro volta un violento contrattacco, azionando le mitragliatrici senza pietà…Io credo che la causa principale dell’insuccesso con cui si concluse l’impresa fosse soprattutto una mancanza di collaborazione tra la brigata italiana e gli Americani, che avevano il comando delle operazioni”[13].
Dopo la prima giornata di Montelungo il generale Walker, comandante la 36^ Divisione Texas, scrive al generale Dapino “…. ho udito da parecchie fonti del magnifico comportamento delle vostre truppe quando si sono lanciate all’attacco di Montelungo. Vi prego di estendere ai vostri ufficiali e soldati le mie congratulazioni per l’entusiasmo, lo spirito e il magnifico coraggio da essi dimostrato. Le nostre truppe trovarono difficile il loro primo incontro con il nemico. Le vostre hanno avuto una esperienza simile. Sono sicuro che le vostre truppe con una maggiore esperienza integreranno, con le nostre, il loro entusiasmo, onde portare a termine l’opera di distruzione del nostro comune avversario” [14].
Gli Americani, in altre parole, si rendono conto che quello subito dagli italiani è stato un vero colpo. Forse hanno chiesto troppo. Forse l’obiettivo non era così facile né modesto come essi ritenevano e loro stessi si dichiararono stupiti della resistenza avversaria davvero fuori delle previsioni.
L’11 dicembre 1943, sulle pagine del giornale “Bergamo Repubblicana” (Anno 25°, n° 39) si possono così leggere queste parole sotto il titolo L’ESORDIO DELLE TRUPPE BADOGLIANE SL FRONTE DELL’ITALIA MERIDIONALE: “Poiché alle divisioni Anglo-Americane che attaccano da settimane ad Ovest di Mignano non è riuscito di effettuare una rottura delle linee tedesche malgrado l’efficace appoggio dell’artiglieria e il forte impiego di formazioni di apparecchi, sono stati gettati, il 9 dicembre, per la prima volta nella lotta battaglioni delle truppe di Badoglio. Il reggimento attaccante è stato ricacciato con gravi perdite di sangue; dei 1500 soldati attaccanti ne sono stati contati 532, morti davanti alle postazioni tedesche. A una gran parte è riuscito però di arrendersi alle truppe germaniche, di mettersi in tal modo al sicuro e sfuggire alla violenza sanguinaria dei liberatori americani. Essi sono stati ricevuti e trattati bene dai soldati del Reich memori della provata fratellanza d’armi sui campi di battaglia d’Africa e di Russia. Gli Anglo-Americani che considerano gli Italiani come carne da cannone, hanno gettato nella lotta questi battaglioni senza una adeguata preparazione di artiglieria, là dove essi stessi non avevano potuto ottenere nessun risultato malgrado l’impiego di una inaudita massa di uomini e mezzi” [15].
Tra i commenti sprezzanti, uno dei più concisi, ma certamente dei più acidi, lo dobbiamo al francese CARPENTIER: “Il I° Motorizzato avrebbe fatto (stando alle parole del generale) un’apparizione tanto breve quanto scarsamente brillante”[16].
Successivamente i Francesi del C.E.F., con i quali collaborerà il I° Motorizzato, nel bollettino n° 76 del 22 febbraio 1944 riconosceranno l’ardimento dei reparti italiani sottolineando il fatto che le pattuglie del Raggruppamento si stanno rilevando “particolarmente audaci”[17].
Il giornalista americano Herbert Matthews, commentando l’eroismo dei combattenti italiani di Montelungo, scrisse in un articolo in prima pagina del “New York Times”: “Non potrei fare a meno di riandare con lo spirito alla carica della infiammata brigata di Balaclava, esempio classico anglosassone degli attacchi suicidi”.
All’indomani della battaglia i Tedeschi così si espressero: “… l’ardimento e l’eroismo del reparto italiano impegnato fu tale da meravigliare e sorprendere. I fanti si erano battuti da leoni. Quando, dopo le prime ore dell’8 dicembre, potemmo rastrellare il terreno, riconoscendo tra i caduti truppe italiane, comprendemmo”.
Si era riacceso l’entusiasmo e l’orgoglio dei nostri comandi per il fiero comportamento dei soldati di nuovo passati all’azione. Il Maresciallo Messe[18], Capo di Stato Maggiore Generale, additò alla riconoscenza nazionale i valorosi del Raggruppamento: “In una situazione particolarmente difficile e con duro obiettivo da raggiungere, avete saputo dimostrare ammirevole slancio, spirito di sacrificio. I comandi americani lo hanno cavallerescamente affermato, lo stesso nemico ha dovuto convenirne. In momenti difficilissimi per il nostro Paese avete confermato come gli Italiani si sappiano battere quando sono animati da un puro ideale. Avete tenuto alto il prestigio delle nostre armi, avete onorato l’esercito, le sue bandiere, la Patria. Il Paese è fiero di voi”. Il generale Dapino invece: “Voi ben conoscevate l’importanza della prova alla quale eravate sottoposti. Voi sapevate che gli occhi dell’Italia e del Mondo intero erano fissi su di voi per vedere se, dopo tutte le dolorose vicende che hanno colpito il nostro paese, gli Italiani sapessero ancora combattere; sentivate che a voi era affidato il destino della Patria. Consci della gravità dell’ora e della vostra responsabilità, voi avete dimostrato col vostro comportamento, che l’Italia è degna di sopravvivere, perché ha ancora figli che credono nel suo avvenire e sono pronti a morire per esso”[19].
La crisi delle Unita’ combattenti
Il 1° Raggruppamento Motorizzato era figlio della crisi, una crisi che non solo era affatto diminuita ma che sembrava essersi appiccicata addosso agli uomini che lo componevano.
Lo stesso generale Dapino si era accorto che qualcosa non andava per il giusto verso; la campagna antimonarchica sembrava appuntarsi in particolar modo contro il piccolo scudetto che portavano i soldati del Raggruppamento apostrofati di frequente con il termine – che per alcuni suonava come dispregiativo – di “Badogliani” o “Raggruppamento Savoia”.
