domenica 3 maggio 2015
Soldati e Partigiani: il vecchio ed il nuovo
70° Anniversario della liberazione e della fine della Seconda Guerra Mondiale
LA DATA ANNIVERSARIA DELLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE E LA FINE DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE E' UNA OCCASIONE PER APPROFONDIRE ALCUNI TEMI RIMASTI ANCORA NON AFFRONTATI
PERSISTE,COME AI TEMPI DEL FASCISMO, IL VEZZO ITALICO DI RIPETERE FINO ALLA NOIA LE VERITA' ACQUISITE IN UN TRIPUDIO DI RETORICA, CELEBRAZIONI STANTIE E RIPETITIVE,LUOGHI COMUNI CERIMONIE, CONVEGNI E MOSTRE RIEVOCATIVE CHE SONO ,EVANGELICAMENTE DETTO, DEI SEPOLTI IMBIANCATI.
TUTTO ORGANIZZATO DA FARISEI IN CUI I VERI PROTAGONISTI SONO ACCURATAMENTE MESSI DA PARTE
E' IL RETAGGIO ITALICO CHE FA SI CHE LE NUOVI GENERAZIONI SIAMO PRUDENTEMENTE LONTANE DA QUESTE STORIE ED EVENTI
E' IL TRIONFO POSTUMO DEGLI ATTENDISTI DI COLORO CHE NEL 1943 NEL 1944 NEL 1945 PRUDENTEMENTE ATTESERO DI VEDERE CHI FOSSE IL VINCITORE E POI, IL 26 APRILE 1945 ACCORSERO A DARGLI UNA MANO PER SCONFIGGERE IL TEDESCO, IL NEMICO INVASORE
NUOVE GENERAZIONI CHE RICEVONO MESSAGGI DROGATI DA COLORO CHE CREDONO DI PARLARE LORO CON LINGUAGGI INACCETTABILI AD UNA NORMALE CRITICA.
ED INFATTI QUESTO HA FATTO SI CHE VI E' UN RIGURGITO DEL PEGGIO DEL PASSATO, CHE COLORO CHE HANNO FATTO LA GUARDIA E CONTRIBUITO A MANDARE DONNE VECCHI E BAMBINI NEI FORNI OGGI SI PRESENTINO ANCORA UNA VOLTA ORGOGLIOSI DI QUESTE IMPRESE
LA MEMORIA DI COLORO CHE DIEDERO LA VITA E PAGARONO IL MASSIMO COSTO DI UNA SCELTA MERITA RISPETTO E CONSIDERAZIONE
NEL NOSTRO PICCOLO, SENZA AVERE LA PRETESA DI AFFRONTARE QUESTI GRANDI TEMI, PROPONIAMO UNA RIFLESSIONE UN UN PARTICOLARE ASPETTO DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE
SU QUESTO TEMA:
SOLDATI E PARTIGIANI: IL VECCHIO ED IL NUOVO
Badogliani, Partigiani, Patrioti, Civili
La Liberazione nell'anconetano
3.1. Da Tommasi, attraverso Baldelli, a
Corradi: il travaglio della Resistenza nell’anconetano.
3.2. Resistenza e
Corpo Italiano di Liberazione: peculiarità e valori sul campo: Filottrano e dopo
3.3. Vigilia di battaglia.
DI SEGUITO, SU TRE POST IN DATA 3 MAGGIO 2015, DELLE "OCCASIONAL PAPERS" PER AVERE UNA BASE DI DISCUSSIONE
L'ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA SEZIONE DI OSIMO ED ALTRE ASSOCIAZIONI
NELLO SPIRITO DEMOCRATICO E DI LIBERTA' CHE LA GUERRA DI LIBERAZIONE CI HA DONATO
ORGANIZZERA' UN INCONTRO SU QUESTI TEMI
( info su studentiecultori2009@libero.it)
Soldati e Partigiani: il vecchio ed il nuovo I
70° anniversario della Liberazione e della fine della Seconda Guerra Mondaile
3.1. Da Tommasi, attraverso Baldelli, a Corradi:
il travaglio della Resistenza nell’anconetano.
