venerdì 31 dicembre 2021
lunedì 20 dicembre 2021
venerdì 10 dicembre 2021
Il Fronte dell'Internamento: i dati quantitativi
Secondo studi
recenti[1]
l'Italia schierava, alla data dell'armistizio oltre 1 milione e mezzo di uomini; complessivamente
ne sono stati disarmati 1006730, mentre i rimanenti 493.000 sono riuscite a
sfuggire alla cattura tedesca, o a raggiungere la montagna, o le proprie case
oppure, se all'estero, i movimenti di resistenza già attivi contro la coalizione
antihitleriana.
Secondo le stesse fonti i
10076780 militari italiani catturati dai tedesci, sono stati presi dai seguenti
reparti germanici: Comando gruppo Armate B, Rommel, in Italia, 415.682, Comando
19° Armata, in Francia, 58722, Comando
Sud Italia, Kesserling, 102.342, Comdando gruppo Armate Est, Grecia ed Egeo,
265.000 e Comando 2a Armata Corazzata,
Balcani, 164.986.
La stessa fonte
offre il seguente quadro generale di situazione sui militari italiaani
internati in Geermania:
-
militari italiani alle armi, oltre 1.500.000
-
militari italiani sfuggiti alla cattura, 493.000
-
militari italiani catturati, 1006.780
-
militari italia sfuggiti ai tedeschi dopo la cattura, 190.000
-
militari italiani internati, 725.000
-
militari italiani che hanno aderito alla RSI dopo l'ingresso nei lager,
114.500
-
militari italianiconsiderati prigionieri ed inviatial fronte dell'est
come ausiliari, 12000
-
militari italiani internati nei lagr del III Reich e territori
occupato, 598.000
Da questo riepilogo emerge
che il 19% ( 190.000) del totale di 1.006730 militari disarmati sono sfuggiti
ai tedeschi o col loro consenso o per abilità personale, mentre circa il 20%
hanno collaborato con i tedeschi sia la momento del disarmo (90.000) sia con le
successive adesioni dall'ottobre 1943 al gennaio 1944 (114.500), cifra che
rappresenta il 16% degli italiani internati nei campi di concentramento (725.000).
I dati che sono stati
riuportati presentano discrepanze dell'ordine dell1% e quindi dovrebbero
corrispondere o essere quanto meno piuttosto vicine alla relatà storica.
[1] Schreiber G., I Militari Italiani Internati nei campi di
concentramento del Terzo Reich 1943 -1945, Ministero della Difesa, Stato
Maggiore dell'esercito, ufficio Storico, Roma, 1992
martedì 30 novembre 2021
sabato 20 novembre 2021
mercoledì 10 novembre 2021
Ricerche sulla Brennero
Generale
Coltrinari buonasera
domani è il
mio compleanno, compio sessant’anni, e lei puoi farmi un regalo gradito.
Sono figlio
di un militare appartenente alla 4a compagnia –
IV Battaglione Mitraglieri – 232° Reggimento - Divisione
Brennero. Credo avrà già compreso che sto ricercando notizie che commemorino
mio padre, che fortunatamente è ritornato dalla guerra, ma poco ha raccontato
della sua odissea ed è poi morto, quando non avevo ancora dieci anni.
Ho letto su
internet delle vicende da lei raccontate occorse alla divisione dopo l’8
settembre 1943 dove sostanzialmente afferma che tale unità è forse l’unica che
“rientrò in Italia nel settembre 1943, in modo organico, dai Balcani”.
Su “11ª
Divisione fanteria "Brennero" - Wikipedia “ leggo inoltre
“Nel febbraio
del 1943 la divisione, alle dipendenze del IV Corpo della 9ª Armata, viene
ritrasferita in Albania, presso Durazzo, dove muta nuovamente organico….
Consegnate le armi ai tedeschi, i suoi uomini riescono a reimbarcarsi per
l'Italia, tranne il III Battaglione/231º Reggimento fanteria di
stanza a
Porto Edda che si imbarca per Corfù, dove seguirà le sorti di quel presidio, ed
il I Btg /231º Regg. (insieme ad altri elementi isolati della divisione) che si
unisce ai partigiani albanesi.”
Ora mio
padre, plausibilmente a Durazzo (PM49) dopo essere stato di presidio nell’isola
di Zante per sedici mesi come da testimonianze di commilitoni, non era un
persona che prendeva facilmente ed in modo autonomo decisioni di abbandonare il
reparto, ritengo abbia seguito altri compagni. Dai pochi racconti che ha fatto
a mia madre è stato sicuramente preso prigioniero dai tedeschi ma poi, dopo
vari trasferimenti, si troverà a vivere alla macchia per altri 37 mesi sulle
montagne albanesi.
Le chiedo
per quanto è a sua conoscenza se conosce altri reparti organici della divisione
che abbiano seguito i partigiani e soprattutto se abbia conoscenza specifica
del IV Battaglione Mitraglieri, che sembra “figlio di nessuno” in quanto solo
all’inizio del ’43 ritornava in subordine al 232° reggimento.
A tal
proposito allego un organigramma che ho ricostruito su qualche documentazione
in possesso di mamma, se le può essere di aiuto.
Le sarò
infinitamente grato per gli aiuti che si sentirà e potrà darmi e
nel
ringraziarla ancora in fiducia le porgo i miei più cordiali saluti.
Graziano
Olivetto
domenica 31 ottobre 2021
Seconda Guerra Mondiale. Le Grandi Battaglie
La battaglia di Iwo Jima
di Anastasia Latini
Mentre in Europa l’inizio
del 1945 segnava il tramonto del Terzo Reich, la battaglia ancora infuriava
nell’Oceano Pacifico e gli
Stati Uniti stentavano a piegare la resistenza giapponese.
Una battaglia che per molti aspetti segnò il passo fu quella combattuta sull’isola di Iwo Jima, il cui esito fu immortalato dalla celebre
foto Raising the Flag on Iwo Jima scattata da Joe Rosenthal che gli
valse il Premio Pulitzer e che divenne una delle immagini più rappresentative della seconda
guerra mondiale.
