Nella riunione
si sottolineò che, in base alle risposte dei Governi alleati, soprattutto quello
britannico, che se venivano concessi equipaggiamenti e materiali ulteriori, si
sarebbe provveduto a costituire altri Gruppi di combattimento. Per il momento
bisognava accontentarsi che vi fosse la possibilità di costituire soltanto i
primi due Gruppi.
“Pur
tenendo conto di tutte le riserve e di tutte le cautele con cui veniva circondata
la concessione, limitandola intanto a soli due Gruppi di combattimento, era
tuttavia evidente che con ciò l'Alto Comando alleato veniva a dimostrare una
disposizione e un atteggiamento favorevoli ad un ampliamento del contributo
operativo delle nostre forze armate.”
Questo
fatto, importante anche dal lato politico, rappresentava:
a)
il frutto della lunga, metodica e silenziosa azione svolta dalle nostre supreme
autorità per ottenere il massimo potenziamento dello sforzo bellico dell'Italia
a fianco delle Nazioni Unite;
b)
il riconoscimento ufficiale, da parte alleata, del valore del combattente
italiano dopo le prove date dai nostr1 soldati del I Raggruppamento motorizzato
e del Corpo italiano di liberazione.”
La
valutazione della riunione del 23 luglio era nella sostanza positiva. Emergevano
però due elementi che ricordava a tutti che gli Italiani erano ancora sotto
controllo della Commissione Alleata di Controllo: la presenza di ufficiali
alleati a fianco del comandante italiano, e la costituzione di divisioni di
fanteria, non di divisioni corazzate. Nel 1944 era evidente per tutti che sul
campo di battaglia le truppe che decidevano la manovra erano i corazzati, ovviamente
in appoggio con l’aviazione tattica. Le sole divisioni di fanteria non
avrebbero ami prevalso sulla difesa in operazioni offensive. Gli alleati
mostravano con questo che gli italiano si dovevano partecipare alle operazioni,
ma erano sempre degli ex-nemici e dei vinti
Una
settimana dopo nell’Ufficio del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito si tenne
un incntro tra Berardi e da un rappresentante
della commissione alleata di controllo. Era una riunione tecnica, condotta da Berardi
tenendo conto le esigenze e le necessita italiane
Si
convenne per prima sulla necessità di iniziare al più presto il corso di
addestramento per gli istruttori delle due divisioni, “Cremona” e “Friuli”,
scegliendo uomini “capaci di imparare ed insegnare rapidamente e bene”. Allo
scopo poi di utilizzare i reparti granatieri, si stabilì, d'accordo col
rappresentante alleato, di inserire due battaglioni granatieri nella divisione
“Friuli”.
Come
località per il concentramento e addestramento, il rappresentante alleato
comunicò che si stava pensando al trasporto delle due divisioni, “Cremona” e
“Friuli” nella zona di S. Giorgio del
Sannio. Berardi, inoltre, colse l'occasione per insistere sulla necessità che
le divisioni venissero addestrate in zona montuosa, ed era indicato l’Abruzzo, in
relazione al loro prevedibile impiego, anche se il rappresentante alleato
rispose che ciò sarebbe stato tenuto presente precisando tuttavia
che, per economia
di trasporti, ovvero la vicinanza ai porti di Bari e Napoli, sarebbe stata
scelta, come località adatta per lo svolgimento dell'istruzione individuale, la
zona di Benevento, salvo a scegliere successivamente, per l'addestramento
tattico, un'altra zona.
Il
31 luglio 1944 gli Italiani videro un ulteriore estensione delle offerte alleate,
ma con una precisazione che non fu gradita dai generali italiani.
“Il
rappresentante alleato precisava infatti che le divisioni in linea chiamate a
collaborare con gli Alleati in un campo strettamente operativo, non potevano,
per ragioni politiche, esser chiamate divisioni, ma semplicemente Gruppi di
combattimento. Era questa una notizia negativa, destinata ad amareggiare
intimamente, per ragioni morali, l'animo degli Italiani per la immeritata
umiliazione con cui la concessione della collaborazione era accompagnata.” Fu
fatto notare che nella Repubblica Sociale italiana i tedeschi avevano
addestrato quattro divisioni con soldati forniti dalla Repubblica e non
esitarono a chiamarle Divisioni. Di contro i tedeschi vietarono l’impiego di
queste divisioni sul fronte principale di Cassino in ogni caso contro gli
alleati. Gli alleati, di contro, per ragioni politiche non chiamavano le unità italiane
“divisioni” ma gruppi di combattimento; e questo per ragioni politiche.”
