martedì 29 settembre 2015
Cefalonia: i tedeschi attaccano dall'aria
16 SETTEMBRE
“Con il sorgere del sole – informa il
capitano Bronzini – hanno di nuovo inizio i bombardamenti aerei. Sono
soprattutto prese di mira le batterie. È evidente che i tedeschi vogliono
distruggerle”.
Dice P. Formato: “Il cielo si mantenne
costantemente ed indisturbatamente dominato dall’aviazione tedesca che fece del
terreno sottostante un immenso vulcano in eruzione. Le fanterie non potevano
avere nessuna libertà di movimento. I fanti erano inesorabilmente massacrati e
falciati dagli infernali bombardamenti in picchiata e dai feroci mitragliamenti
a volo radente. Le artiglierie non potevano agire perché, una volta scoperte ed
individuate, venivano immediatamente distrutte”.
“l’azione degli Stukas – precisa il
capitano Bronzini – durò dalle 6 alle 19, con il breve intervallo fra le 13 e
le 14”.
Sul fronte terrestre, durante la
giornata, non si ebbero quindi combattimenti di rilievo.
I tedeschi avevano ritirato, nella
notte, il grosso delle loro forze su Kardakata creando così un vuoto fra essi
ed i battaglioni del 317° fanteria, che tutt’ora presidiavano la zona fra
Pharaklata ed il mare.
“Il nemico – dice il capitano Bronzini
– non accenna ad attaccare forse perché la battaglia del giorno precedente gli
ha fatto comprendere che non è facile avere ragione della “Acqui”. Egli perciò
si riorganizza ed attende rinforzi”.
In quale punto dell’isola era più
agevole per i tedeschi sbarcare i propri rinforzi?
Tutte le coste presentavano, più o
meno, buone possibilità d’approdo.
Ma da un rapido esame della carta è
facile arguire che la costa sud-occidentale, da Lardigo e Pesades e la baia di
Samos, erano, agli afferri delle operazioni in atto, le più pericolose.
La prima, servita da un complesso
stradale relativamente abbondante, qualora caduta nelle mani del nemico,
consentiva la minaccia alle spalle delle nostre operazioni dirette a nord.
La seconda, attraverso la strada di
Pulata, scopriva il fianco del nostro schieramento.
Anche il promontorio sud-orientale di
capo Munta offriva buona accessibilità all’interno dell’isola: ma, per la sua
lontananza dell’asse operativo, gli effetti di uno sbarco su di esso avrebbero
avuto meno immediata ripercussione.
Tutti gli altri approdi a nord del
parallelo di Samos, proiettando le truppe tedesche sulla fronte dello
schieramento italiano, venivano ad assumere, su tale piano di confronto, minore
importanza.
Per questi motivi, alle prime ore del
mattino, il generale gandin ordinò che il secondo e terzo battaglione del 17°
fanteria, i più provati nella lotta del giorno precedente, si dislocassero: il
secondo, quale unità di manovra, nella zona del nodo stradale di Mazakarata; il
terzo, a difesa costiera nelle zone di Minies e Svoronata.
Il primo battaglione del 317° fanteria
fu mantenuto a difesa costiera nella baia di Samos, in attesa, come vedremo, di
essere impiegato nelle operazioni successive.
Ordinò altresì un’azione per
sopraffare il presidio tedesco di capo Munta (circa duecento uomini con una
stazione radio).
Pose a disposizione del 317° fanteria
il primo battaglione del 17°.
“Nella mattinata, - informa il
capitano Bronzini – dal comando della divisione venne anche preso in
considerazione l’apporto che i greci potevano dare alla lotta. Molti ufficiali
dell’ex esercito greco risiedevano a Cefalonia e continuamente cercavano di
essere ricevuti dal generale per chiedergli di unirsi a noi nella lotta contro
i tedeschi. Il generale decise di impiegare questi volontari (circa cinquecento
uomini) per il servizio informazioni non
sembrandogli leale verso il nemico assumere apertamente i greci fra le proprie
formazioni. Le zone da esplorare dovevano essere di volta in volta indicate
dal generale in persona. Ma per non tornare più su questo argomento dico subito
che tale servizio, per quanto da noi organizzato, non dette buoni risultati”.