La terza forza che si presenta come attrice principale nella
liberazione di Ancona, qui deve essere, seppur a grandi linee, non solo citata
ma studiata nelle sue reali dimensioni dal punto di vista strettamente militare
è quella partigiana. Qui non si mette in discussione il ruolo politico e di
rottura e di volontà del popolo italiano di combattere per una Italia diversa
da quella che aveva portato la guerra in casa, tra indicibili tragedie, lutti e
danni immensi che le formazioni partigiane rappresentano; si vuole solo
analizzare il ruolo tattico svolto dalle medesime e la sua incidenza sulle
operazioni.
Certamente prendendo i dati di forza, la situazione appare
chiara: per combattere i 5000 Tedeschi combattenti che difendevano Ancona, vi
era una unità complessa a livello di corpo d’armata consistente in tre
divisioni, due polacche, con circa 43.000 uomini e una italiana, il Corpo
Italiano di Liberazione, con 25.000 uomini. L’entità numerica delle formazioni
partigiane, secondo varie fonti, oscilla tra i 400 ed i 600 uomini combattenti,
includendo, oltre alle formazioni “di montagna”, anche i GAP ed i SAP. Sarebbe
banale fermarsi a questi rapporti di forza.
Il movimento partigiano nella provincia di Ancona da aprile,
fino alla seconda meta di giugno, dal punto di vista militare fu segnato
profondamente da un insanabile dissidio tra azionisti e comunisti. Tutto sembrava andare per il
meglio con l’accordo del 14 gennaio in cui si erano stabiliti incarichi e
compiti che tutti accettavano.
La cattura di “Annibale”, l’ing. Tommasi da tutti
riconosciuto come capo militare, aveva messo in crisi la struttura militare
partigiana. Fu mandato nelle Marche a colmare questo vuoto Alessandro Vaia[1],
comunista, accolto a San Pietro in Calibano il 13 aprile 1944 da comandanti
Partigiani con vero calore. Appena arrivato, senza sentire le altre forze
politiche e gli altri comandanti partigiani, emette “l’ordine del giorno n. 1” in cui in virtù dello
sviluppo che il movimento aveva assunto, impone che la V Brigata Garibaldi
assumesse la denominazione di “Divisione Marche”, di cui lui era il Comandante
e come commissario politico Rodolfo Sarti. Dalla Divisione Marche dipendevano
la Ia, la IIa e la IIIa zona delle Marche, in sostanza le formazioni
garibaldine della provincia di Macerata, Ancona e Pesaro.
Questo si rileverà un primo grave errore politico, in quanto
era stato scavalcato a pieno il CLN Regionale, presieduto da Oddo Marinelli,
azionista. Si metteva in discussione la fino ad allora leaderschip del Partito
d’Azione nel comando provinciale di Ancona ed anche nel CNL regionale e che,
anche grazie alla radio trasmittente e relativo codice gestita da Baldelli,
permetteva al CNL e, quindi, a tutti di essere accreditato presso gli Alleati
come referente diretto del movimento patriottico. Era una crisi veramente
grave.
In pratica, i comunisti, con la
scomparsa di Tommasi si sentivano esclusi dai vertici decisionali del movimento
patriottico e Vaia, in modo maldestro, aveva imposto soluzioni di parte.
Il conflitto si aggravò anche per
l’atteggiamento di Tiraboschi, che minacciò di non riconoscere l’autorità del
CNL. In questo contesto molto difficile, che in pratica privava la Resistenza
di un Capo e minava la sua unità d’intenti, si inserisce la morte di Goffredo
Baldelli[2], che
fu una tragedia non solo per i partigiani del San Vicino, ma per la Resistenza
tutta, per il ruolo prezioso, il coraggio e l’impegno senza risparmio. Questo
episodio non fece altro che aggravare il conflitto in essere tra comunisti e
azionisti, conflitto che precipita drammaticamente il 7 giugno, a tre settimane
dall’investimento alleato della piazzaforte di Ancona. Viene destituito
Tiraboschi e la frattura diventa sempre più insanabile. Il 10 giugno, il CLN regionale,
deciso ad affrontare il problema e a risolverlo decide di affidare il comando
della V Brigata B (Garibaldi)“ad ufficiali da trarre da organizzazione
patriottica militare clandestina già esistente”. Questa soluzione si rileverà
ancora più deleteria, in quanto nel contesto della Resistenza vengono immessi
esponenti dichiaratamente monarchici, militari “ortodossi”, visti da tutti come
“i residui del vecchio regime” contro cui si stava combattendo.
