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mercoledì 14 ottobre 2015

Cefalonia. Le Operazioni. 15-22 settembre

 Il presidio tedesco nell’isola alla data dell’8 settembre era costituito, come sappiamo, da due battaglioni di fanteria da fortezza con molte armi pesanti ed una batteria di semoventi su nove pezzi.

Di quale entità furono i rinforzi da esso ricevuti sia durante la settimana delle trattative che subito all’inizio delle ostilità.
A questa domanda risponde il capitano Bronzini. “il 15 settembre – egli dice – iniziandosi le ostilità, noi del comando di divisione giudicammo che i tedeschi fossero saliti a tremila uomini. Ma il grosso dei rinforzi fu inviato ad ostilità aperte, dopo il 15. sbarcarono allora tre battaglioni della 1ª divisione alpina, nota per la sua feroce aggressività, e due battaglioni di cacciatori di montagna della divisione “Brandemburgo”. La direzione delle operazioni fu assunta da un colonnello alpino. Il ten. col. Barge fu “silurato” e, tra il 15 ed il 20, richiamato sul continente greco”.
Sicchè, subito dopo il 15, i tedeschi vennero a disporre sull’isola di sette battaglioni di fanteria, di cui cinque di truppe scelte, più la batteria di semoventi. Ma furono anche sbarcate – come risulta da diversi indizi – numerose armi di rinforzo, mortai e piccole artiglierie, col relativo personale.
In quanto a dislocazione, il presidio tedesco godeva di una situazione favorevole. Le forze, quasi per intero, presidiavano un settore topograficamente isolato qual’era quello di Luxori, comprendente l’intera penisola di Paliki; ed il possesso della posizione di Kardakata, unica via terrestre di accesso a detta penisola, accentuava il vantaggio.
Sfavorevole invece era la posizione di Argostoli dove era dislocata la sola batteria di semoventi, a sostegno della quale però, come si è fatto cenno, erano state inviate, durante le trattative, truppe di fanteria di entità imprecisabile.
Per quanto riguarda il presidio italiano, occorre aggiungere a quanto s’è già detto che dei sei battaglioni di fanteria disponibili solo tre – quelli del 17° fanteria – erano in piena efficienza addestrativa; quelli del 317° fanteria erano invece composti di reclute non ancora sufficientemente istruite e comunque non ancora provate dal fuoco.
Altre truppe utilizzabili, all’occorrenza, come fanteria – ma con gli effetti che simili ripieghi comportano – erano: la compagnia carabinieri, quella di finanza e due compagnie di lavoratori del genio.
Tutto il resto degli uomini era impegnato in servizi di specialità (genio, sanità sussistenza) o nei reparti di artiglieria (circa sei gruppi, più una batteria da 120 della Marina).
È perciò ora possibile un rapido confronto fra le forze contrapposte.
Superiorità, da parte tedesca, nella qualità della fanteria e nell’armamento a questa relativo.
Superiorità, da parte italiana, di artiglieria. Vantaggio che però venne frustrato dalla assoluta padronanza aerea tedesca, a cui il presidio italiano non potè contrapporre che una assai scarsa reazione contraerea.
Il rapporto delle forze, l’8 settembre così favorevole a noi, si era dunque invertito appena iniziate le ostilità.
La lunghezza delle trattative non fu, a questo riguardo, fattore determinante: l’invasione sarebbe ugualmente avvenuta se le ostilità si fossero iniziate la stessa sera dell’8.
E neppure la conservazione delle importanti posizioni di Kardakata, la cui cessione ebbe certo influenze negative sullo sviluppo minuto delle operazioni, avrebbe potuto cambiare l’esito finale della lotta.
Basta infatti tener presente che il presidio italiano, quando anche avesse soppresso di colpo quello tedesco, non avrebbe poi avuto forze e mezzi sufficienti su tutti i punti dell’isola per opporsi con probabilità di successo ad azioni di sbarco sostenute da notevoli forze aeree.
Le truppe italiane si presentavano alla lotta, per effetto del generale sentimento antitedesco, in condizioni morali buone, ma che tuttavia non si possono definire ottime. Elemento negativo principale il fatto che dalla madrepatria, durante sette lunghi giorni, non era giunto, neppure sotto forma di promessa, alcun aiuto, si aggiungevano gli effetto della sfibrante settimana delle trattative, dalla quale, a cagione delle gravi e comunque riprovevoli manifestazioni di indisciplina, la compagine dei reparti ne era uscita assai scossa e decaduta.
Il morale delle truppe tedesche era principalmente sostenuto da tre fattori: l’adeguatezza dei mezzi a disposizione e la certezza di sicuri e rapidi rifornimenti dal continente greco; l’assoluta padronanza aerea in una zona, nella quasi totalità, scoperta; l’episodio del 13 contro le motozattere, ritenuto – con giudizio superficiale ma tuttavia, sul momento, di grande effetto – atto di tradimento da parte italiana.

