domenica 28 febbraio 2021
sabato 20 febbraio 2021
La battaglia di Rimini Settembre - ottobre 1944
Quando il
maresciallo Montgomery lasciò il comando della VIII Armata nel dicembre 1943
l’Armata era attesta ad Ortona, conquista con molta fatica. Siamo negli
Abruzzi. Per tutta la primavera non vi sono guadagni di terreno notevoli e le
posizioni sono mantenute in attesa che il fronte tirreno avesse delle novità
sostanziali. Tutti speravano che l’azione su Anzio avesse avuto successo e
quindi il crollo del fronte sud tedesco. L’unica soluzione per la Germania era
ritirarsi sulla linea degli Appennini. Ma il fronte tedesco a febbraio, marzo
ed aprile resse con una certa sorpresa; lo sbarco di Anzio si cristallizzò nei
mesi di marzo ed aprile, diventando statico. La progressione delle truppe
alleate sul fronte adriatico era affidata da giugno 1944 al II Corpo Polacco,
reduce vittorioso della conquista di Cassino. Mentre sul tirreno, le forze
vittoriose di Cassino si unirono a quelle uscite dalla testa di ponte di Anzio,
e conquistarono Roma, sorpassandola e puntando verso nord. Giugno fu speso in questa
marcia, non contrasta dalle forze tedesche, che proseguì nel mese di luglio,
quando iniziò a farsi sentire il salasso di unità e di truppe, ritirate dal
fronte italiano per impiegarle nell’invasione della Francia meridionale. Sulla
litoranea tirrena, le truppe alleate puntavano a Livorno, la cui conquista del
porto era essenziale, essendo il più vicino Napoli
Sul fronte
adriatico la progressione del II Corpo Polacco lungo la strada Adriatica, con i
tedeschi che potevano solo permettersi a momenti di arresto temporaneo seguiti
da ripiegamenti o reazioni dinamiche locali. La costa a pettine delle Marche
dove i corsi dei fiumi, con andamento ovest-est, erano tra sistemi collinosi di
media altezza e ampiamente popolato. Ai primi di luglio i Polacchi erano arrivati
ad investire gli antemurali di Ancona, la cui conquista del porto era il loro
vero obbiettivo, per alleggerire il peso logistico ormai divenuto veramente
pesante in quanto tutti i rifornimenti ed i materiali arrivavano dai porti
pugliesi, Bari Brindisi e Taranto. I Polacchi attaccarono le posizioni tedesche
( 1° battaglia per Ancona) con solo due divisioni e oltre 200 carri armati. La
grande fiducia nelle forze corazzate fece commettere un errore di
sottovalutazione delle difese tedesche. Dopo cinque giorni di combattimenti la
progressione polacca era minima e le perdite notevoli, tra cui 49 carri armati,
il 25% della forza. Sospesa l’offensiva, fu chiamo in linea il Corpo Italiano
di Liberazione (C.I.L.) disseminato lungo la linea montana tra l’Abruzzo e le
Marche. In soli due giorni le unità elementari del C.I.L. furono portate in
linea, ed il 6 luglio 1944 erano attestati a ridosso di Filottrano, punto
nevralgico per la conquista di Ancona. I dieci gruppi di artiglieria e i cinque
battaglioni di fanteria del C.I.L. il giorno successivo assunsero le posizioni
di partenza e all’all’alba del 8 luglio attaccarono le posizioni tedesche di
Filottrano, difese da tre carri medi e due battaglioni di fanteria. E’ la
battaglia che consacra il C.I.L., la prima condotta con rapporti di forza
accettabili (artiglieria/fanteria 2:1, i con il nemico il rapporto in termini
di battaglioni di 5:2), la prima con esito vittorio dopo quattro anni di
sconfitte. Il 9 mattina, dopo che nella notte i tedeschi si erano ritirati con
pesanti perdite (un battaglione fu letteralmente distrutto), il tricolore
svettava su Filottrano e si apriva lo scenario per la manovra canonica di
attacco di corpo d’armata, a cui partecipò come terza divisone a pieno titolo
il C.I.L. per la conquista di Ancona. Il 18 luglio 1944 l’azione fu lanciata e
a sera i Polacchi avevano conquistato la città dorica ed il porto, mentre due
giorni dopo, il 20 luglio, il C.I.L. conquistava Jesi, costringendo i tedeschi
a ripiegare sul Cesano. Già il 23 luglio grazie ai lavori dei genieri alleanti,
con unità anche italiane, la prima nave “Liberty” attraccò ed iniziò a sbarcare
i materiali urgenti. Entro una settimana fu ripristinata la raffineria di
Falconara Marittima, che permise alle truppe alleate di spedire più celermente,
contando su rifornimenti di carburante sicuri.