Il 12 giugno viene formalizzata la nomina a
Comandante di “Gancia” il colonnello Egisto Corradi, che immediatamente si reca
a San Vittore di Cingoli per riceve le “consegne”. Corradi conferma Frillo come
vice Comandante e come commissario politico Gino Grilli, in un clima non certo
di entusiasmo, farcito da diffidenza e riserve mentali.
L’azione di comando del col.
Corradi non ha avuto grande plauso, come ampiamente prevedibile; lo si accusava
e lo si accusa di avere avuto scarso spirito combattivo; da una parte si
preoccupò molto di ottenere armi ed equipaggiamenti dagli Alleati, cosa che
riuscì a fare bene, ottenendo in cinque giorni ben cinque lanci nei campi a
disposizione di Porcarella (Valle di Castro), Baldiola e Barucci di
Sassoferrato. In pratica si dedica alla organizzazione dei distaccamenti, che giudicava,
almeno sulla base della sua particolare valutazione tecnico-militare,
insufficienti ad azioni consistenti e a vasto raggio e nel tempo, efficaci
contro il nemico.
Sul piano operativo, se da una
parte, soprattutto dalle formazioni comuniste, ed in generale dai combattenti
si attendeva iniziative ardite e spregiudicate, Corradi impose un orientamento
che erroneamente fu definito “attendistico”, ma che era solamente realistico se
si metteva in relazione i mezzi con i fini.
Per comprendere
meglio la situazione, occorre riflettere che siamo nella ultima decade di
giugno e i Tedeschi si stavano ritirando dal Potenza al Musone. L’area di
azione, la vallata del Musone e la zona di Ancona, era diventata da immediata
retrovia a linea di combattimento. Come poteva un Comandante responsabile che
aveva assunto la guida delle bande da pochi giorni, dopo una crisi politica
estremamente grave che si era protratta per mesi e che si era risolta con un
compromesso che vedeva le parti, azionisti e comunisti ancora profondamente
divisi, in azioni di vasta portata senza incorrere in disastri e sconfitte
laceranti? Accusare Corradi di “attendismo” appare quanto mai un modo per non
affrontare realisticamente un esame critico della situazione. L’azione militare
era stata gravemente compromessa dalle divisioni innestate dagli errori
politici e di comando di Alessandro Vaia, che si era dimostrato incapace di
comprendere i reali equilibri della Resistenza nelle Marche: le violente
polemiche del dopoguerra ne sono una ulteriore conferma. Attaccare i Tedeschi
con l’obiettivo disarticolare il loro dispositivo di difesa appariva ed appare
quasi assurdo, nelle situazioni in cui si era.
Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)
[1] Rientrato da
poco in Italia, assente da oltre 11 anni, di cui quattro in carcere per condanna
del Tribunale speciale per attività comunista, combattente della guerra di
Spagna e militante integro, Alessandro Vaia conosceva poco o nulla le Marche e
gli equilibri che si erano andati formando in un contesto veramente difficile
[2] “Arrivato a Poggio San Vicino dopo una
notte di fatica (passata a recuperare le armi giunte con un lancio alleato
n.d.a.) a prendere il camion per il sollecito trasporto, Baldelli aveva trovato
che vi stava facendo un giro lo scozzese Douglas Davidson, per cui aveva sfogato
la sua ira su “Alvaro” (Alvaro Livargini, Comandante partigiano n.d.a),
accusandolo che all’accampamento si faceva “vita frivola e svagata”. Quando
finalmente Douglas fece ritorno, i due si affrontarono a brutto muso e la lire
degenerò. Lo scozzese sferrò a Baldelli “due potenti ‘diretti’ alle ganasce”
mandandolo a gambe all’aria e quando il falconarese abbozzò il gesto di
prendere la pistola, Jovocic, un montenegrino presente alla scena, gli sparò
due colpi e poi lo finì con un terzo
della pistola di Baldelli raccolta a terra.”