Si cominciava a parlare, anche tra i militari, dei partiti politici e della propaganda politica che si stava facendo nelle zone dell’Italia liberata. Uno dei discorsi ricorrenti, tra i soldati del Raggruppamento, era quello che si poteva tranquillamente assentarsi dai reparti per presentarsi ai distretti militari del sud ove veniva concessa la licenza illimitata. Non c’era nessuna legge che obbligava il cittadino italiano a riprendere le armi ed a continuare la lotta dopo l’armistizio.
Il morale della truppa era ridotto a zero: imperava l’abulia e la anomia, occorreva rimettere in moto la macchina bellica momentaneamente ferma; manchiamo di tutto per gli alleati: uomini, mezzi, addestramento. L’immobilismo del fronte, il continuo passare di immense formazioni di quadrimotori diretti a portare distruzioni e morte al Nord, la mancanza assoluta di notizie dalla casa e soprattutto l’impotenza a poter modificare quello stato di cose, avevano trasformato, anche gli idealisti più puri che erano accorsi a combattere con il sacro entusiasmo, in esser senza volontà [20] [21].
A comandare il Raggruppamento fu posto il generale Utili in sostituzione del generale Dapino. Utili era un uomo che aveva combattuto, per tutta la sua vita, contro l’apatia e la “routine” e si dimostrò la sola persona adatta a concretizzare quella frase che avrebbe reso famoso sia tra gli Italiani che gli Alleati [22].
“.... ragazzi in piedi... perché questa e’ l’aurora di un giorno migliore....” [23].
Il generale Utili era destinato ad imprimere una profonda svolta al corso degli eventi e soprattutto a dare alla partecipazione Italiana alla lotta dal Sud, un nuovo, più pregnante, significato.
Utili conosceva bene il problema, quella complessa persona che si chiama soldato italiano e sapeva quali corde toccare per ottenere da lui il massimo, per far si che egli desse il meglio di sé.
E tutto ciò in un clima che certamente era sfavorevole ad una opera di risanamento morale sui pochi combattenti del Raggruppamento; infatti sul giornale “Italia Libera” del 15 febbraio 1944, edizione straordinaria recante la critica al proclama Badoglio per il ritorno al Governo italiano delle province liberate, gli italiani, che si ostinavano a combattere contro ogni sorta di avversità, sono definiti:
“... tipici esponenti del fascismo; del fascismo la cui mentalità e i cui sistemi fioriscono, protetti ed incoraggiati, all’ombra dello scudo sabaudo sostituito al fascio littorio....” [24].
Molteplici furono quelli che compresero i vari perché che portarono alla crisi delle truppe del Raggruppamento ed e’ interessante vedere tra i tanti quanto da me sotto riportato.
“Riesaminando oggi, nei particolari, le vicende del giorno 8 “dicembre” scrive il Medeghini, “si deve concludere che vi fu da parte di chi ordinò l’azione una lieve leggerezza. Perché le truppe italiane furono spinte a incunearsi nel dispositivo nemico ancora saldamente tenuto senza che al loro fianchi si fossero svolte o almeno si stessero svolgendo quelle azioni offensive che erano state preannunciate e che sole avrebbero potuto giustificare una fondata speranza di successo, su un obiettivo particolarmente difficile quale quello di Montelungo”. [25]
Senz’altro quell’attacco era stato preparato e condotto con una tecnica da “passeggiata da effettuarsi lungo la linea di massima pendenza”. E non si era tenuto conto degli eventuali imprevisti, anche di carattere meteorologico che avrebbero potuto verificarsi durante lo svolgimento dell’azione”.
Come disse un altro teste di allora, Gabrio Lombardi, “il comando italiano. Sedotto dalla portata spirituale di un possibile successo, non valutò forse tutte le difficoltà....” [26].
Il generale Utili invece così disse: “.... gli italiani si batterono a Montelungo con uno slancio che fece a tutti grande impressione; si batterono per la verità, in funzione di cavie; ossia soli e non sostenuti, lungo una spina di pesce che si allungava verso il centro dell’arena, e sotto gli sguardi di gente che dall’anfiteatro circostante li osservava curiosamente colle armi al piede. Si capisce che, se fu un onore, non fu un successo.
Non era colpa loro. D’altronde non e’ qui il caso di indagare come, a provocare il risultato, gli errori politici si siano intrecciati cogli errori tecnici....[27].
Dopo i fatti d’arme di Montelungo dell’8 e 16 dicembre era evidente che impiegare subito e nuovamente, in un’operazione bellica, il Raggruppamento sarebbe equivalso ad un suicidio.
Il risultato finale, dopo quella prova era stato di aver portato il Raggruppamento allo stremo: 79 morti, 190 feriti, 159 dispersi. E ci sarebbe voluto – come dira’ in seguito il generale Utili – un altro “sforzo febbrile e disperato per ricostruire cio’ che era stato sciupato, coll’indifferenza che il bambino potrebbe avere per il giocattolo; ricostruirlo, con piu’ grosse difficolta’ di prima sia materiali sia spirituali”. [28]
[1] ENEA CASTELLI – Profilo storico del LI° Battaglione A.U.C. 1943 nella guerra di liberazione. U. Manfredi Editore, Palermo, 1971, pag. 17.
[2] ANTONIO RICCHEZZE – qui si parla di voi – pagg. 39-40.
[3] Vedi Appendice – Allegato n. 32.
[4] MINISTERO DELLA DIFESA – op. cit., pagg. 53-57.
[5] MINISTERO DELLA DIFESA – op. cit., pagg. 58-60.
[6] Vedi appendice – Allegato n. 32
[7] Vedi appendice – Allegato n. 33
[8] Vedi appendice – Allegato n. 34.
[9] MINISTRO DELLA DIFESA – op. cit., pag. 68.
[10] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 5-7
[11] Vedi appendice – Allegato n. 15.
[12] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 5-7
[13] Vedi appendice – Allegato n. 30.
