domenica 3 maggio 2015
Soldati e Partigiani: il vecchio ed il nuovo II
3.2. Resistenza
e Corpo Italiano di Liberazione:
peculiarità e valori sul campo
Al di là di ogni considerazione
locale, non si deve dimenticare che le formazioni partigiane avevano un
armamento leggero, fucili, pistole e qualche mitragliatrice, con munizionamento
scarso. Inoltre il numero era esiguo, sull’ordine delle decine di unità. Se
queste formazioni fossero state impiegate contro unita o reparti di prima
linea, in gradi non solo di reggere il fuoco, ma di potenziarlo e di manovrare,
con una organizzazione di comando e controllo efficiente, le possibilità di
successo erano veramente minime.
Scrive Gianni Oliva:
“Anche qui c’è stato un errore degli storici negli anni scorsi: quello
di sopravalutare il ruolo militare delle formazioni partigiane: E’ quello di
voler rilegger la storia delle formazioni partigiane in termini soltanto di
storia militare.
Una formazione partigiana ha necessariamente sul piano un ruolo
limitato, un ruolo secondario. Quando si hanno i fucili in mano e dall’altra
parte ci sono le truppe corazzate e gli aerei ricognitori, è evidente che dal
punto di vista militare il ruolo è secondario. Secondario non vuol dire
infintesimale e non vuol dire trascurabile.”[1]
Si è già accennato alla richiesta
alleata di attaccare i Tedeschi per prendere e mettere in sicurezza il porto di
Ancona. L’impresa di realizzare tale progetto era già difficilissima attuarla;
ma il vero problema era quello di mantenere le posizioni in attesa dell’arrivo
degli Alleati: quanto tempo avrebbero resistito? Questo è il nocciolo del
problema. Il “Fabrizi”, entrato in Osimo il 3 luglio con un ottima azione di
infiltrazione, era in grado di dare battaglia ai due battaglioni Tedeschi che
presidiavano le posizioni di Osimo e mantenerle? Sicuramente no.
Accusare Corradi, che sarà stato
pure di idee monarchiche, istruito nelle Accademie militari, attendista, sembra
voler sviare la realtà: le formazioni della Resistenza, a fine giugno 1944
nell’area di Ancona, non avevano la capacità militare di attuare quello che
passione, idealità, amor di patria, senso del dovere, voglia di riscatto,
partecipazione, sprezzo del pericolo e volontà di riscatto suggerivano.
Come giustamente fa osservare un
protagonista, Paolino Orlandini, la frattura fra azionisti e comunisti non si
era ricomposta; dando il comando ad una terza forza, a Ufficiali Monarchici,
espressione di un “vecchio” che nessuno voleva, fu un altro errore che si
aggiunse ai precedenti, che sommati insieme hanno portato alla conclusione che
nelle operazioni per la liberazione di Ancona, sul piano strettamente militare,
le formazioni combattenti partigiane ebbero un ruolo marginale.
Ma se ci sposta dal piano
militare al piano sociale e politico, allora il ruolo si capovolge e diventa di
tutto rilievo. Le formazioni partigiane con la loro presenza hanno avuto il
compito e il ruolo di deligittimare in tutta la sua vastità “la Repubblica Sociale Italiana , nel contendere alla Repubblica Sociale
Italiana il controllo del territorio, nel far sì che la sovranità reale, non
quella formale, fosse limitata ai grandi centri urbani ed alla periferia nel momento in cui c’era contemporaneamente
la presenza delle forze armate tedesche in rastrellamento. Ora questa
delegittimazione della repubblica Sociale Italiana è nello stesso tempo la
legittimazione del regno del Sud, della guerra di liberazione che viene
combattuta a Sud, di quello che l’Italia diverrà dopo il 25 aprile.”[2]
Portando queste considerazioni
sull’evento che stiamo narrando, mentre i gerarchi e le autorità della
Repubblica Sociale Italiana al solo apparire del nemico nelle Marche, fuggirono
senza ritegno abbandonando tutti e tutto, lasciando la popolazione in balia di
se stessa, le formazioni partigiane erano presenti sul territorio, rivendicando
quella sovranità di fatto che fu conquistata sul terreno. Sul piano militare la
loro incidenza fu quella indicata sopra, che è quella che è “in res ipsa”, sul
piano militare
Il contributo dei “patrioti”
rimane, sotto questo profilo costante durante la battaglia. Innumerevoli
sono gli episodi che testimoniano come i “patrioti” riuscivano a dare un
contributo fattivo alle operazioni.
Paolo Orlandini, ad esempio,
scrive,
“Abbiamo tenuto il fronte di Osimo per 18 giorni perché gli Alleati[3] sono arrivati il 6
luglio ed il fronte non è avanzato fino al 18 di luglio, il giorno della
liberazione di Ancona. Il giorno 17 cominciò l’offensiva da parte del Corpo
Italiano di Liberazione. Una nostra pattuglia catturò un ufficiale austriaco
addetto allea fortificazione della valle che comandava direttamente una
batteria di mortai distaccata a S. Paolina lui ci disegnò sulla carta
topografica tutta la difesa nemica e con quel disegno io andai al Comando
Artiglieria polacco. Il colonnello Leon volle subito verificare se le
informazioni erano esatte ed ordinò un tiro di controbatteria verso
un’indicazione segnalata: una prima batteria nemica venne distrutta”[4]
Emerge, quindi, di contro il
ruolo del Corpo Italiano di Liberazione, in questo profilo, che non è una
espressione del “vecchio regime”, ma l’espressione, come elemento militare,
della legittimazione del Regno del Sud, e quindi di rilevanza notevole, tale da
poter dire che realmente partecipò alla liberazione di Ancona, ma che dal punto
di vista politico e sociale, ha un peso ed un significato diametralmente
opposto a quello delle formazioni partigiane, come è facilmente deducibile da
tutte le testimonianze e fonti che in parte sono state qui citate.
[1] Oliva G., L’apporto popolare e partigiano alla liberazione d’Italia, in ”Le
forze Armate nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione”, Atti del Convegno
di Studi, Bologna, 21-22 marzo 1995, Roma, 1995
[2] Ibidem
[3] Si intende in questo caso le forze
Polacche e quelle italiane del Corpo Italiano di Liberazione.
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