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lunedì 14 settembre 2015

Cefalonia: la giornata dei volantini tedeschi

18 SETTEMBRE


Alle quattro del mattino, i tedeschi che, come abbiamo detto, avevano riconquistato le posizioni di Kimoniko, avanzarono in direzione nord-est per attaccare i resti del primo battaglione del 317° schierati a sud di Divarata.
Il combattimento ebbe inizio alle ore 6 e si protrasse, sotto il bombardamento degli Stukas, fino alle 16.
Dice il capitano Apollonio: “i nostri subirono gravissime perdite. Assaliti da tutte le parti dai tedeschi, i fanti del primo battaglione contesero il terreno palmo palmo.
“Molti episodi fra quelli che mi sono stati segnalati, e che riesco oggi a ricordare, non devono essere dimenticati.
“Il sottotenente Marano, dopo aver occupato con immensi sacrifici una quota, nel disperato tentativo di mantenerla, rifiutava di arrendersi e cadeva insieme a tutti gli uomini del suo plotone.
“Fra i suoi gregari più valorosi, vanno ricordati il sergente Occhipinti, il sergente Belluca, il caporale Busin, il caporale Asta, il fante Sessa, il fante Sozzi.
“Si può senz’altro affermare che i fanti, pur di non mollare quelle posizioni, si tenevano aggrappati anche coi denti a quelle rocce nude e d ingrate.
“I miseri resti del battaglione furono respinti, nel pomeriggio, nelle case di Divarata.
“Ma anche qui il combattimento continuò accanito. Si distinsero il caporal maggiore Tortora ed il sergente maggiore Rocco Pentasuglia che combatterono corpo a corpo con elementi tedeschi infiltratesi nel paese.
“Il capitano Verro, comandante della batteria di accompagnamento, riunì tutti i superstiti, circa 25, del suo reparto e li trascinò verso il ponte do Kimoniko per recuperare i pezzi perduti nel combattimento del giorno precedente. Si infiltrarono, a colpi di bombe a mano, nelle file tedesche dove, circondati e assaliti da ogni parte, scomparvero.
“Il sottotenente Tummino veniva trovato morto sulla sua mitragliatrice.
“Morti pugnalati dai tedeschi venivano trovati il sottotenente Quattrone ed il sottotenente Boccacchi. Nei due giorni di combattimento, il primo battaglione del 317° fanteria e la batteria d’accompagnamento avevano perduto, morti sul campo, 13 ufficiali e 250 uomini: la metà circa degli effettivi, senza contare i feriti ed i dispersi”.
Mentre questi fatti si svolgevano fra il Kimoniko e Divarata, sul fronte di Pharsa, fin dalle ore 6, il secondo e il terzo battaglione del 317° fanteria continuavano gli attacchi contro la fascia delle posizioni tedesche che difendevano Kardakata.
Il terzo battaglione, scendendo dal M. Rizocuzolo, doveva agire sul fianco e sul tergo dello schieramento tedesco ed occupare il paese di Kuruklata.
Il secondo battaglione, con azione contemporanea, doveva agire frontalmente contro le posizioni tedesche a nord di Pharsa.
“Nelle prime ore del 18, - testimonia il capitano Apollonio – il terzo battaglione scese dai tre canaloni del Rizocuzolo puntando su Kuruklata.
“La località veniva in un primo tempo occupata: subito dopo però un forte contrattacco tedesco costrinse le nostre truppe ad abbandonare il paese.
“I nostri reparti di fanteria, chiusi nei canaloni, subirono un violentissimo fuoco di mortai che potè essere  fatto tacere solo con l’intervento di tutte le batterie del 33° artiglieria.
“Il battaglione, riorganizzatosi, tentava subito dopo un secondo attacco.
“I fanti, balzando di casa in casa, compivano veri miracoli di audacia. Ma anche questa volta il contrattacco tedesco, accompagnato da un gran numero di armi pesanti che spazzavano minutamente il terreno, li costrinse alla ritirata.
“Nel condurre all’assalto alla baionetta i suoi uomini, trovava morte da valoroso il sottotenente Cilecca.
“Il sottotenente Chirilli, mentre accerchiato si difendeva a bombe a mano, rimase gravemente ferito.
“Cadeva il sergente maggiore Moso, in testa a tutti, in un assalto alla baionetta.
“Il capitano Pantano lasciava il comando del battaglione e di spingeva nei posti più rischiosi per incitare i suoi soldati alla lotta.
“ Due fanti, Carli Giovanni e Barbaro Francesco, restarono per tutta la giornata soli nelle vicinanze di Kuruklata sparando sul nemico”.
Il secondo battaglione che attaccò le posizioni immediatamente a nord di Pharsa conseguì subito alcuni successi locali che costrinsero i tedeschi ad abbandonare le posizioni che ancora avevano dominio sul paese. Ma fu un  successo di importanza assai scarsa ai fini generali della lotta perché ogni ulteriore progresso fallì sotto il fuoco serrato della difesa nemica.
Anche l’artiglieria prodigò tutta se stessa. Gravi furono le perdite ad essa inflitte dalle pesanti bombe degli Stukas che tentavano di colpire i pezzi uno per uno: parecchi ne furono distrutti.