[14] Vedi appendice – Allegato n. 35.
[15] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 69-70.
[16] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 77.
[17] ANTONIO RICCHEZZA – Qui si parla di voi, pag. 124.
[18] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 79.
[19]
[20] Vedi Appendice – Allegato n.36
[21] Vedi Appendice – Allegato n.37
[22] Vedi Appendice – Allegato n.38
[23] ANTONIO RICCHEZZA – Qui si parla di voi, pag. 106.
[24] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pag.133.
[25] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg.67-68.
[26] GABRIO LOMBARDI, Il corpo italiano di liberazione, pag.21.
[27] ANTONIO RICCHEZZA, L’Esercito del Sud, pag.68.
[28] ANOTNIO RICCHEZZA, L’Esercito del Sud, pag.79.
FACOLTÀ DI MAGISTERO CORSO DI LAUREA IN SOCIOLOGIA
Tesi di laurea
MONTELUNGO 1943
UNA PAGINA DI CRONACA NELLA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE
Laureando STELIO TOFONE Matr. 011380 RELATORE Chiar. Prof. ENZO SANTARELLI
Anno accademico 1975-1976
CAPITOLO IV
PREPARATIVI E DINAMICA DEL FATTO D’ARMI
Dalla Puglia alla Campania:”O Roma o morte”
In quei giorni del 1943, gli Alleati Anglo-Americani non potevano neppure lontanamente immaginare quale fosse la condizione dell’Italia in guerra: per loro, il subitaneo crollo del Paese e le ripetute sconfitte rappresentavano un mistero. Da qui una sempre più spiccata diffidenza, espressa da parte loro senza troppa finzione.
Perplessità che non venne certo meno allorché essi videro pochi italiani affrontare con risolutezza del contingenti germanici; anzi, gli sporadici episodi di valore e decisione che ebbero luogo, non fecero che radicarli paradossalmente nella convinzione di frenare ogni “velleità”, e qualunque tentativo di rialzare la testa da parte degli uomini in grigioverde.
Il che risulta chiaro nel seguente commento:”quando i contingenti dell’8^ Armata inglese sbarcarono a Taranto e poi in altri porti pugliesi, reparti italiani si battevano animosamente contro i paracadutisti tedeschi a Bari, a Santeramo in Colle, a Gioia del Colle e in altri siti, in modo da assicurare da ogni sorpresa tale delicata operazione. Essi, gli italiani, non desideravano che continuare questa ardita funzione di avanguardia, tanto più che potevano contare di essere energicamente sostenuti. E furono molto delusi quando ricevettero l’ordine brusco e perentorio di fermarsi e di lasciarsi sopravanzare. Ancor più delusi furono quando vennero spogliati, a discrezione dei singoli reparti inglesi, man mano che passavano, dei loro autocarri, dei loro quadrupedi e di quant’altro poteva servire loro per una rapida avanzata”. La delusione toccò poi il fondo dell’amarezza quando, deposte le armi, furono destinati a compiti di manovalanza [1].
La fine di giugno 1943 molte Scuole Allievi Ufficiali di Complemento furono trasferite, dalle loro sedi, in Puglia con compiti di protezione degli aeroporti e data l’impreparazione militare degli allievi come reparti antiparacadutisti.
La notizia dell’armistizio raggiunse questi reparti e provocò reazioni diverse. Alcuni furono contagiati dal fatidico grido “tutti a casa”, si sbandarono e persero la via del nord; altri restarono ai loro posti subendo gli attacchi ed i soprusi dei teschi.
L’unico reparto che reagì con le armi, alla notizia dell’armistizio, fu il LI° Battaglione A.U.C. dei bersaglieri che fin dal 9 settembre partecipò a numerose azioni contro i tedeschi, dalla difesa del porto di Bari alle azioni svolte fino al 26 dello stesso mese. A seguito di ciò il LI° Battaglione fu scelto per far parte del I° Raggruppamento Motorizzato.
Pertanto accanto agli operai e contadini, che rappresentavano il grosso dei due battaglioni del 67° fanteria Legnano, vengono a trovarsi anche gli intellettuali in quanto il LI° bersaglieri è costituito, per la quasi totalità, di laureati e studenti universitari.
Fin dai primi giorni il Comandante del Raggruppamento invita tutti i componenti il LI° Battaglione, compresi gli uomini dei servizi, ad esprimere eventuali dubbi sulla partecipazione alla guerra di librazione: in sostanza si volle dare a quei giovani la facoltà di una scelta con piena facoltà di andarsene in caso di risposta negativa. Si disse che quelli che accettavano di restare dovevano essere considerati “volontari” ma questa distinzione non fu mai successivamente data alle truppe regolari del Raggruppamento.
Durante il trasferimento verso la Campania fu proprio un reparto del LI° bersaglieri che su camion e autobus ripropose la scritta garibaldina “o Roma o morte”.
Quanto si giunse ad Avellino gli scontri con i giovani locali e le scritte sulla stampa che definiva tali soldati “una compagnia di ventura” e “mercenari al soldo della casa Savoia” provocò zuffe furibonde soprattutto da parte di coloro che volevano partecipare alla guerra i liberazione con spirito repubblicano e con la convinzione di operare per un ideale a cui credeva.
Logicamente questi fatti scossero il morale degli uomini, anche se non in modo determinante.
Oltre ciò, in quei giorni si verificò l’invio in congedo delle classi dal 1911 al 1912, fatto che produsse un grande scombussolamento nei reparti del Raggruppamento e che provocò inoltre il famoso promemoria n. 494 operativo del 19 novembre 1943 del generale Rossi, sottocapo di Stato Maggiore, al maresciallo Messe, capo di Stato Maggiore generale: “con tale invio in congedo si compromette, con una crisi di una gravità eccezionale, la efficienza bellica del Corpo di spedizione, che, alla vigilia di andare in linea, perde seicento uomini dei più esperti e provati. Occorre, quindi:
immediata sostituzione dei congedandi con altri delle classi più giovani.