La sera del 16, gli ordini del gen.
Gandin avevano orientato tutti i reparti sul progetto operativo da realizzarsi
il giorno successivo.
Obiettivo principale era la
riconquista delle posizioni di Kardakata.
Per conseguire tale scopo, il gen.
Gandin aveva suddiviso le operazioni del 17 in due fasi contemporanee.
Nella prima, il secondo e d il terzo
battaglione del 317° fanteria, nonché il primo del 17°, dovevano, dalle
posizioni di Davgata e Dilinata, compiere uno sbalzo verso nord ed occupare le
posizioni dal M. Rizocuzolo al mare; nella seconda, il primo battaglione del
317° fanteria nonché la batteria di accompagnamento dello stesso reggimento
(che, come sappiamo, si trovano dislocate nella zona costiera Samos - S.
Eufemia) dovevano portarsi, autocarrati, per la rotabile S. Eufemia - bivio
Divarata su Ankona, alle spalle cioè delle posizioni tedesche di Kardakata.
La manovra del primo battaglione del
317° fanteria, qualora fosse riuscita, avrebbe dato agl’Italiani il controllo
della baia di Kiriaki, una delle vie di più diretto rifornimento, dal
continente greco, allo schieramento tedesco.
Successivamente, con azione combinata
da nord e da sud, si sarebbe svolta l’azione decisiva intesa a provocare il
crollo delle posizioni di Kardakata.
giovedì 24 settembre 2015
Cefalonia: Lo schieramento delle forze del 317 fanteria
17 SETTEMBRE
Alle ore 6, preceduta dal leggera
preparazione di artiglieria su alcune postazioni avanzate nella zona di Parsa,
il primo battaglione del 17° fanteria oltrepassò questa località schierandosi a
nord di essa. Contemporaneamente il secondo battaglione del 317° si schierò a
nord di Davgata ed il terzo battaglione dello stesso reggimento a nord di
M. Rizocuzolo che dominava tutta la
zona.
La prima fase del progetto operativo
era così compiuta.
Ma lo sbalzo avvenne quasi senza
combattere perché i tedeschi abbandonate quelle posizioni, che tenevano col
solo intento di osservare le nostre mosse, si ritirarono verso nord.
Il proseguimento dell’azione da parte
italiana rimase per tanto vincolato, da questo momento, all’azione che doveva
svolgere il primo battaglione del 317° fanteria su Ankona, dove si calcolava
che sarebbe giunto circa alle 7.
Questo battaglione avrebbe dovuto
iniziare il movimento, della zona di S. Eufemia, alle ore 6,
contemporaneamente cioè all’inizio
dell’azione sul fronte di Parsa.
Il punto più delicato dell’itinerario
era rappresentato dal ponte sul Kimoniko, corso d’acqua immediatamente alle
spalle delle posizioni tedesche di Ankona.
Ma l’autotrasporto, anziché alle 6, -
date le difficoltà incontrate per ottenere la disponibilità di un numero
sufficiente di autocarri – potè avere solamente alle ore 10,30.
“Il primo battaglione del 317°
fanteria – dice il capitano Bronzini – durante l’autotrasporto, giunto
all’altezza del Kimoniko, si dovette fermare perché il ponte era stato
interrotto dai tedeschi. In quel preciso istante, alcune formazioni di Stukas
assaltarono l’autocolonna distruggendo il materiale e disperdendo gli uomini”.
“Il battaglione – informa il capitano
Apollonio – fu facile presa degli aerei tedeschi che lo mitragliarono per circa
tre ore”.
Solo nel tardo pomeriggio, sicchè, e
perdurando ancora il bombardamento aereo, il battaglione potè, con parte delle
sue forze, schierarsi sulle posizioni a sud-ovest del Kimoniko.
Ma appena cessata, per segnale da
terra, l’azione aerea, le fanterie tedesche – che nel frattempo si erano
ammassate sotto le nostre posizioni .- partivano all’attacco appoggiate dal
fuoco “infernale” delle armi pesanti.