Iwo Jima è un’isola appartenente all’arcipelago Volcano, all’epoca abitata da circa 1.200
persone, tutte evacuate per renderla una roccaforte della difesa giapponese
dopo l’arretramento del
fronte, dovuto alla pressione degli americani sugli arcipelaghi occupati.
Iwo Jima era un obiettivo strategico fondamentale per gli Stati
Uniti che si preparavano ad un’invasione
del territorio nazionale giapponese: l’isola
faceva parte della sottoprefettura di Ogasawara che a sua volta era parte dell’amministrazione metropolitana
di Tokyo, e la sua occupazione avrebbe procurato uno shock psicologico notevole
ai giapponesi.
Altre motivazioni risiedevano nella sua posizione: era ad una
distanza dalla capitale che permetteva di inviarvi gli aerei bombardieri B-29
con la scorta dei caccia North American P-51 Mustang, una scelta
necessaria visto che questi ultimi avevano bisogno di una base di
rifornimento in prossimità dell’obiettivo da raggiungere, e facendone a meno i caccia giapponesi
a difesa del territorio nipponico avrebbero costretto i Superfortess a
volare a quote molto elevate, rendendo impreciso il bombardamento.
Il problema del rifornimento è stato centrale nella scelta di occupare Iwo Jima, che
poteva diventare una base intermedia perfetta per il rifornimento dei B-59 di
stanza nelle isole Marianne, così
che fossero in grado di caricare più del doppio delle bombe, alleggeriti da meno carburante e
che in caso fossero stati colpiti potevano atterrarvi senza dover attraversare
un tratto consistente di oceano.
I giapponesi avevano dotato infine l’isola di due aeroporti, Motoyama 1 e 2, mentre un
terzo era in costruzione e venne in seguito completato proprio dalle forze
statunitensi che così potevano
contare di un’isola fortificata
e dotata di uno snodo aereo in pieno territorio nemico.
Nel giugno del 1944 la difesa di Iwo Jima veniva affidata al
generale Tadamichi Kuribayashi che doveva prepararsi a difenderla senza la
possibilità di ricevere
rinforzi in caso di attacco.
Da circa 5.000 uomini si arrivò ad una guarnigione di 22.000 soldati, supportati da un
consistente numero di cannoni antiaerei e anticarro, carri armati 97/Chi Ha e
95/Ha Go e mortai di ogni tipo.
Il vero capolavoro della difesa dell’isola tuttavia era la rete di tunnel e postazioni
sotterranee che il generale Kuribayashi fece costruire: 18 km di gallerie rese
possibili dalla conformazione vulcanica del terreno, che ne rese d’altro canto difficoltosa la
costruzione a causa dei vapori sulfurei che si sprigionavano durante gli scavi.
La struttura sotterranea collegava bunker, casematte, trincee
coperte e artiglierie, il tutto protetto da cemento armato e porte blindate e
reso pressoché invisibile
alle forze di invasione.
Questo fu il motivo che spinse i giapponesi a difesa dell’isola a non contrattaccare al
consueto bombardamento che precedeva lo sbarco, cosicché le postazioni degli artiglieri rimanessero celate fino all’inizio della battaglia.
L’esercito
nipponico poteva contare sulla preparazione e la superiorità strategica contro un nemico
che aveva dalla sua possibilità di
rifornimento quasi infinite e un maggior numero di uomini e mezzi da usare per
la conquista dell’avamposto.
Kuribayashi sfruttò
le ridotte dimensioni dell’isola,
che ha un’area di 20 km², una lunghezza di 8 km e una
larghezza di soli 730 m, predisponendo la divisione in tre settori di difesa: l’estremità meridionale in cui si trova il monte Suribachi, dotato di
postazioni fortificate, collegato alla parte settentrionale da uno stretto
istmo affidato alla fanteria, e infine le colline al centro e al nord dove si
concentrava il maggior numero di soldati, chiamato Meat Grinder (tritacarne).
La battaglia come previsto venne anticipata da un violento
bombardamento americano iniziato l’8
dicembre 1944 che proseguì in
crescendo fino al giorno dello sbarco, procurando comunque pochi danni all’organizzata rete di protezione
giapponese benché sia
stato il più intenso e
lungo operato dalla U.S. Navy in tutta la guerra.
Il piano difensivo di Kuribayashi prevedeva di iniziare l’azione contro gli invasori non
sulla spiaggia, ma lungo l’area
dove si trovavano le principali opere di difesa, carri armati, casematte e
postazioni di artiglieria.
Il 19 febbraio i marines della IV e V Divisione (con la
III nelle retrovie) sbarcarono sull’isola,
preceduti da intensi bombardamenti di sei corazzate e cinque incrociatori della
Marina e 120 aerei Vought e Curtiss, che disseminarono l’isola di bombe per ore prima che venisse dato il via libera
alle truppe di terra.
Un errore dei giapponesi fu nella tempistica, infatti si diede
il tempo ai marines di portare sull’isola tutto il necessario per costruire una testa di ponte
in grado di assicurare il rifornimento di uomini e mezzi; nonostante la
perfetta coordinazione del fuoco incrociato giapponese, sarebbe stato
impossibile cacciare indietro gli americani.
Il 23 febbraio il monte Suribachi e l’aeroporto Motoyama 1 erano caduti, grazie all’uso dei lanciafiamme e dei
carri armati Sherman dotati di questa arma che neutralizzò gli attacchi delle artiglierie
sotterranee dei giapponesi, provati già
da pesanti perdite dei primi giorni della battaglia.
Dal quinto giorno l’offensiva
statunitense si concentrò nella
zona centrale, la cosiddetta Meat Grinder, una delle maggiormente difese
e che non si prestavano ad un uso efficiente dei carri dato il terreno
roccioso.
Dopo un avanzamento a colpi di bombe a mano e lanciafiamme per
contrastare gli attacchi dalla rete sotterranea giapponese, i difensori uscirono
allo scoperto lanciandosi in un corpo a corpo tra i più sanguinosi del conflitto che si prolungò fino al 10 marzo.