Gli elementi da trattenere dovranno essere tutti volontari e scelti uno per uno[2]
In Puglia nel frattempo, si era costituito, con tutti i residui reparti dei Battaglioni Allievi Ufficiali, un Raggruppamento al quale era stato dato il nome di “Curtatone e Montanara”.
Da questo raggruppamento si attinse, in massima parte, per completare i vuoti del congelamento delle classi 1911 e 1912.
Vari furono i motivi che portarono gli Universitari del “Curtatone e Montanare” ad arruolarsi volontari; si ebbero casi di persone che con questo gesto vollero abbreviare il tempo di separazione delle famiglie lontane – ci si illudeva ancora che le colonne motorizzate Alleate potessero raggiungere Roma in pochi giorni – molti credevano fermamente che quello era l’unico modo per riscattare la cocente umiliazione dell’armistizio e per combattere il nemico di sempre.
Non credo che molti avessero, in quel periodo, una coscienza politica tale e soprattutto una specifica preparazione politica da mettere al servizio dei molti indecisi.
Sicuramente molti di noi, volontari universitari, eravamo consapevoli di quanto stavamo facendo e per molti di noi erano chiari i futuri risvolti politici che la nazione avrebbe senz1altro avuto con la nostra modesta opera.
Non tutti, anche se poi portammo sulle nostre giubbe, come distintivo del Raggruppamento, il simbolo di casa Savoia, eravamo di fede monarchica ed anche se non avevamo chiare idee politiche eravamo decisamente portati ad una forme repubblicana di governo.
Partimmo dalla Puglia con certezza che tanti altri seguissero il nostro esempio e che partecipassero fattivamente a quella guerra di liberazione che doveva veramente darci, od almeno credevamo, una nuova Italia.
prima giornata: lo scacco dei piani iniziali.
La scarsa visibilità dovuta alla nebbia imprevista, il peso della difesa avversaria risultò di gran lunga superiore ai dati forniti dal servizio di informazioni, il mancato intervento di azioni concomitanti, l’impossibilità infine del promesso concorso dell’aviazione a causa delle avverse condizioni atmosferiche: sono tutti fattori che il nemico sfrutta, sicchè i nostri, infiltratisi nel suo dispositivo, vengono fatti segno a fuoco concentrato di armi automatiche ed artiglierie. La nebbia si dirada ed il monte non si presta ad appigli; i tedeschi tentano l’accerchiamento ed i nostri sono costretti a ripiegare sulle basi di partenza.
Il 10 dicembre il generale Dapino scriveva al generale Keyes, comandante del II° Corpo d’Armata della V^ Armata Americana, alle cui dipendenza operava il I° Raggruppamento Motorizzato: “nell’azione dell’8 dicembre il I° Raggruppamento Motorizzato italiano, dalle 6,20 alle 9,20, nel tentativo di conquistare Montelungo, ha perso il 30% della fanteria combattente – 500 perdite su circa 1600 fanti combattenti[3].
La fanteria, partita per l’attacco con slancio, confidente nell’opinione di trovarsi dinanzi ad un solo “velo di fuoco”, si trovò di fronte ad una organizzazione di fuoco lasciata intatta dalle artiglierie”.
Perché alle truppe italiane badogliane, impegnate nelle prima azione bellica contro i tedeschi, mancò il necessario appoggio delle artiglierie americane? E perché l’offensiva di Montelungo, affidata nella sua azione centrale ai fanti italiani – come primo colludo del nuovo impegno bellico dell’Italia postfascista – si trasformò in una tragica carneficina di giovani vite umane?
Scarsa organizzazione, errori tattici, mancanza di collaborazione: queste le motivazioni della tragica strage.
Sono le estreme conseguenze di un insieme di problemi che fanno capo ad una delle questioni più intrigate, scaturite dopo la nascita del cosiddetto “Regno del Sud”: la questione della cobelligeranza.
Verso un recupero: difesa e lotta sul terreno
il fallimento della prima azione su Montelungo deve essere attribuito al fatto che due delle premesse fondamentali per il successo delle truppe italiane – un eminente grado di efficacia del tiro di preparazione d’artiglieria e la sicurezza e l’appoggio sul fianco sinistro per parte delle truppe americane – sono venute a mancare.
Anche sulla destra – dove si sperava che l’azione vigorosa del 143° reggimento fanteria americano, appoggiato dal fuoco della 36^ divisione Texas, potesse riuscire ad alleggerire almeno la pressione tedesca sul fronte del Raggruppamento – non si era riusciti a conquistare gli obiettivi assegnati. Veniva così a cadere un’altra delle premesse per il successo delle truppe del Raggruppamento ossia che le truppe americane avrebbero potuto minacciare da oriente le posizioni di Montelungo, sia di fianco che su rovescio.
Nel frattempo il nemico contrattacca e preme in direzione di quota 253, favorito anche dal tempo, che frattanto si è fatto abbastanza sereno, sferra, con artiglierie, mortai e armi automatiche, un violento tiro di repressione sia sull’anzidetta quota 253, sia sulle posizioni di Ponte Primo Peccia.
Le fanterie del Raggruppamento, ritornate sulle basi di partenza, vi si disposero a difesa mantenendone, per tutto il resto della giornata, le posizioni, mentre la nostra artiglieria, in cooperazione con quella americana, continuò ad eseguire concentramenti di fuoco su quota 343, sulla quota “senza numero” a sud-est di quota 343 e sulla ferrovia [4].
Il comandante del Raggruppamento, l’indomani dell’azione, diede disposizioni per la sistemazione a difesa delle posizioni sulla linea: impluvio a sud di Ponte Primo Peccia – Ponte Primo Peccia quota 253 – quota 193- ansa della strada statale n.6. Su tali posizioni doveva essere fatta una difesa ad oltranza. La ferrovia e la strada nazionale n.6 dovevano essere sbarrate ed eventuali attacchi avversari dovevano essere contenuti con azione di arresto effettuato con le armi della fanteria e con l’artiglieria, e respinti con azione di contrassalto o di contrattacco. L’artiglieria americana avrebbe concorso allo sbarramento ed eventualmente anche alla repressione.
