domenica 3 maggio 2015
Soldati e Partigiani: il vecchio ed il nuovo I
70° anniversario della Liberazione e della fine della Seconda Guerra Mondaile
3.1. Da Tommasi, attraverso Baldelli, a Corradi:
il travaglio della Resistenza nell’anconetano.
La terza forza che si presenta come attrice principale nella
liberazione di Ancona, qui deve essere, seppur a grandi linee, non solo citata
ma studiata nelle sue reali dimensioni dal punto di vista strettamente militare
è quella partigiana. Qui non si mette in discussione il ruolo politico e di
rottura e di volontà del popolo italiano di combattere per una Italia diversa
da quella che aveva portato la guerra in casa, tra indicibili tragedie, lutti e
danni immensi che le formazioni partigiane rappresentano; si vuole solo
analizzare il ruolo tattico svolto dalle medesime e la sua incidenza sulle
operazioni.
Certamente prendendo i dati di forza, la situazione appare
chiara: per combattere i 5000 Tedeschi combattenti che difendevano Ancona, vi
era una unità complessa a livello di corpo d’armata consistente in tre
divisioni, due polacche, con circa 43.000 uomini e una italiana, il Corpo
Italiano di Liberazione, con 25.000 uomini. L’entità numerica delle formazioni
partigiane, secondo varie fonti, oscilla tra i 400 ed i 600 uomini combattenti,
includendo, oltre alle formazioni “di montagna”, anche i GAP ed i SAP. Sarebbe
banale fermarsi a questi rapporti di forza.
Il movimento partigiano nella provincia di Ancona da aprile,
fino alla seconda meta di giugno, dal punto di vista militare fu segnato
profondamente da un insanabile dissidio tra azionisti e comunisti. Tutto sembrava andare per il
meglio con l’accordo del 14 gennaio in cui si erano stabiliti incarichi e
compiti che tutti accettavano.
La cattura di “Annibale”, l’ing. Tommasi da tutti
riconosciuto come capo militare, aveva messo in crisi la struttura militare
partigiana. Fu mandato nelle Marche a colmare questo vuoto Alessandro Vaia[1],
comunista, accolto a San Pietro in Calibano il 13 aprile 1944 da comandanti
Partigiani con vero calore. Appena arrivato, senza sentire le altre forze
politiche e gli altri comandanti partigiani, emette “l’ordine del giorno n. 1” in cui in virtù dello
sviluppo che il movimento aveva assunto, impone che la V Brigata Garibaldi
assumesse la denominazione di “Divisione Marche”, di cui lui era il Comandante
e come commissario politico Rodolfo Sarti. Dalla Divisione Marche dipendevano
la Ia, la IIa e la IIIa zona delle Marche, in sostanza le formazioni
garibaldine della provincia di Macerata, Ancona e Pesaro.
Questo si rileverà un primo grave errore politico, in quanto
era stato scavalcato a pieno il CLN Regionale, presieduto da Oddo Marinelli,
azionista. Si metteva in discussione la fino ad allora leaderschip del Partito
d’Azione nel comando provinciale di Ancona ed anche nel CNL regionale e che,
anche grazie alla radio trasmittente e relativo codice gestita da Baldelli,
permetteva al CNL e, quindi, a tutti di essere accreditato presso gli Alleati
come referente diretto del movimento patriottico. Era una crisi veramente
grave.
In pratica, i comunisti, con la
scomparsa di Tommasi si sentivano esclusi dai vertici decisionali del movimento
patriottico e Vaia, in modo maldestro, aveva imposto soluzioni di parte.
Il conflitto si aggravò anche per
l’atteggiamento di Tiraboschi, che minacciò di non riconoscere l’autorità del
CNL. In questo contesto molto difficile, che in pratica privava la Resistenza
di un Capo e minava la sua unità d’intenti, si inserisce la morte di Goffredo
Baldelli[2], che
fu una tragedia non solo per i partigiani del San Vicino, ma per la Resistenza
tutta, per il ruolo prezioso, il coraggio e l’impegno senza risparmio. Questo
episodio non fece altro che aggravare il conflitto in essere tra comunisti e
azionisti, conflitto che precipita drammaticamente il 7 giugno, a tre settimane
dall’investimento alleato della piazzaforte di Ancona. Viene destituito
Tiraboschi e la frattura diventa sempre più insanabile. Il 10 giugno, il CLN regionale,
deciso ad affrontare il problema e a risolverlo decide di affidare il comando
della V Brigata B (Garibaldi)“ad ufficiali da trarre da organizzazione
patriottica militare clandestina già esistente”. Questa soluzione si rileverà
ancora più deleteria, in quanto nel contesto della Resistenza vengono immessi
esponenti dichiaratamente monarchici, militari “ortodossi”, visti da tutti come
“i residui del vecchio regime” contro cui si stava combattendo.