Costretti a ripiegare lungo la costa nord-orientale, i
giapponesi sferrarono un attacco kamikaze a discapito del parere contrario del
generale Kuribayashi, che causò ulteriori
perdite alle poche forze nipponiche rimaste, le quali si disgregarono
definitivamente nell’ultima
fase della battaglia.
Il 26 marzo le truppe giapponesi avevano capitolato e
Kuribayashi era morto insieme alla maggior parte dei suoi soldati, su circa
22.000 uomini posti a difesa di Iwo Jima i morti erano superiori ai 18.000,
mentre dalla parte statunitense si attestavano intorno ai 6.000, più l’affondamento della portaerei Bismarck Sea ad opera di
un attacco kamikaze.
L’Operation
Detachment (Operazione Distacco) era durata 35 giorni, impegnando 70.000
soldati americani di cui 30.000 sul campo di battaglia, in uno scontro frontale
senza tregua tipico più del
primo conflitto mondiale che del secondo.
mercoledì 20 ottobre 2021
Le operazioni alleate nel giugno 1944
.
Il 7 giugno 1944 il
Maresciallo Alexander diramò un piano operativo che doveva accelerare
l’inseguimento delle forze tedesche in ritirata verso nord. Unità della VIII
Armata britannica dovevano raggiungere la zona di Firenze-Bibiena-Arezzo,
utilizzando le direttrici rappresentate dalle strade statali n. 3 e n. 4. Unità
della V Armata statunitense dovevano raggiungere
Fino al 15 giugno 1944
l’avanzata alleata fu veloce e promettente, poi la resistenza tedesca si
irrigidì sempre più. Il 20 giugno le due Armate alleate erano di fronte alla
principale linea di resistenza tedesca, la linea del Trasimeno, che nelle
intenzioni germaniche doveva proteggere i porti di Ancona e di Livorno e
fungere da antemurale alla linea posta sui crinali degli Appennini, che poi
diverrà famosa con il nome di “Linea dei Goti” o “Linea Gotica”. Mentre queste
operazioni erano in atto sul terreno, fra gli Stati Maggiori Statunitense e
Britannico iniziò il dibattito su che cosa fare nell’immediato futuro,
dibattito che vale la pena di vedere più da vicino in quanto direttamente
incidente sulle vicende del Corpo Italiano di Liberazione e la sua azione nelle
Marche.
domenica 10 ottobre 2021
Gli Alleati e la popolazione italiana
La popolazione italiana ha sempre accolto, dal settembre
1943 alla fine della guerra, le truppe alleate, a prescindere dalla loro
appartenenza, con ammirazione ed entusiasmo, vedendo il loro arrivo come la
fine di un incubo e l’inizio di un periodo di vita materiale e morale,
migliore.
La convinzione di tutti
gli Italiani, a quel tempo, era che la alleanza delle Nazioni Uniti, gli
Alleati come venivano chiamati, era
solida, granitica, potente, invincibile.
In realtà, al vertice
della organizzazione militare alleata, sul piano strategico, dalla fine della
conquista della Sicilia e per tutta la durata della Campagna d’Italia,
esistettero tra Statunitensi e Britannici profonde divergenze in tema
strategico, ovvero come condurre la guerra in Europa e, conseguentemente , in
Italia.
Queste divergenze
portarono a dolorose e significative sconfitte sul piano strettamente tattico,
come l’arresto della offensiva sul Sangro, le prime tre battaglie per Cassino,
e lo sbarco sul litoraneo pontino, solo per citare quelle dell’autunno 1943 –
primavera 1944.[1]
Nel maggio-giugno 1944,
superato l’ostacolo di Cassino e conquistata Roma, mentre le truppe alleate
sbarcavano in Normandia, le divergenze strategiche in Italia fra Statunitensi e
Britannici, molto gravi fino a quel momento, raggiunsero il massimo. Il pomo
della discordia consisteva nella attuazione, o meno, della operazione “Anvil”,
ovvero lo sbarco nel sud della Francia, in sostegno e supporto a quello che era
già stato effettuato con successo in Normandia. Per “Anvil” i quesiti a cui si
doveva rispondere erano: deciso lo
sbarco, quante forze vi si dovevano impiegare? Da dove si dovevano prendere
queste forze? Chi avrebbe alimentato le successive operazioni di penetrazione
in profondità? La risposta a questi interrogativi non facevano che acuire i
contrasti fra i due Stati Maggiori, contrasti che erano la diretta conseguenza
delle differenti vedute strategiche tra gli
Alleati.
Gli Statunitensi, un
volta che l’Italia era stata sconfitta e costretta ad uscire dalla guerra,
settembre 1943, e resisi gli Alleati padroni delle rotte del Mediterraneo, non
ritenevano utile impegnare ulteriori forze nel scacchiere italiano. Essi
rimanevano, in tema di strategia, fermi alla loro convinzione che, per
conseguire la vittoria finale, ci si doveva concentrare sull’obiettivo
principale, perseguirlo con il massimo della concentrazione degli sforzi nel
momento e nel punto decisivo, limitando al massimo, se non per operazioni
diversive, di inganno e sussidiarie, ogni operazione su obiettivi collaterali.
Questa strategia era direttamente discendente dalla loro politica che voleva
essere distante da quello che loro consideravano antiquati poteri politici
europei e vedevano con diffidenza e circospezione il colonialismo britannico in
tutte le sue forme. In più non volevano essere coinvolti in operazioni nel
centro Europa né tantomeno nell’Europa Orientale, impegno che consideravano
solo un sperpero di risorse e di vite umane. Il loro desiderio era quello di
terminare il più velocemente possibile la guerra in Europa e concentrarsi
totalmente contro il Giappone.
