Master
in
“Storia Militare Contemporanea
”
LA CROCE ROSSA ITALIANA
NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE
E I FATTI DI TORINO
27 APRILE 1945
ANNO ACCADEMICO 2022/2023
.
Premessa
La memoria dei fatti di guerra, da sempre, é soprattutto affidata ai resoconti dei
"vincitori". I libri di storia raccontano infatti la versione accreditata da chi la storia l'ha fatta e
gli stessi diari riferiti a periodi od eventi bellici nella maggior parte dei casi sono opera di chi
vi abbia partecipato ma “dalla parte del vincitore”.
Ogni volta che è scoppiata una guerra, "la prima vittima è sempre stata la verità (le bugie
sono necessarie per demonizzare il nemico), ma poi, quando la guerra è finita, le bugie dei
vincitori sono diventate delle "verità", mentre quelle dei vinti sono sopravvissute sottotraccia"1.
Questa considerazione, più volte ricorrente soprattutto a proposito della Seconda Guerra
mondiale, fu estremizzata nel caso del Giappone sconfitto dagli Alleati, per molto tempo
obbligato a rimuovere la propria storia dai manuali scolastici e divenne una regola nel caso del
processo di entnazifizierung, la denazificazione della Germania strutturata in un vero e proprio
programma finalizzato a liberare dell'ideologia nazionalsocialista la società, la cultura, la
stampa, l'economia, la giustizia e la politica dell’Austria e soprattutto della Germania2.
Il processo di interpretazione –se non di vera e propria riscrittura degli eventi- insinua il
dubbio, nel lettore meno attento, sull’attendibilità dei libri di storia e sulla possibilità che essi
non abbiano tramandato una versione dei fatti corrispondente alla realtà oggettiva.
Chi racconta ovviamente tende a dare dei fatti una propria interpretazione o comunque
una visione forzatamente limitata al contesto nel quale egli ha vissuto, che si inserisce nel
quadro generale il più delle volte confermando quella che poi diviene la versione accreditata,
alla quale la maggioranza dei narratori farà poi riferimento, pur discostandosene eventualmente
nei particolari.
Non è tuttavia infrequente il caso di memoriali redatti da esponenti della parte sconfitta
o "perdente" che tentino, con il loro scritto, di trovare in qualche modo una giustificazione
pubblica e collettiva alla loro scelta di campo -sia essa di ordine ideale o legalitario- e
comunque al fatto di essersi trovati, alla conclusione degli eventi, dalla parte "sbagliata".
Quasi ottant’anni sono trascorsi dalla tragica primavera del 1945: un tempo che riteniamo
ampiamente sufficiente, se non per affrontare direttamente verità storiche ancor oggi scomode,
almeno per ricercarle analizzando in modo acritico gli eventi.
1Petacco, Arrigo,
La storia ci ha mentito - Dai misteri della borsa scomparsa di Mussolini alle «armi segrete» di
Hitler, le grandi menzogne del Novecento, Mondadori, Milano, 2017
2Hirata, Alessandro, Entnazifizierung: tra la memoria e l’oblio dell'ideologia nazionalsocialista, in Annali della
Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 6/2017, pag. 217
1
Così almeno dovrebbe agire -secondo la nostra opinione- il ricercatore, soprattutto
quando egli abbia ambizioni di divulgare ad un pubblico il più vasto possibile i frutti delle
proprie indagini: perseguendo sempre l'obiettività e la narrazione più asettica possibile, scevra
da interpretazioni e spirito di parte, per poter essere agevolmente compresa ed accettata da
chiunque.
Anche se ciò, alla luce dei fatti -ed ancor più delle interpretazioni che, per ragioni legate
essenzialmente alla politica, li distorcono o ne danno una visione parziale ed affatto obiettiva-,
appaia impresa assai ardua.
Solo recentemente infatti gli storici, e nemmeno tutti, hanno stabilito che sia corretto
parlare di “guerra civile” riferendosi allo scontro mortale e per certi versi fratricida che oppose
il movimento partigiano antifascista alla Repubblica Sociale Italiana fra il 1943 ed il 1945.
Ancora oggi la maggioranza allineata preferisce la definizione di “guerra di liberazione”,
dall'invasore tedesco e dal Fascismo repubblicano, nato sotto l'egida politica della Germania
hitleriana che dopo il 1943, con l'attuazione del piano Alarich, aveva occupato il territorio
italiano prendendone il controllo.