“La difesa – dice il capitano
Apollonio – presentò serie difficoltà. Tuttavia, in un primo momento, l’urto fu
sostenuto. Ma vennero presto a mancare le munizioni e cominciò il ripiegamento.
Fu ferito il comandante del battaglione. Comunque, sempre retrocedendo, si
continuò a combattere accanitamente per nuclei isolati che rifulsero per
fermezza e spirito di sacrificio. I tedeschi occuparono le posizioni del ponte
di Kimoniko, mentre i resti del battaglione, perdute gran parte delle armi
pesanti e la batteria d’accompagnamento, ripiegarono disordinatamente su
Divarata. A tarda sera giungeva il nuovo
comandante, capitano Olivieri, con l’ordine di riorganizzare il battaglione e
rioccupare, appena possibile, le posizioni perdute. Il capitano Olivieri
portava come rinforzi nuclei di carabinieri e di guardie di finanza che,
successivamente, parteciparono ai combattimenti”.
“Il gen. Gandin – informa il capitano
Bronzini – inviò alcuni ufficiali del comando della divisione a perlustrare la
zona dove era avvenuto lo sfacelo del primo battaglione del 317° fanteria. Essi
dovevano raccogliere i dispersi e recuperare tutto il materiale possibile. In
queste operazioni trovò la morte il tenente di fanteria di complemento Michele
Stablum, il quale, riuscito a recuperare ed organizzare quasi un plotone, si
scontrò con forze tedesche nei pressi del ponte Kimoniko. Cadde colpito al
petto da raffica di mitragliatrice mentre incitava i soldati a resistere ed
egli stesso si era messo ad un’arma in sostituzione di un servente ferito”.
La manovra tendente ad aggirare da
nord le posizioni di Kardakata era dunque fallita.
Di conseguenza, per tutta la giornata,
anche le operazioni sul fronte di Pharsa subirono una sosta.
“Nel pomeriggio – testimonia il
capitano Bronzini – giunse la prima risposta del Comando Supremo ai nostri
bollettini. Il gen. Ambrosio elogiava il contegno della divisione. Questo
elogio venne integralmente trasmesso alle truppe con un adeguato commento del
gen. Gandin. Intanto il generale continuava a chiedere al Comando Supremo
l’intervento dell’aviazione e l’invio di munizioni già quasi esaurite, specie
quelle per i mortai. In tre giorni di combattimento non ci era giunto alcun
aiuto né rifornimento”.
Anche durante questo giorno, dall’alba
al tramonto, si era protratta incessante l’azione degli Stukas su tutto lo
schieramento.
lunedì 14 settembre 2015
Cefalonia: la giornata dei volantini tedeschi
18 SETTEMBRE
Alle quattro del mattino, i tedeschi
che, come abbiamo detto, avevano riconquistato le posizioni di Kimoniko,
avanzarono in direzione nord-est per attaccare i resti del primo battaglione
del 317° schierati a sud di Divarata.
Il combattimento ebbe inizio alle ore
6 e si protrasse, sotto il bombardamento degli Stukas, fino alle 16.
Dice il capitano Apollonio: “i nostri
subirono gravissime perdite. Assaliti da tutte le parti dai tedeschi, i fanti
del primo battaglione contesero il terreno palmo palmo.
“Molti episodi fra quelli che mi sono
stati segnalati, e che riesco oggi a ricordare, non devono essere dimenticati.
“Il sottotenente Marano, dopo aver
occupato con immensi sacrifici una quota, nel disperato tentativo di
mantenerla, rifiutava di arrendersi e cadeva insieme a tutti gli uomini del suo plotone.
“Fra i suoi gregari più valorosi,
vanno ricordati il sergente Occhipinti, il sergente Belluca, il caporale Busin,
il caporale Asta, il fante Sessa, il fante Sozzi.
“Si può senz’altro affermare che i
fanti, pur di non mollare quelle posizioni, si tenevano aggrappati anche coi
denti a quelle rocce nude e d ingrate.
“I miseri resti del battaglione furono
respinti, nel pomeriggio, nelle case di Divarata.