I Britannici, di contro,
adottavano anche in questa guerra la loro tradizionale strategia indiretta e
pragmatica, ovvero, per le operazioni terrestri, la strategia del Debole verso
il Forte. Era una strategia che aveva dato, al momento in cui
Con l’uscita dell’Italia
dalla guerra, e severamente impegnata dalla Unione Sovietica, la Germania stava
iniziando a cedere; basta attendere il momento opportuno e la vittoria sarebbe
stata conseguita. Non erano necessari sbarchi in Francia: tutte le forze
dovevano essere tenute in Italia, da cui, crollata la Germania, sarebbero state
indirizzate su Vienna ed il centro Europa a fermare e contrastare l’avanzata
sovietica.
Lo scontro tra queste
due opposte visioni strategiche era costante. Nel giugno 1944, quando
conquistata e superata Roma, e le truppe Alleate entravano nelle Marche, si
avvicinava sempre più il momento di decidere. I termini del problema
strategico-operativo erano chiari: o proseguire speditamente verso Nord e,
superati gli Appennini, arrivare alle Alpi, avendo conquistato
[1] Questi temi sono stati dibattuti al
convegno “Gli Alleati da Salerno ad Anzio” tenutosi il 24 gennaio 2004 alla
sala delle Conchiglie di Villa Adele ad Anzio organizzato dalla Associazione
Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento e dalla Guerra di
Liberazione (A.N.R.P., coordinato e presieduto dal Prof. Enzo Orlanducci.)
[2] In campo marittimo
[3] Il famoso e quanto mai discutibile
messaggio del Comandante in Capo del XV Gruppo di Armate in Italia, Maresciallo
Alexander al movimento di Resistenza nel Nord Italia nell’autunno 1944 con il
quale si invitavano i “Partigiani”alla stasi invernale, ovvero a deporre le
armi e ritornare a casa, ha le sue lontani e chiare origini da queste discussioni.
giovedì 30 settembre 2021
52°Reggimento Fanteria Garibaldi.
Si riporta la Post fazione al Volume di Mario di Spirito dedicato al 52° Reggimento Fanteria "Garibaldi"
Postfazione
Stampare un volume scritto ed
edito negli anni trenta del secolo scorso, in un clima totalmente diverso da
quello di oggi può sembrare una attività inutile e nostalgica. In realtà
riportare alla luce e presentare ai Soci dell’UNUCI e a quanti hanno interesse
a questi argomenti può essere utile per comprendere lo spirito e il senso di
identità che sono una struttura portante della architettura della nostra
Nazione.
Il Reggimento “Obbedisco” era
una entità anche nel 1934 al di sopra di tutto e di tutti. Ho sentito mille
volte racconti come quello dell’amico Montagano, che finirà in un campo di
concentramento tedesco, in un KZ quelli peggiori di tutti per la sua avversione
al fascismo ed al nazismo, essere orgoglioso di portare quella cravatta rossa
segno di italianità in un panorama fosco e nero. Come quello offerto dal regime
mussoliniano.
Richiamare alla attenzione
quei momenti significa anche viverli e partecipare a quella operazione di
conoscenza della memoria che è uno degli scopi statuari dell’UNUCI, Unione Nazionale
Ufficiali di Complemento in Congedo. Non solo storia risorgimentale, in cui il
52° Reggimento affonda le sue radici di tradizione storica, ma anche storia del
novecento, in cui la tradizione garibaldina ha avuto un suo sviluppo ed un suo
rinnovarsi.
La partecipazione alla Prima
Guerra Mondiale, di cui in questi mesi si sta celebrando la data anniversaria
intesa come momento di unione, di identità e di partecipazione collettiva, è
una tappa fondamentale di questa tradizione. Aver deciso di accorre nel 1914,
in Francia, per combattere il tedesco, con la Legione Garibaldina nel solco
dell’interventismo, è stato un segno eclatante per influire nella scelta da che
parte l’Italia doveva stare. L’Italia del primo novecento era incapsulata nella
Triplice Alleanza ed appariva sempre più evidente che questa alleanza poteva
essere accettata come strumento di equilibrio europeo. Quando Germania ed
Austria oltrepassarono questo limite e vogliono ricorrere, in una visione
prettamente ottocentesca dell’uso della guerra, l’Italia è chiamata a
scegliere.
Germania ed Austria sono
convinte, nel 1914, di vincere la guerra, supponendo che la Gran Bretagna
rimanga neutrale; e sono convinte di riuscire a sconfiggere la Francia, prima,
la Russia, poi, fidandosi ciecamente nella forza dei loro eserciti. L’Austria è
convinta di avere ragione della Serbia in poche settimane. Troppo convinte della
loro superiorità pensano di non avere bisogno dell’Italia e volutamente la
vogliono lasciare fuori per non dividere con lei le conquiste territoriali che
sono date per scontate.
Qui finisce nella sostanza la
Triplice Alleanza. L’Italia non deve partecipare alla costruzione del nuovo
ordine europeo scaturito dalla guerra. La Triplice Alleanza aveva terminato il
suo compito: fin quando è una alleanza per mantenere gli equilibri europei va
bene; quando questi equilibri devono essere alterati a favore di Germania ed
Austria, l’Italia è messa da parte.
Mascheravano Germania ed
Austria questa loro scelta con le solite parole di propaganda: parlarono di
“tradimento” dell’Italia con cui marcarono di tradimento il nostro Paese al
momento della dichiarazione di neutralità.
Davanti a tutto questo, al
fallimento della politica della Triplice, di cui il capofila era il Marchese di
San Giuliano, ministro degli Esteri, non vi era che la strada
dell’Interventismo, della partecipazione alla guerra per avere quei vantaggi
territoriali che mettesse in sicurezza il confine orientale, con la
acquisizione di Trieste, concludendo il processo unitario Italiano.
In questo contesto lo spirito
garibaldino fu essenziale. . L’esempio
ed il significato storico del 52° Reggimento fanteria “Obbedisco”, è
eclatante.
In questa chiave la ristampa
del volume, il voler aver dato spazio a nomi e cognomi di chi fu partecipe e
protagonista, che è forse il segmento più importante del volume, rappresenta un
omaggio ed un dovuto ricordo a chi fecero, con il loro dovere, l’Italia, prima
come Stato, poi come Nazione.