“Per avere un’idea delle proporzioni della lotta – dice il capitano Apollonio – basti dire che la mia batteria, nonostante che circa trenta Stukas dominassero completamente dal cielo, sparò, tra le 4 e le 11,30 del mattino, milletrecento colpi. Le altre batterie non furono da meno. Agli artiglieri e alla Marina il riconoscimento più manifesto fu tributato dal nemico, il quale, dopo la resa, per vendicarsi delle perdite subite, dava caccia accanita, per trucidarli, a quanti portavano il cappello alpino e l’uniforme del marinaio”.
Durante la giornata, a più riprese, gli Stukas lanciarono sulle nostre truppe migliaia e migliaia di manifestini a scopo intimidatorio.
Ecco il testo:
“Italiani di Cefalonia! Camerati ufficiali e soldati! Perché combattete contro i tedeschi? Voi siete stati traditi dai vostri capi. Volete tornare al vostro paese per stare vicini alle vostre donne, ai vostri bambini, alle vostre famiglie? Ebbene, la via più breve per raggiungere il vostro paese non è certo quella dei campi di concentramento inglesi. Conoscerete già le infami condizioni imposte al vostro paese con l’armistizio anglo-americano. Dopo avervi spinto al tradimento contro i compagni d’arme germanici, ora vi si vuole avvilire con un lavoro brutale e pesante nelle miniere dell’Inghilterra e dell’Australia che scarseggiano di mano d’opera. I vostri capi vi vogliono vendere agli inglesi. Non credete loro. Seguite l’esempio dei vostri camerati dislocati in Grecia, a Rodi, nelle altre isole, i quali hanno tutti deposto le armi e già rientrano in patria; come hanno deposto le armi le divisioni di Roma e delle altre località del vostro territorio nazionale. E voi invece, proprio ora che l’orizzonte della patria si delinea ai vostri occhi, volete proprio ora preferire morte e schiavitù inglese? Non costringete, no, non costringete gli Stukas germanici a seminare morte e distruzione! Deponete le armi! La via della Patria vi sarà aperta dai camerati tedeschi!
“Camerati dell’Armata Italiana!
“Col tradimento di Badoglio, l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista sono state vilmente abbandonate nella loro lotta fatale. La consegna delle armi in Grecia è terminata senza sparger sangue. Soltanto la divisione “Acqui”, al comando del gen. Gandin, partigiano di Badoglio, dislocata nelle isole di Cefalonia e Corfù, ed isolata colà dagli altri territori, ha respinto l’offerta di una consegna pacifica delle armi ed ha cominciato la lotta contro i tedeschi e fascisti. Questa lotta è assolutamente senza speranze. La Divisione, divisa in due parti, è circondata dal mare senza alcun rifornimento e senza possibilità d’aiuto da parte dei nostri nemici. Noi camerati tedeschi non vogliamo questa lotta. Vi invitiamo perciò a deporre le armi e ad affidarvi ai presidi tedeschi delle isole. Allora anche per voi, come per gli altri camerati italiani, sarà aperta la via della Patria. Se però sarà continuata l’attuale resistenza irragionevole, sarete schiacciati e annientati fra pochi giorni dalle forze preponderanti tedesche che stanno raccogliendosi. Chi verrà fatto prigioniero allora, non potrà più tornare in Patria. Perciò, camerati italiani, appena otterrete questo manifestino, passate subito ai tedeschi. È l’ultima possibilità di salvarvi! Il Generale Tedesco di Corpo d’Armata”.
“Tali manifestini, - dice il capitano Apollonio – lungi dall’indebolire, riaffermarono in tutti i soldati la volontà di combattere. Il fine era uno solo: caciare i tedeschi dall’isola. Ognuno era  pronto a sacrificarsi. Questa volontà divenne addirittura disperata dall’evidente significato di questa frase contenuta nel manifestino. “Se però sarà continuata l’attuale resistenza irragionevole, sarete schiacciati e annientati fra pochi giorni dalle forze preponderanti tedesche. Chi verrà fatto prigioniero allora, non potrà più tornare in Patria”.
“Per chi conosceva bene i tedeschi non esistevano più dubbi.
“Un testimone oculare ha narrato che il gen. Gandin, dopo aver letto il manifestino, si strappò dal petto il nastrino della croce di ferro tedesca e lo gettò sul tavolo. Ripetutamente fu inteso dire in quei giorni. Se perdiamo, ci fucileranno tutti. E questa era la convinzione generale. Eppure nessuno vacillò, nessuno esitò. Nonostante che questo manifestino potesse servire da lasciapassare, non un solo soldato abbandonò il suo posto di combattimento per afferrarsi all’ultima ancora di salvezza”.
Intanto continuava, fin dal mattino del 17, l’affluenza dei rinforzi tedeschi attraverso le baie di Vatza e di Kiriaki, rispettivamente a sud e a nord della penisola di Paliki.

“La nostra artiglieria – dice il capitano Bronzini – molesta più che può tali operazioni ma non riesce, nonché ad impedirle, nemmeno a  rallentarle. Occorreva l’aviazione, ma per quanto il gen. Gandin insistesse presso il Comando Supremo, nessun velivolo nostro si è fatto ancora vedere. L’artiglieria continuava ad effettuare tiri d’interdizione sulla rotabile Lixuri – Kardakata, dove il traffico nemico è divenuto più intenso”.

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