lunedì 10 febbraio 2020
Lo Sbarco di Salerno 4 Pianificazione
4. LA RICOSTRUZIONE STORICA DELL’OPERAZIONE “AVALANCHE”
a. Pianificazione
Con l’Operazione
“Avalanche” gli Alleati intendono conquistare Napoli per poi procedere alla
successiva liberazione di Roma, costringere i tedeschi ad abbandonare
rapidamente il sud dell’Italia ed acquisire le infrastrutture portuali e
aeroportuali site nel meridione ritenute essenziali non solo per il prosieguo
della campagna d’Italia ma anche per le attività da attuarsi nei Balcani. Per contro, secondo la pianificazione di
Kesserling, i tedeschi mirano, dopo aver attuato il disarmo degli italiani, a
mantenere il controllo della maggior parte del territorio della penisola allo
scopo di ritardare il più a lungo possibile la progressione alleata. Coscienti
delle difficoltà insite nella difesa della Puglia e della Calabria, ove appare
inopportuno schierare ingenti quantità di truppe a causa dell’elevato rischio
che queste possano rimanere imbottigliate in conseguenza di rapide azioni di
sbarco alleate a nord della “punta” e del “tacco” dello stivale italiano, i
tedeschi contano di attestarsi sulla linea di difesa Salerno-Bari, salvo
lasciare un esiguo contingente di truppe in prossimità di Castrovillari a
fungere da “esca” per gli alleati.
Il piano
elaborato dal Generale Mark W. Clark per la citata operazione “Avalanche”
(Valanga), prevede l’impiego delle seguenti unità:
–
X Corpo
d’Armata britannico al comando del Generale Mc Creery, costituito dalle
Divisioni di fanteria britanniche 46a (con 1°, 3° e 4° battaglione
Ranger USA e 2° e 41° battaglioni Commandos UK) e 56a, 7a
Divisione Corazzata e 23a Brigata Corazzata;
–
VI Corpo
d’Armata statunitense del Generale Dawley, composto dalla 36a
Divisione, 45a Divisione (di cui due reggimenti in riserva a bordo
delle navi), 3a Divisione e 44a Divisione;
–
82a
Divisione Aviotrasportata (USA);
–
7a
Divisione britannica, il cui sbarco è previsto il D+4, da impiegare per la
conquista di Napoli.
Il Golfo
di Salerno fu diviso in due settori di sbarco: quello posto a nord del fiume
Sele venne affidato al X Corpo d’Armata britannico e quello a sud al VI Corpo
d’Armata statunitense.
A
questo punto è giusto chiedersi per quale motivo gli Alleati preferirono la
zona di Salerno rinunciando a quella di Gaeta o allo sbarco diretto nel porto
di Napoli (opzioni considerate in fase di pianificazione). A tal fine occorre
indicare le valutazioni che gli Alleati espressero, in termini di vantaggi e
svantaggi, che portarono alla scelta di Salerno:
(1) Vantaggi:
–
accesso
dal mare esente da problemi, con spiagge piatte ed assenza di secche;
–
la piana
del Sele, dopo la bonifica operata dal regime fascista, risulta facilmente
percorribile ed insiste, nell’area, un buon asse viario che adduce alla
città Potenza[1];
–
Napoli
risulta raggiungibile, attraverso il valico di Chiunzi, partendo dalla località
costiera di Vietri sul mare;
–
l’area è
servita da un’efficiente rete ferroviaria ed è provvista di aeroporto
(all’epoca di Montecorvino oggi di Salerno-Pontecagnano);
–
la zona di
Salerno, contrariamente a quella di Gaeta, non risultava troppo lontana dalla
Sicilia e consentiva di garantire il necessario supporto aereo mentre il Golfo di
Napoli doveva ritenersi escluso dalle operazioni, in quanto i suoi
approdi erano minati;
–
presenza
di alture dominanti (cime che in taluni casi sfiorano i 1000 metri) che
circondano una sorta di “triangolo” pianeggiante e che, se conquistate,
avrebbero consentito una validissima difesa da contrattacchi nemici.
(2) Svantaggi
–
la citata
parte pianeggiante, se in mano ai tedeschi, avrebbe consentito (come in effetti
avvenne) a questi di godere di una perfetta visuale su tutta l’area avvedendosi
di ogni manovra avversaria;
–
il
litorale interessato all’operazione è diviso in due dal fiume Sele (è presente
anche un suo affluente, il Calore) troppo profondo per essere guadato, che
dividendo in due la zona avrebbe creato grossi problemi di collegamento tra le
teste di sbarco (come si verificò);
–
le acque
del Golfo di Salerno, come tutte quelle prospicienti importanti zone portuali o
suscettibili di sbarchi e/o incursioni, erano minate.