domenica 4 ottobre 2015

Cefalonia: il nuovo schieramento delle forze italiane

15 SETTEMBRE


Il nuovo schieramento delle truppe italiane, ordinato dal comando della divisione in vista delle operazioni, si presentava, la mattina del 15, suddiviso in tre grossi blocchi.
Il primo – settore di Argostoli – era costituito dai tre battaglioni del 17° fanteria.
Il secondo battaglione in primo scaglione, occupava le posizioni che dalle ultime case a nord di Argostoli, attraverso l’altura detta “Telegrafo”, giungevano al mare.
Gli altri due battaglioni, con altri minori reparti, di riserva a sud ed a ovest della città.
L’abitato si Argostoli era stato quindi sgombrato, a salvaguardia della popolazione civile, da obiettivi militari.
Il secondo blocco – settore orientale – era costituito da sue battaglioni del 317° fanteria, dei quali il terzo occupava, fronte a nord, le posizioni ad ovest dell’abitato di Pharaklata fino al mare.
Il terzo blocco era costituito dalle artiglierie ritirate dalla penisola di Argostoli e schierate sul lato orientale del golfo omonimo, da dove potevano sostenere l’azione di entrambi i settori.
Solo la batteria da 152 della Marina – con il comando e tutto il personale della Marina – era rimasta in postazione a Minies, da dove sorvegliava la baia di Busen e poteva sostenere l’azione delle truppe del settore Argostoli.
Il comando della “Acqui”, come sappiamo, era a Prokopata.
I servizi di sanità e commissariato funzionavano in zona Valsamata, tranne due ospedali da campo lasciati in Argostoli.
Tale schieramento svela il progetto operativo del comandante della “Acqui”: liberare dai tedeschi, in un primo tempo, la penisola di Argostoli; procedere in un secondo tempo per riconquistare le posizioni di Kardakata e da qui accedere alla penisola di Paliki.
Due fasi, come è evidente, in stretta interdipendenza: la liberazione della penisola di Argostoli, eliminando ogni pericolo alle spalle dello schieramento orientale, avrebbe consentito lo sviluppo delle operazioni verso nord.
Su queste direttive, pertanto, il comandante della “Acqui” aveva ordinato che l’attacco alle posizioni tedesche nell’estrema punta della penisola di Argostoli avesse inizio alle 14, ora in cui scadeva la proroga concessa dal gen. Gandin ai tedeschi per la risposta al suo ultimatum.
Ma l’attacco non potè avere inizio perché fra le ore 12 e le 13 aveva avuto inizio, come sappiamo, il bombardamento da parte degli Stukas.
Quest’azione aerea era evidentemente concordata con l’azione terrestre perché – testimonia il capitano Apollonio – “alle ore 14,30, mentre i nostri, completamente allo scoperto, aggrappati alle nude rocce, subivano il bombardamento ed il mitragliamento a bassa quota, i tedeschi sferravano un attacco su due colonne parallele, l’una in direzione del “Telegrafo”, l’altra lungo la direttrice stradale capo S. Teodoro - Lardigo”.
Lo stesso avveniva, contemporaneamente o poco dopo, nel settore orientale. Anche qui gli Stukas bombardavano i capisaldi del terzo battaglione del 317° fanteria nonché gli obiettivi militari delle zone retrostanti, fra cui il comando della divisione.
I capisaldi del terzo battaglione erano anche battuti dalla batteria semoventi tedesca postata a nord di Argostoli.
“Sulla rotabile di Kardakata – testimonia il capitano Bronzini - scorgiamo transitare, diretti a sud, parecchie decine di autocarri carichi di truppe. È la fanteria tedesca che si è mossa di Lixuri e viene ad attaccare lo schieramento del 317° fanteria. Il gen. Gandin, in previsione di questo attacco, aveva fin dal mattino ordinato lo spostamento del secondo battaglione del 317° fanteria da Razata a Pharaklata. Ma il movimento, che si sta effettuando adesso, è ostacolato dall’azione aerea avversaria. Sono le ore 16. Si inizia adesso l’assalto della fanteria tedesca ai capisaldi del terzo battaglione del 317°. Si tratta per lo meno di un battaglione che attacca, ma intanto continuano ad affluire altri rinforzi per la rotabile costiera. I tedeschi attaccano il nostro settore orientale facendo largo impiego di mortai”.
Sicchè, nel giro di tre ore dall’apparizione degli Stukas nel cielo dell’isola, i tedeschi avevano preso l’iniziativa delle operazioni su entrambi i settori italiani.
Immediata fu la reazione delle nostre artiglierie.
Il primo gruppo del 33° artiglieria intervenne contro i semoventi tedeschi riuscendo a neutralizzarne l’azione per tutta la durata del combattimento. “Tale tiro, - dice il capitano Apollonio, - eseguito ad intermittenza ancora durante la notte, proseguì fino a che l’intera batteria fu catturata senza che mai essa avesse potuto essere efficacemente impiegata”.
“Tutta la nostra artiglieria è in azione; - dice il capitano Bronzini – parte agisce a difesa del secondo battaglione del 17° fanteria nel settore di Argostoli e parte effettua il tiro di interdizione sulla rotabile proveniente da Kardakata. Nel contempo, tiri di sbarramento vengono effettuati davanti ai capisaldi del terzo battaglione del 317° fanteria. L’artiglieria contraerei, costituita da mezzi scarsi ed antiquati, fa quello che può: un aereo viene abbattuto. Tutti i cuori si consumano nella vana attesa che nel cielo compaia qualche velivolo italiano”.
Nel settore di Argostoli, la colonna tedesca che agiva sulla direttrice capo S. Teodoro – Lardigo riuscì, con una conversione, ad accerchiare e far prigionieri una compagnia ed un plotone mitraglieri del 17° fanteria.
Ma l’azione principale era condotta dalla colonna operante contro il “Telegrafo”, con il quale erano schierati i resti del secondo battaglione già provato, con un numero di perdite pari circa una compagnia, dall’improvviso bombardamento aereo.
L’attacco al “Telegrafo” era sincronizzato con l’azione degli Stukas: gli attaccanti, facendo uso di razzi bianchi, segnalavano le posizioni raggiunte in modo che l’azione dell’aviazione, minuta ed ininterrotta, potesse progredire di zona in zona.
L’attacco si fece sempre più violento “ma i progressi tedeschi – dice il capitano Bronzini – erano molto lenti.
“I resti del secondo battaglione di difendevano con estrema decisione. Erano comandati dal valoroso maggiore Altavilla ed erano costituiti da veterani di questa guerra”.