Soldati e Partigiani: il vecchio ed il nuovo II
3.2. Resistenza
e Corpo Italiano di Liberazione:
peculiarità e valori sul campo
Al di là di ogni considerazione
locale, non si deve dimenticare che le formazioni partigiane avevano un
armamento leggero, fucili, pistole e qualche mitragliatrice, con munizionamento
scarso. Inoltre il numero era esiguo, sull’ordine delle decine di unità. Se
queste formazioni fossero state impiegate contro unita o reparti di prima
linea, in gradi non solo di reggere il fuoco, ma di potenziarlo e di manovrare,
con una organizzazione di comando e controllo efficiente, le possibilità di
successo erano veramente minime.
Scrive Gianni Oliva:
“Anche qui c’è stato un errore degli storici negli anni scorsi: quello
di sopravalutare il ruolo militare delle formazioni partigiane: E’ quello di
voler rilegger la storia delle formazioni partigiane in termini soltanto di
storia militare.
Una formazione partigiana ha necessariamente sul piano un ruolo
limitato, un ruolo secondario. Quando si hanno i fucili in mano e dall’altra
parte ci sono le truppe corazzate e gli aerei ricognitori, è evidente che dal
punto di vista militare il ruolo è secondario. Secondario non vuol dire
infintesimale e non vuol dire trascurabile.”[1]
Si è già accennato alla richiesta
alleata di attaccare i Tedeschi per prendere e mettere in sicurezza il porto di
Ancona. L’impresa di realizzare tale progetto era già difficilissima attuarla;
ma il vero problema era quello di mantenere le posizioni in attesa dell’arrivo
degli Alleati: quanto tempo avrebbero resistito? Questo è il nocciolo del
problema. Il “Fabrizi”, entrato in Osimo il 3 luglio con un ottima azione di
infiltrazione, era in grado di dare battaglia ai due battaglioni Tedeschi che
presidiavano le posizioni di Osimo e mantenerle? Sicuramente no.
Accusare Corradi, che sarà stato
pure di idee monarchiche, istruito nelle Accademie militari, attendista, sembra
voler sviare la realtà: le formazioni della Resistenza, a fine giugno 1944
nell’area di Ancona, non avevano la capacità militare di attuare quello che
passione, idealità, amor di patria, senso del dovere, voglia di riscatto,
partecipazione, sprezzo del pericolo e volontà di riscatto suggerivano.
Come giustamente fa osservare un
protagonista, Paolino Orlandini, la frattura fra azionisti e comunisti non si
era ricomposta; dando il comando ad una terza forza, a Ufficiali Monarchici,
espressione di un “vecchio” che nessuno voleva, fu un altro errore che si
aggiunse ai precedenti, che sommati insieme hanno portato alla conclusione che
nelle operazioni per la liberazione di Ancona, sul piano strettamente militare,
le formazioni combattenti partigiane ebbero un ruolo marginale.
Ma se ci sposta dal piano
militare al piano sociale e politico, allora il ruolo si capovolge e diventa di
tutto rilievo. Le formazioni partigiane con la loro presenza hanno avuto il
compito e il ruolo di deligittimare in tutta la sua vastità “la Repubblica Sociale Italiana , nel contendere alla Repubblica Sociale
Italiana il controllo del territorio, nel far sì che la sovranità reale, non
quella formale, fosse limitata ai grandi centri urbani ed alla periferia nel momento in cui c’era contemporaneamente
la presenza delle forze armate tedesche in rastrellamento. Ora questa
delegittimazione della repubblica Sociale Italiana è nello stesso tempo la
legittimazione del regno del Sud, della guerra di liberazione che viene
combattuta a Sud, di quello che l’Italia diverrà dopo il 25 aprile.”[2]
Portando queste considerazioni
sull’evento che stiamo narrando, mentre i gerarchi e le autorità della
Repubblica Sociale Italiana al solo apparire del nemico nelle Marche, fuggirono
senza ritegno abbandonando tutti e tutto, lasciando la popolazione in balia di
se stessa, le formazioni partigiane erano presenti sul territorio, rivendicando
quella sovranità di fatto che fu conquistata sul terreno. Sul piano militare la
loro incidenza fu quella indicata sopra, che è quella che è “in res ipsa”, sul
piano militare
Il contributo dei “patrioti”
rimane, sotto questo profilo costante durante la battaglia. Innumerevoli
sono gli episodi che testimoniano come i “patrioti” riuscivano a dare un
contributo fattivo alle operazioni.