La
protezione del fianco settentrionale della testa di sbarco prevedeva l’impiego
dei tre battaglioni di rangers e due
di commandos britannici che sarebbero
sbarcati davanti a Majori e a Marina di Vietri per poi bloccare le due strade
che da Napoli portavano a sud e tramite le quali era probabile sarebbero
affluiti i rinforzi tedeschi. Stabilite le teste di sbarco, i due Corpi
d’Armata avrebbero sfruttato l’iniziale successo spingendosi verso l’interno
per costituire un saldo perimetro difensivo basato sull’arco delle colline
sovrastante le spiagge. La loro linea essenziale di demarcazione sarebbe stata
costituita dal fiume Sele, mentre il loro punto perimetrale di congiunzione
sarebbe stato Ponte Sele, sulla statale 18. Al X Corpo d’Armata era affidato il
compito di occupare il piccolo porto di Salerno e l’aeroporto di Montecorvino
(oggi di Pontecagnano) dal quale il generale Clark sperava di far operare, dal
giorno D+1 reparti di caccia. Successivamente, il X Corpo d’Armata avrebbe
sfondato a Nord e proseguito per Napoli onde occuparla entro il 21 settembre,
data entro la quale era previsto l’arrivo del primo contingente di rincalzo. I
punti chiave da conquistare, quindi, risultavano essere: l’aeroporto di
Montecorvino e l’importante nodo stradale-ferroviario di Battipaglia posto a
sud, il porto di Salerno ed il passo di Chiunzi a Nord, essenziale per poter
successivamente puntare in direzione di Napoli.
Come
era avvenuto per l’Operazione “Husky”, anche per la “Avalanche” vi fu una forte
parcellizzazione dei comandi e reparti impegnati nella stessa, che dovettero
imbarcarsi da porti diversi. Tale problematica fu risolta grazie all’ottimo
coordinamento attuato da Clark e dai suoi comandanti ai vari livelli che, non
essendo coinvolti nelle operazioni in atto, poterono dedicarsi alla
preparazione dell’operazione. Su questa influirono, invece, negativamente le
incertezze connesse alla scelta del piano da attuarsi (tra i diversi proposti)
e all’imponderatezza relativa al tonnellaggio disponibile (in termini di
naviglio). Anche Clark contribuì a complicare la pianificazione apportando
cambiamenti che influirono sulle tabelle orarie dei convogli e delle varie
ondate d’assalto. La protezione navale, in funzione di un’eventuale mancata
resa della flotta italiana, fu decisamente potente, come nel caso
dell’Operazione “Husky”, poiché affidata alla Forza “H” dell’Ammiraglio Willis,
che contava quattro corazzate, due portaerei e la 12a squadriglia
incrociatori, costituita da quattro unità. Questo schieramento doveva
contrastare eventuali unità italiane provenienti da La Spezia e Genova, mentre
una forza a parte, costituita da quattro corazzate, avrebbe fatto altrettanto
nei confronti di unità provenienti da Taranto e dall’Adriatico. Per quanto
concerne l’appoggio alle forze a terra, a favore del X Corpo d’Armata di terra
era orientata la 15a squadriglia incrociatori britannica, articolata
su tre unità, mentre a sostegno del VI Corpo d’Armata erano disponibili quattro
incrociatori USA ed un monitore britannico. Il comando delle unità navali
d’assalto fu assunto dall’Ammiraglio Hewitt che issò le sue insegne su nave
“Alcon” (USA) a bordo della quale salì anche Clark.
Dato
che il golfo di Salerno risultava minato, navi cacciamine avrebbero ripulito le
zone di ancoraggio delle unità e creato corridoi per l’accesso alle spiagge.