Massimo Coltrinari
domenica 19 settembre 2021
Rivista QUADERNI n. 2 del 2021 Aprile - Giugno 2021
Nota redazionale
Come noto, questa rivista,
espressione del sostegno ai master di primo livello attivati, per l’area forze
armate, presso la Università degli Studi N. Cusano Telematica Roma, sui temi di
storia militare e politica militare, è articolata, conseguentemente, su due
versanti, il primo dedicato alla storia ed il secondo dedicato alla geografia,
e, per estensione alla geografia politica economica e quindi alla geopolitica.
Questo numero, per la parte di
storia, ospita contributi relativi alla data centenaria della traslazione del
Milite Ignoto, sulla scia dei contributi pubblicati nei numeri precedenti. Da
sottolineare la pubblicazione integrale del Calendario Azzurro del 2021
dedicato al Milite Ignoto, sintesi felice ed eccellente predisposta da Antonio
Daniele. Seguono gli articoli di tre laureati al Master di Storia Militare,
uno, di Augusto Angelini (epoca napoleonica) sulla ricostruzione della
battaglia di Salamanca, l’altro di Sotorios E. Drokalos (seconda guerra
mondiale) che ci dà la versione greca della nostra aggressione al suo paese nel
1940. Infine il terzo contributo di Romano Olevano dedicato ad un tema, il
soldati del primo tricolore che la copertina del numero passato aveva
preannunciato come tema di trattazione.
Per la parte geografica
l’articolo Valentina Trogu che tratta del rapporto tra la sociologia e scienze
strategiche, è rinviato al numero 4 del 2021 per ragioni di spazio, mentre in
geopolitica delle prossime sfide si tratta dell’impatto del Governo Draghi nei
rapporti internazionali dell’Italia. In Scenari una breve scheda della
influenza che ancora oggi hanno i principi e dogmi dell’Impero romano e della
sua eredità.
Nelle rubriche, quelle relative
al CESVAM si riportano alcune peculiari attività del Centro, con la
pubblicazione dei Bandi relativi alle due nuove iniziative, ovvero
l’attivazione del Master dedicato al Terrorismo e all’Antiterrorismo
Internazionale, e al Corso di Aggiornamento e Specializzazione sempre sullo
stesso argomento riservato anche ai diplomati, mentre gli Indici della rivista
QUADERNI ON LINE si riferiscono al I trimestre del 2021 Ulteriori notizie sulla
attività del CESVA sono possibili trovarle sulla home page della piattaforma
www.cesvam.org alla rubrica “Eventi” ed alla rubrica “Notizia CESVAM”, La
rubrica di chiusura riporta la iconografia della Brigata “Caltanisetta”, della
prima guerra mondiale, come tradizione di questa rivista.
Da ultimo, l’editoriale del
Presidente Nazionale ed il Post editoriale del Direttore del Periodico anche
per questo numero sono intonati al tema della celebrazione del Milite Ignoto,
nel solco delle scelte sopra dette, e dei contenuti evidenziati nella
pubblicazione consorella.
(massimo coltrinari)
Il prossimo numero 3 del 2021,
20° della Serie, sarà dedicato, come continuazione del n. 3 del 2019, 16° della
Serie, al CESVAM Report. Settembre 2019- Agosto 2021 ove si illustreranno le
attività e le realizzazioni dell’ultimo biennio. (massimo Coltrinari)
In I di Copertina: Il Milite Ignoto Cerimonia del 4 Novembre 1921
all’Altare della Patria.
Il presente numero è stato chiuso
in tipografia il 30 giugno 2021
mercoledì 8 settembre 2021
martedì 31 agosto 2021
Il Servizio Informazioni Militari nella Guerra di LIberazione.
Il Regio Esercito, nella sua ricostruzione
dopo gli avvenimenti armistiziali a Brindisi riorganizzò tutto il suo vertice.
Non poteva non ricostruire quello che fu una delle branche più efficienti di
tutta la seconda guerra mondiale, il S.I.M., il Servizio Informazioni Militare.
Nella nuova organizzazione a Brindisi il S.I.M. ebbe cinque sezioni,
denominate, “Calderini” per le operazioni offensive o spionaggio; “Bonsignore”,
per le operazioni difensive, o controspionaggio; situazione operativa;
organizzativa; tecnica. Ognuna di queste sezioni operò con i corrispondenti
organi sia britannici che statunitensi. Una delle attività iniziali fu quella
di prendere contatto con le bande che si andavano a formare dietro le linee
tedesche, nel centro nord dell’Italia. La “Calderini”, preso contatto con la
Special Force N. 1 britannica, iniziò ad operare impiantando reti informative
nel nord Italia ed attivare atti di sabotaggio mirati. Con i britannici le
azioni furono: missioni di collegamento ed operative, missioni speciali,
missioni di istruttori per il sabotaggio, predisposizione di campi per
aviolanci, punti di sbarco, rifornimenti, finanziamento delle bande,
propaganda. In totale le missioni di collegamento ed operative all’inizio tutte
composte da personale italiano, poi da personale misto, furono 96 di cui 48
italiane 23 inglesi con l’impiego di 282 uomini, di cui 163 italiani e 119
britannici
Le
missioni speciali furono quattro con l’impiego di 152 uomini, con aviolancio
alla cieca. Vennero poi creati 498 campi per ricezioni di materiale, che
dall’ottobre 1944 anche di armi pesanti.
Il S.I.M. organizzò il 1° Reparto speciale
autonomo con elementi tratti dalla divisone Nembo in seguito chiamo Squadrone
F,( con un allusione mal celata alla “Folgore”) o in terminologia alleata F.
Recce. Il reparto però in varie missioni fino alla nota operazione “Herring”
durante l’offensiva finale.
venerdì 20 agosto 2021
Guerra di Liberazione. Il Gruppo di Combattimento "Piceno"
Gruppo di Combattimento “Piceno”
Nasce
dai reparti della divisone “Piceno” stanziata in Puglia, nella zona tra
Francavilla Fontana Villa Castelli Oria
e Grottaglie, inserita nel IX Corpo d’Armata. Era al comando del generale
Emanuele Beraudo di Pralormo, poi il gen. Enzo Vagni. Vicecomandante il gen.
