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domenica 10 ottobre 2021

Gli Alleati e la popolazione italiana

 

La popolazione  italiana ha sempre accolto, dal settembre 1943 alla fine della guerra, le truppe alleate, a prescindere dalla loro appartenenza, con ammirazione ed entusiasmo, vedendo il loro arrivo come la fine di un incubo e l’inizio di un periodo di vita materiale e morale, migliore.

La convinzione di tutti gli Italiani, a quel tempo, era che la alleanza delle Nazioni Uniti, gli Alleati come venivano chiamati,  era solida, granitica, potente, invincibile.

In realtà, al vertice della organizzazione militare alleata, sul piano strategico, dalla fine della conquista della Sicilia e per tutta la durata della Campagna d’Italia, esistettero tra Statunitensi e Britannici profonde divergenze in tema strategico, ovvero come condurre la guerra in Europa e, conseguentemente , in Italia.

Queste divergenze portarono a dolorose e significative sconfitte sul piano strettamente tattico, come l’arresto della offensiva sul Sangro, le prime tre battaglie per Cassino, e lo sbarco sul litoraneo pontino, solo per citare quelle dell’autunno 1943 – primavera 1944.[1]

Nel maggio-giugno 1944, superato l’ostacolo di Cassino e conquistata Roma, mentre le truppe alleate sbarcavano in Normandia, le divergenze strategiche in Italia fra Statunitensi e Britannici, molto gravi fino a quel momento, raggiunsero il massimo. Il pomo della discordia consisteva nella attuazione, o meno, della operazione “Anvil”, ovvero lo sbarco nel sud della Francia, in sostegno e supporto a quello che era già stato effettuato con successo in Normandia. Per “Anvil” i quesiti a cui si doveva rispondere erano:  deciso lo sbarco, quante forze vi si dovevano impiegare? Da dove si dovevano prendere queste forze? Chi avrebbe alimentato le successive operazioni di penetrazione in profondità? La risposta a questi interrogativi non facevano che acuire i contrasti fra i due Stati Maggiori, contrasti che erano la diretta conseguenza delle differenti vedute strategiche tra gli  Alleati.

Gli Statunitensi, un volta che l’Italia era stata sconfitta e costretta ad uscire dalla guerra, settembre 1943, e resisi gli Alleati padroni delle rotte del Mediterraneo, non ritenevano utile impegnare ulteriori forze nel scacchiere italiano. Essi rimanevano, in tema di strategia, fermi alla loro convinzione che, per conseguire la vittoria finale, ci si doveva concentrare sull’obiettivo principale, perseguirlo con il massimo della concentrazione degli sforzi nel momento e nel punto decisivo, limitando al massimo, se non per operazioni diversive, di inganno e sussidiarie, ogni operazione su obiettivi collaterali. Questa strategia era direttamente discendente dalla loro politica che voleva essere distante da quello che loro consideravano antiquati poteri politici europei e vedevano con diffidenza e circospezione il colonialismo britannico in tutte le sue forme. In più non volevano essere coinvolti in operazioni nel centro Europa né tantomeno nell’Europa Orientale, impegno che consideravano solo un sperpero di risorse e di vite umane. Il loro desiderio era quello di terminare il più velocemente possibile la guerra in Europa e concentrarsi totalmente contro il Giappone.

I Britannici, di contro, adottavano anche in questa guerra la loro tradizionale strategia indiretta e pragmatica, ovvero, per le operazioni terrestri, la strategia del Debole verso il Forte. Era una strategia che aveva dato, al momento in cui la Gran Bretagna era stata chiamata a combattere potenze continentali, copiosi frutti, primi fra tutti la vittoria su Napoleone un secolo mezzo prima. Partendo dal principio che la Gran Bretagna non aveva forze terrestri paragonabili a quelle della Germania, la Gran Bretagna riteneva necessario ed utile attaccare la periferia della potenza nemica, cioè tedesca, cercare di creare discordie fra la coalizione nemica (l’Asse italo-tedesco), porre il blocco navale[2] ed attenderne gli effetti; intensificare i bombardamenti aerei, minare il fronte interno nemico, evitare ogni scontro diretto di vaste proporzioni in cui si sarebbero arrischiate le relativamente poche forze terrestri; tutto in attesa di assestare, al momento e luogo opportuno, il colpo risolutivo finale, che avrebbe dato la vittoria. Questa strategia era anche in gran parte giustificata dal ricordo ancora vivissimo della carneficina della Prima Guerra Mondiale, il cui solo pensiero faceva abortire ogni progetto di attacco diretto.

Con l’uscita dell’Italia dalla guerra, e severamente impegnata dalla Unione Sovietica, la Germania stava iniziando a cedere; basta attendere il momento opportuno e la vittoria sarebbe stata conseguita. Non erano necessari sbarchi in Francia: tutte le forze dovevano essere tenute in Italia, da cui, crollata la Germania, sarebbero state indirizzate su Vienna ed il centro Europa a fermare e contrastare l’avanzata sovietica.

Lo scontro tra queste due opposte visioni strategiche era costante. Nel giugno 1944, quando conquistata e superata Roma, e le truppe Alleate entravano nelle Marche, si avvicinava sempre più il momento di decidere. I termini del problema strategico-operativo erano chiari: o proseguire speditamente verso Nord e, superati gli Appennini, arrivare alle Alpi, avendo conquistato la Pianura Padana, oppure destinare le migliore forze presenti in Italia alla operazione “Anvil”, cioè lo sbarco in Provenza, sottraendole naturalmente al fronte italiano. La disputa su questi termini, aggravata dal fatto che le forze sottratte al fronte italiano dovevano essere sostituite e si balenava quello che i Britannici non volevano nemmeno prendere in considerazione, ovvero armare ed equipaggiare forze italiane, alterava ed avvelenava tutti i rapporti fra Alleati. La disputa su questa questione e le decisioni conseguenti avrebbero condizionato le operazioni in Italia nell’estate 1944 ed anche dopo.[3]



[1] Questi temi sono stati dibattuti al convegno “Gli Alleati da Salerno ad Anzio” tenutosi il 24 gennaio 2004 alla sala delle Conchiglie di Villa Adele ad Anzio organizzato dalla Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento e dalla Guerra di Liberazione (A.N.R.P., coordinato e presieduto dal Prof. Enzo Orlanducci.)

[2] In campo marittimo la Gran Bretagna attuava la strategia del Forte verso il Debole, con l’obiettivo finale quello di “strangolare” la potenza continentale, privandola di ogni aiuto esterno. Questa strategia, nel 1943, stava per essere messa fortemente in crisi dall’azione dell’arma sottomarina tedesca, a un passo dal divenire vincitrice della Battaglia dell’Atlantico. La Gran Bretagna, senza gli aiuti statunitensi e quelli provenienti dal resto dell’Impero, aveva risorse per poco più di un mese di sopravvivenza.

[3] Il famoso e quanto mai discutibile messaggio del Comandante in Capo del XV Gruppo di Armate in Italia, Maresciallo Alexander al movimento di Resistenza nel Nord Italia nell’autunno 1944 con il quale si invitavano i “Partigiani”alla stasi invernale, ovvero a deporre le armi e ritornare a casa, ha le sue lontani e chiare origini da queste discussioni.

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