“Ma anche qui il combattimento
continuò accanito. Si distinsero il caporal maggiore Tortora ed il sergente
maggiore Rocco Pentasuglia che combatterono corpo a corpo con elementi tedeschi
infiltratesi nel paese.
“Il capitano Verro, comandante della
batteria di accompagnamento, riunì tutti i superstiti, circa 25, del suo
reparto e li trascinò verso il ponte do Kimoniko per recuperare i pezzi perduti
nel combattimento del giorno precedente. Si infiltrarono, a colpi di bombe a
mano, nelle file tedesche dove, circondati e assaliti da ogni parte,
scomparvero.
“Il sottotenente Tummino veniva
trovato morto sulla sua mitragliatrice.
“Morti pugnalati dai tedeschi venivano
trovati il sottotenente Quattrone ed il sottotenente Boccacchi. Nei due giorni
di combattimento, il primo battaglione del 317° fanteria e la batteria
d’accompagnamento avevano perduto, morti sul campo, 13 ufficiali e 250 uomini:
la metà circa degli effettivi, senza contare i feriti ed i dispersi”.
Mentre questi fatti si svolgevano fra
il Kimoniko e Divarata, sul fronte di Pharsa, fin dalle ore 6, il secondo e il
terzo battaglione del 317° fanteria continuavano gli attacchi contro la fascia
delle posizioni tedesche che difendevano Kardakata.
Il terzo battaglione, scendendo dal M.
Rizocuzolo, doveva agire sul fianco e sul tergo dello schieramento tedesco ed
occupare il paese di Kuruklata.
Il secondo battaglione, con azione
contemporanea, doveva agire frontalmente contro le posizioni tedesche a nord di
Pharsa.
“Nelle prime ore del 18, - testimonia
il capitano Apollonio – il terzo battaglione scese dai tre canaloni del
Rizocuzolo puntando su Kuruklata.
“La località veniva in un primo tempo
occupata: subito dopo però un forte contrattacco tedesco costrinse le nostre
truppe ad abbandonare il paese.
“I nostri reparti di fanteria, chiusi
nei canaloni, subirono un violentissimo fuoco di mortai che potè essere fatto tacere solo con l’intervento di tutte
le batterie del 33° artiglieria.
“Il battaglione, riorganizzatosi,
tentava subito dopo un secondo attacco.
“I fanti, balzando di casa in casa,
compivano veri miracoli di audacia. Ma anche questa volta il contrattacco
tedesco, accompagnato da un gran numero di armi pesanti che spazzavano
minutamente il terreno, li costrinse alla ritirata.
“Nel condurre all’assalto alla
baionetta i suoi uomini, trovava morte da valoroso il sottotenente Cilecca.
“Il sottotenente Chirilli, mentre accerchiato
si difendeva a bombe a mano, rimase gravemente ferito.
“Cadeva il sergente maggiore Moso, in
testa a tutti, in un assalto alla baionetta.
“Il capitano Pantano lasciava il
comando del battaglione e di spingeva nei posti più rischiosi per incitare i
suoi soldati alla lotta.
“ Due fanti, Carli Giovanni e Barbaro
Francesco, restarono per tutta la giornata soli nelle vicinanze di Kuruklata
sparando sul nemico”.
Il secondo battaglione che attaccò le
posizioni immediatamente a nord di Pharsa conseguì subito alcuni successi
locali che costrinsero i tedeschi ad abbandonare le posizioni che ancora
avevano dominio sul paese. Ma fu un
successo di importanza assai scarsa ai fini generali della lotta perché
ogni ulteriore progresso fallì sotto il fuoco serrato della difesa nemica.
Anche l’artiglieria prodigò tutta se
stessa. Gravi furono le perdite ad essa inflitte dalle pesanti bombe degli
Stukas che tentavano di colpire i pezzi uno per uno: parecchi ne furono
distrutti.
“Per avere un’idea delle proporzioni
della lotta – dice il capitano Apollonio – basti dire che la mia batteria,
nonostante che circa trenta Stukas dominassero completamente dal cielo, sparò,
tra le 4 e le 11,30 del mattino, milletrecento colpi. Le altre batterie non
furono da meno. Agli artiglieri e alla Marina il riconoscimento più manifesto
fu tributato dal nemico, il quale, dopo la resa, per vendicarsi delle perdite
subite, dava caccia accanita, per trucidarli, a quanti portavano il cappello
alpino e l’uniforme del marinaio”.