“Il maggiore Altavilla – testimonia l’Apollonio – fu veramente superbo. Sempre esposto, sempre in mezzo ai suoi uomini fanti e nei momenti più critici gregario egli stesso. Il tenete Cei, in quel pomeriggio, sparò circa quattromila colpi di mortaio e sotto lo spezzonamento ed il mitragliamento degli Stukas fu visto caricare contemporaneamente e da solo i due mortai con sorprendente celerità. Ogni fante del secondo battaglione manifestava uno spirito di sacrificio che nessuna parola potrà mai definire”.
Gli avvenimenti proseguono invece in maniera preoccupante nel settore orientale.
“Verso le ore 16,30 – testimonia il capitano Bronzini – ripiega il primo caposaldo del terzo battaglione del 317° fanteria. Dopo circa un’ora è un altro caposaldo che minaccia di non reggere. Il gen. Gandin ordina allora che il secondo battaglione dello stesso reggimento, già nei pressi di Pharaklata, avanzi in direzione di Davgata. Il battaglione, in altri termini, deve contrattaccare sul fianco sinistro le truppe tedesche e giungere al mare per tagliare ad esse la ritirata. In attesa che si compia questa manovra, il capitano Saettone con la sua compagnia di carabinieri viene inviato in questo settore per arginare il ripiegamento, che si accentua sempre più, del terzo battaglione”.
Contemporaneamente, il gen. Gandin ordinò che tutte le artiglierie del presidio aprissero il fuoco a protezione del fronte orientale, provvedimento che conseguì il suo scopo. Dopo circa mezz’ora di violentissimo fuoco, i tedeschi dapprima si arrestarono e poi ripiegarono su Parsa.
Mentre però si ristabiliva in qualche modo la situazione nel settore orientale, in quello di Argostoli, verso le 18, i tedeschi conquistavano le alture del “Telegrafo”, posizione di dominio sull’intero settore.
L’azione degli Stukas continuava intanto a non concedere respiro paralizzando ogni movimento con lancio di spezzoni e col mitragliamento a bassissima quota.
“Verso le ore 18 – dice il capitano Bronzini – l’aviazione tedesca, vista scendere la sera, ed orami convinta di averci massacrati, si ritirò dalla battaglia”.
Col ritirarsi dell’aviazione e col sopraggiungere della notte, cessò anche il combattimento terrestre in entrambi i settori: i reparti si dettero a ricostituire la loro compagine ed a constatare le gravissime perdite subite in uomini e materiali.
Ma alle 19, a tramonto avvenuto da un’ora, avvenne quello che tutti i reduci di Cefalonia chiamano “il miracolo”: i resti del secondo battaglione ed il terzo battaglione del 17° fanteria contrattaccarono i tedeschi sulle alture del “Telegrafo”.
“Le magnifiche compagnie dei due migliori battaglioni della “Acqui” – testimonia il capitano Apollonio – scattavano all’assalto al grido di “Savoia!”. La commozione pervadeva anche i cuori più duri. Non ci sono parole per lodare il senso del dovere del ten col. Maltesi, comandante del terzo battaglione. Pur essendo uscito appena il giorno prima dall’ospedale, volle accorrere egualmente in linea col suo magnifico battaglione dislocando il suo posto di comando vicino a quello di Altavilla. Tutta questa seconda fase della battaglia venne così diretta sul posto dal ten. col. Maltesi, coadiuvato, con estremo spirito di sacrifizio, dal capitano Pietro Bianchi”.
I tedeschi, presi di fronte e sui fianchi, per sfuggire all’azione violenta ed avvolgente della fanteria italiana, cominciarono lentamente a ripiegare.
“Le alture del “Telegrafo” – dice il capitano Bronzini – vengono finalmente, a notte fatta, da noi riconquistate, ma i tedeschi continuano a combattere decisi di non abbandonare, fino all’estremo, quelle posizioni. Intanto reparti del terzo battaglione entrano in Argostoli ed attaccano gli elementi tedeschi ivi esistenti disperdendoli e catturandoli”.
“Mentre erano in corso accaniti combattimenti sulle pendici settentrionali del “Telegrafo” – testimonia l’Apollonio – furono avvistate dalle forze costiere di sicurezza quindici barconi tedeschi che tentavano di approdare nella baia di Lardingo, cioè alle spalle del nostro schieramento. Una motozattera puntava invece direttamente su capo S. Teodoro. Dette imbarcazioni trasportavano circa quattrocento uomini. Non appena dato l’allarme, esse venivano subito individuate e poste sotto i fasci dei nostri riflettori”.
“La nostra artiglieria e tutte le armi dislocate a difesa della costa – dice il capitano Bronzini – si scatenano su di esse. La penisola di Argostoli pare un inferno: nella oscurità della notte divampano le esplosioni ed i bagliori della battaglia. Nessuna delle imbarcazioni si salva: tutte vengono distrutte ed i tedeschi, che per il momento non possedevano in Cefalonia altri mezzi da sbarco, rimangono ingabbiati nella estrema punta di Argostoli”.
“Solo una trentina di soldati tedeschi, - dice il capitano Apollonio, - quasi tutti i feriti, potevano essere tratti in salvo per il generoso intervento dei nostri marinai della batteria di Lardingo.
“Presi sotto il fuoco incalzante dei nostri mortai e delle nostre mitragliatrici, i tedeschi ormai costretti all’estremo lembo della penisola, verso le 23 inviarono parlamentari a chiedere la resa che veniva concessa e stipulata alle ore 2 della notte sul 16. cadevano così nelle nostre mani oltre 500 prigionieri, l’intera batteria semoventi, gran numero di armi automatiche”.
Anche nel settore orientale, verso le 19, alcuni nostri reparti passavano al contrattacco. Una compagnia ed un plotone mortai del secondo battaglione del 317° fanteria al comando del capitano Pantano, partirono all’assalto, in direzione di Davgata riuscendo a riconquistare alcune posizioni che i tedeschi abbandonarono in rotta.
“E così – conclude il capitano Bronzini – il bilancio della prima giornata di battaglia si chiudeva in questo modo: eliminazione dei tedeschi dalla penisola di Argostoli e riduzione dei settori di lotta ad un unico fronte terrestre, quello orientale. Perdite inflitte al nemico: molti morti, molti feriti, 500 prigionieri, la cattura di tutti i semoventi, quindici mezzi da sbarco distrutti, una ventina di autocarri catturati. Perdite nostre: molti morti e molti feriti in tutti i reparti, due compagnie del secondo battaglione del 17° fanteria distrutte, una sezione da 70/15 sul “Telegrafo” distrutta,
“Nella notte stessa il gen. Gandin trasmise al Comando Supremo il bollettino del primo giorno di lotta ed i successi ottenuti dalle nostre armi. Contemporaneamente indirizzò un messaggio di elogio al presidio di Corfù per aver tutelato contro i tedeschi l’onore delle armi italiane”.


