giovedì 22 dicembre 2022
domenica 18 dicembre 2022
sabato 10 dicembre 2022
Le qualifiche della guerra partigiana
A partire dal 1945, a seguito del Decreto legislativo luogotenenziale del 21 agosto 1945, n.518, dal titolo Disposizioni concernenti il riconoscimento delle qualifiche dei partigiani e l'esame delle proposte di ricompense (d. lg. Lgt. 518/1945), furono istituite Commissioni regionali al fine di vagliare e definire la posizione dei partigiani. Le qualifiche individuate furono tre: partigiano, patriota e benemerito.
Si qualifica partigiano colui che è caduto o rimasto mutilato o invalido nella lotta di Liberazione; oppure per almeno tre mesi abbia militato in una formazione armata partigiana regolarmente inquadrata nelle forze riconosciute e dipendenti dal Corpo Volontari della Libertà; oppure per durata di servizio minore di tre mesi sia stato ferito in combattimento; oppure per almeno sei mesi abbia fatto parte di un Comando o di un servizio di Comando (informazioni, intendenza, ecc.) inquadrato nell'attività del Corpo Volontari della Libertà; oppure, in seguito a cattura da parte nazifascista per attività attinente al movimento militare, sia rimasto in carcere oltre tre mesi.
Si qualifica patriota colui che ha collaborato e contribuito attivamente alla lotta di Liberazione, sia militando nelle formazioni partigiane per un periodo minore di quello previsto, sia prestando costante e notevole aiuto alle formazioni partigiane.
Si qualifica benemerito colui che, pur non avendo i requisiti di patriota, ha svolto con proprio rischio rilevante attività nella lotta di Liberazione o collaborato con le bande attive.
Corre l'obbligo di sottolineare come i criteri basati su dati oggettivi quasi esclusivamente militari, adottati per il riconoscimento delle qualifiche partigiane, abbiano di fatto fortemente penalizzato le donne e in genere chi svolse un'attività soprattutto di supporto logistico, assistenziale, informativo, solo in parte recuperata dalla qualifica di benemerito
mercoledì 30 novembre 2022
Il Brevetto Alexander
Il Brevetto Alexander, noto anche come Certificato al Patriota, è un documento che venne conferito ai partigiani italiani dopo la Seconda Guerra Mondiale. È chiamato in questo modo dal nome del maresciallo Harold R. Alexander, comandante in capo delle Forze Alleate in Italia.
Venne conferito per la prima volta dallo stesso Alexander al partigiano Nello Iacchini, che il 26 agosto 1944 salvò la vita del maresciallo britannico e del primo ministro inglese Winston Churchill durante la visita di quest'ultimo in Italia.
Il 14 giugno 1945 il giornale L'Unità riportò la notizia della consegna del Certificato al Patriota da parte del generale Crittemberg, Comandante della IV Armata alleata, al generale Cadorna. Nell'articolo si legge che "nel certificato il generale Cadorna è chiamato Feld Maresciallo, in riconoscimento degli sforzi da lui compiuti per liberare l'Italia" e che "il certificato è identico a quello che viene dato a tutti i Partigiani al termine del loro servizio".
domenica 20 novembre 2022
giovedì 10 novembre 2022
Il III Fronte della Guerra di LIberazione: L'Internamento in Germania
La data del 27 gennaio 1945, giorno in cui l’Armata Rossa, penetrando in territorio della Ex Polonia liberò il campo di sterminio di Auschwitz e dei relativi sottocampi di Birkenau I e II, è stata assunta a simbolo dell’internamento in Germania. Quelle che erano voci in merito alla esistenza di campi di concentramento e di sterminio in Germania, via via stavano avendo conferma. La liberazione di questo campo pose davanti a tutto il mondo l’evidenza di quanto era stato proclamato dal Nazismo: gli avversari dovevano essere eliminati. E così fu. Nonostante tutta la propaganda, i nodi stavano vendendo al pettine. Chi era contro il nazismo non aveva diritto di sopravvivere. Pertanto questo sistema di stato, alimentato dalla ideologia nazista, aveva fin dalla sua presa di potere, aperto luoghi ove prima rinchiudere e poi eliminare i propri avversari. Tutti coloro che furono internati combatterono la loro battaglia disarmati, testimoniando l’assurdità di tale assunto e portando i nazisti a rispondere dei loro atti, atti che determinarono nel Diritto Internazionale e nel diritto delle genti il concetto di “crimine di guerra”, e di “crimine contro l’umanità, nel momento in cui si violano le leggi del diritto umanitario e le leggi dei diritti dell’uomo.
Tutti
gli internati in Germania combatterono la loro guerra per la liberazione da
questa ideologia, da questa continua violazione dei diritti dell’uomo, da
questa violenza perpetuata senza limiti e condizioni che si dimostrò il nazismo
nella sua totalità. Internati combattenti dietro il filo spinato, che
dimostrarono che l’uomo oltre certi limiti non può andare e deve sempre
rispettare le leggi della umana convivenza. Si crea, come ampiamente abbiamo
detto, il Terzo fronte della Guerra di Liberazione, in Italia, parte integrante
di quella lotta alla ideologia nazifascista, che tutta l’Europa libera combatte
nella seconda guerra mondiale. Non è, la liberazione di Auschwitz il 27 gennaio
1945 una data che si può relegare all’Olocausto, allo sterminio di un popolo,
quello ebreo, è anche questo nel
grande rispetto del popolo israelita e dei suoi enormi sacrifici che dovette
sopportare. E’ la lotta dell’uomo libero contro l’uomo-belva, che non rispetta
alcuna legge ed alcuna norma condivisa, ma solo quelle che lui ha deciso di
darsi e rispettare a tutto suo vantaggio.