Enrico Mattioli e come capo di SM il col. Ludovico Malavasi. Fu costituito il
10 ottobre 1944 per trasformazione sulla base dei reparti della Divsione
“Piceno”. Inquadrava il 235° e il 236° Reggimento fanteria, il 152° Reggimento
artiglieria, il CLII battaglione misto genio, due sezioni di Carabinieri Reali,
ed i servizi divisionali (amministrazione, sussistenza, sanitario, automobilistico,
munizioni, carburanti ecc.).
Mentre era stato avviato il programma di
addestramento arrivò l’ordine per il “Piceno” di mettere a disposizione, tranne
i Comandi, dei Carabinieri tutti i reparti dipendenti per servizi di ordine
pubblico per la durata di circa tre mesi. A fine novembre 1944 giunse un nuovo
ordine di mettere a disposizione per esigenze di ordine pubblico 2500 uomini
divisi in 5 scaglioni. A fine dicembre il Gruppo fu incaricato di mettere a
disposizione delle forze alleate 1400 uomini destinati alle unità salmieriste.
Il Gruppo fu quindi orientato ad un impiego non operativo, ma sostanzialmente
logistico fino a quando nel gennaio del 1945 gli fu affidato il compito
dell’addestramento dei complementi. Il Gruppo avrebbe avuto la denominazione di
Comando divisione “Piceno”, Centro addestramento complementi per forze italiane
di combattimento. L’ordinamento fi completamente riordinato e si ebbe un
Comando Centro, un reggimento raccolta e smistamento complementi, un reggimento
complementi di fanteria, un reggimento complementi misto, scuole di
addestramento. Per i restanti mesi il Centro assolse la sua funzione, fornendo
ai Gruppi in linea personale motivato e preparato. Il Centro era dislocato a Bracciano e Cesano
di Roma in caserme ed aree addestrative che ancora oggi sono destinare agli usi
e finalità assolta nel 1945 dal “Piceno”.
martedì 10 agosto 2021
Guerra di Liberazione. Il Gruppo di Combattimento Mantova
Nasce
dai reparti della divisione “Mantova” stanziata in Calabria, alle dipendenze
della VII Armata nel settembre 1943. Era al comando del generale Guido Bologna,
che era al comando della “Mantova” in Calabria. Vice comandante il gen. Ettore
Monacci, e come Capo di Stato Maggiore il ten. col. Antonio Gualano Inquadrava
il 76° ed il 114° Reggimento fanteria, il 155° Reggimento artiglieria, il CIV
battaglione misto genio, due sezioni di Carabinieri Reali, ed i servizi
divisionali (amministrazione, sussistenza, sanitario, automobilistico,
munizioni, carburanti ecc.). Era inserito nell’organico il 54° BLU, il nucleo
di collegamento composto da ufficiali britannici
Dopo la costituzione
e l’addestramento svolto in Calabria, a fine novembre ed inizio 1944 si
trasferì nel Sannio, con baricentro San Giorgio del Sannio, dove intensificò la
sua attività addestrativa. Qui fu visitato da varie personalità, tra cui il
Luogotenente del Regno che assistette a importanti esercitazioni a fuoco, dal
Ministro della Guerra Brosio e dal maresciallo Alexander comandante delle forze
alleate in mediterraneo. Nella seconda metà di aprile 1944 si trasferì per via
ordinaria nella zona del Chianti. Ricevette l’ordine di entrare in linea a
partire dal 25 aprile 1945 alle dipendenze della VIII Armata Britannica, che
avrebbe scelto il settore di impiego diretto. Il Gruppo di Combattimento non
ebbe il tempo di essere operativo in quanto sono i giorni finali della guerra
in Italia. L’insurrezione generale fu proclamata dal CNLAI il 25 aprile, mentre
la resa delle truppe tedesche in Italia, firmata a Caserta il 29 aprile, fu
comunicata il 2 maggio 1945. Il contributo del Gruppo di Combattimento
“Mantova”, fu essenzialmente nel disimpegno di compiti di lavoro, di vigilanza,
e di sicurezza, sia tenendosi a disposizione dei Comandi come forza di riserva,
pronta ad intervenire secondo la necessità della battaglia finale che era in
corso.
venerdì 30 luglio 2021
Il gruppo di Combattimento Legnano nella offensiva finale
Gruppo di Combattimento “Legnano”
E’
l’erede deli reparti del I Raggruppamento Motorizzato, nato dall’ordinamento
della Divisione Legnano nel settembre 1943, poi ossatura del Corpo Italiano di
Liberazione. Era al comando del generale Umberto Utili, già comandante del
C.I.L., come vicecomandante il gen. Giovanni Imperiali e come capo di SM prima il colonnello Lombardo, poi il col. Federico
Garofali. Il “Legnano” inquadrava il 68° Reggimento fanteria, il IX Reparto
d’Assalto, il Reggimento speciale su due battaglioni alpini e battaglione bersaglieri
“Goito”, l’ 11° Reggimento artiglieria, il LI battaglione misto genio, due
sezioni di Carabinieri Reali, ed i servizi divisionali (amministrazione,
sussistenza, sanitario, automobilistico, munizioni, carburanti ecc.). Era
inserito nell’organico il 52° BLU, il nucleo di collegamento composto da
ufficiali britannici
“Il “Legnano”
entrò in linea il 23 marzo 1945, nel settore dell’Idice, avendo alla sua destra
la 10ª divisione indiana (8ª Armata) e alla sua sinistra la 91a Divisione
statunitense (V Armata), quindi nel delicato punto di saldatura fra le due
Grandi Unità alleate. Il tratto di fronte affidato al Gruppo italiano si
estendeva per circa 9 chilometri in un terreno di limitato sviluppo
altimetrico, ma dalle caratteristiche morfologiche della montagna: declivi
scoscesi, avvallamenti e calanchi profondi, creste sottili, agglomerati
rocciosi a pareti verticali. Il nemico, sistemato a difesa sulla linea Poggio
Scanno-Monte Armato, dominava l'intera zona a cavallo dell'Idice.