martedì 29 settembre 2015

Cefalonia: i tedeschi attaccano dall'aria

16 SETTEMBRE


“Con il sorgere del sole – informa il capitano Bronzini – hanno di nuovo inizio i bombardamenti aerei. Sono soprattutto prese di mira le batterie. È evidente che i tedeschi vogliono distruggerle”.
Dice P. Formato: “Il cielo si mantenne costantemente ed indisturbatamente dominato dall’aviazione tedesca che fece del terreno sottostante un immenso vulcano in eruzione. Le fanterie non potevano avere nessuna libertà di movimento. I fanti erano inesorabilmente massacrati e falciati dagli infernali bombardamenti in picchiata e dai feroci mitragliamenti a volo radente. Le artiglierie non potevano agire perché, una volta scoperte ed individuate, venivano immediatamente distrutte”.
“l’azione degli Stukas – precisa il capitano Bronzini – durò dalle 6 alle 19, con il breve intervallo fra le 13 e le 14”.
Sul fronte terrestre, durante la giornata, non si ebbero quindi combattimenti di rilievo.
I tedeschi avevano ritirato, nella notte, il grosso delle loro forze su Kardakata creando così un vuoto fra essi ed i battaglioni del 317° fanteria, che tutt’ora presidiavano la zona fra Pharaklata ed il mare.
“Il nemico – dice il capitano Bronzini – non accenna ad attaccare forse perché la battaglia del giorno precedente gli ha fatto comprendere che non è facile avere ragione della “Acqui”. Egli perciò si riorganizza ed attende rinforzi”.
In quale punto dell’isola era più agevole per i tedeschi sbarcare i propri rinforzi?
Tutte le coste presentavano, più o meno, buone possibilità d’approdo.
Ma da un rapido esame della carta è facile arguire che la costa sud-occidentale, da Lardigo e Pesades e la baia di Samos, erano, agli afferri delle operazioni in atto, le più pericolose.
La prima, servita da un complesso stradale relativamente abbondante, qualora caduta nelle mani del nemico, consentiva la minaccia alle spalle delle nostre operazioni dirette a nord.
La seconda, attraverso la strada di Pulata, scopriva il fianco del nostro schieramento.
Anche il promontorio sud-orientale di capo Munta offriva buona accessibilità all’interno dell’isola: ma, per la sua lontananza dell’asse operativo, gli effetti di uno sbarco su di esso avrebbero avuto meno immediata ripercussione.
Tutti gli altri approdi a nord del parallelo di Samos, proiettando le truppe tedesche sulla fronte dello schieramento italiano, venivano ad assumere, su tale piano di confronto, minore importanza.
Per questi motivi, alle prime ore del mattino, il generale gandin ordinò che il secondo e terzo battaglione del 17° fanteria, i più provati nella lotta del giorno precedente, si dislocassero: il secondo, quale unità di manovra, nella zona del nodo stradale di Mazakarata; il terzo, a difesa costiera nelle zone di Minies e Svoronata.
Il primo battaglione del 317° fanteria fu mantenuto a difesa costiera nella baia di Samos, in attesa, come vedremo, di essere impiegato nelle operazioni successive.
Ordinò altresì un’azione per sopraffare il presidio tedesco di capo Munta (circa duecento uomini con una stazione radio).
Pose a disposizione del 317° fanteria il primo battaglione del 17°.
“Nella mattinata, - informa il capitano Bronzini – dal comando della divisione venne anche preso in considerazione l’apporto che i greci potevano dare alla lotta. Molti ufficiali dell’ex esercito greco risiedevano a Cefalonia e continuamente cercavano di essere ricevuti dal generale per chiedergli di unirsi a noi nella lotta contro i tedeschi. Il generale decise di impiegare questi volontari (circa cinquecento uomini) per il servizio informazioni non sembrandogli leale verso il nemico assumere apertamente i greci fra le proprie formazioni. Le zone da esplorare dovevano essere di volta in volta indicate dal generale in persona. Ma per non tornare più su questo argomento dico subito che tale servizio, per quanto da noi organizzato, non dette buoni risultati”.
La sera del 16, gli ordini del gen. Gandin avevano orientato tutti i reparti sul progetto operativo da realizzarsi il giorno successivo.
Obiettivo principale era la riconquista delle posizioni di Kardakata.
Per conseguire tale scopo, il gen. Gandin aveva suddiviso le operazioni del 17 in due fasi contemporanee.
Nella prima, il secondo e d il terzo battaglione del 317° fanteria, nonché il primo del 17°, dovevano, dalle posizioni di Davgata e Dilinata, compiere uno sbalzo verso nord ed occupare le posizioni dal M. Rizocuzolo al mare; nella seconda, il primo battaglione del 317° fanteria nonché la batteria di accompagnamento dello stesso reggimento (che, come sappiamo, si trovano dislocate nella zona costiera Samos - S. Eufemia) dovevano portarsi, autocarrati, per la rotabile S. Eufemia - bivio Divarata su Ankona, alle spalle cioè delle posizioni tedesche di Kardakata.
La manovra del primo battaglione del 317° fanteria, qualora fosse riuscita, avrebbe dato agl’Italiani il controllo della baia di Kiriaki, una delle vie di più diretto rifornimento, dal continente greco, allo schieramento tedesco.
Successivamente, con azione combinata da nord e da sud, si sarebbe svolta l’azione decisiva intesa a provocare il crollo delle posizioni di Kardakata.