lunedì 31 ottobre 2022
giovedì 20 ottobre 2022
Lo sbarco a Salerno V Parte
alle ore 9
del 16 settembre l’ultima offensiva tedesca investì la testa di ponte. Sarebbe
dovuto iniziare alle ore 6 ma furiosi bombardamenti navali e azioni di aerei a
volo radente avevano immobilizzato i tedeschi nelle loro posizioni. Da Cava dei
Tirreni tentò di avanzare la colonna della divisione “Goering”, al comando del
colonnello Schmalz, ma fu arrestata dal fuoco di artiglieria campale, di
incrociatori e cacciatorpediniere. Le navi erano il terrore dei tedeschi, i
quali concentrarono disperatamente contro di esse ciò che di meglio avevano a
disposizione in fatto di nuovo munizionamento (bombe radioguidate). A
mezzogiorno il comandante dell’armata tedesca, il generale von Vietingof, ebbe
la convinzione che la partita era ormai perduta. Col fuoco dei loro cannoni ed
i loro aerei gli anglo-americani avevano acquisito l’assoluto dominio. I
tedeschi erano paralizzati ed impotenti. Ormai venivano a mancare le condizioni
sulle quali Kesselring aveva contato per risolvere a suo favore la situazione:
battere la 5ª armata prima che sopraggiungesse l’8ª di Montgomery. Alle ore 14,
le prime pattuglie dell’armata del generale britannico presero contatto, a 25
chilometri a sud di Agropoli, con pattuglie americane che erano andate loro
incontro. Kesselring ordinò la ritirata, la battaglia per Salerno era vinta
dagli Alleati.
lunedì 10 ottobre 2022
Lo sbarco a Salerno IV parte
Pur
spingendosi nell’entroterra per circa 3 chilometri con la loro avanguardia, gli
inglesi subirono molte perdite e non riuscirono ad assicurarsi gli importanti
obiettivi fissati per il D-Day: il porto di Salerno, il campo di aviazione di
Montecorvino e i nodi stradali di Battipaglia ed Eboli. Inoltre, alla fine
della giornata, c’era ancora un varco di oltre 11 chilometri tra il fianco
destro inglese a nord del fiume Sele ed il fianco sinistro americano a sud del
fiume. Gli sbarchi americani ebbero luogo su quattro spiagge vicino ai famosi
templi greci di Paestum. Fu una prova durissima per le truppe della 36ª
divisione, per le quali si trattava del battesimo del fuoco: già sottoposte,
mentre si avvicinavano alla costa, al massiccio fuoco dei difensori senza avere
alcun appoggio dalle proprie unità, dopo lo sbarco dovettero attraversare
un’altra fitta cortina di fuoco e subire infine il martellamento di tutta una
serie di attacchi aerei tedeschi. Per fortuna, quando ormai la situazione stava
facendosi critica, in appoggio alla forza da sbarco intervennero i cannoni
delle unità navali. Prezioso si dimostrò, in particolare, l’appoggio fornito,
sia qui sia nel settore inglese, dai cacciatorpediniere che avventurandosi
attraverso i campi minati per portarsi sottocosta, contribuirono in maniera
rilevante a neutralizzare i contrattacchi di piccoli gruppi di carri armati
tedeschi che, per gli invasori, rappresentavano la minaccia più grave. Le
truppe furono costrette a scavare in tutta fretta buche nella sabbia, nelle
quali ripararsi per cercare di sottrarsi al fuoco intenso, carri armati
tedeschi si avvicinarono in alcuni punti fino a 200 metri dalla spiaggia,
sparando sui mezzi da sbarco che stavano accostandosi. Nel settore inglese i
combattimenti furono fin dall’inizio anche più duri che in quello americano; i
battaglioni Hampshire, che erano sbarcati sulla spiaggia sbagliata, dovettero
spostarsi di quasi due chilometri verso nord, in un terreno in cui si
rivelavano mitragliatrici, cannoni, carri armati, contro i quali non
disponevano ancora di armi adeguate. Sulla spiaggia la confusione era al colmo:
genieri stendevano reti metalliche per agevolare il transito degli automezzi
sulla sabbia, altri cercavano le mine, dovunque vi erano cataste di materiali e
uomini ammassati. Non si può asserire che tutto andasse per il meglio; fra il
materiale giunto sulla spiaggia c’era anche un pianoforte; automezzi e carri
armati sbarcavano con appese intorno ceste di galline e in una gabbia vi era un
grosso maiale allevato per una mensa ufficiali. I palloni da sbarramento,
innalzati poco dopo i primi sbarchi, avevano già disturbato gli aerei tedeschi
nelle loro incursioni lungo le spiagge; dopo l’alba questi si limitarono a
fugaci apparizioni perché gli aerei imbarcati sulle portaerei avevano
provveduto a mettere in atto “l’ombrello aereo”. Per quanto in quella prima
giornata fossero stati raggiunti gli obiettivi indicati dal “piano”, e
l’avanzata, specialmente sulla fronte del X corpo britannico, fosse stata
limitata a una profondità di pochi chilometri, regnava nei Comandi alleati un
certo ottimismo. La più grave preoccupazione era causata da quel vuoto di 11
chilometri fra i due corpi d’armata, che nessuno di essi era in grado di
riempire, impegnati come erano sulla propria fronte. Se avessero avuto appena
cognizione di ciò che Kesselring stava preparando, l’ottimismo sarebbe stato
alquanto attenuato. Mentre la divisione “Goering” stava già entrando in azione
contro le punte dei Rangers e dei commandos sui monti alla base della penisola
di Sorrento, affluivano verso il campo di battaglia la 29ª divisione dalla
Calabria, la 15ª dalla zona di Gaeta e successivamente la 3ª corazzata.
L’ordine di Hitler era di “spazzare” gli anglo-americani dalla spiaggia di
Salerno, ma la richiesta di Kesselring di ricevere rinforzi dal Gruppo Rommel,
che era nell’Italia settentrionale, impegnato a catturare ed inviare in
Germania le truppe italiane, non fu accolta. Hitler antepose “la punizione”
dell’esercito ex alleato alla vittoria a Salerno, che forse Kesselring avrebbe
potuto ottenere se il 13 e 14 settembre avesse avuto altre due divisioni a sua
disposizione. Il secondo giorno, 10 settembre, la situazione si fece assai più
calma nel settore americano in quanto la 16ª divisione corazzata aveva trasferito
quasi tutte le sue poche forze verso il settore inglese, più a nord (proprio da
qui infatti veniva la più grave minaccia strategica per il settore di Salerno).