Nelle memorie dei protagonisti non emerge,
invece, con il dovuto risalto, il fatto che questi unità, chiamate “gruppi di
combattimento” non erano dotate di forze corazzate, il nerbo delle forze
operative terrestri del tempo. Questo avrebbe significato, come visto, che non
avrebbero mai partecipato ad una manovra risolutiva.
C'era
in compenso la notizia positiva, e questa era che i Gruppi di combattimento da approntare non sarebbero stati due,
come era stato detto nella riunione del 23 luglio, ma sei, e per essi si facevano i nomi seguenti; “1 Raggruppamento motorizzato “, “Nembo”, “Cremona”, “Friuli
“, “Mantova “,” Piceno “.
I
primi due Gruppi di combattimento - ”1 raggruppamento motorizzato” e” Nembo “
era logico che
sarebbero
stati, evidentemente, formati con le truppe del Corpo Italiano di Liberazione
in quanto vi facevano già parte. In seguito questi due Gruppi assunsero i nomi
delle unità che li formavano. Il I Raggruppamento motorizzato, che era nato nel
1943 con le uniàa della divisone “Legnano”, prese il nome della divisone di
provenienza, “Legnano”, mentre il Gruppo di combattimento “Nembo”, composto per
la gran parte da paracadutisti, assunse il nome della prima divisone
costituita, cioè la Folgore, e quindi divenne il Gruppo di combattimento “Folgore”,
unità di fanteria.
“Con
l'approntamento dei sei Gruppi di combattimento sorgeva la questione del loro raggruppamento per il comando.
Il rappresentante alleato soggiunse in proposito di non sapere come il Comando
in capo alleato volesse raggruppare i Gruppi di combattimento, per i quali, ad
ogni buon conto, i sistemi avrebbero potuto essere tre:
-
intercalare
i Gruppi di combattimento italiani fra le divisioni alleate;
-
costituire
un Corpo unico, tutto di Gruppi italiani;
-
adottare
un sistema misto; e cioè, con parte dei Gruppi costituire un Corpo italiano;
gli altri intercalati fra le divisioni alleate, almeno per i primi tempi.
Il
nostro Capo di S. M. dell'Esercito sottolineò subito, con calde parole, il
vivissimo desiderio delle autorità italiane che venisse adottato il secondo
sistema, che rispondeva ad una ben viva aspirazione degli Italiani tutti. Se
ciò non fosse stato possibile fare sin dall'inizio, che almeno si fosse
ottenuto di non disseminare i Gruppi di combattimento italiani, ma di ordinarli in raggruppamenti di due o tre
Gruppi, in modo che si potesse, successivamente, tendere a raggrupparli in
un unico Corpo italiano al quale affidare
in proprio un settore del fronte.
Anche
in seguito, le nostre autorità tornarono più volte, e con insistenza, a
sollevare l'importante questione dell'inquadramento e del comando delle nostre
unità combattenti, per vedere di ottenere la soluzione a noi favorevole; ma
purtroppo non riuscirono a ottenere nulla.
Nella
riunione del 31 si volle trattare anche l'argomento delle divisioni di sicurezza interna. Il rappresentante alleato precisò
al riguardo che sarebbero bastati 45.000 uomini; il che avrebbe consentito di
avere 5 divisioni, della forza di circa 9.500 uomini ciascuna e, come i Gruppi
di combattimento, su 2 reggimenti di fanteria di 3 battaglioni ciascuno. Questo
fatto rivestiva la sua importanza perché - soggiungeva
il rappresentante alleato - avrebbe facilitato” eventuali trasformazioni
organiche e utilizzazione di dette divisioni quali combattenti “. Era quanto
dire di infondere nelle nostre autorità la speranza che la nostra partecipazione
alle operazioni attive potesse, in seguito, venire richiesta su scala ancora
più ampia, senza limitarla solo ai 6 Gruppi di combattimento.
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