All'alba del 10
aprile, in esecuzione di un piano inteso a disorientare l'avversario sui tempi
e sulle direttrici della ormai imminente avanzata generale, una compagnia e un
plotone del IX Reparto d'assalto investirono Parrocchia del Vignale e q. 459.
Il giorno 16 il
"Legnano" mosse con obiettivo Bologna. Gli alpini del battaglione
"Piemonte" conquistarono il caposaldo nemico di q. 363, i fanti del
II/68° le posizioni dei roccioni di Pizzano. Il 20 aprile il battaglione
bersaglieri "Goito" espugnò il sistema difensivo di Poggio Scanno e,
mentre il battaglione alpino "L'Aquila", il IX reparto d'assalto e i
fanti del 68° raggiungevano tutti i loro obiettivi, puntò su Bologna, facendovi
il suo ingresso l'indomani alle 9.30.
L'impegno del
Gruppo si protrasse ancora. Una colonna di formazione raggiunse Brescia il 29 e
Bergamo l’indomani; reparti alpini il 2 maggio entravano a Torino. Lo stesso
giorno una compagnia del I/68° fanteria ebbe la meglio su elementi tedeschi in
Val di Sabbia.
Il ciclo
operativo del "Legnano", pur esauritosi nel breve arco di quaranta
giorni, era stato contrassegnato da significativi successi. Questo fu il
bilancio delle perdite subite: 55 caduti, 279 feriti.”[1]
martedì 20 luglio 2021
Gruppo di Combattimento "Friuli". Impiego 1945
Gruppo di Combattimento “Friuli”
Anche
questo Gruppo di Combattimento come il “Cremona” nasce dal reimpiego dei
reparti che già costituivano la Divisione “Cremona” che nel settembre 1943 era
stanziata in Corsica e, integra, era stata trasferita in Sardegna. Era al
comando del generale Arturo Scattini, e come vicecomandante il generale
Giancarlo Ticchioni, e coma capo di SM il ten. col. Guido Vedovato. Il “Cremona”
inquadrava il 87° e 88° Reggimento fanteria, il 35° Reggimento artiglieria, il
battaglione misto genio divisionale, due sezioni di Carabinieri Reali, un
reparto trasporti e rifornimenti, ed i servizi divisionali (amministrazione,
sussistenza, sanitario, automobilistico, munizioni, carburanti ecc.). Era
inserito nell’organico il 50° BLU, il nucleo di collegamento composto da
ufficiali britannici.
“L’impegno del Gruppo di
Combattimento “Fiuli” fu all'inizio difensivo: si presentava piuttosto difficile
perché nel tratto di fronte assegnatogli si profilava un saliente nemico dal
quale avrebbe potuto prendere l'avvio una manovra di aggiramento delle Unità
alleate schierate ai lati. I Tedeschi avevano concentrato nella zona truppe
scelte.
Il 12 febbraio 1945 venne respinto
un attacco avversario all'altezza di Casa Barbanfusa. Nei giorni successivi
reparti dell'88° Reggimento fanteria occuparono q. 92, nei dintorni di Riolo
Bagni. Quel caposaldo fu aspramente conteso: venne riconquistato dai Tedeschi
il 14 marzo, e ripreso dai nostri quarantott’ore dopo.
Alla fine di marzo 1945 il
generale Hawkesworth, comandante del X Corpo britannico, ordinò al
"Friuli" di costituire una testa di ponte oltre il Senio fra Poggio
(escluso) e Cuffiano (compreso). L'azione, fallita il 10 aprile per la
violentissima reazione del nemico, venne ripetuta con successo l'indomani.
Il Gruppo avanzò quindi verso il
Santerno, concorrendo indirettamente alla occupazione di Imola da parte di
truppe polacche. Il 16 aprile i fanti del "Friuli", nonostante la
ferma e tenace reazione avversaria, oltrepassarono il Sillaro, costituendo
oltre quel corso d'acqua una testa di ponte che i Tedeschi tentarono vanamente
di eliminare. Il 18 e il 19 furono investite le posizioni nemiche di Casalecchio
dei Conti, mentre sulla sinistra operava, contro il capo saldo germanico di
Grizzano, il Gruppo di combattimento "Folgore".
Varcato l'Idice, i reparti del
"Friuli" puntarono su Bologna, raggiunta alle 8 del 21 aprile. 1945
Il 2 maggio si concludevano le
operazioni di guerra sul territorio italiano.
La bella Unità aveva offerto un contributo di bravura e di sangue,
testimoniato da queste cifre: feriti, 61 dispersi.”[1]
sabato 10 luglio 2021
Gruppo di Combattimento "Folgore". Impiego 1945
Gruppo di Combattimento “Folgore”
Il
Gruppo di Combattimento “Folgore, che aveva assunto il nome della Divisione
“Folgore che si era ben distinta in Africa settentrionale e soprattutto alla
battaglia di El Alamein, era integralmente composto da elementi della Brigata
“Nembo” del disciolto Corpo Italiano di Liberazione. Si era costituito il 24
settembre 1944 ed era al comando del generale Giorgio Morici, e come
vicecomandante il col. Ezio de Michelis, e come capo di SM il ten. Col..Giovanni
De Martino Il “Folgore” inquadrava il Reggimento fanteria paracadutisti “Nembo”,
il Reggimento di marina 2San Marco” il Reggimento artiglieria “Folgore”, un battaglione misto genio, due sezioni di
Carabinieri Reali, un reparto trasporti e rifornimenti, ed i servizi
divisionali (amministrazione, sussistenza, sanitario, automobilistico,
munizioni, carburanti ecc.). Era inserito nell’organico il 53° BLU, il nucleo
di collegamento composto da ufficiali britannici.