Gli americani approfittarono del momento di pausa per allargare la loro testa
di ponte e per sbarcare il grosso della 45ª divisione, la loro riserva
“galleggiante”.
Intanto la
56ª divisione inglese aveva occupato nella prima mattinata il campo di
aviazione di Montecorvino e il centro di Battipaglia, da dove però dovette poi
ritirarsi sotto l’incalzare di un energico contrattacco portato da due
battaglioni di fanteria motorizzata tedeschi affiancati da alcuni carri armati,
la cui apparizione provocò fenomeni di vero e proprio panico. I servizi segreti
alleati avevano avuto notizia che l’aviazione tedesca possedeva un’arma nuova e
micidiale: una bomba volante, guidata con onde radio e ne avevano informato le
navi. Una fonte anonima aveva avuto l’idea che gli impulsi radio avrebbero
potuto essere disturbati facendo funzionare rasoi elettrici, quando vi fosse
stato motivo di sospettare che un aereo stava lanciando uno di quei ordigni.
Non si sa se per effetto dei rasoi elettrici ma più probabilmente a causa di
errori commessi da chi doveva “guidare” la bomba, la prima che fu lanciata,
alle ore 19.30 del 10, andò a finire in acqua e non fece alcun danno.
L’indomani mattina l’esito fu alquanto diverso: l’incrociatore “Savannah” fu
colpito in pieno su una torretta. La bomba esplose nell’interno della nave,
uccidendo un centinaio di uomini, aprì un largo foro sul fondo e sconquassò le
giunture, facendo imbarcare tanta acqua che l’incrociatore si inclinò di prua.
Le squadre di riparazione riuscirono però a turare le falle e l’imbarcazione
poté essere rimorchiata a Malta. Il giorno precedente, con la stessa arma, essi
avevano assestato un bel colpo alla flotta principale degli ex alleati
italiani, quando questa era appena salpata da La Spezia per raggiungere le
marine da guerra alleate, affondando la nave ammiraglia, la Roma.
La notte
del 10 la 56a divisione sferrò un attacco con 3 brigate per impadronirsi del
massiccio dominante di monte Eboli, ma realizzò solo esigui progressi (tra i
quali il rientro a Battipaglia). La 46a divisione occupò Salerno, ma non fu
possibile usufruire del porto per parecchi giorni perché l’artiglieria e i
mitraglieri tedeschi lo tenevano sotto il loro fuoco; riuscì invece ad inviare
una sua brigata a rilevare i commandos, ma non sviluppò una tempestiva azione
verso nord. Commandos e rangers stavano intanto sostenendo una dura lotta sui
monti, contro una parte della divisione “Goering”, riuscendo a conservare più o
meno le posizioni raggiunte, sebbene a costo di forti perdite. Nel settore
americano, la 45ª divisione, fresca di sbarco, risalì per circa 15 chilometri
lungo la sponda orientale del Sele, passando per Persano e arrivando fin quasi
al centro stradale di Ponte Sele: l’apice della linea che, secondo i piani, la
testa di sbarco avrebbe dovuto raggiungere. Ma a questo punto un battaglione di
fanteria motorizzata tedesco e 8 carri armati, riportati al di là del fiume dal
settore inglese, sferrarono un contrattacco che costrinse gli americani
dapprima a fermarsi e poi a ripiegare. Pertanto alla fine del terzo giorno le
quattro divisioni e le unità supplementari, equivalenti ad una quinta
divisione, sbarcate nel golfo di Salerno erano ancora confinate in due teste di
sbarco poco profonde e separate, mentre i tedeschi avevano in mano sia le
alture circostanti sia le vie d’accesso alla fascia costiera pianeggiante. Le speranze di raggiungere
Napoli entro il terzo giorno erano svanite. La 16ª divisione corazzata, la cui
forza in unità da combattimento era appena la metà di quella di una divisione
alleata, era riuscita ad arginare l’invasione e a guadagnare tempo in vista
dell’arrivo di consistenti rinforzi tedeschi. I primi ad arrivare furono la 29ª
Panzer Grenadier che stava già rientrando dalla Calabria, e un gruppo da
combattimento (consistente in 2 battaglioni di fanteria e in circa 20 carri
armati) che la rabberciata divisione Hërmann Goering era riuscita a mettere
insieme. Questo gruppo da combattimento, proveniente dal settore di Napoli,
contrattaccò e sfondò la linea inglese al di là del Passo di La Molina,
spingendosi fin nei pressi di Vietri prima di essere fermato, il 13 settembre,
dal rientro in scena dei commandos. Il Passo, comunque, era tornato saldamente
in mano tedesca. Ormai era anche troppo chiaro che il X corpo inglese era
virtualmente bloccato nella strettissima fascia costiera nei pressi di Salerno,
con i tedeschi appostati al sicuro sulle alture circostanti. Nel frattempo
l’iniziale fiducia del generale Clark veniva scossa da colpi ancora più duri
nel settore meridionale, dove la 21ª divisione Panzer Grenadier, affiancata da
una parte della 16ª corazzata aveva attaccato con decisione in corrispondenza
della cerniera tra inglesi ed americani. La sera del 12 settembre l’ala destra
inglese fu di nuovo ricacciata da Battipaglia e subì ingenti perdite,
specialmente in prigionieri.