Per quanto concerne l’impiego della
componente aerea, costituita da circa 1300 bombardieri pesanti, 1400 caccia e
caccia-bombardieri e 406 aerei da trasporto; questa si basava su tre principi
(che avrebbero in seguito costituito una costante nelle operazioni alleate):
–
neutralizzazione
della Luftwaffe (in modo da costringerla a retrocedere su aeroporti lontani)
tramite massicce incursioni di caccia e bombardieri;
–
riduzione/annullamento
della possibilità tedesca di far affluire rinforzi nella zona d’operazione
bombardando i punti nevralgici della rete stradale, ferroviaria e i porti;
–
protezione,
con l’impiego di caccia, delle zone d’assalto fin quando le forze di terra non
fossero uscite dalle loro teste di sbarco, le navi d’assalto non si fossero
disperse e l’intera zona avesse costituito, per la Luftwaffe, un obiettivo
pagante.
Stretto
appoggio sarebbe stato fornito alle truppe da sbarco con le restanti risorse
dopo che i suddetti compiti primari fossero stati soddisfatti. Inoltre,
sarebbero stati compiuti attacchi su vasta scala per evitare di rivelare il
vero punto di attacco da reiterare, dopo lo sbarco, nella zona di Napoli per
sospingere la Luftwaffe al nord e tagliare tutte le strade che portavano al
campo di battaglia.
Grave
omissione, fatta in fase di pianificazione, fu non prevedere il bombardamento
delle difese presenti sulla spiaggia di Salerno. L’esperienza siciliana portò,
infatti, a ritenere improbabile che il nemico potesse, stante il fattore
sorpresa, predisporre per tempo un’energica difesa dell’ampio litorale
salernitano. Il momento critico di qualunque sbarco, è infatti quello in cui il
nemico prende visione del punto in cui esso sta avvenendo e predispone, di
conseguenza, un vigoroso contrattacco. La forza dell’attaccante sta proprio
nella capacità di ritardare e impedire tale evento. Se vi fosse stata una
preparazione d’artiglieria navale, sarebbe stato necessario bonificare dalle
mine navali una determinata zona di mare dando ai tedeschi la possibilità di
intuire, con circa 24 ore di anticipo, le spiagge scelte per lo sbarco.
Inoltre, è probabile che Clark abbia considerato inopportuno colpire città e
villaggi di un Paese non più nemico (e distruggere gli antichi templi e le vestigia
della città di Paestum) e preferito contare sul fattore sorpresa e sull’aiuto
degli italiani. Sulla scorta di tale scelta, Mc Creery predispose, per il suo X
Corpo d’Armata, un appoggio navale ravvicinato specificamente programmato, da
attuarsi in caso d’assenza del fattore sorpresa. Diversamente fece il Dawley
per il VI Corpo d’Armata, ritenendo sufficiente poter contare, alla bisogna,
sul generico fuoco d’appoggio navale.
Per
quanto concerne le forze germaniche, parrebbe che il Generale Hube, Comandante
del XIV Corpo d’Armata corazzato, fosse informato sulla possibilità di uno
sbarco nella zona di Salerno. In tal senso, fece affluire nel suo settore,
proveniente dal versante adriatico, la 16a Divisione corazzata per
rafforzare le difese italiane. Tale unità, già impiegata a Stalingrado, poteva
contare su 4000 reduci dalle campagne di Polonia, Francia oltre che sovietica e
possedeva un’alta motivazione. La grande unità aveva rapidamente adattato le
sue tattiche al nuovo teatro d’operazioni predisponendo, nella zona di Salerno,
una serie di capisaldi dominanti le più probabili zone di sbarco, unico sistema
per poter difendere i 50 chilometri di costa ad essa affidati. I varchi,
sarebbero stati protetti da campi minati, ostruzioni in filo spinato e sorvegliati
da forti pattuglie costituite da fanteria, carri e cannoni semoventi mentre
alla 222^ Divisione costiera italiana toccava il compito di difendere i settori
meno suscettibili di sbarco presenti nel golfo di Salerno.
(ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org)
[1] La S.S.18, proveniente
da Napoli, attraversa Salerno, da dove si diparte la S.S.88 per Avellino, poi
Battipaglia, da dove partiva la S.S.19 per Eboli e Potenza.
[2] Nel settore britannico
la situazione rimaneva pressoché invariata.
[3] "I Tedeschi
assisteranno stamane a qualcosa che non si sarebbero mai aspettati. Oggi gliele
daremo di santa ragione. Gli lanceremo addosso tutto quello che è a portata di
mano ad eccezione dei lavandini"; così dichiarò il generale Edwin J.
House, Comandante del XII Comando Supporto Aereo, coordinatore delle azioni
aeree alleate a Salerno. (“Salerno 1943, operazione Avalanche”, A. PESCE,
Ermanno ALBERELLI editore, 2000)
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