giovedì 24 settembre 2015

Cefalonia: Lo schieramento delle forze del 317 fanteria


17 SETTEMBRE


Alle ore 6, preceduta dal leggera preparazione di artiglieria su alcune postazioni avanzate nella zona di Parsa, il primo battaglione del 17° fanteria oltrepassò questa località schierandosi a nord di essa. Contemporaneamente il secondo battaglione del 317° si schierò a nord di Davgata ed il terzo battaglione dello stesso reggimento a nord di M.  Rizocuzolo che dominava tutta la zona.
La prima fase del progetto operativo era così compiuta.
Ma lo sbalzo avvenne quasi senza combattere perché i tedeschi abbandonate quelle posizioni, che tenevano col solo intento di osservare le nostre mosse, si ritirarono verso nord.
Il proseguimento dell’azione da parte italiana rimase per tanto vincolato, da questo momento, all’azione che doveva svolgere il primo battaglione del 317° fanteria su Ankona, dove si calcolava che sarebbe giunto circa alle 7.
Questo battaglione avrebbe dovuto iniziare il movimento, della zona di S. Eufemia, alle ore 6, contemporaneamente  cioè all’inizio dell’azione sul fronte di Parsa.
Il punto più delicato dell’itinerario era rappresentato dal ponte sul Kimoniko, corso d’acqua immediatamente alle spalle delle posizioni tedesche di Ankona.
Ma l’autotrasporto, anziché alle 6, - date le difficoltà incontrate per ottenere la disponibilità di un numero sufficiente di autocarri – potè avere solamente alle ore 10,30.
“Il primo battaglione del 317° fanteria – dice il capitano Bronzini – durante l’autotrasporto, giunto all’altezza del Kimoniko, si dovette fermare perché il ponte era stato interrotto dai tedeschi. In quel preciso istante, alcune formazioni di Stukas assaltarono l’autocolonna distruggendo il materiale e disperdendo gli uomini”.
“Il battaglione – informa il capitano Apollonio – fu facile presa degli aerei tedeschi che lo mitragliarono per circa tre ore”.
Solo nel tardo pomeriggio, sicchè, e perdurando ancora il bombardamento aereo, il battaglione potè, con parte delle sue forze, schierarsi sulle posizioni a sud-ovest del Kimoniko.
Ma appena cessata, per segnale da terra, l’azione aerea, le fanterie tedesche – che nel frattempo si erano ammassate sotto le nostre posizioni .- partivano all’attacco appoggiate dal fuoco “infernale” delle armi pesanti.
“La difesa – dice il capitano Apollonio – presentò serie difficoltà. Tuttavia, in un primo momento, l’urto fu sostenuto. Ma vennero presto a mancare le munizioni e cominciò il ripiegamento. Fu ferito il comandante del battaglione. Comunque, sempre retrocedendo, si continuò a combattere accanitamente per nuclei isolati che rifulsero per fermezza e spirito di sacrificio. I tedeschi occuparono le posizioni del ponte di Kimoniko, mentre i resti del battaglione, perdute gran parte delle armi pesanti e la batteria d’accompagnamento, ripiegarono disordinatamente su Divarata. A  tarda sera giungeva il nuovo comandante, capitano Olivieri, con l’ordine di riorganizzare il battaglione e rioccupare, appena possibile, le posizioni perdute. Il capitano Olivieri portava come rinforzi nuclei di carabinieri e di guardie di finanza che, successivamente, parteciparono ai combattimenti”.
“Il gen. Gandin – informa il capitano Bronzini – inviò alcuni ufficiali del comando della divisione a perlustrare la zona dove era avvenuto lo sfacelo del primo battaglione del 317° fanteria. Essi dovevano raccogliere i dispersi e recuperare tutto il materiale possibile. In queste operazioni trovò la morte il tenente di fanteria di complemento Michele Stablum, il quale, riuscito a recuperare ed organizzare quasi un plotone, si scontrò con forze tedesche nei pressi del ponte Kimoniko. Cadde colpito al petto da raffica di mitragliatrice mentre incitava i soldati a resistere ed egli stesso si era messo ad un’arma in sostituzione di un servente ferito”.
La manovra tendente ad aggirare da nord le posizioni di Kardakata era dunque fallita.
Di conseguenza, per tutta la giornata, anche le operazioni sul fronte di Pharsa subirono una sosta.
“Nel pomeriggio – testimonia il capitano Bronzini – giunse la prima risposta del Comando Supremo ai nostri bollettini. Il gen. Ambrosio elogiava il contegno della divisione. Questo elogio venne integralmente trasmesso alle truppe con un adeguato commento del gen. Gandin. Intanto il generale continuava a chiedere al Comando Supremo l’intervento dell’aviazione e l’invio di munizioni già quasi esaurite, specie quelle per i mortai. In tre giorni di combattimento non ci era giunto alcun aiuto né rifornimento”.
Anche durante questo giorno, dall’alba al tramonto, si era protratta incessante l’azione degli Stukas su tutto lo schieramento.