venerdì 30 settembre 2022
Lo Sbarco a Salerno III Parte
Alle 18.30
Radio Algeri mise in onda il messaggio di Eisenhower che annunciava la firma
dell’armistizio con l’Italia, il messaggio venne ripetuto poi alle 19.20 dalla
BBC in un suo notiziario. L’una o l’altra di queste trasmissioni fu ascoltata
dalle truppe alleate a bordo dei convogli e purtroppo, nonostante che alcuni
degli ufficiali si dessero da fare per spiegare che ad aspettarli avrebbero
trovato i tedeschi, tra i soldati si diffuse la convinzione che lo sbarco
sarebbe stato una semplice passeggiata. Le loro speranze furono ben presto
smentite e la stessa sorte toccò d'altronde alle ottimistiche previsioni degli
strateghi alleati, secondo i quali Napoli sarebbe caduta entro tre giorni dallo
sbarco: le forze di invasione vi sarebbero arrivate solo dopo tre settimane di
lotta e dopo essere scampate per poco a un completo disastro. La stessa
illusione fece gioire in quella sera gran parte del popolo italiano: tutti
convinti che la guerra in Italia fosse finita. Era invece il prologo di una
tragedia. Nel tardo pomeriggio, i convogli in navigazione verso il Golfo di
Salerno furono oggetto di numerosi attacchi aerei, attacchi che i bombardieri
ritentarono dopo il tramonto; per fortuna la grande flotta subì solo danni di
poco conto. Poco dopo mezzanotte i primi mezzi trasporto truppe raggiunsero le
zone previste per l’inizio delle operazioni di sbarco, a una distanza dalla
costa di 13/ 16 chilometri e cominciarono a calare in mare i mezzi da sbarco.
Verso le ore 3.30, l’ora H stabilita dal piano d’invasione, la prima ondata
della forza da sbarco giunse a terra. Furono queste le prime imbarcazioni che i
tedeschi avvistarono e contro le quali una batteria aprì il fuoco. Un mezzo che
trasportava un reparto di rangers fu centrato in pieno, poi il
cacciatorpediniere “Blakmore” con salve ben assestate fece tacere i cannoni
insolenti. Altre artiglierie tuonavano più a sud contro il convoglio che
trasportava il IV corpo americano. L’incanto della calma notte era spezzata ed
era anche crollata l’illusione di poter sbarcare di sorpresa. Nemmeno più il
dubbio sulla località prescelta per lo sbarco poteva a quell’ora sussistere nei
comandi tedeschi, poiché era da escludersi che il convoglio potesse raggiungere
prima del giorno fatto il golfo di Napoli e tanto meno la costa più a nord.
D’altra parte la spiaggia di Salerno era già da parecchi giorni considerata
l’obiettivo dell’operazione anfibia che i tedeschi sapevano in preparazione,
tanto che avevano tentato di ritardarla bombardando le navi raccolte a Biserta,
e dal 5 settembre avevano schierato a sud del fiume Sele la 16ª divisione
corazzata. Eppure il generale Clark si era ostinato a non volere che le spiagge
fossero bombardate prima dell’assalto. A tale riguardo egli ebbe una
discussione sul ponte di comando dell’incrociatore “Ancon”, nave ammiraglia del
comandante in capo della Western Naval Task Force, con l’ammiraglio Hewitt,
quando le batterie tedesche incominciarono a sparare. Hewitt voleva ordinare l’apertura
del fuoco e Clark si opponeva e continuò ad opporsi mentre le ondate di mezzi
da sbarco già sciamavano verso le spiagge. Ormai i tedeschi erano pronti alla
reazione. Benché fossero in stato di allarme e si attendessero l’attacco, le
vedette sulla spiaggia non si erano accorte dei battelli segnalatori e della
presenza al largo della flotta d’invasione, per cui i dragamine avevano assolto
al loro compito senza essere avvistati e le ondate di mezzi da sbarco avevano
iniziato la loro lunga corsa di quasi 20 chilometri su un mare calmissimo. Come
è stato descritto all’inizio di questo paragrafo, una rapida avanzata su Napoli
dipendeva dalla conquista della strada che da Salerno si spingeva a nord
attraversando una fascia montuosa. Tale compito era stato affidato ai rangers
americani i quali dopo essere sbarcati senza incontrare resistenza sulla
piccola spiaggia di Maiori, in sole tre ore si impadronirono del valico di
Chiunzi e si attestarono saldamente sulle alture che dominavano la strada
principale per Napoli. Anche lo sbarco dei commandos inglesi a Vietri, dove la
strada si allontana dalla costa e comincia a salire, avvenne senza difficoltà.
Ma i tedeschi reagirono con prontezza, ritardando l’occupazione della cittadina
e bloccando poi del tutto l’avanzata dei commandos appena a nord della stessa,
in corrispondenza del basso valico di La Molina, all’imboccatura del varco di
Cava. Anche a Marina di Vietri la situazione si fece difficile perché mortai e
cannoni tedeschi sparavano sulle imbarcazioni che sopraggiungevano e
mitragliatrici colpivano uomini sulla spiaggia. I loro progressi risentirono
inoltre del fatto che, per errore, parte della 46ª divisione era finita sulle
spiagge della sua vicina di destra, la 56ª, provocando confusione e
congestione.
martedì 20 settembre 2022
Lo sbarco a Salerno II Parte
Operazione
“Avalanche”.
Nel
luminoso e multicolore crepuscolo dell’8 settembre 1943 circa 700 natanti, tra navi e mezzi da
sbarco, solcavano le acque del mar Tirreno e di lì a qualche ora sarebbero
state inghiottite dall’oscurità notturna. Tali mezzi trasportavano 55 mila
soldati per lo sbarco iniziale e altri 115 mila per gli sviluppi successivi
dell’operazione. Lo sbarco doveva essere effettuato dalla 36ª divisione di
fanteria americana sulla destra (zona di Paestum) e dalle divisioni inglesi 46ª
e 56ª sulla sinistra, mentre parte della 45ª divisione di fanteria americana
sarebbe rimasta in riserva. Queste divisioni furono raggruppate rispettivamente
nel VI corpo d’armata americano (generale Dawley) e nel X corpo d’armata
inglese (generale R.L. McCreery).