Ad agosto fu
raggiunta la linea del Metauro, e qui il C.I.L. fu ritirato dalla prima linea
per essere riorganizzato. Dotato di equipaggiamenti e materiali britannici,
diede vita ai Gruppi di Combattimento, che entrarono in linea a gennaio 1945.
Senza alcuna
partecipazione di truppe italiane, gli Alleati lanciano la operazione “Olive”,
in cui impiegarono altre 100.000 soldati, voluta espressamente da Churichill il
quale contava di sfondare e puntare celermente su Ravenna Venezia e raggiungere
in breve tempo Trieste e la soglia di Gorizia per poi dilagare su Lubiana e
Vienna con l’intento strategico di arrivare al centro dell’Europa e impedire
ulteriori avanzate verso occidente dell’Armata Rossa. Era un disegno
prettamente britannico, che vide gli statunitensi rimanerne estranei, tutti
intenti a concentrare i loro sforzi nella Francia occidentale e considerare il
fronte italiano ormai secondario.
Nei mesi di
settembre ed ottobre la progressione britannica non raggiunse gli obbiettivi
sperati. Kesserling adottò anche in questa circostanza tecniche di difesa molte
elastiche, cercando di non irrigidirsi sulla difesa fissa, e cercando di non
farsi distruggere sul posto. Una sorta di ampio frenaggio che diede i suoi.
L’azione tedesca fu anche agevolata dalle condizioni meteorologiche molto
negative, con forti piogge che ingrossarono i fiumi nell’area intono a Rimini.
La battaglia di Rimini, che molti autori locali considerano, in gran parte a
ragione, la più grande battaglia non solo del fronte italiano ma anche quello
degli ultimi anni di guerra sul fronte alleato. Le perdite alleate furono fra
Caduti, feriti, ammalati e pochi prigionieri ammontarono a circa 30.000 uomini.
Il 25 ottobre la battaglia si concluse, con i Polacchi che pochi giorni prima
erano entrati a Cesena. Non solo Vienna e Lubiana, ma anche Trieste, Venezia e
Ravenna erano ancora lontane.
L’arrivo dell’inverno costrinse gli Alleati a
non lanciare più offensive. La Linea Gotica allestita e difesa dai tedeschi
aveva resistito ed un altro anno di guerra si prospettava per il fronte
italiano.