Il 12 giugno viene formalizzata la nomina a
Comandante di “Gancia” il colonnello Egisto Corradi, che immediatamente si reca
a San Vittore di Cingoli per riceve le “consegne”. Corradi conferma Frillo come
vice Comandante e come commissario politico Gino Grilli, in un clima non certo
di entusiasmo, farcito da diffidenza e riserve mentali.
L’azione di comando del col.
Corradi non ha avuto grande plauso, come ampiamente prevedibile; lo si accusava
e lo si accusa di avere avuto scarso spirito combattivo; da una parte si
preoccupò molto di ottenere armi ed equipaggiamenti dagli Alleati, cosa che
riuscì a fare bene, ottenendo in cinque giorni ben cinque lanci nei campi a
disposizione di Porcarella (Valle di Castro), Baldiola e Barucci di
Sassoferrato. In pratica si dedica alla organizzazione dei distaccamenti, che giudicava,
almeno sulla base della sua particolare valutazione tecnico-militare,
insufficienti ad azioni consistenti e a vasto raggio e nel tempo, efficaci
contro il nemico.
Sul piano operativo, se da una
parte, soprattutto dalle formazioni comuniste, ed in generale dai combattenti
si attendeva iniziative ardite e spregiudicate, Corradi impose un orientamento
che erroneamente fu definito “attendistico”, ma che era solamente realistico se
si metteva in relazione i mezzi con i fini.
Per comprendere
meglio la situazione, occorre riflettere che siamo nella ultima decade di
giugno e i Tedeschi si stavano ritirando dal Potenza al Musone. L’area di
azione, la vallata del Musone e la zona di Ancona, era diventata da immediata
retrovia a linea di combattimento. Come poteva un Comandante responsabile che
aveva assunto la guida delle bande da pochi giorni, dopo una crisi politica
estremamente grave che si era protratta per mesi e che si era risolta con un
compromesso che vedeva le parti, azionisti e comunisti ancora profondamente
divisi, in azioni di vasta portata senza incorrere in disastri e sconfitte
laceranti? Accusare Corradi di “attendismo” appare quanto mai un modo per non
affrontare realisticamente un esame critico della situazione. L’azione militare
era stata gravemente compromessa dalle divisioni innestate dagli errori
politici e di comando di Alessandro Vaia, che si era dimostrato incapace di
comprendere i reali equilibri della Resistenza nelle Marche: le violente
polemiche del dopoguerra ne sono una ulteriore conferma. Attaccare i Tedeschi
con l’obiettivo disarticolare il loro dispositivo di difesa appariva ed appare
quasi assurdo, nelle situazioni in cui si era.
Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)
[1] Rientrato da
poco in Italia, assente da oltre 11 anni, di cui quattro in carcere per condanna
del Tribunale speciale per attività comunista, combattente della guerra di
Spagna e militante integro, Alessandro Vaia conosceva poco o nulla le Marche e
gli equilibri che si erano andati formando in un contesto veramente difficile
[2] “Arrivato a Poggio San Vicino dopo una
notte di fatica (passata a recuperare le armi giunte con un lancio alleato
n.d.a.) a prendere il camion per il sollecito trasporto, Baldelli aveva trovato
che vi stava facendo un giro lo scozzese Douglas Davidson, per cui aveva sfogato
la sua ira su “Alvaro” (Alvaro Livargini, Comandante partigiano n.d.a),
accusandolo che all’accampamento si faceva “vita frivola e svagata”. Quando
finalmente Douglas fece ritorno, i due si affrontarono a brutto muso e la lire
degenerò. Lo scozzese sferrò a Baldelli “due potenti ‘diretti’ alle ganasce”
mandandolo a gambe all’aria e quando il falconarese abbozzò il gesto di
prendere la pistola, Jovocic, un montenegrino presente alla scena, gli sparò
due colpi e poi lo finì con un terzo
della pistola di Baldelli raccolta a terra.”
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