Quest’ultimo
sarebbe sbarcato su un tratto di circa 11 Km. delle spiagge situate appena a
sud di Salerno, con il compito di raggiungere l’aeroporto di Montecorvino e
Battipaglia, nei pressi della principale strada per Napoli, strada che
attraversa l’attaccatura della montagnosa penisola sorrentina passando per il
varco di Cava, un valico non molto alto ma disagevole. Era quindi di importanza
vitale che tale grande unità riportasse un rapido successo, sia per aprire la
via d’accesso più diretta al grande porto di Napoli sia per impedire l’arrivo
di rinforzi tedeschi da nord. Proprio per facilitarne il compito, 2 unità
commandos inglesi e 3 battaglioni di Rangers americani avrebbero dovuto
impadronirsi con la massima tempestività di questa strettoia e del valico di
Chiunzi, su una strada vicina. Fra X e VI corpo esisteva un “vuoto” di 13
chilometri in corrispondenza del corso del fiume Sele. Il principale convoglio
inglese salpò da Tripoli il 6 settembre e quello americano da Orano la sera
precedente. Altri convogli minori salparono da Algeri, Biserta e dai porti di
Palermo e Termini Imerese. In tutto 30 mila britannici e 24 mila americani
stavano per sbarcare su una fronte, da Maiori a Paestum, di circa 40 Km. dove
erano già schierati 20 mila tedeschi e dove potevano giungerne in un paio di
giorni altri 50 mila. Imponente era lo schieramento delle forze navali ed
aeree: due “Forze d’attacco”, una settentrionale (appoggio al X corpo) e
l’altro meridionale (appoggio al VI corpo); le navi di appoggio a rangers e
commandos; cinque portaerei inglesi di scorta per la protezione aerea del
convoglio e delle spiagge, due incrociatori e dieci cacciatorpediniere al
comando dell’ammiraglio Vian. Vi era poi la “Forza H”, al comando
dell’ammiraglio Willis, costituita da 4 corazzate, 2 portaerei (“Illustrious” e
“Formidable”), 4 incrociatori e 20 cacciatorpediniere, che aveva il compito di
“protezione” del complesso. L’imponente schieramento delle forze aeree era
costituito da oltre 2.700 aerei da combattimento (di cui una metà erano
bombardieri pesanti e l’altra metà caccia e caccia-bombardieri) e circa 400 da
trasporto.
In Sicilia
sette divisioni di fanteria erano sbarcate su 210 chilometri di fronte mentre a
Salerno 4 divisioni dovevano sbarcare su una fronte di circa 40 chilometri.
Sembrerebbe che il comando anglo-americano, con la concentrazione dello sforzo
su una fronte ristretta, si fosse assicurato un elemento di successo, favorì
invece il nemico perché gli consentì di fronteggiare le forze anfibie su una
fronte continua, costringendole ad effettuare attacchi frontali in un terreno
dominato dal difensore. Il comando alleato non aveva apprezzato abbastanza il
vantaggio che si era assicurato in Sicilia sbarcando su una fronte amplissima,
che aveva impedito ai difensori di costituire una linea di difesa continua, se
non ripiegando nell’interno dell’isola, tanto più che le forze mobili
disponibili nei primi tre giorni in Sicilia erano inferiori di numero e di
consistenza a quelle che il maresciallo Kesselring poté raccogliere nei primi
tre giorni sul campo di battaglia di Salerno. Inoltre, mentre le forze aeree
anglo-americane non avevano trovato in Sicilia un efficace contrasto, per
l’impossibilità di far agire sull’isola l’aviazione da caccia italo - tedesca,
causa l’impraticabilità dei campi, gli aerei tedeschi ebbero a Salerno
possibilità di intervento e anche con una certa efficacia. E ancora: mentre lo
stretto di Messina impedì di inviare in Sicilia i rinforzi che sarebbero stati
necessari per fronteggiare l’imponente schieramento avversario, divisioni
tedesche poterono agevolmente raggiungere la zona di Salerno, fino a determinare
un soddisfacente equilibrio fra gli avversari. E’ quindi evidente che il
maresciallo Kesselring impegnò e condusse la battaglia per Salerno in
condizioni alquanto più vantaggiose di quelle nelle quali si era trovato il
Comando delle Forze Armate della Sicilia, il quale aveva dovuto sostenere la
lotta in condizioni di schiacciante inferiorità. Ciò malgrado, in meno giorni
di quanti furono necessari agli anglo-americani per giungere a Messina, la 5ª
armata del generale Clark giunse al Volturno. Nel primo pomeriggio del stesso
giorno il passaggio dei convogli al largo delle coste occidentali e
settentrionali della Sicilia fu avvistato e segnalato al quartier generale
tedesco che entro le 15.30 mise in stato di allarme le proprie truppe, dando
istruzioni affinché si tenessero pronte a fronteggiare il previsto sbarco.
venerdì 9 settembre 2022
Lo sbarco a Salerno. I Parte Lo scenario politico-militare.
e gli s1.3. Lo sbarco a Salerno. 9 settembre 1943
Lo
scenario politico – militare.
All’inizio
del 1944 la situazione bellica vedeva gli alleati avanzare progressivamente,
mentre le forze dell’Asse erano in affanno: si stavano preparando le condizioni
favorevoli alla definitiva sconfitta del Terzo Reich. Infatti, negli ambienti
politico-militari degli Alleati, prendeva sempre più consistenza la percezione
che ormai Hitler non possedeva più le risorse di uomini e mezzi necessari per
ottenere la mobilità strategica su larga scala.
Nel corso
dell’anno precedente, si era verificata la svolta a favore degli Alleati.
Infatti, tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943 le truppe anglo-americane
avevano preso il controllo del nord Africa, mentre sul fronte orientale, a
seguito della vittoria di Stalingrado, le truppe sovietiche avevano iniziato la
controffensiva, culminata nel gennaio del ’44 nella liberazione di Ucraina e
Crimea.
Sulla scia
dei successi conseguiti nel Maghreb, nel gennaio del 1943 a Casablanca, in
occasione di una conferenza a cui presero parte il Presidente americano F. D.