“Il
"Folgore", posto alle dipendenze del XIII Corpo britannico, venne
schierato sulle posizioni fra il Senio ed il Santerno nella notte del 1° marzo
1945. Gli vennero assegnati rinforzi britannici.
La
linea affidata al Gruppo si estendeva per circa 14 chilometri, in un terreno
molto accidentato, dal fondo in massima parte argilloso, reso ineguale da
numerosi rilievi di altezza modesta ma inframezzati da speroni con dorsali
molto ripide, e solcato da diversi corsi d'acqua a regime torrenziale; nel
centro, all'altezza di Tossignano (punto di forza dello schieramento
avversario) stavano le posizioni contrapposte di Vena del Gesso, aspro gradino
roccioso. In parole brevi, un settore difficile per chi si proponeva di
svolgervi azioni offensive, e favorevole invece a chi vi era sistemato a
difesa.
Nel
mese di marzo si ebbe una intensa attività di pattuglie da entrambe le parti. I
paracadutisti, per saggiare la capacità di reazione del nemico, assalirono di
sorpresa le posizioni "i boschi dell’Acqua Santa" e quelle di casa
Colonna.
Il
10 aprile l'intero fronte alleato era in movimento. Nuclei esploranti del
"Folgore" accertarono che il nemico si accingeva a sgomberare
Tossignano. Fu impartito l'ordine di avanzare, e i reparti del Gruppo,
attraversando campi minati, agganciarono le retroguardie nemiche. L'11 aprile
venne occupata Tossignano. Il 14, dopo aspri combattimenti, furono conquistate
le posizioni di Pieve Sant'Andrea, monte Bello, Casalpidio.
Il
19 aprile venne espugnato, dai paracadutisti, il caposaldo tedesco di Grizzano.
L'indomani il reggimento Nembo raggiunse Matteuzza e Parrocchia di Cappella,
mentre il battaglione Caorle, del reggimento San Marco occupava l'abitato di
Poggio Ribano.
Bologna
era ormai vicina, ma un ordine superiore indirizzò il Gruppo in altra zona,
mentre le ostilità volgevano ormai al termine.
Il
"Folgore", in due mesi di ininterrotto impiego, aveva subito queste
perdite: 164 caduti, 244 feriti, 14 dispersi.”[1]
mercoledì 30 giugno 2021
La Guerra di Liberazione. Le Divisioni Ausiliarie
Uno
dei contributi più sottovalutati è quello delle Divisione Ausiliarie nel quadro
del contributo dell’Italia alla campagna degli Alleati. Fu un contributo
massiccio che incise in modo massiccio nello svolgimento della campagna. Gli
alleati avevano i materiali ed i mezzi, ma non avevano gli uomini. Lo stesso
problema lo avevano i tedeschi; questi ricorsero all’arruolamento forzato e,
tramite la Organizzazione Todt, anche con mezzi estremamente coercitivi. Gli
Alleati, con molta più eleganza si avvalsero delle Divisioni Ausiliare e con
questa soluzione si guadagnarono la simpatia ed il consenso della popolazione.
La organizzazione logistica alleata prevedeva la Peninsular Base Section P.B.S.
con porto principale a Napoli che sostenva la V Armata Statunitense. La VIII
Armata era sostenuta dai distretti logistici britannici che avevano come porti
principali prima Bari e poi Ancona. Gli alleati chiesero alle autorità militare
italiani gli uomini necessari al funzionamento di tutti i servizi logistici.
“Già nel dicembre 1943 erano
stati impiegati nelle attività dei servizi alleati circa 95.000 militari
italiani. Nel 1944 il loro numero salì a 163.377, con questa ripartizione:
76.664 per lavori di manovalanza e rifornimento, 19.102 in reparti genio, 8.833
autieri, 2.023 meccanici di officina, 9.284 con compiti di difesa contraerea,
25.914 in servizi di guardia e di polizia militare, 6.963 in unità salmerie,
14.594 con mansioni diverse. Un ulteriore aumento si verificò nel 1945,
allorché venne raggiunta la punta massima di 195.000 uomini impiegati nelle
attività in argomento.
Diamo ora qualche breve dettaglio
ordinativo. Per corrispondere alle
esigenze prospettate dagli Alleati, lo Stato Maggiore R. Esercito procedette
alla costituzione di otto grandi Unità "amministrative": quattro
mediante la trasformazione di altrettante costiere (205a, 209a, 210a, 229a) e
quattro ex novo (228a, 230a, 231a e
Comando italiano 212, quest'ultimo avente una forza che nel 1945 sfiorò i
60.000 uomini).
La composizione di quelle Unità
era variamente articolata come organici. A cura dell'Ispettorato Truppe
Ausiliarie, appositamente istituito dallo Stato Maggiore Regio Esercito,
vennero complessivamente creati tredici reggimenti pionieri, cinque reggimenti
lavoratori, quarantadue battaglioni servizi, ventisei battaglioni guardie,
cinque battaglioni ferrovieri, sette battaglioni portuali, ottantatré compagnie
del genio, ottantuno compagnie autieri, trentatré reparti salmerie e portatori,
nonché numerose altre unità specialistiche, con non raro interscambio di uomini
e di denominazione.
L'opera degli
"ausiliari" fu oscura ma molto preziosa: usiamo quest'ultimo
aggettivo senza eccezioni di sorta, perché si addice all'intero arco delle
attività, dagli "umili" lavori di manovalanza e scarico svolti nei
porti all'impegno rischiosissimo dei bravi genieri, che resero inoffensive
oltre 500.000 mine, come il fronte si spostava verso nord.
Va aggiunto che consistenti
nuclei di tre Unità ausiliarie – 210a, 228a e Comando 212 - offrirono in più
occasioni un contributo anche operativo. Giunti infatti nelle prime linee
mentre vi infuriavano combattimenti, i nostri militari non esitarono a
parteciparvi distinguendosi per bravura. Sono significative, in proposito, le
perdite subite: 744 caduti, 2.252 feriti, 109 dispersi.”[1]