lunedì 1 febbraio 2021
Osvaldo Biribicchi La Guerra di LIberazione e la campagna d'Italia
1943-1945: il ruolo dei reparti
regolari dell’Esercito nella Campagna d’Italia al fianco degli Alleati
di
Osvaldo Biribicchi
Nella primavera del 1943 le forze
armate italiane, dopo la tragica ritirata dalla Russia e la resa in Nord Africa,
il 12 maggio 1943, non erano più in grado di tener testa agli avversari. Di ciò
erano consapevoli Mussolini, il Re e milioni di cittadini ormai stanchi di
lutti ed inutili sacrifici. Prolungare un conflitto ormai perduto avrebbe
significato solamente aggravare la già critica situazione economica e sociale,
rinviare la sconfitta finale, esporre l’Italia ad ulteriori perdite di vite
umane e distruzioni apocalittiche. Fu in questa atmosfera che gli
anglo-americani si prepararono ad invadere la penisola. La caduta di Lampedusa
e Pantelleria l’11 ed il 12 giugno 1943 fu la premessa dello sbarco degli Alleati
in Sicilia, che avvenne il 10 luglio tra Siracusa e Licata, in attuazione della
operazione Husky. Iniziava la
cosiddetta Campagna d’Italia che per
i tedeschi invece sarebbe iniziata la sera dell’8 settembre 1943 nel momento in
cui Badoglio annunciò l’armistizio. Per entrambi terminerà il 2 maggio 1945 con
la firma nella Reggia di Caserta della resa di tutte le forze tedesche in
Italia. In Sicilia, il 12 luglio la linea di difesa costiera italo-tedesca fu
sfondata. Pochi giorni dopo, il 19, Mussolini si incontrò a Feltre con Hitler
con l’intenzione di esporre all’alleato la drammatica situazione in cui versava
l’Italia e l’impossibilità a poter continuare la guerra. Di fronte a Hitler,
determinato a proseguire ad oltranza la lotta fino alle estreme conseguenze,
Mussolini che ormai aveva esaurito ogni energia non trovò la forza di esporre
ciò che i suoi più stretti collaboratori, fra questi il Capo di Stato Maggiore Generale
Ambrosio, gli avevano suggerito. Nelle stesse ore in cui si svolgeva
quell’incontro, Roma veniva bombardata pesantemente (dalle ore 11,05 alle
14,20) da circa 200 bombardieri americani che, in sei successive ondate,
colpirono i quartieri San Lorenzo e Tiburtino, sedi di importanti scali
ferroviari, Prenestino, Tuscolano e Casal Bertone. Fu colpito anche il Cimitero
del Verano. Le vittime accertate furono 1.486. L’impatto sul morale della
popolazione già provata fu notevole; Pio XII uscì dal Vaticano e si recò nei
luoghi del bombardamento invocando la pace e la fine del conflitto. In Sicilia
le forze italo-tedesche continuavano a combattere contro gli anglo-americani
che il 22 luglio entravano a Palermo, prima grande città europea ad essere
liberata dagli Alleati. Due giorni dopo fu tenuto il Gran Consiglio del
Fascismo[1]
che si concluse a tarda notte con l’approvazione di un Ordine del Giorno (il
cosiddetto Ordine del Giorno Grandi) in cui si imponeva al Capo del Governo di
rimettere ogni potere nelle mani del Re. Tutti erano convinti che una volta
rimosso Mussolini, eventualmente sostituto dallo stesso Grandi ex ambasciatore
a Londra, ci sarebbero state concrete possibilità di intavolare trattative con
gli Alleati per una pace onorevole, salvando l’integrità nazionale, la monarchia
ed il fascismo stesso. Il 25 luglio, una data che rimarrà ben incisa nella
storia recente d’Italia, Mussolini si recò presso la residenza del Re, a Villa
Savoia, per partecipargli la decisione del Gran Consiglio. Vittorio Emanuele
III, dopo oltre 22 anni di stretta collaborazione, lo fece arrestare dai
carabinieri ed affidò il Governo al Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ex
Capo di Stato Maggiore Generale, che nel suo proclama agli italiani dichiarò:
«Per ordine di S.M. il Re e Imperatore assumo il Governo militare del Paese,
con pieni poteri. La guerra continua […]
La consegna ricevuta è chiara e precisa […] chiunque si illuda di
poterne intralciare il normale svolgimento o tenti di turbare l’ordine
pubblico, sarà inesorabilmente colpito». In pratica si assistette ad un
rivolgimento tutto interno all’ambiente monarchico-fascista, la monarchia
abbandonava il fascismo a sé stesso, togliendogli ogni potere. Questo è uno dei