Durante la giornata, a più riprese,
gli Stukas lanciarono sulle nostre truppe migliaia e migliaia di manifestini a
scopo intimidatorio.
Ecco il testo:
“Italiani
di Cefalonia! Camerati ufficiali e soldati! Perché combattete contro i
tedeschi? Voi siete stati traditi dai vostri capi. Volete tornare al vostro
paese per stare vicini alle vostre donne, ai vostri bambini, alle vostre
famiglie? Ebbene, la via più breve per raggiungere il vostro paese non è certo
quella dei campi di concentramento inglesi. Conoscerete già le infami
condizioni imposte al vostro paese con l’armistizio anglo-americano. Dopo
avervi spinto al tradimento contro i compagni d’arme germanici, ora vi si vuole
avvilire con un lavoro brutale e pesante nelle miniere dell’Inghilterra e
dell’Australia che scarseggiano di mano d’opera. I vostri capi vi vogliono
vendere agli inglesi. Non credete loro. Seguite l’esempio dei vostri camerati
dislocati in Grecia, a Rodi, nelle altre isole, i quali hanno tutti deposto le
armi e già rientrano in patria; come hanno deposto le armi le divisioni di Roma
e delle altre località del vostro territorio nazionale. E voi invece, proprio
ora che l’orizzonte della patria si delinea ai vostri occhi, volete proprio ora
preferire morte e schiavitù inglese? Non costringete, no, non costringete gli
Stukas germanici a seminare morte e distruzione! Deponete le armi! La via della
Patria vi sarà aperta dai camerati tedeschi!
“Camerati
dell’Armata Italiana!
“Col
tradimento di Badoglio, l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista sono
state vilmente abbandonate nella loro lotta fatale. La consegna delle armi in
Grecia è terminata senza sparger sangue. Soltanto la divisione “Acqui”, al
comando del gen. Gandin, partigiano di Badoglio, dislocata nelle isole di
Cefalonia e Corfù, ed isolata colà dagli altri territori, ha respinto l’offerta
di una consegna pacifica delle armi ed ha cominciato la lotta contro i tedeschi
e fascisti. Questa lotta è assolutamente senza speranze. La Divisione, divisa
in due parti, è circondata dal mare senza alcun rifornimento e senza
possibilità d’aiuto da parte dei nostri nemici. Noi camerati tedeschi non
vogliamo questa lotta. Vi invitiamo perciò a deporre le armi e ad affidarvi ai
presidi tedeschi delle isole. Allora anche per voi, come per gli altri camerati
italiani, sarà aperta la via della Patria. Se però sarà continuata l’attuale
resistenza irragionevole, sarete schiacciati e annientati fra pochi giorni
dalle forze preponderanti tedesche che
stanno raccogliendosi. Chi verrà fatto prigioniero allora, non potrà più
tornare in Patria. Perciò, camerati
italiani, appena otterrete questo manifestino, passate subito ai tedeschi. È
l’ultima possibilità di salvarvi! Il Generale Tedesco di Corpo d’Armata”.
“Tali manifestini, - dice il capitano
Apollonio – lungi dall’indebolire, riaffermarono in tutti i soldati la volontà
di combattere. Il fine era uno solo: caciare i tedeschi dall’isola. Ognuno
era pronto a sacrificarsi. Questa
volontà divenne addirittura disperata dall’evidente significato di questa frase
contenuta nel manifestino. “Se però sarà continuata l’attuale resistenza
irragionevole, sarete schiacciati e annientati fra pochi giorni dalle forze
preponderanti tedesche. Chi verrà fatto
prigioniero allora, non potrà più tornare in Patria”.
“Per chi conosceva bene i tedeschi non
esistevano più dubbi.