Per la difesa del settore erano assegnate le stesse truppe che avevano costituito la colonna d’attacco, e cioè: 67° fanteria, LI° battaglione bersaglieri, V° battaglione controcarri, due plotoni artiglieri e due sezioni da 20 contraerei. Non si ritiene opportuno prospettare di ritirare gli uomini dalla prima linea per dar loro modo di ricostituirsi e questo per non dare un’impressione sfavorevole del Raggruppamento e soprattutto perché il II° Corpo Americano progettava già un’imminente ripresa offensiva; una richiesta in questo senso avrebbe potuto destare negli alleati una impressione negativa.
Il comandante del Raggruppamento fece presente alle nostre maggiori autorità la necessità che la fanteria del Raggruppamento venisse rinforzata “con truppe fresche, scelte, bene inquadrate e non provate”; le quali potessero “costituire il primo scaglione del futuro attacco”. . Occorre – soggiungeva nella su relazione il comandante del Raggruppamento – che sia inviato al più presto un intero battaglione organico, urge poi l’invio di un reparto, anche piccolo, di arditi i quali, con azioni di pattuglia, precedendo come nuclei di combattimento le compagnie avanzate, possano rincuorare e ridare confidenza e fiducia alla fanteria attualmente abbattuta” [5].
Era urgente che il Raggruppamento venisse “rinforzato al più presto con un intero battaglione organico di fanteria ed una compagnia organica di bersaglieri”; mentre i due attuali battaglioni del 67° fanteria avrebbero potuto “contrarsi in uno solo”.
Insistendo perché gli elementi richiesti fossero sceltissimi, suggeriva di attingerli o dalla divisione “Nembo”, o dal reparto arditi della Sardegna, o anche dai volontari. Nello stesso tempo informava le autorità americane degli inconvenienti verificatisi nell’azione dell’8 dicembre e fece presente che sarebbe stato opportuno “concedere il tempo di riorganizzare le truppe di fanteria del Raggruppamento così duramente provate”, avvertendo di aver già richiesto alle superiori autorità italiane l’invio di un nuovo battaglione di fanteria [6].
Il sostegno alleato e la controffensiva italiana.
Il giorno 13 dicembre il comando della 36^ divisione Texas emanò l’ordine d’operazione relativo alla ripresa offensiva [7](7); e successivamente pervennero al Raggruppamento italiano gli ordini di operazione del 141° e del 142° reggimento fanteria americani interessati nella ripresa offensiva. La 36^ divisione, rinforzata da vari elementi, avrebbe attaccato nei giorni 15 e 16 dicembre per conquistare Montelungo, San Pietro, San Vittore e le alture a nord e a nord-est di san Vittore. In relazione a ciò veniva disposto che:
sulla “destra”, il 141° reggimento fanteria americano con non meno di un battaglione avrebbe attaccato il 15 dicembre per occupare San Pietro, mantenendosi in contatto sulla destra col 143° reggimento americano, che nella stessa giornata del 15 avrebbe continuato il movimento offensivo per occupare le alture a nord e ad est di San Vittore;
sulla “sinistra”, il 142° reggimento fanteria americano, con parecchi elementi di rinforzo, muovendosi dalle posizioni di Monte Maggiore avrebbe, nella notte dal 15 al 16 dicembre, attaccato da ovest Montelungo per occupare le ultime alture a nord-ovest di quota 343, mantenendosi in contatto sulla destra col Raggruppamento italiano;
al “centro”, il Raggruppamento motorizzato italiano avrebbe, il mattino del 16 dicembre a giorno fatto, attaccato Montelungo per conquistarne la quota 343 e rastrellarne le pendici mantenendo sulla destra il contatto col 141° fanteria americano;
nelle prime ore pomeridiane del 15 un battaglione chimico avrebbe provveduto ad annebbiare le pendici nord-est di Montelungo da quota 343 in su.
Questa volta l’azione affidata al Raggruppamento appariva, rispetto a quella dell’8 dicembre, inquadrata meglio e più razionalmente. In più due notevoli vantaggi erano a favore del Raggruppamento:
le truppe italiane avevano avuto tempo e modo di orientarsi sul terreno, sul nemico ed avevano potuto rinfrancare il proprio spirito combattivo nei riguardi dei Tedeschi;
le azioni sui fianchi avrebbero dovuto essere intraprese dagli Americani un giorno prima e quindi si poteva controllarne i risultati prima di muoversi. Inoltre Montelungo sarebbe stato, per effetto dell’attacco del 142° fanteria americano, preso di rovescio e a cominciare dalla sua quota più alta.
In tal modo le proporzioni tra compito e forze, per il Raggruppamento, si potevano dire ben rispettate, e lo sforzo richiesto commisurato allo scopo da raggiungere. A seguito delle disposizioni della 36^ divisione Texas il comandante del Raggruppamento emanò il suo ordine di operazione ove accennava al compito affidato al Raggruppamento “prendere e tenere quota 343 e rastrellare le pendici di Montelungo ad Est della ordinata 96” e precisava inoltre “Intendo – impadronirmi in un primo tempo, agendo per l’alto, della altura “senza indicazione di quota” a 300 metri a Nord-Ovest di quota 253 – attaccare, in secondo tempo, per le pendici Sud, quota 343”[8].
Come nell’azione dell’8 dicembre, anche questa volta ci sarebbe stata un’unica colonna d’attacco così costituita:
il II° battaglione del 67° fanteria “Legnano”;
il LI° battaglione Allievi Ufficiali bersaglieri;
il V° battaglione controcarri;
le due sezioni mitragliere da 20 contraeree;
i due plotoni artiglieri.
L’attacco sarebbe stato preceduto da una preparazione d’artiglieria della durata di trenta minuti. Al mattino del 16, poco dopo le ore 7.30, giunge notizia che truppe americane hanno occupato quota 141 e quota 351 di Montalungo. Alle 9.15 la colonna d’attacco italiana si muove dalle basi di partenza ed inizia l’attacco che si protrae fino ad oltre le ore 13 quando le truppe italiane occupano la quota 343.
Si effettuano i collegamenti sia sulla sinistra che sulla destra, che sulla quota 351 con le truppe americane ed a sera tutto Montelungo è saldamente presidiato da truppe italiane e americane. Appena conquistato Montelungo, il comando del Raggruppamento diede disposizioni per l’organizzazione a difesa del monte; “la linea di sicurezza” fu portata alla strada nazionale n°6; “la linea di resistenza” fu mantenuta sulla linea di cresta. La quota 343 venne considerata cardine della difesa [9].
Riconoscimenti internazionali e echi nazionali
Il generale Dapino, dopo la battaglia disse: “Il compito affidatoci era molto superiore alle nostre modeste possibilità, i mezzi assolutamente insufficienti ed inferiori a quelli dell’avversario, le stesse informazioni sulla ubicazione ed efficienza delle posizioni nemiche non rispondenti a verità. Ma tutto ciò aveva un valore secondario. Si trattava di dimostrare al Mondo che i soldati italiani volevano battersi per liberare dal gioco straniero i fratelli del Nord. E per questo accettammo l’impari lotta”[10].
Il 17 dicembre 1943, a conclusione della vittoriosa battaglia per la conquista di Montelungo, il generale Clark, comandante la V^ Armata Americana alle cui dipendenze operava il I° Raggruppamento Motorizzato, inviava il seguente messaggio ai soldati italiani: “Desidero congratularmi cogli ufficiali e i soldati del vostro comando per il successo riportato nel loro attacco di ieri su Montelungo e quota 343. Questa azione dimostra la determinazione dei soldati italiani a liberare il loro paese dalla dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli oppressi d’Europa”[11].
Queste parole rappresentavano il più ambito premio alla nostra fede ed alla nostra volontà e sanzionano l’atto di nascita del nuovo risorgimento italiano. Il discorso iniziato dai caduti di Montelungo non poteva esaurirsi in una semplice azione di guerra, doveva proseguire, svilupparsi, andare avanti.
Dal nucleo veterani di Montelungo nacque il Corpo Italiano di Liberazione che fu in linea ininterrottamente dal febbraio al settembre 1944 e “lacero e scanzonato”, si battè a fianco dei Francesi, degli Inglesi e dei Polacchi con una tenacia e con un valore che furono obiettivamente riconosciuti. Da questo riconoscimento, cioè dalla certezza che dare le armi e l’equipaggiamento Alleati ai soldati italiani valeva la spesa, scaturì la decisione di formare i sei Gruppi di combattimento che al Po di Primaro, sul Senio e sull’Idice si prodigarono generosamente per la vittoria finale [12].
Kesserling nelle sue memorie ricorda il fatto di Montelungo così: “Fino al 10 settembre avevo già fissato sulla carta l’andamento delle linee di resistenza per il caso di una eventuale ritirata delle forze tedesche dall’Italia meridionale. Si sarebbe potuto costituire posizioni difensive a Sud di Roma, forse su di una linea che avesse al centro il monte di Mignano (denominata in seguito linea Reinhardt) o sulla linea Garigliano-Cassino (denominata in seguito linea Gustav). Disposi che la “linea Reinhardt” venisse posta per il 1° novembre in stato di difesa…..Avevo piena fiducia in quella linea, che la configurazione del terreno rendeva assai forte e speravo di poterla mantenere a lungo, forse fino al nuovo anno, per avere tempo di fortificare la “linea Gustav” in modo tale da renderla quasi inespugnabile per le forze Anglo-Americane, Riponevo molte speranze nella “linea Reinhardt” la quale però poteva essere mantenuta solo a condizione di tenere il passo di Mignano; questo era imprendibile fino a quando noi avessimo tenuto l’altura di quota 1170. In seguito all’improvviso cedimento della divisione granatieri corazzati che combatteva in quel settore, il nemico riuscì ad impadronirsi di sorpresa del massiccio montuoso di cui non fu più possibile riprendere possesso. Alla fine del 1943, dopo lotte particolarmente violente svoltesi dal 6 al 18 dicembre, la calma potè tornare finalmente su quel difficile settore del fronte”.
Il colonnello Ernest Georg von Heiking che quell’8 dicembre comandava, con il grado di capitano, il battaglione tedesco della 29^ divisione corazzata granatieri, a difesa della posizione “Montelungo”, sulla “linea Reinhardt” così racconta: “Li vedevamo cadere come birilli e ci fu un momento di scompiglio, come una sosta, fra i soldati attaccanti. Sembravano privi di comando. Capimmo che non si doveva trattare di soldati alleati. Gli alleati usavano una tecnica di attacco completamente diversa: non si esponevano così, allo scoperto. Osservando meglio ci accorgemmo che davanti a noi avevamo per la prima volta dei fanti italiani, i nostri ex alleati.
I miei soldati allora, che erano rimasti sorpresi dall’avanzata – e anche spaventati – ripresero coraggio e sferrarono a loro volta un violento contrattacco, azionando le mitragliatrici senza pietà…Io credo che la causa principale dell’insuccesso con cui si concluse l’impresa fosse soprattutto una mancanza di collaborazione tra la brigata italiana e gli Americani, che avevano il comando delle operazioni”[13].
Dopo la prima giornata di Montelungo il generale Walker, comandante la 36^ Divisione Texas, scrive al generale Dapino “…. ho udito da parecchie fonti del magnifico comportamento delle vostre truppe quando si sono lanciate all’attacco di Montelungo. Vi prego di estendere ai vostri ufficiali e soldati le mie congratulazioni per l’entusiasmo, lo spirito e il magnifico coraggio da essi dimostrato. Le nostre truppe trovarono difficile il loro primo incontro con il nemico. Le vostre hanno avuto una esperienza simile. Sono sicuro che le vostre truppe con una maggiore esperienza integreranno, con le nostre, il loro entusiasmo, onde portare a termine l’opera di distruzione del nostro comune avversario” [14].
