Il fatto e la sua
storicizzazione
Ten. cpl. Sergio
Benedetto Sabetta
L’enorme potenza insita nell’informatica sia come raccolta che
conservazione ed elaborazione dell’informazione porta, non solo a problemi di
privacy, ma anche alla storicizzazione del fatto, una volta la memoria
raccoglieva e disperdeva in pochi passaggi generazionali il fatto che diventava
mito, racconto, oggi persiste nel tempo nel dilatarsi all’infinito del
presente, nasce la necessità del connettere il singolo evento al contesto superando
la sua parcellizzazione e manipolazione.
All’origine
vi era la necessità di trarre il fatto dal mito, dal racconto orale, per
calarlo nella quotidianità, in quelle che sono le dinamiche culturali, sociali,
politiche ed economiche, i “documenti”
certi su cui lavorare erano esclusivamente cartacei, epigrafici o su altri
materiali, i reperti e frammenti architettonici.
Nella “teoria sociale” gli eventi e le
strutture poste in relazione tra loro hanno suggerito a Braudel di considerare gli eventi stessi come insignificanti e
influenzati dalle sole strutture, una semplificazione contestata da La Roy Ladurie per il quale deve essere
di volta in volta valutato il contesto dove l’evento si trasforma, riflettendo
le strutture, in un catalizzatore o “matrice”, che per Wachtel e Sahlins in presenza di crisi e cambiamenti in atto
acquista la funzione di acceleratore, velocizzando il cambiamento.
Lo spazio
per il singolo risulta per Braudel estremamente
limitato, vi è quindi una difficoltà per i piccoli gruppi ed anche per gli
stessi governanti di arrestare il cambiamento, il quale può solo
essere influenzato e pilotato, al riguardo si è fatto riferimento ai diversi
risultati che la Grande Guerra ebbe sugli Stati che vi parteciparono ( Marwick , Cocka ), le dinamiche
risultano tuttavia più sottili di quello che appare, si creano circostanze
nelle quali individui e gruppi attraverso una serie di eventi influiscono sulla
“riproduzione culturale”.
Interviene il problema
dell’educazione che connette gli eventi al cambiamento strutturale secondo la “Teoria della generazione” sostenuta da Karl Manheim, l’evento rientra in una “storia collettiva” ( Lamprecht) che
accoglie in sé l’ampia base di un agire collettivo dove psicologia, tecnologia
e scienza, geografia culturale ed economica, filosofia e teologia si fondono (Hintze).
Si crea
quindi la necessità di una riflessione sui concetti di crescita economica, sviluppo economico e progresso economico in
termini storici: termini di crescita e
sviluppo sono visti di per sé come “positivi” ed identificati con il
concetto di “progresso” , tuttavia mentre nei primi vi è alla base una
valutazione numerica quale semplice misurazione di un incremento, che per la
crescita si risolve nel volume totale di beni e servizi prodotti (PIL), per lo
sviluppo vi è inoltre la valutazione del cambiamento organizzativo della
struttura economica che ha accompagnato la crescita.
Nel termine progresso si aggiunge una valutazione
etica che pervade la numerazione e la simbologia adottata, i numeri vanno
interpretati secondo un giudizio che si rifà al concetto di benessere o di
disagio, l’utilità da materiale è calata sull’individuo viene immersa
nell’uomo, nella sua capacità di crescita spirituale e di una relazionalità con
l’altro positiva, i tre termini quindi si compenetrano ma non possono
identificarsi, ed il concetto di “capitale umano” supera il solo insieme di
conoscenze e abilità tecniche per diventare ricchezza
umanistica.
In questo si
pone il problema della storicizzazione del quotidiano che le nuove tecnologie
comunicative permettono, l’apporre il fatto nei diari dei social network pone
un continuo ripetersi del fatto, un ricordare, sottolineare continuamente
l’evento, viene meno la storicizzazione per innescare dinamiche conflittuali
autoalimentate nel tempo, un tempo presente che tuttavia si sfilaccia
progressivamente dalla capacità di lettura che viene dal vissuto del contesto.