“Un testimone oculare ha narrato che
il gen. Gandin, dopo aver letto il manifestino, si strappò dal petto il
nastrino della croce di ferro tedesca e lo gettò sul tavolo. Ripetutamente fu
inteso dire in quei giorni. Se perdiamo, ci fucileranno tutti. E questa era la
convinzione generale. Eppure nessuno vacillò, nessuno esitò. Nonostante che
questo manifestino potesse servire da lasciapassare, non un solo soldato
abbandonò il suo posto di combattimento per afferrarsi all’ultima ancora di
salvezza”.
Intanto continuava, fin dal mattino
del 17, l’affluenza dei rinforzi tedeschi attraverso le baie di Vatza e di
Kiriaki, rispettivamente a sud e a nord della penisola di Paliki.
“La nostra artiglieria – dice il
capitano Bronzini – molesta più che può tali operazioni ma non riesce, nonché
ad impedirle, nemmeno a rallentarle.
Occorreva l’aviazione, ma per quanto il gen. Gandin insistesse presso il
Comando Supremo, nessun velivolo nostro si è fatto ancora vedere. L’artiglieria
continuava ad effettuare tiri d’interdizione sulla rotabile Lixuri – Kardakata,
dove il traffico nemico è divenuto più intenso”.
martedì 8 settembre 2015
8 settembre 1943: Per gli Italiani il Momento delle scelte
Alle 19,42 dell'8 settembre 1943, in un annuncio radiofonico il Capo del Governo marescaillo Badoglio, comunicava l'armistizio italiano con le potenze Alleate. Il testo era il seguente:
Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta.Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventualiattacchi da qualsiasi altra provenienza".
Un'ora prima, alle 18.30, dai microfoni di Radio Algeri il generale Dwight D. Eisenhower, l'aveva annunciato al mondo. Per gli Italiani iniziavano i "giorni delle scelte, ovvero quella crisi armistiziale ove ognuno dovette fare la sua scelta: chi restare fedele alla vecchia alleanza con il nazismo, chi reagire contro il vecchio alleato, chi darsi alla macchia, chi sopportare in mano altrui il resto della guerra restando fedele al giuramento prestato. Sono giorni terribili.come quelli della Divisione Acqui a Cefalonia, di cui stiamo pubblicando una ricostruzione del 1945, e come di tanti altri italiani in Italia ed all'estero.
.
Intanto gli Alleati sbarcavano a Salerno, eludendo le difese italo-tedesche creando il massimo dell'incertezza e della confusione. Lo sbarco non fu un successo: ad un certo punto la reazione tedesca fu tale che il VI Corpo d'Armata USA stava per reimbarcarsi. La spinta supplettiva tedesca non ci fu e gli Alleati rimasero a terra. Iniziava un nuovo capitolo della Campagna d'Italia, che coicideva con l'inizio della guerra di Liberazione per noi Italiani
sabato 5 settembre 2015
Cefalonia: le due giornate terribili
19-20 SETTEMBRE
Lo sviluppo cronologico delle
operazioni svoltesi nei giorni precedenti presentava, il mattino del 19, il
seguente quadro: completo successo italiano nella zona di Argostoli a seguito
dei combattimenti del pomeriggio e di parte della notte del 15; stasi del
giorno 16; fallimento, il giorno 17, dell’azione combinata fra il fronte del
Kimoniko ed il fronte di Pharsa e contrattacco tedesco al primo battaglione del
317° fanteria che ripiegava su divarata; il giorno 18, continuazione della
pressione tedesca sul fronte di Divarata ed attacco italiano, senza
apprezzabili successi, sul fronte di Pharsa.
In conclusione, le azioni del 17 e del
18, imperniate sul concetto di raggiungere le posizioni di Kardakata con azione
contemporanea da nord e da sud, si erano infrante per la reazione tedesca nella
zona di Kimoniko e per la resistenza tedesca sul fronte di Pharsa.
Fra i principali motivi del fallimento
di queste operazioni si possono annoverare: l’ininterrotta azione aerea tedesca
sulle zone della battaglia alla quale si opponeva assai scarsa, e quasi nulla,
la nostra azione contraerea; l’efficienza difensiva delle truppe tedesche determinata
dalla larga disponibilità di armi pesanti e dall’affluenza immediata di truppe
scelte di rinforzo; il ritardo di oltre quattro della disponibilità di
automezzi per il trasporto del primo battaglione del 317° dalla zona di S..
eufemia al Kimoniko.