Roosevelt ed il Primo Ministro inglese sir Winston Churchill, venne concordata
l’opportunità di aprire un ulteriore fronte in Italia. Tale decisione, da un
punto di vista strettamente militare, era sostenuta dalla considerazione della
relativa semplicità che lo sbarco in Sicilia avrebbe presentato, partendo dalla
ormai conquistata Tunisia. Inoltre, Roosevelt e Churchill avevano ben chiaro lo
stato di crisi del regime fascista che era ormai delegittimato dalla perdita di
consenso. Pertanto, l’intervento avrebbe causato la resa del regno d’Italia e
la sua conseguente uscita dall’Asse. Vi erano poi altre ragioni di natura
strategica: le rotte del Mediterraneo sarebbero state finalmente transitabili,
e ciò avrebbe comportato il risparmio di un enorme quantità di naviglio
mercantile; l’invasione del territorio italiano avrebbe impegnato diverse
divisioni tedesche sul fronte meridionale, alleggerendo così la presenza dei
nazisti in Francia, il che avrebbe agevolato il decisivo e futuro sbarco sulle
coste normanne che venne approvato durante la conferenza di Teheran nel
dicembre del 1943.
L’apertura del fronte italiano ebbe inizio il 10 luglio 1943 con l’operazione “Husky”, l’approdo in Sicilia delle truppe anglo-americane comandate rispettivamente dal generale Montgomery e dal generale Patton. Come era stato previsto, la scarsa resistenza opposta dalle forze tedesche permise una rapida occupazione dell’intera isola. Tale situazione consentì agli alleati di mettere in atto le operazioni per il successivo sbarco, quello di Salerno, che avvenne il giorno dopo la divulgazione della firma dell’armistizio di Cassibile.barchi a Salerno ( 9 settembre 1943) ed Anzio ( gennaio 1944)
mercoledì 31 agosto 2022
Lo Sbarco in Sicilia Luglio 1943
La
conseguenza più importante della conclusione della campagna d’Africa, fu che
essa privò Germania ed Italia della maggior parte delle truppe addestrate ed
esperte di cui disponevano nel teatro del Mediterraneo, truppe che altrimenti
esse avrebbero potuto impiegare per bloccare la prima e cruciale fase di
rientro degli Alleati in Europa. In realtà questo primo rientro in Europa, che
Winston Churchill già vagheggiava a fine 1942 e che aveva per meta la Sicilia,
fu un balzo azzardato, pieno di incertezze, il cui successo deve essere in gran
parte attribuito all’influenza di tutta una serie di fattori. Primo fra tutti
al cieco orgoglio che spinse Hitler e Mussolini a tentare di “salvare la
faccia” in Africa. Poi, ai sentimenti di gelosia e di timore che Mussolini
nutriva verso gli alleati tedeschi e alla sua riluttanza a permettere loro di
svolgere un ruolo preminente nella difesa del territorio italiano;
all’ostinazione del Primo Ministro britannico che vinse le resistenze
americane, sempre vive quando si profilava all’orizzonte il pericolo di lasciarsi
impegnare nel Mediterraneo, a scapito dello sbarco oltre Manica. Infine, la
convinzione di Hitler, non condivisa da Mussolini, che la Sicilia non fosse il
vero obiettivo degli Alleati.
Oggi
sappiamo che la decisione di invadere la Sicilia fu presa nella conferenza di
Casablanca che si tenne fra il 12 ed il 26 gennaio 1943, e che nelle intenzioni
degli Alleati, l'occupazione della maggiore isola italiana doveva rappresentare
il proseguimento delle “operazioni nel Mediterraneo iniziate con lo sbarco in
Africa” e al tempo stesso l’avvio della campagna d’Italia. Di fatto, la
decisione presa dal presidente Franklin Delano Roosevelt e dal primo ministro
britannico Winston Churchill, in accordo con i loro più importanti consiglieri
ed il Combined Chiefs of Staff, dette il via ad una serie di avvenimenti
concatenati che portarono infine all’invasione dell’Italia continentale, al
crollo del regime fascista, alla resa dell’Italia.
Nel
febbraio 1943, tre mesi prima della fine della battaglia di Tunisia, fu costituito
ad Algeri un Ufficio piani, che poi si trasformò in comando del XV Gruppo
d’Armate, col compito di pianificare l’Operazione HUSKY, cioè lo sbarco in
Sicilia. La cuspide sud-orientale dell’isola, con al centro la penisola di
Pachino, fu subito considerata la più favorevole per uno sbarco, ma l’opinione
che fosse indispensabile impadronirsi al più presto di porti, fece prevalere
l’idea di sbarcare fra Avola e Gela (per occupare i porti di Siracusa e
Augusta) e fra Sciacca e Selinunte (per occupare l’aeroporto di Castelvetrano).
Due giorni dopo (D + 2) due divisioni sarebbero sbarcate presso Palermo per
conquistare il porto della città, il giorno successivo (D + 3) due divisioni e
mezza sarebbero sbarcate vicino Catania. Il generale Montgomery si oppose a
tale piano perché la sua 8ª Armata, sarebbe stata diluita su una fronte troppo
vasta; sopravvenne una crisi che fu risolta, perché fu ammesso di poter
rifornire per un certo tempo le truppe anche senza disporre dei porti di
Catania e Palermo. Ormai, più che l’immediato possesso dei porti era importante
l’acquisizione di aeroporti. Il piano che fu concordato il 3 maggio ed
approvato il 13 maggio dallo Stato Maggiore combinato (anglo-americano),
previde la effettuazione contemporanea degli sbarchi nel giorno “D”. L’8ª
armata britannica (gen. Montgomery) doveva attaccare dal golfo di Noto alla
Penisola di Pachino compresa; la 7ª armata americana (gen. Patton) fra
Scoglitti e Licata (¹). Secondo il Morison (²) nessun’altra operazione anfibia
era stata effettuata, né lo fu in seguito, su una fronte così ampia (210 Km.),
e nessuna con tanto numerose forze impiegate inizialmente. Fin dal 13 aprile
era stato deciso di effettuare lo sbarco nella notte dal 9 al 10 luglio, perché
quella era l’unica notte nella quale sarebbe stato possibile conciliare le
esigenze dei paracadutisti, che volevano lanciarsi col chiaro di luna, e delle
forze terrestri che volevano sbarcare nell’oscurità. Infatti la luna sarebbe
tramontata precisamente nel breve intervallo fra le due operazioni.