punti cruciali di quello che sarà il momento delle scelte all’indomani della
crisi armistiziale e delle sue tragiche conseguenze. Pietro Badoglio formò un
governo di militari ed alti funzionari dello Stato, tutti fino a poche ore
prima di “provata fede fascista”. Il comportamento ambiguo, le incertezze ed i
ritardi con cui il governo Badoglio avviò contatti segreti per trovare un
accordo con gli Alleati furono così tanti e persistenti da ingenerare in questi
ultimi seri dubbi sulle reali intenzioni degli italiani. Badoglio, che non
voleva rivelare ad Hitler le proprie intenzioni, non predispose nulla dal punto
di vista militare per evitare l’afflusso in Italia, dopo la destituzione di
Mussolini, di ingenti forze tedesche. Dal 26 luglio al 18 agosto, infatti, in
attuazione del piano di operazioni Alarico[2]
predisposto già da maggio del 1943, i tedeschi fecero affluire in Italia
attraverso il Brennero, il Passo di Tarvisio e gli altri valichi alpini 17
divisioni e 2 brigate in rinforzo a quelle già presenti. Formalmente queste
truppe scendevano nella penisola in aiuto degli italiani impegnati a
contrastare gli anglo-americani in Sicilia[3],
in realtà si predisponevano ad occuparla nel caso in cui il governo Badoglio si
fosse ritirato dalla guerra. Il 31 luglio il governo italiano decideva
segretamente di avviare colloqui attraverso i normali canali diplomatici con
gli Alleati. Nelle ore pomeridiane del 3 settembre 1943, sotto una tenda
piantata negli aranceti nella piana di Cassibile in Sicilia, veniva firmato
l’armistizio, passato alla storia come Armistizio
Corto, un documento ambiguo (tra l’altro non vi era alcun cenno al
trattamento dei prigionieri italiani in mano alleata), approvato da Badoglio il
quale sperava di poterlo rinegoziare da posizioni migliori in futuro. Tale
armistizio fu poi annunciato da Eisenhower da Radio Algeri alle ore 16,30
dell’8 settembre 1943. Badoglio, sconcertato in quanto si aspettava
erroneamente l’annuncio non prima del 12 settembre, si risolse a proclamarlo con
una trasmissione che l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, la
progenitrice della odierna RAI) mise in onda alle 19,45. All’annuncio
dell’armistizio, ai tedeschi non restò che mettere in atto senza più indugi il
piano Alarico. In un clima di
grandissima confusione, iniziò quella che è passata alla storia come la fuga di
Pescara. Il Re, Badoglio ed i massimi vertici militari abbandonarono
precipitosamente Roma alla volta di Pescara e subito dopo di Ortona per
imbarcarsi sulla corvetta Baionetta. Gli
Alleati intanto proseguivano la lenta ma inarrestabile risalita della penisola
continuando ed intensificando i bombardamenti aerei; furono particolarmente
colpite le città di Napoli, Salerno, Foggia, Bologna, Torino, Genova e soprattutto
Milano[4].
Non solo le grandi, ma anche decine di piccole città e paesi che non erano sedi
né di fabbriche né di caserme furono oggetto di bombardamenti aerei. A Frascati,
piccolo centro dei Castelli Romani, ove si trovava il quartier generale di
Kesselring, il giorno dell’armistizio 130 bombardieri americani sganciarono 1.300
bombe che causarono 500 morti tra i civili e 200 fra i militari tedeschi. Il
tributo pagato dalla popolazione a causa dei bombardamenti aerei nel corso di
tutta la Campagna d’Italia fu altissimo[5].
Nelle stesse ore in cui il convoglio con le massime cariche dello Stato si
dirigeva indisturbato verso la costa adriatica le forze armate italiane,
disorientate ed in mancanza di disposizioni operative chiare e precise,
iniziavano a sfaldarsi progressivamente. La nuovissima corazzata Roma, con a bordo l’ammiraglio Bergamini,
veniva affondata nelle vicinanze dell’Isola dell’Asinara in Sardegna da aerei
tedeschi decollati da Istres in Francia; nella capitale avvenivano i primi
scontri tra reparti del regio esercito e tedeschi; la 5a armata
americana al comando del generale Clark sbarcava nel golfo di Salerno dove
incontrava una accanita difesa tedesca. La mattina dell’11 settembre il Re e
Badoglio sbarcarono a Brindisi, a partire da quel momento nacque il cosiddetto Regno del Sud al fine di garantire formalmente la continuità della sovranità
dello Stato italiano[6].