Gli Americani, in altre parole, si rendono conto che quello subito dagli italiani è stato un vero colpo. Forse hanno chiesto troppo. Forse l’obiettivo non era così facile né modesto come essi ritenevano e loro stessi si dichiararono stupiti della resistenza avversaria davvero fuori delle previsioni.
L’11 dicembre 1943, sulle pagine del giornale “Bergamo Repubblicana” (Anno 25°, n° 39) si possono così leggere queste parole sotto il titolo L’ESORDIO DELLE TRUPPE BADOGLIANE SL FRONTE DELL’ITALIA MERIDIONALE: “Poiché alle divisioni Anglo-Americane che attaccano da settimane ad Ovest di Mignano non è riuscito di effettuare una rottura delle linee tedesche malgrado l’efficace appoggio dell’artiglieria e il forte impiego di formazioni di apparecchi, sono stati gettati, il 9 dicembre, per la prima volta nella lotta battaglioni delle truppe di Badoglio. Il reggimento attaccante è stato ricacciato con gravi perdite di sangue; dei 1500 soldati attaccanti ne sono stati contati 532, morti davanti alle postazioni tedesche. A una gran parte è riuscito però di arrendersi alle truppe germaniche, di mettersi in tal modo al sicuro e sfuggire alla violenza sanguinaria dei liberatori americani. Essi sono stati ricevuti e trattati bene dai soldati del Reich memori della provata fratellanza d’armi sui campi di battaglia d’Africa e di Russia. Gli Anglo-Americani che considerano gli Italiani come carne da cannone, hanno gettato nella lotta questi battaglioni senza una adeguata preparazione di artiglieria, là dove essi stessi non avevano potuto ottenere nessun risultato malgrado l’impiego di una inaudita massa di uomini e mezzi” [15].
Tra i commenti sprezzanti, uno dei più concisi, ma certamente dei più acidi, lo dobbiamo al francese CARPENTIER: “Il I° Motorizzato avrebbe fatto (stando alle parole del generale) un’apparizione tanto breve quanto scarsamente brillante”[16].
Successivamente i Francesi del C.E.F., con i quali collaborerà il I° Motorizzato, nel bollettino n° 76 del 22 febbraio 1944 riconosceranno l’ardimento dei reparti italiani sottolineando il fatto che le pattuglie del Raggruppamento si stanno rilevando “particolarmente audaci”[17].
Il giornalista americano Herbert Matthews, commentando l’eroismo dei combattenti italiani di Montelungo, scrisse in un articolo in prima pagina del “New York Times”: “Non potrei fare a meno di riandare con lo spirito alla carica della infiammata brigata di Balaclava, esempio classico anglosassone degli attacchi suicidi”.
All’indomani della battaglia i Tedeschi così si espressero: “… l’ardimento e l’eroismo del reparto italiano impegnato fu tale da meravigliare e sorprendere. I fanti si erano battuti da leoni. Quando, dopo le prime ore dell’8 dicembre, potemmo rastrellare il terreno, riconoscendo tra i caduti truppe italiane, comprendemmo”.
Si era riacceso l’entusiasmo e l’orgoglio dei nostri comandi per il fiero comportamento dei soldati di nuovo passati all’azione. Il Maresciallo Messe[18], Capo di Stato Maggiore Generale, additò alla riconoscenza nazionale i valorosi del Raggruppamento: “In una situazione particolarmente difficile e con duro obiettivo da raggiungere, avete saputo dimostrare ammirevole slancio, spirito di sacrificio. I comandi americani lo hanno cavallerescamente affermato, lo stesso nemico ha dovuto convenirne. In momenti difficilissimi per il nostro Paese avete confermato come gli Italiani si sappiano battere quando sono animati da un puro ideale. Avete tenuto alto il prestigio delle nostre armi, avete onorato l’esercito, le sue bandiere, la Patria. Il Paese è fiero di voi”. Il generale Dapino invece: “Voi ben conoscevate l’importanza della prova alla quale eravate sottoposti. Voi sapevate che gli occhi dell’Italia e del Mondo intero erano fissi su di voi per vedere se, dopo tutte le dolorose vicende che hanno colpito il nostro paese, gli Italiani sapessero ancora combattere; sentivate che a voi era affidato il destino della Patria. Consci della gravità dell’ora e della vostra responsabilità, voi avete dimostrato col vostro comportamento, che l’Italia è degna di sopravvivere, perché ha ancora figli che credono nel suo avvenire e sono pronti a morire per esso”[19].
La crisi delle Unita’ combattenti
Il 1° Raggruppamento Motorizzato era figlio della crisi, una crisi che non solo era affatto diminuita ma che sembrava essersi appiccicata addosso agli uomini che lo componevano.
Lo stesso generale Dapino si era accorto che qualcosa non andava per il giusto verso; la campagna antimonarchica sembrava appuntarsi in particolar modo contro il piccolo scudetto che portavano i soldati del Raggruppamento apostrofati di frequente con il termine – che per alcuni suonava come dispregiativo – di “Badogliani” o “Raggruppamento Savoia”.
Si cominciava a parlare, anche tra i militari, dei partiti politici e della propaganda politica che si stava facendo nelle zone dell’Italia liberata. Uno dei discorsi ricorrenti, tra i soldati del Raggruppamento, era quello che si poteva tranquillamente assentarsi dai reparti per presentarsi ai distretti militari del sud ove veniva concessa la licenza illimitata. Non c’era nessuna legge che obbligava il cittadino italiano a riprendere le armi ed a continuare la lotta dopo l’armistizio.