lunedì 14 settembre 2015

Cefalonia: la giornata dei volantini tedeschi

18 SETTEMBRE


Alle quattro del mattino, i tedeschi che, come abbiamo detto, avevano riconquistato le posizioni di Kimoniko, avanzarono in direzione nord-est per attaccare i resti del primo battaglione del 317° schierati a sud di Divarata.
Il combattimento ebbe inizio alle ore 6 e si protrasse, sotto il bombardamento degli Stukas, fino alle 16.
Dice il capitano Apollonio: “i nostri subirono gravissime perdite. Assaliti da tutte le parti dai tedeschi, i fanti del primo battaglione contesero il terreno palmo palmo.
“Molti episodi fra quelli che mi sono stati segnalati, e che riesco oggi a ricordare, non devono essere dimenticati.
“Il sottotenente Marano, dopo aver occupato con immensi sacrifici una quota, nel disperato tentativo di mantenerla, rifiutava di arrendersi e cadeva insieme a tutti gli uomini del suo plotone.
“Fra i suoi gregari più valorosi, vanno ricordati il sergente Occhipinti, il sergente Belluca, il caporale Busin, il caporale Asta, il fante Sessa, il fante Sozzi.
“Si può senz’altro affermare che i fanti, pur di non mollare quelle posizioni, si tenevano aggrappati anche coi denti a quelle rocce nude e d ingrate.
“I miseri resti del battaglione furono respinti, nel pomeriggio, nelle case di Divarata.
“Ma anche qui il combattimento continuò accanito. Si distinsero il caporal maggiore Tortora ed il sergente maggiore Rocco Pentasuglia che combatterono corpo a corpo con elementi tedeschi infiltratesi nel paese.
“Il capitano Verro, comandante della batteria di accompagnamento, riunì tutti i superstiti, circa 25, del suo reparto e li trascinò verso il ponte do Kimoniko per recuperare i pezzi perduti nel combattimento del giorno precedente. Si infiltrarono, a colpi di bombe a mano, nelle file tedesche dove, circondati e assaliti da ogni parte, scomparvero.
“Il sottotenente Tummino veniva trovato morto sulla sua mitragliatrice.
“Morti pugnalati dai tedeschi venivano trovati il sottotenente Quattrone ed il sottotenente Boccacchi. Nei due giorni di combattimento, il primo battaglione del 317° fanteria e la batteria d’accompagnamento avevano perduto, morti sul campo, 13 ufficiali e 250 uomini: la metà circa degli effettivi, senza contare i feriti ed i dispersi”.
Mentre questi fatti si svolgevano fra il Kimoniko e Divarata, sul fronte di Pharsa, fin dalle ore 6, il secondo e il terzo battaglione del 317° fanteria continuavano gli attacchi contro la fascia delle posizioni tedesche che difendevano Kardakata.
Il terzo battaglione, scendendo dal M. Rizocuzolo, doveva agire sul fianco e sul tergo dello schieramento tedesco ed occupare il paese di Kuruklata.
Il secondo battaglione, con azione contemporanea, doveva agire frontalmente contro le posizioni tedesche a nord di Pharsa.
“Nelle prime ore del 18, - testimonia il capitano Apollonio – il terzo battaglione scese dai tre canaloni del Rizocuzolo puntando su Kuruklata.
“La località veniva in un primo tempo occupata: subito dopo però un forte contrattacco tedesco costrinse le nostre truppe ad abbandonare il paese.
“I nostri reparti di fanteria, chiusi nei canaloni, subirono un violentissimo fuoco di mortai che potè essere  fatto tacere solo con l’intervento di tutte le batterie del 33° artiglieria.
“Il battaglione, riorganizzatosi, tentava subito dopo un secondo attacco.
“I fanti, balzando di casa in casa, compivano veri miracoli di audacia. Ma anche questa volta il contrattacco tedesco, accompagnato da un gran numero di armi pesanti che spazzavano minutamente il terreno, li costrinse alla ritirata.
“Nel condurre all’assalto alla baionetta i suoi uomini, trovava morte da valoroso il sottotenente Cilecca.
“Il sottotenente Chirilli, mentre accerchiato si difendeva a bombe a mano, rimase gravemente ferito.
“Cadeva il sergente maggiore Moso, in testa a tutti, in un assalto alla baionetta.
“Il capitano Pantano lasciava il comando del battaglione e di spingeva nei posti più rischiosi per incitare i suoi soldati alla lotta.
“ Due fanti, Carli Giovanni e Barbaro Francesco, restarono per tutta la giornata soli nelle vicinanze di Kuruklata sparando sul nemico”.
Il secondo battaglione che attaccò le posizioni immediatamente a nord di Pharsa conseguì subito alcuni successi locali che costrinsero i tedeschi ad abbandonare le posizioni che ancora avevano dominio sul paese. Ma fu un  successo di importanza assai scarsa ai fini generali della lotta perché ogni ulteriore progresso fallì sotto il fuoco serrato della difesa nemica.
Anche l’artiglieria prodigò tutta se stessa. Gravi furono le perdite ad essa inflitte dalle pesanti bombe degli Stukas che tentavano di colpire i pezzi uno per uno: parecchi ne furono distrutti.
“Per avere un’idea delle proporzioni della lotta – dice il capitano Apollonio – basti dire che la mia batteria, nonostante che circa trenta Stukas dominassero completamente dal cielo, sparò, tra le 4 e le 11,30 del mattino, milletrecento colpi. Le altre batterie non furono da meno. Agli artiglieri e alla Marina il riconoscimento più manifesto fu tributato dal nemico, il quale, dopo la resa, per vendicarsi delle perdite subite, dava caccia accanita, per trucidarli, a quanti portavano il cappello alpino e l’uniforme del marinaio”.
Durante la giornata, a più riprese, gli Stukas lanciarono sulle nostre truppe migliaia e migliaia di manifestini a scopo intimidatorio.
Ecco il testo:
“Italiani di Cefalonia! Camerati ufficiali e soldati! Perché combattete contro i tedeschi? Voi siete stati traditi dai vostri capi. Volete tornare al vostro paese per stare vicini alle vostre donne, ai vostri bambini, alle vostre famiglie? Ebbene, la via più breve per raggiungere il vostro paese non è certo quella dei campi di concentramento inglesi. Conoscerete già le infami condizioni imposte al vostro paese con l’armistizio anglo-americano. Dopo avervi spinto al tradimento contro i compagni d’arme germanici, ora vi si vuole avvilire con un lavoro brutale e pesante nelle miniere dell’Inghilterra e dell’Australia che scarseggiano di mano d’opera. I vostri capi vi vogliono vendere agli inglesi. Non credete loro. Seguite l’esempio dei vostri camerati dislocati in Grecia, a Rodi, nelle altre isole, i quali hanno tutti deposto le armi e già rientrano in patria; come hanno deposto le armi le divisioni di Roma e delle altre località del vostro territorio nazionale. E voi invece, proprio ora che l’orizzonte della patria si delinea ai vostri occhi, volete proprio ora preferire morte e schiavitù inglese? Non costringete, no, non costringete gli Stukas germanici a seminare morte e distruzione! Deponete le armi! La via della Patria vi sarà aperta dai camerati tedeschi!
“Camerati dell’Armata Italiana!
“Col tradimento di Badoglio, l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista sono state vilmente abbandonate nella loro lotta fatale. La consegna delle armi in Grecia è terminata senza sparger sangue. Soltanto la divisione “Acqui”, al comando del gen. Gandin, partigiano di Badoglio, dislocata nelle isole di Cefalonia e Corfù, ed isolata colà dagli altri territori, ha respinto l’offerta di una consegna pacifica delle armi ed ha cominciato la lotta contro i tedeschi e fascisti. Questa lotta è assolutamente senza speranze. La Divisione, divisa in due parti, è circondata dal mare senza alcun rifornimento e senza possibilità d’aiuto da parte dei nostri nemici. Noi camerati tedeschi non vogliamo questa lotta. Vi invitiamo perciò a deporre le armi e ad affidarvi ai presidi tedeschi delle isole. Allora anche per voi, come per gli altri camerati italiani, sarà aperta la via della Patria. Se però sarà continuata l’attuale resistenza irragionevole, sarete schiacciati e annientati fra pochi giorni dalle forze preponderanti tedesche che stanno raccogliendosi. Chi verrà fatto prigioniero allora, non potrà più tornare in Patria. Perciò, camerati italiani, appena otterrete questo manifestino, passate subito ai tedeschi. È l’ultima possibilità di salvarvi! Il Generale Tedesco di Corpo d’Armata”.
“Tali manifestini, - dice il capitano Apollonio – lungi dall’indebolire, riaffermarono in tutti i soldati la volontà di combattere. Il fine era uno solo: caciare i tedeschi dall’isola. Ognuno era  pronto a sacrificarsi. Questa volontà divenne addirittura disperata dall’evidente significato di questa frase contenuta nel manifestino. “Se però sarà continuata l’attuale resistenza irragionevole, sarete schiacciati e annientati fra pochi giorni dalle forze preponderanti tedesche. Chi verrà fatto prigioniero allora, non potrà più tornare in Patria”.
“Per chi conosceva bene i tedeschi non esistevano più dubbi.
“Un testimone oculare ha narrato che il gen. Gandin, dopo aver letto il manifestino, si strappò dal petto il nastrino della croce di ferro tedesca e lo gettò sul tavolo. Ripetutamente fu inteso dire in quei giorni. Se perdiamo, ci fucileranno tutti. E questa era la convinzione generale. Eppure nessuno vacillò, nessuno esitò. Nonostante che questo manifestino potesse servire da lasciapassare, non un solo soldato abbandonò il suo posto di combattimento per afferrarsi all’ultima ancora di salvezza”.
Intanto continuava, fin dal mattino del 17, l’affluenza dei rinforzi tedeschi attraverso le baie di Vatza e di Kiriaki, rispettivamente a sud e a nord della penisola di Paliki.