Il giorno dopo, il 12 settembre, paracadutisti tedeschi liberavano Mussolini
tenuto prigioniero in un albergo sul Gran Sasso in Abruzzo. Ebbene, in quel
periodo convulso e travagliato gli Alleati acconsentirono non senza diffidenza e
dietro insistente richiesta del governo Badoglio, che voleva concorrere
attivamente alla liberazione del Paese dall’occupazione tedesca, alla
costituzione di una unità combattente. Il 27 settembre 1943 in Puglia,
diciannove giorni dopo l’armistizio, nasceva il 1o Raggruppamento
Motorizzato, l’embrione del nuovo esercito, formato con unità prelevate dal LI
Corpo d’Armata e dalle Divisioni “Legnano”, “Piceno” e “Mantova” oltre a 2 battaglioni e due sezioni
Carabinieri. L’unità fu posta al
comando del generale Dapino. Intanto, la situazione politico-militare
progrediva rapidamente: il 29 settembre fu firmato l’Armistizio Lungo o
armistizio di Malta l'atto con il quale vennero precisate le condizioni della
resa senza condizioni già contenute genericamente nell'armistizio di Cassibile
(armistizio corto) che rimarranno in vigore fino al 10 febbraio 1947 quando il
Primo Ministro De Gasperi firmerà a Parigi il Trattato di pace. Con la firma
del cosiddetto armistizio lungo l’Italia liberata fu costretta a fornire agli
anglo-americani tutto ciò che rimaneva delle proprie risorse finanziarie ed
infrastrutturali. Il 13 ottobre il governo Badoglio, la cui attività amministrativa
era stata sottoposta al diretto controllo anglo-americano, al fine di chiarire
la propria condotta politico-militare dichiarò guerra alla Germania. A partire
da questa data, il Regno del Sud assunse la posizione di cobelligerante
ovvero non fu più considerato nemico ma neanche alleato nel senso stretto del
termine. I tedeschi, a loro volta, riconobbero ai militari del Regno del Sud,
fino a quel momento considerati alla stregua di banditi, lo status di
combattenti nemici “legali”. L’8
dicembre 1943, il 1o Raggruppamento Motorizzato ebbe il battesimo del fuoco a Monte Lungo in
Campania. L’attacco non riuscì a conseguire l’obiettivo prefissato e fu
ripetuto, questa volta con successo, il 16 dicembre con il supporto degli
americani. Alla fine di gennaio 1944, il comando dell’unità operativa fu
assegnato al generale Umberto Utili che il 31 marzo la guidò in un’altra
battaglia importante della Campagna d’Italia quella di Monte Marrone della
catena montuosa delle Mainarde al confine tra Lazio e Molise. Dopo i successi
di Monte Lungo e di Monte Marrone gli Alleati autorizzarono la trasformazione
del 1° Raggruppamento Motorizzato in una unità più consistente. Il 18 aprile
1944 nasceva il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) con una consistenza di 25.000 uomini,
espressione della ferma volontà del Regno del Sud di impegnarsi al fianco degli
Alleati contro i tedeschi. Il C.I.L. operò prima sulle Mainarde, inquadrato nel
Corpo di Spedizione Francese, poi sul litorale adriatico alle dipendenze del V
Corpo d’Armata britannico. Negli stessi giorni in cui il generale Utili
assumeva il comando del 1°
Raggruppamento Motorizzato il VI Corpo d’Armata americano sbarcava a sud di Roma tra Anzio e Nettuno. I tedeschi furono
sul punto di ricacciare in mare gli Alleati i quali impiegarono più di quattro
mesi prima di riuscire, il 4 giugno 1944, ad entrare a Roma distante solo una
cinquantina di chilometri.
Il C.I.L. nel
1944 affrontò tre cicli operativi risalendo la penisola dal Sangro al Metauro.