L’azione aerea ed il susseguirsi
continuo dei combattimenti avevano prodotto come abbiamo visto, gravissime
perdite, disarticolando la compagine sia dei reparti in linea, fanteria ed
artiglieria, che dei servizi.
Agli effetti quindi dell’azione per la
conquista di Kardakata si impose la sosta dei giorni 19 e 20 settembre, durante
i quali fu ideato ed organizzato un nuovo piano.
Intanto, nella notte sul 19, si effettuava
l’azione intesa a catturare, a capo Munta, il presidio tedesco che, fornito di
stazione radio, costituiva ottima fonte informativa per il nemico.
L’azione era affidata al maggiore
Altavilla del 17° fanteria, il quale disponeva, per questa impresa, di un
piccolo battaglione di formazione e dell’appoggio di due pezzi da 47/32 e due
pezzi da 75/40.
“Nel pomeriggio del 18 – dice il
capitano Bianchi – io, travestito da civile greco assieme ad un greco della
zona, entrai nel caposaldo di Capo Munta quale venditore di frutta. Ebbi così
modo di osservare le postazioni delle armi e la resistenza degli ostacoli.
“La sera alle ore 23,30 ebbe inizio la
preparazione di artiglieria ed alle 24 passammo all’attacco.
“Il terreno era sfavorevole per
l’attaccante perché pianeggiante e senza alcun riparo. Pur tuttavia ci portammo
sotto al caposaldo assai velocemente e circa alle ore 3 giungemmo sotto i
reticolati. L’effetto dei nostri mortai su questi era stato minimo e fummo
quindi costretti a ricorrere alle pinze”.
“I tedeschi, - dice il capitano
Apollonio – accortisi dei essere circondati, e fors’anche avuto sentore
dell’incertezza che regnava fra i nostri cominciò a reagire con grande
violenza, soprattutto servendosi di mitragliere da 20.
“Tuttavia le nostre compagnie, guidate
da magnifici ufficiali, proseguivano nell’attacco con grande perseveranza.
“Si ripeterono qui scene di ammirevoli
sacrifici ed alti ardimenti.
“Il tenente Morelli veniva colpito a
morte mentre portava aiuto al capitano Balbi gravemente ferito.
“il tenete Crapanzano trovava la morte
mentre era arrampicato, nel tentativo di scavalcarlo, su un muro del caposaldo
tedesco.
“Ogni fante gareggiava in ardimento
seguendo l’esempio degli ufficiali”.
“Alle ore 4 circa, - dice il capitano
Bianchi, - parte del mio secondo plotone poteva penetrare nel caposaldo. Ma
veniva immediatamente contrattaccato e costretto a ripiegare. Ma circa un’ora
dopo tutta la mia compagnia penetrava nel caposaldo. Si combatteva tra urla e
detonazioni, all’arma bianca ed a bombe a mano, con gravi perdite da ambo le
parti. Ad un tratto una bomba da mortaio tedesco da 50 mi cadde vicinissima.
Intesi una vampata alla faccia e caddi disteso a terra. Ero colpito alla gamba
destra, al braccio destro ed alla testa”.
“Mentre sembrava di aver già in pugno
la vittoria, - dice il capitano Apollonio, - giungevano improvvisamente gli
Stukas che capovolgevano nettamente la situazione. Avventandosi a pochi metri
dal suo, mitragliavano e spezzonavano palmo a palmo. I nostri fanti erano
completamente allo scoperto. Si ripetè allora il solito spettacolo angoscioso:
prima un po’ di scompiglio per cercare un riparo, poi, malgrado gli eroici
tentativi di fermarla da parte di alcuni ufficiali, la fuga.
“L’azione finiva disastrosamente nel
sangue.