Ciò rendeva il governo repubblicano, velleitariamente orientato a un ritorno alle origini
del Fascismo di estrazione socialista, di per sé stesso privo -secondo una interpretazione
manichea avvalorata dall'egemonia culturale conquistata durante e dopo la guerra dal P.C.I. e
dal movimento partigiano- di un qualsiasi diritto di nazionalità e addirittura di esistenza.
Questa forma di ostracismo si estese agli stessi combattenti della R.S.I., volontari o meno
che fossero, ed a chiunque abbia indossato l'Uniforme delle forze armate repubblicane,
considerati senza distinzioni di sorta “rinnegati consapevoli, nemici del popolo italiano”3.
Poco importava che essi avessero militato nelle Forze Armate della R.S.I. per ottemperare
a bandi di leva obbligatoria, per evitare ritorsioni sui familiari o per seguire le proprie
convinzioni.
Ed a ben poco sarebbe servito in realtà operare delle distinzioni di merito, facendo essi
comunque parte dei "perdenti", sui quali sarebbe ricaduta la condanna aprioristica e l'ostracismo
operati dai "vincitori".
Molte sono le opere pubblicate in questi anni sull'insurrezione dell'aprile 1945: alcune, in
particolare i libri di Giampaolo Pansa -peraltro ostracizzati proprio dagli eredi politici dei
movimenti partigiani-, hanno voluto evidenziare le ragioni dei “perdenti”, ma molte celebrano
ancora unicamente i contenuti ideologici che animarono il movimento antifascista, sui quali
3Vené, Gianfranco. Coprifuoco, Mondadori, Milano, 1989, pag. 275
2
ancor oggi -pur essendone venuti ormai meno, per fatti anagrafici, i protagonisti- è basata la
leggenda creata dalla vulgata resistenziale.
Questa negazione dell'altera pars è forse la ragione principale per la quale ancor oggi
mancano ricerche che raccontino la guerra civile nel suo insieme, vista in una prospettiva che
consideri -per quanto possibile acriticamente- entrambi i fronti, senza trascurare gli aspetti
determinanti dell’impatto sulla vita sociale, economica e morale dei territori coinvolti.
Il racconto delle vicende belliche, dal punto di vista dell'estensore, ha una triplice
funzione: di perpetuare il ricordo delle circostanze, sia pure in una visuale parziale, di
giustificazione -soprattutto quando la strada della vittoria sia costellata di episodi
obiettivamente negativi-, ma anche di permettere al singolo di rivendicare la propria identità di
combattente, a dispetto dell'annullamento indotto dall'evento di massa.
Ed anche gli sconfitti -come detto- utilizzano la memorialistica, sia pure con intento
riparatorio: per giustificare a sé stessi prima di tutto la propria avversa fortuna e di fronte
all'intero mondo l'ineluttabilità dell'evento e la buona fede, della propria Patria ma soprattutto
di quanti in nome di essa imbracciarono le armi dalla loro parte.
Anche se in misura minore, non é raro vedere ancor oggi nelle biblioteche, o nelle librerie
in cui siano ancora presenti scaffali dedicati alla storia, numerosi volumi a firma di nomi noti
della Germania sconfitta dagli Alleati.
In Italia il racconto dei fatti di guerra, legato per decenni ad una concezione denigratoria,
figlia della sconfitta e della vulgata resistenziale che aveva accreditato, perseguito e consolidato
il mito antiretorico del Soldato italiano vigliacco, imbelle e pavido, da qualche tempo
purtroppo solo nel ristretto ambiente degli studi storici- ha recuperato una dimensione che si
potrebbe definire “quasi eroica”.
Dopo anni di oblio, in cui le memorie venivano tramandate da pubblicazioni di nicchia,
destinate ad esser prodotte in poche copie -spesso condannate a scomparire presto dal mercato-
o ristrette a esigui gruppi bollati dall'epiteto spregiativo di “nostalgici”, l'eccezione più eclatante
rimangono i libri di Paolo Caccia Dominioni, soprattutto El Alamein 1933-1962, vincitore del
Premio Bancarella nel 1963, diffuso in decine di migliaia di copie ed apprezzato anche dai
"vincitori" e dagli "ex nemici", ammirati dalla meritoria opera di umana pietà dell'antico
Maggiore del Genio Guastatori verso i caduti d’Africa.
Oggi tuttavia si può sostenere che la tendenza sia mutata: si é infatti finalmente iniziato
ad analizzare obiettivamente le cause delle disfatte, ponendo nella giusta luce le vittorie, per
quanto poche, e gli atti di coraggio, che si sono scoperti essere molti più di quanti si vorrebbe
far credere.