Il primo ciclo lo possiamo inquadrare
nel periodo 18-31 maggio, nella zona delle Mainarde come detto. Il secondo dal 1° giugno al 16 agosto nel
settore adriatico che si concretizzò in una avanzata di 350 chilometri. Nei
giorni dall’8 all’11 giugno il C.I.L. liberò Chieti, successivamente raggiunse
l’Aquila e Teramo, città sgomberate dai tedeschi poche ore prima dell’arrivo
delle avanguardie italiane. Il 17 giugno passò alle dipendenze del Corpo
d’Armata polacco; il giorno seguente venne liberata Ascoli Piceno, il 30 giugno
Macerata. Nel periodo 6-9 luglio si svolse la battaglia di Filottrano
propedeutica alla liberazione di Ancona che avvenne il 18 luglio. Il terzo ed ultimo ciclo, 17-31 agosto, fu caratterizzato
dallo spostamento dei settori di combattimento verso la media ed alta collina
marchigiana; tra il 28 ed il 30 agosto furono liberate Urbino e Pegli ove il C.I.L.
concluse la sua attività operativa[7] ed il 24 settembre fu sciolto. Dai suoi reparti
fu avviata la costituzione dei Gruppi di Combattimento «Legnano» e «Folgore» a
cui si sarebbero aggiunti i Gruppi “Cremona”, «Friuli», «Mantova» e «Piceno», tutti
armati ed equipaggiati con materiale inglese. Il 31 luglio 1944, infatti, la
Commissione Alleata di Controllo aveva autorizzato la preparazione di sei
Gruppi di Combattimento, unità di livello divisionale con un organico di
circa 9.500 uomini. Il Gruppo di Combattimento
«Piceno» fu trasformato in centro di addestramento complementi e pertanto non
prese parte ai combattimenti. Dei cinque gruppi operativi, quattro: il
«Cremona», il «Friuli», il «Folgore» ed il «Legnano», furono impiegati in
combattimento nel periodo 14 gennaio –
23 marzo 1945 mentre il «Mantova» rimase in riserva. Gli Alleati vi
inserirono delle unità di collegamento, le British Liaison Units (B.L.U.), che
avevano il duplice compito di facilitare tecnicamente le comunicazioni tra comandi
anglo-americani ed italiani e controllare l’operato di questi ultimi verso i
quali nutrivano ancora scarsa fiducia. Successivamente, di fronte all’impegno,
al valore ed al sacrificio dei soldati italiani queste riserve furono spazzate
via lasciando il posto ai più ampi attestati di stima ed amicizia da parte
degli Alleati. ............................................................................................... All’inizio del 1945 la
sconfitta della Germania appariva ormai inesorabile. La Campagna d’Italia
volgeva al termine ed uno degli obiettivi principali era quello di impedire, in
vista del dopoguerra, che i tedeschi distruggessero ciò che di ancora efficiente
era rimasto dell’apparato industriale nel nord Italia. Il piano alleato
prevedeva di sfondare le difese della linea Gotica con una manovra a tenaglia
su Bologna, l’infiltrazione rapida di truppe nel cuore della Valle Padana ed
una contemporanea puntata offensiva su Venezia, Trieste, La Spezia e Genova.
L’offensiva venne lanciata il 9 aprile 1945, preceduta da un intensissimo
bombardamento di artiglieria ed aereo. Le difese tedesche, fisse ed ancorate al
terreno, furono investite e travolte in più punti. Il 21 aprile Bologna fu
raggiunta dalle unità polacche e dai Gruppi di Combattimento, la rotta tedesca
assunse proporzioni sempre più gravi. Il 30 aprile gli Alleati entrarono a
Torino, Milano e Venezia, due giorni dopo a Trieste. La progressione degli Alleati
e la contemporanea convergenza di tutte le forze insurrezionali che liberarono
le grandi città prima dell’arrivo degli anglo-americani, impedì la temuta
distruzione generale minacciata dai tedeschi di ogni infrastruttura
economicamente utile. L’annuncio della resa di tutte le forze tedesche in
Italia, firmata il 29 aprile, fu annunciata il 2 maggio. La Campagna d’Italia
terminava sei giorni prima della fine della guerra in Europa, convenzionalmente
fissata l’8 maggio con la firma a Reims della resa generale tedesca, e una
settimana dopo la fine della Guerra di Liberazione, conclusasi il 25 aprile nel
giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava
l’insurrezione generale. Il senso della Campagna d’Italia vista dagli Alleati è
racchiuso nelle parole del Generale Alexander: «Quali che siano le valutazioni
che possono farsi sull’importanza della Campagna, esse vanno espresse non in
termini di terreno conquistato, poiché il terreno non era vitale, nel ristretto
senso della parola, né per noi né per il nemico, ma considerando le conseguenze
che essa ebbe sulla guerra nel suo complesso. Le armate alleate in Italia non
vennero impegnate contro le principali armate nemiche, e i loro attacchi non
furono diretti, come lo furono quelli degli alleati a ovest e dei russi ad est,
contro il cuore della Patria tedesca e i centri nevralgici dell’esistenza
nazionale della Germania. Il nostro ruolo fu subordinato e preparatorio. Dieci
mesi prima che da ovest venisse lanciato il grande assalto, la nostra invasione
dell’Italia, all’inizio condotta con forze molto moderate, attirò in quelle
remote regioni truppe che, se impiegate in Francia, avrebbero potuto far
pendere la bilancia dall’altra parte. Col progredire della Campagna, un sempre
crescente numero di forze tedesche affluì a contrastarci il passo. I supremi
amministratori della strategia alleata ebbero sempre cura di provvedere
affinché le nostre forze non superassero mai il minimo necessario a consentire
di assolvere i nostri compiti; durante quei 20 mesi, non meno di 21 divisioni
vennero sottratte al mio comando a beneficio di altri teatri d’operazioni. I
tedeschi non operarono detrazioni paragonabili alle nostre. Tranne che per un
breve periodo della primavera del 1944, essi ebbero in Italia un numero di
formazioni sempre superiore al nostro, e noi sapemmo fare così buon uso di quel
breve ed eccezionale periodo che nell’estate del 1944, il momento critico della
guerra, i tedeschi furono costretti a dirottare otto divisioni verso il nostro
teatro d’operazioni secondario. A quel tempo, quando l’importanza del nostro
contributo strategico aveva raggiunto il suo punto massimo, 55 divisioni
tedesche furono inchiodate nel Mediterraneo dalla minaccia, effettiva o
potenziale, costituita dalle nostre armate in Italia. I dati comparati sulle
perdite ci dicono la stessa storia. Da parte tedesca, esse ammontarono a
536.000 uomini. Le perdite alleate furono 312.000 uomini. La differenza è
ancora più notevole se si considera che fummo sempre noi ad attaccare. Quattro
volte effettuammo quella che è la più difficile operazione della guerra, uno
sbarco anfibio. Tre volte lanciammo un’offensiva preordinata con la forza di un
intero gruppo di armate. In nessun’altra parte di Europa i soldati affrontarono
un terreno più difficile e avversari più decisi. La conclusione è che la
Campagna d’Italia assolse la sua missione strategica».
[1]
All’interno del
Partito Nazionale Fascista si era creata una fronda che faceva capo a Ciano,
Grandi e Bottai.
[2] Il piano Alarico a sua volta prevedeva una serie
di specifiche operazioni: Schwarz,
occupazione e controllo dei principali nodi stradali e ferroviari; Achse, occupazione della base navale di
La Spezia; Student, occupazione di
Roma e cattura del governo; Eiche,
liberazione di Mussolini.
[3]
L’operazione
Husky, iniziata il 10 luglio 1943, terminò il 16
agosto con l’ingresso degli Alleati a Messina.
[4]
Milano fu
bombardata da 916 bombardieri della RAF i quali sganciarono 4.284 tonnellate di
bombe su tutta l’area della città nelle notti dell’8, del 13, del 15 e 16
agosto 1943. Fu colpito il
50% degli edifici; le vittime furono 2.000 ed oltre 250.000 gli sfollati. I
principali monumenti milanesi furono semidistrutti, il teatro La Scala fu
centrato in pieno da una bomba di grosse dimensioni.
[5]
Secondo
l’Istituto Centrale di Statistica, i morti civili per bombardamenti aerei
furono 18.376 dal 10 giugno 1940 al 7 settembre 1943 e 41.420 dall’8 settembre
1943 al 25 aprile 1945.
[6]
Il 4 giugno 1944, con la liberazione
di Roma, si concluse la breve parentesi del Regno del Sud.
[7]Complessivamente il Corpo Italiano di Liberazione nel periodo
aprile-agosto 1944 ebbe 377 caduti e 880 feriti.