Il morale della truppa era ridotto a zero: imperava l’abulia e la anomia, occorreva rimettere in moto la macchina bellica momentaneamente ferma; manchiamo di tutto per gli alleati: uomini, mezzi, addestramento. L’immobilismo del fronte, il continuo passare di immense formazioni di quadrimotori diretti a portare distruzioni e morte al Nord, la mancanza assoluta di notizie dalla casa e soprattutto l’impotenza a poter modificare quello stato di cose, avevano trasformato, anche gli idealisti più puri che erano accorsi a combattere con il sacro entusiasmo, in esser senza volontà [20] [21].
A comandare il Raggruppamento fu posto il generale Utili in sostituzione del generale Dapino. Utili era un uomo che aveva combattuto, per tutta la sua vita, contro l’apatia e la “routine” e si dimostrò la sola persona adatta a concretizzare quella frase che avrebbe reso famoso sia tra gli Italiani che gli Alleati [22].
“.... ragazzi in piedi... perché questa e’ l’aurora di un giorno migliore....” [23].
Il generale Utili era destinato ad imprimere una profonda svolta al corso degli eventi e soprattutto a dare alla partecipazione Italiana alla lotta dal Sud, un nuovo, più pregnante, significato.
Utili conosceva bene il problema, quella complessa persona che si chiama soldato italiano e sapeva quali corde toccare per ottenere da lui il massimo, per far si che egli desse il meglio di sé.
E tutto ciò in un clima che certamente era sfavorevole ad una opera di risanamento morale sui pochi combattenti del Raggruppamento; infatti sul giornale “Italia Libera” del 15 febbraio 1944, edizione straordinaria recante la critica al proclama Badoglio per il ritorno al Governo italiano delle province liberate, gli italiani, che si ostinavano a combattere contro ogni sorta di avversità, sono definiti:
“... tipici esponenti del fascismo; del fascismo la cui mentalità e i cui sistemi fioriscono, protetti ed incoraggiati, all’ombra dello scudo sabaudo sostituito al fascio littorio....” [24].
Molteplici furono quelli che compresero i vari perché che portarono alla crisi delle truppe del Raggruppamento ed e’ interessante vedere tra i tanti quanto da me sotto riportato.
“Riesaminando oggi, nei particolari, le vicende del giorno 8 “dicembre” scrive il Medeghini, “si deve concludere che vi fu da parte di chi ordinò l’azione una lieve leggerezza. Perché le truppe italiane furono spinte a incunearsi nel dispositivo nemico ancora saldamente tenuto senza che al loro fianchi si fossero svolte o almeno si stessero svolgendo quelle azioni offensive che erano state preannunciate e che sole avrebbero potuto giustificare una fondata speranza di successo, su un obiettivo particolarmente difficile quale quello di Montelungo”. [25]
Senz’altro quell’attacco era stato preparato e condotto con una tecnica da “passeggiata da effettuarsi lungo la linea di massima pendenza”. E non si era tenuto conto degli eventuali imprevisti, anche di carattere meteorologico che avrebbero potuto verificarsi durante lo svolgimento dell’azione”.
Come disse un altro teste di allora, Gabrio Lombardi, “il comando italiano. Sedotto dalla portata spirituale di un possibile successo, non valutò forse tutte le difficoltà....” [26].
Il generale Utili invece così disse: “.... gli italiani si batterono a Montelungo con uno slancio che fece a tutti grande impressione; si batterono per la verità, in funzione di cavie; ossia soli e non sostenuti, lungo una spina di pesce che si allungava verso il centro dell’arena, e sotto gli sguardi di gente che dall’anfiteatro circostante li osservava curiosamente colle armi al piede. Si capisce che, se fu un onore, non fu un successo.
Non era colpa loro. D’altronde non e’ qui il caso di indagare come, a provocare il risultato, gli errori politici si siano intrecciati cogli errori tecnici....[27].
Dopo i fatti d’arme di Montelungo dell’8 e 16 dicembre era evidente che impiegare subito e nuovamente, in un’operazione bellica, il Raggruppamento sarebbe equivalso ad un suicidio.
Il risultato finale, dopo quella prova era stato di aver portato il Raggruppamento allo stremo: 79 morti, 190 feriti, 159 dispersi. E ci sarebbe voluto – come dira’ in seguito il generale Utili – un altro “sforzo febbrile e disperato per ricostruire cio’ che era stato sciupato, coll’indifferenza che il bambino potrebbe avere per il giocattolo; ricostruirlo, con piu’ grosse difficolta’ di prima sia materiali sia spirituali”. [28]
[1] ENEA CASTELLI – Profilo storico del LI° Battaglione A.U.C. 1943 nella guerra di liberazione. U. Manfredi Editore, Palermo, 1971, pag. 17.
[2] ANTONIO RICCHEZZE – qui si parla di voi – pagg. 39-40.
[3] Vedi Appendice – Allegato n. 32.
[4] MINISTERO DELLA DIFESA – op. cit., pagg. 53-57.
[5] MINISTERO DELLA DIFESA – op. cit., pagg. 58-60.
[6] Vedi appendice – Allegato n. 32
[7] Vedi appendice – Allegato n. 33
[8] Vedi appendice – Allegato n. 34.
[9] MINISTRO DELLA DIFESA – op. cit., pag. 68.
[10] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 5-7
[11] Vedi appendice – Allegato n. 15.
[12] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 5-7
[13] Vedi appendice – Allegato n. 30.
[14] Vedi appendice – Allegato n. 35.
[15] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 69-70.
[16] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 77.
[17] ANTONIO RICCHEZZA – Qui si parla di voi, pag. 124.
[18] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg. 79.
[19]
[20] Vedi Appendice – Allegato n.36
[21] Vedi Appendice – Allegato n.37
[22] Vedi Appendice – Allegato n.38
[23] ANTONIO RICCHEZZA – Qui si parla di voi, pag. 106.
[24] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pag.133.
[25] ANTONIO RICCHEZZA – L’Esercito del Sud, pagg.67-68.
[26] GABRIO LOMBARDI, Il corpo italiano di liberazione, pag.21.
[27] ANTONIO RICCHEZZA, L’Esercito del Sud, pag.68.
[28] ANOTNIO RICCHEZZA, L’Esercito del Sud, pag.79.
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