“La nostra artiglieria – dice il capitano Bronzini – molesta più che può tali operazioni ma non riesce, nonché ad impedirle, nemmeno a  rallentarle. Occorreva l’aviazione, ma per quanto il gen. Gandin insistesse presso il Comando Supremo, nessun velivolo nostro si è fatto ancora vedere. L’artiglieria continuava ad effettuare tiri d’interdizione sulla rotabile Lixuri – Kardakata, dove il traffico nemico è divenuto più intenso”.

martedì 8 settembre 2015

8 settembre 1943: Per gli Italiani il Momento delle scelte


Alle 19,42 dell'8 settembre 1943, in un annuncio radiofonico il Capo del Governo marescaillo Badoglio, comunicava l'armistizio italiano con le potenze Alleate. Il testo era il seguente:

Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta.Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventualiattacchi da qualsiasi altra provenienza".

Un'ora prima, alle 18.30, dai microfoni di Radio Algeri il generale Dwight D. Eisenhower, l'aveva annunciato al mondo. Per gli Italiani iniziavano i "giorni delle scelte, ovvero quella crisi armistiziale ove ognuno dovette fare la sua scelta: chi restare fedele alla vecchia alleanza con il nazismo, chi reagire contro il vecchio alleato, chi darsi alla macchia, chi sopportare in mano altrui il resto della guerra restando fedele al giuramento prestato. Sono giorni terribili.come quelli della Divisione Acqui a Cefalonia, di cui stiamo pubblicando una ricostruzione del 1945, e come di tanti altri italiani in Italia ed all'estero.
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Intanto gli Alleati sbarcavano a Salerno, eludendo le difese italo-tedesche creando il massimo dell'incertezza e della confusione. Lo sbarco non fu un successo: ad un certo punto la reazione tedesca fu tale che il VI Corpo d'Armata USA stava per reimbarcarsi. La spinta supplettiva tedesca non ci fu e gli Alleati rimasero a terra. Iniziava un nuovo capitolo della Campagna d'Italia, che coicideva con l'inizio della guerra di Liberazione per noi Italiani

