giovedì 14 novembre 2013
C.I.L. I Capi. Comandanti e Sottordini
Dopo l’8 settembre, il vertice politico vede, ancora, quale Capo del
Governo, il maresciallo Pietro Badoglio. Si avvicenderanno, invece, nella
carica di Ministro della Guerra, il generale Antonio Sorice (fino al 15
febbraio 1944), il generale Taddeo Orlando (fino al 17 giugno del 1944) e
l’onorevole Alessandro Cassati (fino al 20giugno 1945). Si avvertiva un “vuoto”
generale di tutela e di sicurezza, nonché di un totale disorientamento fra le
fila dell’esercito, ormai disintegrato sia sul piano organizzativo che morale
(comandanti e soldati erano in balìa di se stessi, e cercarono di rientrare
alle proprie famiglie).
Dai primi giorni successivi all’armistizio, pertanto, sia il Governo
sia i vertici militari italiani, cercarono di convincere gli Alleati
dell’opportunità di affiancare alle forze sbarcate in Italia i nuovi reparti
italiani in via di costituzione. Gli Alleati, infatti, nutrivano ancora
diffidenza e rancore verso gli ex nemici. Non erano pertanto, favorevoli alla
collaborazione con le forze militari italiane, per due ordini di ragioni: una
di natura politica, perché un’eventuale partecipazione militare sul campo di
battaglia avrebbe potuto dare adito a richieste di revisione e di
alleggerimento delle clausole stabilite dall’armistizio; l’altra di natura
pregiudiziale, legata strettamente alla riserva mentale sull’efficienza e
sull’affidabilità delle “nostre truppe” in guerra.Toccava perciò al soldato
italiano rimuovere quello scetticismo, affermare il suo effettivo impegno in battaglia,
e dimostrare di essere ancora in grado di battersi per un ideale.
L’invito fu infine raccolto e la prova del fuoco giunse poco dopo su
Monte Marrone. La sorpresa del Comando Alleato fu pari all’ammirazione.
Fioccarono gli elogi e fu il definitivo convincimento per ammettere gli
italiani al rango di “cobelligeranti”. Tale successo fu reso possibile anche
grazie al carisma di un comandante, il generale Umberto Utili. Egli fu
determinante per la riorganizzazione del I Raggruppamento, del quale assunse il
comando alla fine del gennaio 1944, ma, soprattutto, per la costituzione, nel
successivo mese di marzo, del Corpo Italiano di Liberazione.
Questo elaborato, che si pone l’obiettivo di “passare in rassegna” i capi militari italiani che si distinsero
nei momenti tormentosi conseguenti all’armistizio, non poteva, pertanto, che
riservare al generale Utili, una posizione di primissimo piano. Tale
considerazione non è frutto di patriottismo, ma delle eccellenti qualità umane
e professionali unanimemente riconosciutegli.
Come diceva di lui il generale Antonio Ricchezza, capo ufficio
operazioni del C.I.L. e suo stretto collaboratore: <<…Il generale
Utili, un uomo assolutamente invulnerabile alle atmosfere depresse, prese in
mano le truppe, si dette da fare perché ogni giorno ci fosse un po’più di luce
che nel precedente…era l’uomo più adatto a farlo in tutto l’Esercito italiano
di allora…>>. Utili era un uomo dalla tempra forte e dal carattere
non arrendevole, capace di trasmettere sentimenti alti ai suoi collaboratori.
Seppe infondere fiducia e galvanizzare tutti per la nuova impresa che avrebbe
onorato le armi italiane.
Il generale, nell’assumere il comando, si rivolse così ai suoi
commilitoni: <<…Sono fiero di essere stato destinato a comandarvi…voi
avete dato l’esempio generoso ed avete versato il vostro sangue, che è sempre
qualcosa di più prezioso delle chiacchiere…Ragazzi in piedi, perché questa è
l’Aurora di un giorno migliore…>>. Egli possedeva un intimo senso del
dovere e spiccava nel sapersi assumere le sue responsabilità. Erano innati in
lui i sani principi dell’onore militare, della disciplina e dello spirito di
sacrificio. <<Il generale Utili - come scriveva il generale Paolo
Berardi (Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ) - superava per intelligenza,
fantasia e volontà la media dei nostri generali. Sapeva di valere, era
ipercritico, si prendeva libertà molto spinte di apprezzamenti, e non era
“inferiore comodo…>>. L’espressione “eufemistica” del superiore
sottolinea l’abitudine del generale a rispondere in modo tranciante agli ordini
che non lo persuadevano. Direi che è raro imbattersi in una personalità con il
coraggio di dire la sua in un contesto molto poco libero, come quello
dell’epoca allo studio. Era un uomo che si reggeva da sé, che si faceva ben
volere dai dipendenti, che sapeva imporsi con dignità anche agli Alleati1. Monte Marrone, doveva essere l’emblema della
riscossa italiana.
