Per i militari
italiani all’estero, che avevano scelto di andare in montagna e dare guerra al
tedesco, il 1944 fu un anno di difficili prove. Venuto meno il vincolo
disciplinare che, bene o male, era stato un elemento di riferimento
all’indomani della proclamazione dell’armistizio, nel 1944 i militari italiani
erano stati nella maggior parte assorbiti nelle formazioni locali partigiani.
Tattiche di guerriglia, gerarchia, disciplina, logistica erano completamente
diverse e spesso in contrasto anche con il proprio pensiero sia politico che
nazionale. In ottobre un altro dramma: il conflitto interno greco, al momento
della ritirata tedesca, coinvolge i militari italiani che rappresentano,
spesso, l’unico motivo di concordia per i Greci che si combattono: gli italiani
erano e sono solo dei fascisti invasori. In Albania e in Jugoslavia, pur
cercando di mantenere la propria identità, i soldati italiani, accettati e
rispettati come combattenti, vengono via via assorbiti dalle scelte ideologiche
di questi movimenti, soprattutto quella comunista che al momento è accettata ma
che in prospettiva sarà di grande peso al termine della guerra, senza che il
singolo soldato italiano se ne rendesse conto. Per i soldati italiani
combattenti all’estero è imperativo sopravvivere, cercare di abbreviare il più
possibile la guerra, nella speranza di ritornare cercando di barcamenarsi al
meglio tra tedeschi e partigiani locali, anche per loro in un contesto di
solitudine ed abbandono da parte delle Autorità in Italia.
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