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giovedì 31 marzo 2022

Pietro Vaenti. Il Ricordo

 

Ricordare Pietro, a dieci anni dalla scomparsa significa riflettere su un segmento della nostra storia, la resistenza dei militari italiani all’estero, e più in generale le scelte di politica estera e socio-economiche del nostro paese del tempo. Significa constatare che a 75 anni di distanza quanto successo nel 1943 e negli anni successivi è stato volutamente ignorato e, per precisa volontà, non incide nelle scelte attuali.

Trovarsi come tutti i soldati italiani, ed in particolare quelli stanziati fuori del territorio nazionale abbandonati a se stessi, senza più nessun alleato e nessun amico, circondati da popolazione civile ostile e nemici feriti nell’orgoglio e pronti a sfogare in modo crudele il loro risentimento di alleati traditi, è una situazione che metaforicamente in questi ultimi mesi si è riproposta al popolo italiano più di una volta.

La massima espressione democratica quale è la elezione del Capo dello Stato, si è risolta in un compromesso funzionale, quasi una scelta obbligata, in virtù della inconsistenza di una classe politica di trovare le soluzioni democratiche e funzionali all’interesse della nazione. L’unico candidato alla Presidenza che si è espresso è stato un personaggio che da anni imperversa sulla scena politica nazionale, amico di colui che oggi devasta un paese europeo in modo violento, che frantuma ogni cardine della nostra tradizione della famiglia, cadine della nostra società, proponendoci un matrimonio-non matrimonio e che ha sempre dimostrato di anteporre i suoi interessi a quelli della collettività. Vi sono larghi strati della politica che da quando sono stati eletti al parlamento e rappresentano il partito di maggioranza relativa dall’inizio del loro mandato hanno cambiato posizione ed atteggiamento ad ogni annuncio di stagione (basti pensare alla campagna per uscire dall’euro); altri ancora, con l’etichetta di “sovranismo” combattono l’Europa in ogni maniera, per creare un regionalismo le cui prospettive sono solo fame e miseria. Infine il revival contro cui Pietro di è battuto, il ritorno dell’uomo della Provvidenza, che al termine di venti anni di governo, oggi indicati come eccellenti, fu detronizzato dai suoi stessi luogotenenti, poi definiti traditori da chi si era messo al servizio del tedesco invasore sognando un “ritorno all’origini” senza riflette che quel ritorno stava portando ancora lutti, divisioni, macerie e fame. Infine la classe politica ha dimostrato ancora una volta il suo fallimento, per una parte della quale la vita umana non ha valore con la richiesta di allentamento o cancellazione di norme anticovid, fallimento prima morale e poi materiale nel momento in cui si è dovuto chiamare un generale per combattere e ridurre la minaccia di questa infezione, con lo strascico di coloro, autodefinitesi NOVAX, cioè candidati potenziali senza difese per il suicido scelto e voluto, non solo per loro ma anche per altri.

 A dieci anni dalla morte di Pietro possiamo anche avanzare la domanda, (in sua presenza non avremmo mai formulata): a che cosa è servita la Resistenza, la lotta del popolo italiano per non avere più guerre, fame, tragedie, violenze e un vivere quotidiano sereno, prospero ed un futuro accettale?

 Chi scrive è il figlio della generazione che fece la Resistenza e deve ai tantissimi Pietro una vita, guardandosi indietro, degna di nota, una vita che i miei figli invidiano. “Tu avevi la certezza di…, tu hai la certezza della pensione…, tu hai avuto una scuola che prima educava e poi istruiva…, tu sul posto di lavoro avevi diritti, tu avevi sindacati che erano sindacati.., non venduti… tu come generazione avevi un futuro…” Tutte cose che si sono realizzate.  In pratica l’Italia degli anni del secondo dopoguerra che un altro socialista ha iniziato a distruggere. Oggi i nostri giovani hanno un quadro di prospettiva diverso.

Dopo una pandemia devastante, oggi viviamo con la paura della guerra, che pensavamo fosse stata bandita dall’Europa. Il dramma dell’invasione che nel 1939 subì la Polonia, nel 1940 La Danimarca e la Norvegia, il Belgio e la Francia, poi nel 1941, la Russia, La Jugoslavia La Grecia, oggi lo rivediamo in Ucraina. Stesse modalità, stessa propaganda, stessi eroismi, stesse menzogne, stessi fiancheggiatori, un revival su vasta scala che ci terrorizza.

 

Ricordando Pietro, certamente a lui non farebbe piacere sapere che anche i suoi nipoti si potrebbero trovare nelle stesse sue condizioni del settembre 1943: dover scegliere tra essere internato o salire in montagna o essere alla mercè di un nemico spietato.

Tutto quanto sopra porta ad una conclusione che potrebbe essere un punto di riferimento delle nostre scelte future. Ruggero Zangrandi nella dedica ad un suo volume sulla ricostruzione della crisi armistiziale scrive:

“…Dedico questo lavoro a mia figlia Gabriella ed ai giovani della sua età  Nella fiducia che una conoscenza non convenzionale di quel che accadde in Italia intorno all’8 settembre 1943 concorra a far loro imparare prima il male che possono arrecare a un Paese le cattive azioni di capi vili e quanto poco il sacrifico di migliaia di uomini semplici riesca poi a porvi rimedio”

 

Per me, questa è la grande eredità di Pietro, e l’ammirazione e la stima nate fin dal primo momento che ci siamo incontrati si sono consolidate al confronto con il tempo e con le sfide che la vita ha posto. Un ricordo indelebile, attivo e sempre fonte di orientamento. Pietro è ancora con noi.

 

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