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Ma questa nouvelle vague solo marginalmente coinvolge quelli che sono attori di primo
piano di ogni conflitto e di ogni emergenza: i Militari della Croce Rossa Italiana ed il personale
sanitario in genere.
Molti furono infatti i Militari della C.R.I. chiamati dal Dovere all'estremo sacrificio in
tutte le guerre che hanno visto il Corpo Militare -così come tutta l'Associazione della Croce
Rossa Italiana- impegnato nell'attività di assistenza e soccorso, indipendentemente dalle ragioni
del conflitto o dalla natura stessa dei contendenti.
Uomini spesso oscuri ed ignoti, gregari lontani dai riflettori e quasi mai protagonisti della
“bella morte”, a torto spesso considerati "imboscati" o Soldati di serie B dai propri stessi
compatrioti appartenenti ad altre Forze o Corpi Armati, essi furono pianti unicamente dai propri
familiari o dai compagni d'arme.
Il loro sacrificio non fu quasi mai accompagnato a gesta clamorose: caduti a fianco dei
sofferenti che stavano soccorrendo, come recita una bellissima Preghiera Militare, ”essi
conobbero, prima del supremo mortale spasimo, tormento insonne di attesa, sete, sozzura,
fatica - Seppero vicende disperate di battaglia e talora, indifesi al facile insulto straniero,
squallore di libertà perduta.
Perché condotti non da vanità o bramosia di ventura - ma da obbedienza alla Patria”4.
A fianco ad essi rifulgono tuttavia anche figure luminose di eroismo: basti a ciò citare i
nomi del Tenente Medico C.R.I. Luigi Pierantoni e del Sottotenente Commissario C.R.I. Guido
Costanzi, trucidati alle Fosse Ardeatine nel 1945, o in epoca più recente del Caporale Infermiere
C.R.I. Raffaele Soru, morto nel 1961 durante la crisi del Congo.
“Eroi italiani da imitare per le loro gesta e da non dimenticare”, come nelle parole di Sua
Santità Giovanni Paolo II5, i Militari della Croce Rossa rappresentano in ogni conflitto un
appiglio sicuro per i contendenti di ogni parte ed una garanzia di salvezza, simboleggiata dalla
Croce Rossa in campo bianco che li contraddistingue.
La memoria storica tuttavia, anche se riferita a fatti ormai lontani nel tempo, spesso difetta
di obiettività: ciò accade in particolare per quanto riguarda proprio i Militari della C.R.I.
Truppe non combattenti per scelta, autorizzati dalle Convenzioni di Ginevra e dalle leggi
di guerra a far uso delle armi unicamente per difendere i feriti e le strutture sanitarie loro affidati,
li si vede talvolta ricordati come “partigiani combattenti” o sbrigativamente come “militari”,
secondo i casi o l'opportunità suggerita dalle circostanze, quasi non volendo considerare la
4Caccia Dominioni, Paolo, Preghiera per i Caduti del Deserto, del Cielo e del Mare, Sacrario Italiano di El
Alamein, Quota 33 (1954).
5S.S. Giovanni Paolo II, "Discorso alla XLVI Brigata Aerea dell'Aeronautica Militare Italiana in occasione della
Visita Pastorale a Pisa, Volterra e Lucca", Pisa, Domenica 24 settembre 1989.
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particolarità dello status attribuito a questi Soldati dal bracciale rossocrociato che indossano.
Non appare strano trovare quindi la biografia del Ten. Luigi Pierantoni, così come quella
di molti altri Militari, appartenenti al Regio Esercito, nel sito internet e nei documenti
dell'A.N.P.I.6.
Ed é per lo meno un fatto curioso od insolito che sia quasi inesistente la pubblicistica di
Militari della C.R.I., soprattutto se paragonata alla sterminata produzione letteraria delle
Infermiere Volontarie, le “Sorelle” che dal 1908 affiancano i propri colleghi in Uniforme
nell'assistenza ai feriti e malati in guerra, assai prolifiche di diari, memorie e ricordi.
Cercheremo dunque, ricostruendo uno specifico fatto di guerra contestualizzato nei
convulsi e tragici giorni dell’insurrezione dell’aprile 1945, di evidenziare il ruolo dei Militari
della Croce Rossa Italiana nel corso degli eventi e di valorizzare adeguatamente l’operato sia
dei Reparti che li inquadravano, sia dei singoli attori, protagonisti in molte occasioni di veri e
propri atti di eroismo.