“I patrioti greci, che dovevano
partecipare all’azione, al momento buono si erano dileguati. Sotto Capo Munta
perirono circa 150 uomini. I feriti rimasti sul terreno vennero fatti fucilare
dal tenente tedesco Rademaker, al quale fu più tardi concessa la croce di
ferro. Le salme non furono mai sepolte, ma fatte sparire con altri sistemi”.
Nelle prime ore del 19 partì per
Brindisi, col sottotenente di vascello Di Rocco il motoscafo della Croce Rossa,
con lo scopo di prospettare al Comando Supremo la situazione di Cefalonia e,
soprattutto, di sollecitare l’intervento dell’aviazione. Ma l’esito della
spedizione, superato dagli avvenimenti, fu nullo.
“Nella notte fra il 18 e il 19, -
informa il capitano Bronzini – pervenne dal Comando Supremo un telegramma col
quale venimmo informati che nella giornata del 18 duecento bombardieri
americani avevano bombardato l’aeroporto di Araxos.
“La notizia, comunicata alle truppe il
mattino del 19, sollevò l’animo dei soldati i quali erano depressi non solo per
gli incessanti bombardamenti quanto anche, e soprattutto, per essersi visti
privi di aiuti dall’Italia ed abbandonati nei momenti più duri della lotta.
“L’assenza della nostra aviazione e la
mancanza di quegli aiuti dall’Italia sui quali, all’inizio della lotta, tutti
avevamo riposto molta fiducia furono i fattori che, uniti a tutti gli altri,
indebolirono lo spirito del nostro soldato.
“L’inferiorità nostra era ormai
evidente.
“Il nemico dal cielo controlla ogni
nostro movimento, lo disturba, addirittura lo impedisce.
“Il terreno che ci circonda è carsico,
scoperto, visibile metro per metro,
“I nostri battaglioni di fanteria no
dispongono, come non hanno mai disposto, di armi contraeree e sono costretti a
subire passivamente l’azione aerea nemica”.
Siamo così al giorno 20, in cui non si
verificarono avvenimenti di rilievo ma si concretò, come abbiamo accennato,
l’organizzazione per le operazioni del giorno successivo.
Dopo l’esito dei combattimenti dei
giorno precedenti, il gen. Gandin aveva avuto modo di constatare che la difesa
tedesca attorno a Kardakata era divenuta assai solida e profonda.
Essa non era infatti imperniata
solamente sulle posizioni di Kutsuli, a nord di Pharsa, ma si estendeva sui
robusti bastione, di difficile accesso, rappresentati dalle propaggini
sud-occidentali del M. Dafni.
In altri termini, lo schieramento
difensivo tedesco, elastico e profondo assai più del previsto, poggiava su tre
scaglioni, di cui più forte il secondo: posizioni di Kuruklata, posizioni delle
pendici sud-occidentali del Dafni, posizioni di Kardakata.
Il gen. Gandin, pertanto, constatata
l’impossibilità di ottenere risultati definitivi operando frontalmente o con
manovra sui fianchi a limitato raggio, decise di eseguire una audace manovra di
avvolgimento.
Il suo concetto operativo era il
seguente: il primo battaglione del 17° fanteria doveva agire da perno
continuando a tenere le posizioni a nord di Pharsa; il terzo barragliene del
317° fanteria doveva costituire l’ala avvolgente, puntando attraverso le
pendici del Dafni, su Kardakata; il secondo battaglione del 317° - posto fra il
primo ed il terzo – non appena si fosse accentuata l’azione avvolgente del
terzo battaglione, doveva attaccare sulla fronte e sul fianco le posizioni
tedesche di Kuruklata.
“La notte del 20 – dice il capitano
Apollonio – il gen. Gandin si soffermava presso la compagnia del capitano
Ciaiolo rivelando una grande serenità e fiducia. Parlando affabilmente, come il
suo solito, con i soldati, li incitava a compiere ancora l’ultimo sacrificio
che sarebbe poi stato remunerato dalla sicura vittoria dell’indomani. Curò
personalmente la dislocazione di quattro mitragliatrici. Affermò che
all’indomani sarebbero giunti cinque aerei italiani. Imbattutosi in un soldato
dell’Italia meridionale, gli disse: scrivi subito che domani partirà posta per
l’Italia”.
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