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mercoledì 24 aprile 2019

9 settembre 1943. La Paura



La Crisi armistiziale del settembre 1943

Il Re, La Famiglia Reale, il Governo di Badoglio 

lasciano la Capitale

Perché?





Tutte le medaglie d’oro concesse per la difesa di Roma mostrano il valore militare dei singoli per la difesa della Capiate. Sono le operazioni che si sono svolte, come detto, tra la notte del 9 settembre e la sera del 10 settembre, ovvero nelle ore convulse seguite alla proclamazione dell’armistizio in cui è maturata la decisione della Corona e del Governo di lasciare la capitale. Nell ultime ore della sera dell’8 settembre la situazione era così drammatica, dal punto di vista tedesco che tutti i responsabili, a prescindere dall’incarico, avevano deciso di partire per il nord e lasciare la capitale italiana con qualsiasi mezzo; in gran parte erano impegnati a bruciare i documenti più compromettenti e a cercare di portare con se le cose più preziose, In pratica una situazione disperata. Tutto questo era così evidente che a Fiumicino i tedeschi fanno saltare in aria i ponti radio, segno evidente che hanno deciso di abbandonare le posizioni. Ma Kesserling, al contrario di tutti i tedeschi presenti, e con questo si conquisterà la fiducia di Hitler per il resto della guerra, decide di non abbandonare i suoi soldati al loro destino, ovvero nel migliore dei casi alla prigionia. Quella di Kesserling, dal punto di vista militare è una figura da prendere in esame e studiare. Un comandante non abbandona i suoi sottoposti e lotta fino all’estremo. Fin dalle prime ore reagisce allo sconforto generale e non decide minimamente di fuggire verso nord; nel contempo il suo superiore, il Maresciallo Rommel ha già dato ordine di ripiegare verso le Alpi. Nella notte unità tedesche compiono un colpo di mano e si impossessano del Deposito carburanti di Mezzocammino alle porte di Roma. Un grande deposito: con questa benzina i mezzi tedeschi saranno riforniti con continuità. Si hanno i primi scontri, dovuti alla aggressività dei soldati tedeschi, sollecitati dagli ordini di Kesserling. Una delle ipotesi si salvezza per il Re la famiglia Reale e il Governo studiata in precedenza era la via Fiumicino-Sardegna, ove erano schierate ingenti forze italiane. Kesserling schiera la sua divisione paracadutisti lungo la litoranea lazionale e blocca questa via di fuga. I ponti radio fatti saltare a Fiumicino hanno anche questo significato: con la Sardegna non si comunica e la via è bloccata. All’alba del 9 settembre la Divisione Ariete è schierata tra Manziana e Monterosi. 

Qui una colonna corazzata tedesca è fermata dall’eroismo di un sottotenente del Genio, che fa saltare il ponte, bloccandola, e perde la vita. E’ il s,ten Rosso, medaglia d’oro. I combattimenti si accendono in tutta la periferia di Roma, ma soprattutto nelle zone della Cecchignola, Ardeatina, Prenestrina, Casilina. I Granatieri di Sardegna, schierati tra l’Eur e la Magliana tengono testa ai tedeschi. Per tutta la giornata del 9 settembre le posizioni italiane, pur attaccate dai tedeschi, tengono e danno copertura. L’incertezza regna sovrana. Sui sta decidendo se rimanere e, quindi resistere, oppure cercare una via di fuga. Si sceglie questa soluzione. Come i tedeschi alla Rommel fuggono verso nord e cercano di mettersi al sicuro, cosi il Re, la famiglia Reale ed il Governo fanno altrettanto. Tra le file italiane non vi è un Kesserling che decide di rimanere e resistere. La partenza del Re della Famiglia reale, di parte del Governo è l’inizio dello sfaldamento. A Roma rimangono il ministro della Guerra, Sirici, ed il ministro dell’Interno, Ricci, ma entrambi non sanno che fare, scollegati completamente dal Re e dal Primo ministro Badoglio. Il Comando Supremo, con Ambrosio, segue Badoglio ed il Re, dovrebbero rimanere il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Roatta, e soprattutto il Comandante del Corpo d’Armata motocorazzato, Carboni. Tutti sono risucchiati in questa fuga verso est. Nella giornata del 10 si riuniscono anche esponenti dei partiti antifascisti, per imbastire una qualche linea di azione, ma non si ha alcun esito. Si arriva anche a chiedere una distribuzione generale di armi alla popolazione civile, in una sorta di sollevazione popolare che avrebbe messo in difficoltà i tedeschi. Esempio di questo è Raffaele Persichetti, granatiere, grande invalido, civile che si unisce ai suoi ex commilitoni prende e combatte a Porta san Paolo. Non si ha il coraggio di questo atto estremamente rivoluzionario, Dare le armi al popolo, ed i depositi ne sono pieni, significa delegittimare il potere regio che in quel momento, davanti al nemico, è assente, ma ancora legittimamente riconosciuto. Tutte le medaglie d’oro concesse in questi giorni, a Luigi Perna, a Camillo Sabatini, a Romolo FUgazza, a Franco Vannetti Donninia,  Nunzio Incannamorte, hanno il significato di quello che si doveva fare di fronte al nemico.