sabato 20 agosto 2022
Carta La ritirata delle forze dell'Asse dopo El Alamein
mercoledì 10 agosto 2022
domenica 31 luglio 2022
Gli Sbarchi. La lezione fuorviante di Dieppe
Gli Inglesi nell’agosto 1942 attaccarono il porto di Dieppe in quella che fu definita una ricognizione a lungo raggio, impiegando circa 5000 uomini per lo più canadesi. In parte l’operazione riuscì in quanto le forze sbarcate riuscirono a raggiugere gli obiettivi a loro assegnati, ma la reazione tedesca fu tale che l’impresa fallì proprio perchè fu attaccato il porto e i colleganti con le navi in rada. I tedeschi si convinsero che questa operazione era la prova generale per uno sbarco in Europa e che solo la conquista e la difesa del porto scelto in modo baricentrico allo sbarco avrebbe permesso allo sbarco si avere successo. In Normandia, constatando che le truppe sbarcate, anche consistenti, erano lontani dai porti, dedussero che era un semplice sbarco diversivo e non principale, con lo scopo di attirare le riserve tedesche. In realtà era lo sbarco principale in quanto gli Alleati avevano predisposto due porti artificiali, che risultarono la vera e propria sorpresa strategica. Ciò determinò il mancato impiego delle forze corazzate tedesche di riserva nel primo giorno di sbarco, che permise agli alleati di sbarcare oltre 176.000 uomini e quasi tutto il materiale. I Tedeschi rimasero fermi nella loro idea fino al 21 giugno 1944, per ben due settimane. La loro reazione fu quindi tardiva e inefficace.
mercoledì 20 luglio 2022
domenica 10 luglio 2022
Guerra in Italia. Gli sbarchi alleati I Parte
La presenza del porto fu l’elemento fondamentale e decisivo per la scelta dell’area di sbarco. Come noto, ogni operazione anfibia ha bisogno, prima, di avere successo con la presa di terra delle forze provenienti dal mare con la creazione della testa di ponte iniziale; poi dell’allargamento a 180 gradi della testa di ponte con la progressione verso l’interno; infine la penetrazione ulteriore ed il raggiungimento dell’obiettivo strategico. Per attuare le due ultime fasi è necessario alimentare la testa di ponte con l’afflusso di uomini, mezzi e rifornimenti. L’avversario farà ogni cosa in suo possesso, più che contrastare le forze sbarcare, cercare di impedire questo l’afflusso. Una volta contrastato e bloccato le forze sbarcate si possono prima contenere, poi circondare ed aspettare che esauriscono la propria capacità operativa e quindi sferrare l’attacco di annientamento.
La dottrina che sottende alla scelta dell’area di sbarco,
con al centro un porto per la alimentazione logistica e lo sgombero, giustifica
anche il nome che si dà all’operazione, ovvero si sceglie il nome del porto
principale per denominare l’operazione. Pertanto l’azione iniziata il 22
gennaio 1944 sul litorale laziale si suole chiamare “lo sbarco di Anzio”
proprio perché il porto di Anzio era il perno essenziale di tutta l’operazione.[1]
[1]
Cadono quindi tutte le supposizioni di come chiamare questa operazione fiorite
a più riprese nel dopoguerra, come ad esempio “sbarco di Nettuno” o altre
località. Il fervore campanilistico e localistico si ferma davanti ad una
dottrina di impiego estremamente chiara,
giovedì 30 giugno 2022
Indic QUADERNI ON LINE Giugno 2020
SOMMARIO
ANNO LXXXIII, Supplemento on line, VI,
n. 77
Giugno 2022
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Massimo Coltrinari, Editoriale,
Giugno 2022
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Massimo Coltrinari, Copertina, Giugno 2022
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DIBATTITI
Mario Rino Me, Mario Rino Me. Ricerche
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Valentina Trogu, La Giornata del Decorato ed il Valore
Militare. Relazione
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Antonio Trogu, Antonio Trogu. La Giornata del Decorato ed
il Valore Militare. El Alamein
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Renato Hagman, Renato
Hagman. Convegno 21 maggio 2022 Relazione
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Alessia Biasiolo, Alessia Biasiolo. Convegno 21 maggio
2022. Relazione
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Redazionale, La Guerra Finnico – Russa 12/1939 – 3/1940
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Redazionale, La Zona A e la questione dei confini
orientali
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Redazionale, Fortificazioni Bastionate. XVI -XVIII Secolo
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ARCHIVIO
Redazionale, Elenco delle Federazioni costituite alla
data del 26 marzo 1924
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Redazionale, Il Primo Statuto dell'Istituto del Nastro
Azzurro 1923
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Redazionale, Il Primo Consiglio Nazionale dell'Istituto.
1923
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Redazionale, Ricerca di informazioni Medaglia del Cinquantenario
1923 - 1977
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Antonio Trogu, Antonio Trogu. 1943- Africa Settentrionale
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Redazionale, Sezioni Estere. dell'Istituto del Nastro
Azzurro nel 1923
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Redazionale, Annuario: I Vicentini decorati al Valor Militare
nella Guerra 1915-1918
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Redazionale, Corti d'Onore. Regolamento 1951- Estratto I
Parte
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Redazionale, Corti d'Onore. Regolamento 1951. Ricerca II
Parte
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Redazionale, Cronache delle Federazioni nel n. 1 del Periodico Nastro Azzurro" edito il
26 marzo 1923
su
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GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE
Sergio
Benedetto Sabetta, I TRIBUNALI PER CRIMINI DI GUERRA
su www. valore militare.blogspot.com con
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CESVAM NOTIZIE
CENTRO STUDI SUL VALORE MILITARE
Redazionale, ASSOARMA
- Riunione del 22 maggio 2022 - Roma, Caserma Medici
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Redazionale, 2 giugno: Festa della Repubblica
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Redazionale, Incontro
del Sig. Ministro con le Associazioni Combattentistiche e d'Arma
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Redazionale, Non ti scordar di me
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Redazionale, Centenario del Nastro Azzurro. Materiali
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Redazionale, Collaborazione con Enti ed Istituzioni.