sabato 5 settembre 2015

Cefalonia: le due giornate terribili

19-20 SETTEMBRE

 Lo sviluppo cronologico delle operazioni svoltesi nei giorni precedenti presentava, il mattino del 19, il seguente quadro: completo successo italiano nella zona di Argostoli a seguito dei combattimenti del pomeriggio e di parte della notte del 15; stasi del giorno 16; fallimento, il giorno 17, dell’azione combinata fra il fronte del Kimoniko ed il fronte di Pharsa e contrattacco tedesco al primo battaglione del 317° fanteria che ripiegava su divarata; il giorno 18, continuazione della pressione tedesca sul fronte di Divarata ed attacco italiano, senza apprezzabili successi, sul fronte di Pharsa.
In conclusione, le azioni del 17 e del 18, imperniate sul concetto di raggiungere le posizioni di Kardakata con azione contemporanea da nord e da sud, si erano infrante per la reazione tedesca nella zona di Kimoniko e per la resistenza tedesca sul fronte di Pharsa.
Fra i principali motivi del fallimento di queste operazioni si possono annoverare: l’ininterrotta azione aerea tedesca sulle zone della battaglia alla quale si opponeva assai scarsa, e quasi nulla, la nostra azione contraerea; l’efficienza difensiva delle truppe tedesche determinata dalla larga disponibilità di armi pesanti e dall’affluenza immediata di truppe scelte di rinforzo; il ritardo di oltre quattro della disponibilità di automezzi per il trasporto del primo battaglione del 317° dalla zona di S.. eufemia al Kimoniko.
L’azione aerea ed il susseguirsi continuo dei combattimenti avevano prodotto come abbiamo visto, gravissime perdite, disarticolando la compagine sia dei reparti in linea, fanteria ed artiglieria, che dei servizi.
Agli effetti quindi dell’azione per la conquista di Kardakata si impose la sosta dei giorni 19 e 20 settembre, durante i quali fu ideato ed organizzato un nuovo piano.
 Intanto, nella notte sul 19, si effettuava l’azione intesa a catturare, a capo Munta, il presidio tedesco che, fornito di stazione radio, costituiva ottima fonte informativa per il nemico.
L’azione era affidata al maggiore Altavilla del 17° fanteria, il quale disponeva, per questa impresa, di un piccolo battaglione di formazione e dell’appoggio di due pezzi da 47/32 e due pezzi da 75/40.
“Nel pomeriggio del 18 – dice il capitano Bianchi – io, travestito da civile greco assieme ad un greco della zona, entrai nel caposaldo di Capo Munta quale venditore di frutta. Ebbi così modo di osservare le postazioni delle armi e la resistenza degli ostacoli.
“La sera alle ore 23,30 ebbe inizio la preparazione di artiglieria ed alle 24 passammo all’attacco.
“Il terreno era sfavorevole per l’attaccante perché pianeggiante e senza alcun riparo. Pur tuttavia ci portammo sotto al caposaldo assai velocemente e circa alle ore 3 giungemmo sotto i reticolati. L’effetto dei nostri mortai su questi era stato minimo e fummo quindi costretti a ricorrere alle pinze”.
“I tedeschi, - dice il capitano Apollonio – accortisi dei essere circondati, e fors’anche avuto sentore dell’incertezza che regnava fra i nostri cominciò a reagire con grande violenza, soprattutto servendosi di mitragliere da 20.
“Tuttavia le nostre compagnie, guidate da magnifici ufficiali, proseguivano nell’attacco con grande perseveranza.
“Si ripeterono qui scene di ammirevoli sacrifici ed alti ardimenti.
“Il tenente Morelli veniva colpito a morte mentre portava aiuto al capitano Balbi gravemente ferito.
“il tenete Crapanzano trovava la morte mentre era arrampicato, nel tentativo di scavalcarlo, su un muro del caposaldo tedesco.
“Ogni fante gareggiava in ardimento seguendo l’esempio degli ufficiali”.
“Alle ore 4 circa, - dice il capitano Bianchi, - parte del mio secondo plotone poteva penetrare nel caposaldo. Ma veniva immediatamente contrattaccato e costretto a ripiegare. Ma circa un’ora dopo tutta la mia compagnia penetrava nel caposaldo. Si combatteva tra urla e detonazioni, all’arma bianca ed a bombe a mano, con gravi perdite da ambo le parti. Ad un tratto una bomba da mortaio tedesco da 50 mi cadde vicinissima. Intesi una vampata alla faccia e caddi disteso a terra. Ero colpito alla gamba destra, al braccio destro ed alla testa”.
“Mentre sembrava di aver già in pugno la vittoria, - dice il capitano Apollonio, - giungevano improvvisamente gli Stukas che capovolgevano nettamente la situazione. Avventandosi a pochi metri dal suo, mitragliavano e spezzonavano palmo a palmo. I nostri fanti erano completamente allo scoperto. Si ripetè allora il solito spettacolo angoscioso: prima un po’ di scompiglio per cercare un riparo, poi, malgrado gli eroici tentativi di fermarla da parte di alcuni ufficiali, la fuga.
“L’azione finiva disastrosamente nel sangue.
“I patrioti greci, che dovevano partecipare all’azione, al momento buono si erano dileguati. Sotto Capo Munta perirono circa 150 uomini. I feriti rimasti sul terreno vennero fatti fucilare dal tenente tedesco Rademaker, al quale fu più tardi concessa la croce di ferro. Le salme non furono mai sepolte, ma fatte sparire con altri sistemi”.
Nelle prime ore del 19 partì per Brindisi, col sottotenente di vascello Di Rocco il motoscafo della Croce Rossa, con lo scopo di prospettare al Comando Supremo la situazione di Cefalonia e, soprattutto, di sollecitare l’intervento dell’aviazione. Ma l’esito della spedizione, superato dagli avvenimenti, fu nullo.
“Nella notte fra il 18 e il 19, - informa il capitano Bronzini – pervenne dal Comando Supremo un telegramma col quale venimmo informati che nella giornata del 18 duecento bombardieri americani avevano bombardato l’aeroporto di Araxos.
“La notizia, comunicata alle truppe il mattino del 19, sollevò l’animo dei soldati i quali erano depressi non solo per gli incessanti bombardamenti quanto anche, e soprattutto, per essersi visti privi di aiuti dall’Italia ed abbandonati nei momenti più duri della lotta.
“L’assenza della nostra aviazione e la mancanza di quegli aiuti dall’Italia sui quali, all’inizio della lotta, tutti avevamo riposto molta fiducia furono i fattori che, uniti a tutti gli altri, indebolirono lo spirito del nostro soldato.
“L’inferiorità nostra era ormai evidente.
“Il nemico dal cielo controlla ogni nostro movimento, lo disturba, addirittura lo impedisce.
“Il terreno che ci circonda è carsico, scoperto, visibile metro per metro,
“I nostri battaglioni di fanteria no dispongono, come non hanno mai disposto, di armi contraeree e sono costretti a subire passivamente l’azione aerea nemica”.
Siamo così al giorno 20, in cui non si verificarono avvenimenti di rilievo ma si concretò, come abbiamo accennato, l’organizzazione per le operazioni del giorno successivo.
Dopo l’esito dei combattimenti dei giorno precedenti, il gen. Gandin aveva avuto modo di constatare che la difesa tedesca attorno a Kardakata era divenuta assai solida e profonda.
Essa non era infatti imperniata solamente sulle posizioni di Kutsuli, a nord di Pharsa, ma si estendeva sui robusti bastione, di difficile accesso, rappresentati dalle propaggini sud-occidentali del M. Dafni.
In altri termini, lo schieramento difensivo tedesco, elastico e profondo assai più del previsto, poggiava su tre scaglioni, di cui più forte il secondo: posizioni di Kuruklata, posizioni delle pendici sud-occidentali del Dafni, posizioni di Kardakata.
Il gen. Gandin, pertanto, constatata l’impossibilità di ottenere risultati definitivi operando frontalmente o con manovra sui fianchi a limitato raggio, decise di eseguire una audace manovra di avvolgimento.
Il suo concetto operativo era il seguente: il primo battaglione del 17° fanteria doveva agire da perno continuando a tenere le posizioni a nord di Pharsa; il terzo barragliene del 317° fanteria doveva costituire l’ala avvolgente, puntando attraverso le pendici del Dafni, su Kardakata; il secondo battaglione del 317° - posto fra il primo ed il terzo – non appena si fosse accentuata l’azione avvolgente del terzo battaglione, doveva attaccare sulla fronte e sul fianco le posizioni tedesche di Kuruklata.
“La notte del 20 – dice il capitano Apollonio – il gen. Gandin si soffermava presso la compagnia del capitano Ciaiolo rivelando una grande serenità e fiducia. Parlando affabilmente, come il suo solito, con i soldati, li incitava a compiere ancora l’ultimo sacrificio che sarebbe poi stato remunerato dalla sicura vittoria dell’indomani. Curò personalmente la dislocazione di quattro mitragliatrici. Affermò che all’indomani sarebbero giunti cinque aerei italiani. Imbattutosi in un soldato dell’Italia meridionale, gli disse: scrivi subito che domani partirà posta per l’Italia”.