Paolo Orlandini, ad esempio,
scrive,
“Abbiamo tenuto il fronte di Osimo per 18 giorni perché gli Alleati[3] sono arrivati il 6
luglio ed il fronte non è avanzato fino al 18 di luglio, il giorno della
liberazione di Ancona. Il giorno 17 cominciò l’offensiva da parte del Corpo
Italiano di Liberazione. Una nostra pattuglia catturò un ufficiale austriaco
addetto allea fortificazione della valle che comandava direttamente una
batteria di mortai distaccata a S. Paolina lui ci disegnò sulla carta
topografica tutta la difesa nemica e con quel disegno io andai al Comando
Artiglieria polacco. Il colonnello Leon volle subito verificare se le
informazioni erano esatte ed ordinò un tiro di controbatteria verso
un’indicazione segnalata: una prima batteria nemica venne distrutta”[4]
Emerge, quindi, di contro il
ruolo del Corpo Italiano di Liberazione, in questo profilo, che non è una
espressione del “vecchio regime”, ma l’espressione, come elemento militare,
della legittimazione del Regno del Sud, e quindi di rilevanza notevole, tale da
poter dire che realmente partecipò alla liberazione di Ancona, ma che dal punto
di vista politico e sociale, ha un peso ed un significato diametralmente
opposto a quello delle formazioni partigiane, come è facilmente deducibile da
tutte le testimonianze e fonti che in parte sono state qui citate.
[1] Oliva G., L’apporto popolare e partigiano alla liberazione d’Italia, in ”Le
forze Armate nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione”, Atti del Convegno
di Studi, Bologna, 21-22 marzo 1995, Roma, 1995
[2] Ibidem
[3] Si intende in questo caso le forze
Polacche e quelle italiane del Corpo Italiano di Liberazione.
Soldati e Partigiani: il vecchio ed il Nuovo. III
Badogliani, Partigiani, Patrioti, Civili
3.3. Vigilia di battaglia.
70° della Lberazione e della fine della Seconda Guerra Mondiale
3.3. Vigilia di battaglia. Una risposta non data.
Nel diario di Giuseppe Olivo, che
il 18 luglio sarà ferito gravemente, alla data del 17 luglio si coglie tutta
l’attesa degli avvenimenti.
“Dalle informazioni che abbiamo avuto dai paracadutisti della Nembo
avremo dei combattimenti durissimi per sfondare la nuova linea tedesca sul
Musone. I paracadutisti a
Filottrano hanno già avuto circa 600 fra morti e feriti….
…….
Nottata movimentata e così pure l’intera giornata. Verso le 18 (del
16 luglio 1944, n.d.a.) è arrivato
l’ordine di tenersi pronti. Domattina il I Battaglione attaccherà e noi gli
daremo il cambio dopo 48 ore di rincalzo, naturalmente se tutto andrà bene![1]
Da parte tedesca ormai si ha la
percezione che si è alla vigilia di un attacco in grande stile. Durante la
notte si percepisce il rumore degli autocarri e dei carri armati nemici che
stanno prendendo posizione; questo diffonde fra le file tedesche un certo
nervosismo. Ognuno chiede a se stesso e si domanda dove verrà l’attacco e in
quale punto verrà svolto il massimo sforzo per attuare lo sfondamento. I
comandi cercano di prepararsi nel migliore dei modi. Per far fronte all’attacco
dei carri armati, viene diramato l’ordine, che raggiungerà ogni uomo di prima
linea: in caso di attacco di carri armati, lasciarsi superare dai carri armati
stessi; contrastare, invece, combattendo le fanterie che seguono i mezzi
corazzati stessi. In ogni caso bisogna tenere, da parte tedesca, ed un ordine
preciso per i soldati tedesco, tenere le posizioni.
Questo ordine è estremamente
importante da sottolineare, in quanto l’indomani, come vedremo, sarà la tattica
applicata contro gli elementi del I battaglione del 68° Reggimento fanteria del
Corpo Italiano di Liberazione sul Musone, davanti a Casenuove, che ostacolerà
per tutta la mattina l’avanzata italiana.
Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)
[1] Olivo G., Diario di Guerra, in Appignanesi P.,
Bacelli D., La Liberazione di Cingoli. 13
luglio 1944 e le altre pagine di storia cingolana, Cingoli, Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia Sezione di Macerata-Amministrazione Provinciale
di Macerata-Comune di Cingoli, 1986, pag. 215
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