Proselitismo
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Redazionale, La città come comunità. La comunità come
bene comune
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AUTORI
Pecce Alessio, ricercatore
Bottoni Roberta, Istituto del Nastro Azzurro
Coltrinari, Massimo direttore CESVAM
Francesco Attanasio, Presidente della federazione di Siracusa
Mario Pereira, Vice presidente Federazione di Pistoia
Carandente Chiara, Istituto del Nastro Azzurro
Baldoni, Massimo, pseudonimo
Giorgio Lavorini, Presidente Federazione di Prato
Federico Levy, collaboratore
Elsa Bonacini, collaboratrice CESVAM
Osvaldo Biribicchi, Associato CESVAM
Alessia Biasiolo, collaboratrice CESVAM
Luigi Marsibilio, membro del Collegio dei redattori della Rivista
Giancarlo Ramaccia, vice direttore CESVAM
Giovanni Cecini membro del Collegio dei redattori della Rivista
Numero
chiuso in data 30.06. 2022
domenica 19 giugno 2022
Rivista QUADERNI, Anno LXXXII, Supplemento XXI, n. 5 21° della Rivista, novembre dicembre 2021
sito:www.istitutodelnastroazzurro.org
venerdì 10 giugno 2022
martedì 31 maggio 2022
venerdì 20 maggio 2022
Una Medaglia d'Oro dell II Fronte. Divisione Garibaldina "Chichero"
M. O. V. M. ALDO GASTALDI
“BISAGNO”
Sergio Benedetto
Sabetta
La figura
genovese di “Bisagno”, comandante della Divisione garibaldina “Cichero” ed
attualmente in corso di beatificazione, è emblematica delle contraddizioni e
dei conflitti che attraversarono la resistenza.
Nato a
Granarolo (GE) il 17.09.1921 da Paolo Gastaldi e Maria Lunetti, cresce nella
fede cattolica con un forte senso di responsabilità, perito elettrotecnico e
studente alla Facoltà di Economia e Commercio, viene chiamato alle armi nel
1941.
Sottotenente
nel 15° Reggimento Genio presso la caserma di Chiavari, l’8 settembre 1943
nasconde le armi e con pochi uomini si stabilisce alle pendici del monte
Ramaceto, in località Cichero da cui il nome dell’unità.
Eletto
comandante assume il nome di “Bisagno”, dal torrente che attraversa Genova, nei
mesi seguenti si imposta il reparto secondo ben precise regole militari e
morali, dando vita alla celebre “scuola di Cichero”.
L’unità si
accresce con nuove leve a partire dalle diserzioni a seguito dei bando di
reclutamento della R.S.I. nel 1944, ma cresce anche nella stima delle
popolazioni contadine per la correttezza nei rapporti imposta da Bisagno.
Il comando
non viene interpretato come potere o a finalità partitiche, ma quale dovere
morale e si fonda prevalentemente sull’esempio, esponendosi ai pericoli con i
propri uomini e vivendo con loro tutte le difficoltà.
La sua
capacità di comando e correttezza morale è riconosciuta anche dai nemici,
evitando sempre inutili massacri o atti di giustizia sommaria, riconoscendo la
sua capacità di mantenere la parola data e non piegarsi alla ferocia degli
ideologismi imperanti.
Si giunge
così nel novembre 1944, a seguito di ripetuti colloqui con il Maggiore Paroldo, comandante del battaglione
Vestone della Divisione “Monterosa”, al passaggio del reparto alpino tra le
file partigiane.
Nel 1945,
con l’avvicinarsi della fine della guerra, vengono a prevalere gli aspetti
partitici e vi è un continuo tentativo di politicizzazione delle formazioni
messo in atto dal Partito Comunista.
Bisagno si
oppone a questa ideologizzazione partitica delle formazioni partigiane da lui
comandate, circostanza che lo pone ben presto in urto con parte del CLN, fino
ad arrivare allo scontro avvenuto nel marzo 1945 nella riunione sul Monte
Fascia.
Il Comando
militare unico della Liguria chiede a Bisagno di cedere il comando della
“Cichero” e di trasferirsi dalla Sesta Zona alla Quarta Zona, i sui uomini
venuto a saperlo fanno irruzione con le armi nella sede della riunione. Lo scontro
viene evitato grazie anche alla mediazione dello stesso Bisagno che raffredda
gli animi, si giunge a dividere indebolendola la Divisione “Cichero”.
Durante la
liberazione di Genova vi sono innumerevoli regolamenti di conti che Bisagno,
sceso in città con le formazioni di montagna, disapprova pubblicamente.
Rifiuta
eventuali incarichi di governo a lui offerti, per questo entra in ulteriore
conflitto con i settori più ideologizzati del CLN, viene consigliato dai propri
uomini di ritirarsi in montagna dove è più facile proteggerlo da eventuali
attentati.
A maggio
decide di accompagnare gli alpini del Vestone nelle loro case in Lombardia e
Veneto, al fine di evitare possibili rappresaglie.
Nel ritorno,
a Desenzano del Garda, dopo che tutti i suoi uomini sono tornati a casa, il 21
maggio cade in viaggio dal tetto del camion e rimane ucciso. L’incidente viene
attribuito a disgrazia nella relazione del commissario politico della
Divisione, restano tuttavia molti dubbi.
A Bisagno è
attribuito il titolo di “primo partigiano d’Italia” e recentemente viene
iniziato il processo di beatificazione, su impulso del Cardinale Angelo
Bagnasco, già Arcivescovo di Genova.
La figura di
Bisagno e la sua tragica fine rientra a pieno titolo nei conflitti e nelle
tensioni che sconvolsero l’Italia nel 1945 con la fine della guerra, basti
pensare i tragici avvenimenti di Porzus nel Friuli e alle vicissitudini dei
confini orientali.
Bibliografia
·
AA.VV.,
a cura di Marco Gandolfo, Bisagno. La Resistenza di Aldo Gastaldi, edizione
Itaca 2018;
·
E.
A. Rossi, L’Italia tra le grandi potenze, Il Mulino 2019.