La giornata del 10 passa in questo equilibrio, di valore dimostrato sul campo da parte di ufficiali “che hanno reagito ad attacchi venuti da qualsiasi altra provenienza” come dice il messaggio di Badoglio che sono seguiti dall’impegno nel combattimento dei soldati, sino a quando non arriva l’ordine di resa o di disarmo.
Nel dopoguerra il tema della mancata difesa di Roma darà vita a roventissime polemiche che ancora oggi non si sono sopite. E’ una ferita nella storia della Nazione non emarginata, Interessante sarebbe analizzare, per non entrare nel groviglio inestricabile delle ricostruzioni a posteriori, questo assioma: nel momento in cui i tedeschi, con Rommel in testa avevano deciso di ritirarsi sulle Alpi, se il Re, la Famiglia Reale, il Governo fossero rimasti a Roma, ed avessero reagito alla Kesserling davanti al “tutto è perduto”, quale verso avrebbe preso la storia recente d’Italia?. E se questo non è avvenuto, quale ne è la ragione?

Se la ragione dell’abbandono di Roma discende dal fatto che il Re, la Famiglia reale ed il Governo, non avevamo più alcun  ragione di difendere  e morire per una Italia, quella del previlegio, della oppressione, della mancanza di libertà, e della sopraffazione e delle leggi razziali, che ormai si era dissolta dopo una guerra perduta, e perduta male, si cade in una versione di “sinistra” che è di parte. Una versione che genera una controversione, quella della morte della Patria, del raggiungimento di zone sicure per continuare a lottare ed altre giustificazioni redatte a posteriori.

Se prendiamo la versione che Ruggero Zangrandi a posto alla attenzione di tutti negli anni sessanta del secolo scorso, in cui si ricostruisce momento per momento tutta la vicenda armistiziale in cui si sostiene che esisteva un accordo tra i tedeschi e il Governo Italiano, con d’accordo il Re, per attirare gli Alleati in una gigantesca trappola; fingere di firmare un armistizio qualsiasi, fingere di fermare uno sbarco alleato che si sarebbe dovuto effettuare o a Anzio o a Civitavecchia, chiedere l’invio di una divisione paracadutisti su Roma, ed altro. Al momento opportuno, gli Italiani non avrebbero riconosciuto gli accordi, avrebbero combattuto gli Alleati e si sarebbe tutto risolto in un loro grande scacco. Si dimostrava che era impossibile sbarcare in Europa. Questa sconfitta aveva il significato strategico di proporre una conferenza di pace generale, dopo quattro anni di guerra, in cui alla Germania veniva riconosciuto il ruolo di potenza europea dominante, la URSS avrebbe riconosciuta la sua sopravvivenza, gli Stati Uniti avrebbero avuto l’interesse a concentrarsi sul Pacifico per sconfiggere il Giappone e dominare oltre le Americhe anche l’Asia, con la Gran Bretagna abbandonata al suo destino nell’orbita statunitense. L’Italia doveva fare il primo passo su questa strada.  Gli alleati comprendono il gioco degli Italiani, sbarcano a Salerno, anticipano la data  dello sbarco e gettano Roma nel caos. Da qui si capisce la fuga dalla capitale. Il gioco non era riuscito ed ora si temevano le conseguenze.

Un gioco troppo grande di Lei, che si è tradotto in un disastro totale, che giustifica la rabbia dei tedeschi contro gli Italiani , che nel settembre 1943 avevano capito che la guerra non l’avrebbero mai vinta, e cercavano soluzioni diplomatiche. La fuga dalla rabbia tedesca è l’unica soluzione. Per attuarla, Zangrandi sostiene che si ha un accordo tra il Governo Italiano e Kesserling: una tregua di 48 ore, in cui i tedeschi non vengono attaccati dagli italiani e il Governo ha la via di fuga protetta o non molestata dai tedeschi. Kesserling manda le sue divisioni da Roma a Salerno a fronteggiare gli Alleati, il Re, la Famiglia reale e il Governo la possibilità di raggiungere indisturbati Pescara e poi Brindisi in mezzo a forze tedesche che non li attaccano. La tesi di Zangrandi non è accettata perché è basa solo su aspetti indiziari, non documentali, come se simili accordi si possono mettere nero su bianchi a futura memoria. E quindi non accettata

Se invece mettiamo alla delle scelte del re, della famiglia Reale e del Governo di Badoglio un semplice concetto, allora tutto è più chiaro.

 Alla base di tutto vi è la paura.

Come i tedeschi, quasi tutti tranne Kesserling, alla sera dell’8 settembre scappavano tutti al nord per paura di essere fatti a pezzi dagli Italiani, così il Re la Famiglia Reale il Governo, non avendo fiducia nelle proprie forze armate né in nessun altro, terrorizzati di cadere in mano tedesca come prigionieri, e devono dare conto di accordi inconfessabili non trovano altra soluzione che scappare, abbandonando tutti e tutti e mettersi al sicuro per salvare il salvabile. Una folle corsa verso la salvezza che non ha giustificazione se non la irrazionalità della paura.

Massimo Coltrinari

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