Il generale Utili si avvalse di questo simbolo con la perspicacia e
l’intuito tipici dei grandi comandanti. Egli seppe attribuire un grande valore
morale a quel fatto d’arme, le cui truppe protagoniste, così valorosamente
distintesi, erano in parte ancora ai suoi ordini. Questo degno soldato italiano
aveva solo 48 anni, ma un’esperienza incomparabile in combattimento. Era,
infatti, insignito di tre medaglie d’argento al valore militare, guadagnate sui
fronti dell’Africa orientale, della Grecia e della Russia. L’atteggiamento di
“inferiore non di comodo” gli era praticamente costato la carriera: nel 1934
era stato espulso dallo Stato Maggiore, per certe sue critiche sull’avanzamento
degli ufficiali.
Questo era Utili: uomo e generale, che per quanto autonomo ed
imprevedibile, sentì sempre sul collo le ultime parole rivolte dal Capo di
Stato Maggiore Generale Messe ai soldati italiani: <<…Vi affido ad un
uomo che sarà avaro del vostro sangue; certo lo spenderà quando sarà
necessario, ma mai invano e mai leggermente…>>.
Non meno prezioso, nella “Guerra di Liberazione”, fu il contributo
fornito dal Battaglione “Piemonte” degli alpini, al comando del maggiore
Alberto Briatore, il quale condusse con lucida strategia, fermezza e
determinazione i suoi uomini alla vittoria. Grazie alla sua consumata
esperienza di comando, aveva letteralmente rovesciato la situazione materiale e
morale del “Piemonte”, portandolo ad un’impresa di guerra di montagna di
assoluto valore. Mostrò così palese a tutti (Alleati compresi), la preparazione
ed il vigore d’esecuzione del suo reparto in battaglia. Briatore sapeva
esaltare il comportamento dei suoi uomini.
Mi piace ricordare, in questo contesto, il memorabile, vibrante elogio,
segnalato con un ordine del giorno, inviato all’indomani della battaglia di
Monte Marrone : <<…Infliggendo all’orgoglioso nemico una lezione
durissima…non vi siete lasciati fiaccare dall’eccezionale sforzo fisico dei
trasporti a spalla sul lungo e penoso percorso…ma avete organizzato e vigilato
la posizione…>>.
La gloria ed il valore non mancarono neanche a Filottrano, dove il 183°
Reggimento paracadutisti, articolato su
due battaglioni, il XV e il XVI , segnò
un’altra epica pagina contro l’occupazione nazista.
L’azione confermò pienamente l’indiscusso valore e la netta ripresa
dei combattenti italiani, esaltando
l’eroico comportamento dei paracadutisti, i cui risultati andarono al di là di
qualsiasi aspettativa. Al comando del colonnello Giuseppe Quaroni, indiscusso leader
carismatico, i parà inflissero al nemico, impaurito e sorpreso dall’inaspettata
“apparizione”, perdite gravissime.
Attento non solo alla
preparazione ed alla formazione militare dei suoi “ragazzi”, ai quali era
portato a rivolgersi con parole che scaldavano il cuore prima che la mente, il
colonnello Quaroni seppe trasmettere a ciascuno il proprio coraggio ed il suo
spirito garibaldino, con lo slancio e la tenacia che ne caratterizzavano
la forte personalità. Il suo Reparto,
come tipico della tradizione alpina, seppe immedesimarsi alla personalità
trainante del suo comandante, mostrando ancora quel valore che ha sempre
distinto le nostre truppe di montagna, uomini abituati ad agire in condizioni
estreme (in questo caso non solo per l’ambiente).
Questi comandanti, insieme ai soldati di ogni grado, che hanno
sacrificato e rischiato la loro vita nella “Guerra di Liberazione”, ci hanno
restituito “l’Aurora”, il nostro giorno migliore, donando al nostro Paese la
dignità degli uomini liberi, quella libertà di cui , tutti noi godiamo da più
di sessant’anni.
Per i comandanti di oggi, questi Ufficiali sono degli esempi di
comportamento. Soldati che hanno saputo essere d’esempio in un clima di
assoluto abbandono e di crollo improvviso dei valori nei quali si era creduto
per lustri. Lo spirito d’iniziativa ed il coraggio sono caratteristiche
necessarie dei militari.
Io ritengo che gli Uomini di cui ho parlato abbiano interpretato il
loro dovere con dignità e valore. Quel dovere di fedeltà non alle Istituzioni
formali, che non avevano retto all’urto dei tempi, ma a quel Popolo di cui
erano figli, a quegli Italiani di cui sono giustamente divenuti un modello,
nello spirito dell’Italia risorta.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento