martedì 16 luglio 2013
C.I.L. Le forze in campo nel settore delle Mainarde
Nell’ambito dell’offensiva contro la linea «Gustav», il Comando Britannico manifestò l’intendimento di affidare al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) l’esecuzione di un’operazione nell’area delle Mainarde compresa tra la zona di Monte Mare e Monte Cavallo. Il 9 maggio, il gen. Utili illustrò questi intendimenti ai suoi comandanti in sottordine e dopo varie riunioni si palesò la necessità di eseguire un’azione che avrebbe portato alla liberazione dell’abitato di Picinisco secondo la direttrice Monte Mare – Colle dell’Altare. L’idea iniziale, secondo le indicazioni inglesi, era quella di operare un attacco frontale contro Monte Cavallo che doveva essere conquistato con un’azione aggirante da sud. Tale modalità esecutiva venne subito scartata poiché il gen. Utili, che ben conosceva le ripide pareti di Monte Cavallo, propose con successo che l’azione si sviluppasse con un aggiramento da nord. Ebbe inizio così l’operazione «Chianti» che si svolse dal 27 al 30 maggio 1944. La mattina del 27 maggio l’operazione prese il via con la preparazione di artiglieria, dopo di che le fanterie mossero all’attacco sull’intero fronte. L’avanzata, tranne che nel settore del 68° reggimento fanteria, non incontrò una forte resistenza, tanto che gli obiettivi assegnati furono conseguiti. I fatti d’arme furono numerosi e anche se non si ottennero grandi risultati nel campo tattico-strategico, dal punto di vista morale il breve ciclo operativo aveva indubbiamente fornito ai reparti impegnati la consapevolezza delle proprie capacità manovriere e combattive contro gli ostacoli opposti dal nemico e contro le difficoltà e le asprezze del terreno.
Il C.I.L. venne ufficialmente costituito il 22 marzo 1944 sulle ceneri del I Raggruppamento motorizzato. Nel periodo in esame non presentava ancora la struttura di grande unità basata su due complessi di forze a livello divisionale come avverrà a partire dal I giugno. In particolare, il C.I.L. era alle dirette dipendenze del X Corpo britannico inquadrato nell’8^ Armata che a sua volta era inserita nel XV gruppo d’Armate.
La responsabilità della condotta dell’operazione «Chianti» venne affidata al col. Ettore Fucci, Vicecomandante del C.I.L. e Comandante delle fanteria. Il col. Fucci poteva contare sulle seguenti unità di manovra: il 68° reggimento di fanteria con il I e II battaglione, il 4° reggimento bersaglieri con il XXIX e XXXIII battaglione, il 184° reggimento e il CLXXXV battaglione paracadutisti, il battaglione alpini «Piemonte» in cui era inquadrata una batteria da 75 mm someggiata nonché il IX reparto d’assalto. A tali unità di manovra si aggiungeva l’11° reggimento di artiglieria su tre gruppi, unità carabinieri, del genio e dei servizi.
Le unità del C.I.L., come si può osservare, erano costituite da reparti di fanteria supportati da artiglieria, genio e servizi logistici, ma totalmente privi di mezzi corazzati. Tale peculiarità rendeva queste unità particolarmente idonee ad operare su terreni montuosi, aspri e difficili come quelli presenti nella zona oggetto di studio, che aveva impedito a reparti motorizzati, come quelli anglo-americani, di agire agevolmente.
L’armamento individuale era costituito dal moschetto 91 e dal M.A.B. 38 A mentre gli ufficiali avevano in dotazione la Beretta 34 cal. 9 corto. Per quanto riguarda l’artiglieria, il I gruppo del 11° reggimento aveva in dotazione cannoni da 105/28, il II gruppo obici da 100/22, il III gruppo obici da 75/18 mentre il gruppo someggiato obici da 75/13. Durante l’operazione “Chianti” il C.I.L. poteva, inoltre, contare sul supporto di fuoco di 3 gruppi da 87 del 5° reggimento di artiglieria neo-zelandese, del 17° H.A.A. (heavy anti-aircraft) antiaerea pesante, del 20° e 21° gruppo di artiglieria da 5,5 pollici e di una batteria di controbatteria, messi a disposizione dal 2° Army Group Royal Artillery.
In merito all’organizzazione logistica di siffatto complesso di forze, erano state costituite due basi logistiche, una immediatamente a nord della q. 1770 di Monte Marrone, con una dotazione di 3 giornate viveri, avena e munizioni per il sostegno del battaglione alpini “Piemonte”, mentre l’altra a q. 1180, con una dotazione di 5 giornate, per tutti gli altri reparti.
Il servizio sanitario era stato organizzato su tre reparti sanitari rispettivamente a q. 1180, in Val Petrara e sulla rotabile di Alfedena al bivio di Rocchetta. A garantire il servizio portaferiti si dispose che il II gruppo del 541° reggimento artiglieria fosse impiegato in rinforzo della sezione sanità per lo sgombero dei feriti presso i posti medicazione dei suindicati reparti sanitari. In particolare, il trasporto dei feriti avveniva con l’impiego di muli, mentre sulla rete stradale, si poteva contare sull’impiego di alcune autoambulanze.
A causa della scarsa viabilità1 e praticabilità del terreno, per quanto riguarda il servizio di commissariato, si impose la logica della previdenza facendo largo impiego di viveri a secco e salmerie. Prima dell’inizio dell’operazioni «Chianti» vennero accantonate presso le basi logistiche circa 8000 di tali razioni ed un congruo numero di razioni di foraggio (da impiegarsi solo su autorizzazione). Inoltre, alle unità vennero concesse due razioni viveri di riserva da consumarsi durante l’azione.
In merito al servizio di artiglieria si costituirono posti munizioni a q. 1180, su Monte Marrone, alle sorgenti del Volturno e a S. Vittorino2. Prima dell’inizio dell’operazione «Chianti» fu disposto che i gruppi avessero presso di sé due giornate e mezzo di fuoco, al IV gruppo someggiato da 75/13 furono messi a disposizione 3000 colpi presso la base logistica a q. 1180, mentre gli altri gruppi di artiglieria potevano provvedere direttamente a rifornirsi con propri mezzi attingendo al P.A.M. (posto avviamento munizioni) di Isernia. La fanteria avrebbe inoltrato le richieste di munizioni alla sezione servizi del Comando del C.I.L. tramite Comando fanteria o il Comando del 68° reggimento.
Per quanto attiene la dislocazione iniziale dei Comandi, il fronte del C.I.L. nella zona delle Mainarde era suddiviso in tre settori: «Rio Chiaro», «Marrone» e «Rocchetta». Il settore «Rio Chiaro» era presidiato dal 184° reggimento paracadutisti, il settore «Rocchetta» dal 68° reggimento fanteria e il settore «Marrone» da 2 battaglioni bersaglieri, dal battaglione alpini “Piemonte”, dal CLXXXV battaglione paracadutisti e dal IX reparto d’assalto. In particolare, mentre le unità di quest’ultimo settore avrebbero effettuato lo sforzo principale, ai due settori laterali era riservata, invece, una semplice azione concomitante di sondaggio e di fiancheggiamento tattile.
Per quanto riguarda il movimento vennero costituite tre colonne: la colonna «Massimino», costituita dal CLXXXV battaglione paracadutisti «Nembo» e dalla 10a compagnia mortai del 68° reggimento, la colonna Briatore, costituita dal battaglione alpini «Piemonte» e dalla batteria alpini da 75/13 e la colonna Ciancabilla, costituita dal 4° reggimento bersaglieri, dal IX reparto d’assalto, dalla 9a compagnia mortai del 68° reggimento e dal IV gruppo da 75/13 someggiato.
Questa era la consistenza, l’articolazione e l’organizzazione logistica delle forze del C.I.L. nell’area delle Mainarde. Per quanto riguarda la coalizione hitleriana il gen. Ringel, responsabile del settore, poteva disporre dell'85° e 100° reggimento di fanteria, di un reggimento di artiglieria da montagna, di vari battaglioni da ricognizione, del raggruppamento "Bode", costituito dal 576° reggimento, vari battaglioni e servizi e del III battaglione indipendente di cacciatori alpini.
Dopo i fatti d’arme di aprile e l’operazione “Chianti” nelle Mainarde di fine maggio 1944 l’opinione degli alleati di contenere la consistenza delle Forze Armate italiane era destinata gradualmente a mutare. Sebbene tali azioni furono dal punto di vista tattico poco significative, esse ebbero il grande pregio di ridare dignità, fiducia e morale sia alla componente militare che civile del popolo italiano. Si stava diffondendo la sensazione che ora il termine cobelligeranza non fosse solo una parola, ma stesse via via assumendo un carattere reale e che le prove di Monte Lungo del dicembre 1943 ed il travagliato gennaio-febbraio 1944, in cui affiorava in vari ambienti alleati l’ipotesi di sciogliere ogni forza combattente italiana, fossero definitivamente superati. Le azioni dei nostri militari aveva dimostrato che l’esperienza italiana nella guerra di montagna era superiore a quella inglese ed americana, le nostre truppe erano indispensabili perché si ritagliarono una nicchia di capacità, data dalla possibilità di operare in terreni montuosi particolarmente accidentati, ove le truppe alleate non erano in grado di vivere e combattere. Tale percezione venne ulteriormente confermata dall’evolversi del conflitto, infatti, mentre nel settore delle Mainarde gli scontri potevano considerarsi, salvo qualche breve periodo movimentato, azioni aventi un preminente carattere di staticità, nel settore adriatico, il C.I.L. avrebbe manifestato lo slancio di cui era capace, nel corso di un’ininterrotta avanzata che avrebbe prima contribuito alla creazione dei gruppi di combattimento e successivamente alla liberazione dell’Italia dalle truppe tedesche.
Allegato A
Il C.I.L. venne ufficialmente costituito il 22 marzo 1944 sulle ceneri del I Raggruppamento motorizzato. Nel periodo in esame non presentava ancora la struttura di grande unità basata su due complessi di forze a livello divisionale come avverrà a partire dal I giugno. In particolare, il C.I.L. era alle dirette dipendenze del X Corpo britannico inquadrato nell’8^ Armata che a sua volta era inserita nel XV gruppo d’Armate.
La responsabilità della condotta dell’operazione «Chianti» venne affidata al col. Ettore Fucci, Vicecomandante del C.I.L. e Comandante delle fanteria. Il col. Fucci poteva contare sulle seguenti unità di manovra: il 68° reggimento di fanteria con il I e II battaglione, il 4° reggimento bersaglieri con il XXIX e XXXIII battaglione, il 184° reggimento e il CLXXXV battaglione paracadutisti, il battaglione alpini «Piemonte» in cui era inquadrata una batteria da 75 mm someggiata nonché il IX reparto d’assalto. A tali unità di manovra si aggiungeva l’11° reggimento di artiglieria su tre gruppi, unità carabinieri, del genio e dei servizi.
Le unità del C.I.L., come si può osservare, erano costituite da reparti di fanteria supportati da artiglieria, genio e servizi logistici, ma totalmente privi di mezzi corazzati. Tale peculiarità rendeva queste unità particolarmente idonee ad operare su terreni montuosi, aspri e difficili come quelli presenti nella zona oggetto di studio, che aveva impedito a reparti motorizzati, come quelli anglo-americani, di agire agevolmente.
L’armamento individuale era costituito dal moschetto 91 e dal M.A.B. 38 A mentre gli ufficiali avevano in dotazione la Beretta 34 cal. 9 corto. Per quanto riguarda l’artiglieria, il I gruppo del 11° reggimento aveva in dotazione cannoni da 105/28, il II gruppo obici da 100/22, il III gruppo obici da 75/18 mentre il gruppo someggiato obici da 75/13. Durante l’operazione “Chianti” il C.I.L. poteva, inoltre, contare sul supporto di fuoco di 3 gruppi da 87 del 5° reggimento di artiglieria neo-zelandese, del 17° H.A.A. (heavy anti-aircraft) antiaerea pesante, del 20° e 21° gruppo di artiglieria da 5,5 pollici e di una batteria di controbatteria, messi a disposizione dal 2° Army Group Royal Artillery.
In merito all’organizzazione logistica di siffatto complesso di forze, erano state costituite due basi logistiche, una immediatamente a nord della q. 1770 di Monte Marrone, con una dotazione di 3 giornate viveri, avena e munizioni per il sostegno del battaglione alpini “Piemonte”, mentre l’altra a q. 1180, con una dotazione di 5 giornate, per tutti gli altri reparti.
Il servizio sanitario era stato organizzato su tre reparti sanitari rispettivamente a q. 1180, in Val Petrara e sulla rotabile di Alfedena al bivio di Rocchetta. A garantire il servizio portaferiti si dispose che il II gruppo del 541° reggimento artiglieria fosse impiegato in rinforzo della sezione sanità per lo sgombero dei feriti presso i posti medicazione dei suindicati reparti sanitari. In particolare, il trasporto dei feriti avveniva con l’impiego di muli, mentre sulla rete stradale, si poteva contare sull’impiego di alcune autoambulanze.
A causa della scarsa viabilità1 e praticabilità del terreno, per quanto riguarda il servizio di commissariato, si impose la logica della previdenza facendo largo impiego di viveri a secco e salmerie. Prima dell’inizio dell’operazioni «Chianti» vennero accantonate presso le basi logistiche circa 8000 di tali razioni ed un congruo numero di razioni di foraggio (da impiegarsi solo su autorizzazione). Inoltre, alle unità vennero concesse due razioni viveri di riserva da consumarsi durante l’azione.
In merito al servizio di artiglieria si costituirono posti munizioni a q. 1180, su Monte Marrone, alle sorgenti del Volturno e a S. Vittorino2. Prima dell’inizio dell’operazione «Chianti» fu disposto che i gruppi avessero presso di sé due giornate e mezzo di fuoco, al IV gruppo someggiato da 75/13 furono messi a disposizione 3000 colpi presso la base logistica a q. 1180, mentre gli altri gruppi di artiglieria potevano provvedere direttamente a rifornirsi con propri mezzi attingendo al P.A.M. (posto avviamento munizioni) di Isernia. La fanteria avrebbe inoltrato le richieste di munizioni alla sezione servizi del Comando del C.I.L. tramite Comando fanteria o il Comando del 68° reggimento.
Per quanto attiene la dislocazione iniziale dei Comandi, il fronte del C.I.L. nella zona delle Mainarde era suddiviso in tre settori: «Rio Chiaro», «Marrone» e «Rocchetta». Il settore «Rio Chiaro» era presidiato dal 184° reggimento paracadutisti, il settore «Rocchetta» dal 68° reggimento fanteria e il settore «Marrone» da 2 battaglioni bersaglieri, dal battaglione alpini “Piemonte”, dal CLXXXV battaglione paracadutisti e dal IX reparto d’assalto. In particolare, mentre le unità di quest’ultimo settore avrebbero effettuato lo sforzo principale, ai due settori laterali era riservata, invece, una semplice azione concomitante di sondaggio e di fiancheggiamento tattile.
Per quanto riguarda il movimento vennero costituite tre colonne: la colonna «Massimino», costituita dal CLXXXV battaglione paracadutisti «Nembo» e dalla 10a compagnia mortai del 68° reggimento, la colonna Briatore, costituita dal battaglione alpini «Piemonte» e dalla batteria alpini da 75/13 e la colonna Ciancabilla, costituita dal 4° reggimento bersaglieri, dal IX reparto d’assalto, dalla 9a compagnia mortai del 68° reggimento e dal IV gruppo da 75/13 someggiato.
Questa era la consistenza, l’articolazione e l’organizzazione logistica delle forze del C.I.L. nell’area delle Mainarde. Per quanto riguarda la coalizione hitleriana il gen. Ringel, responsabile del settore, poteva disporre dell'85° e 100° reggimento di fanteria, di un reggimento di artiglieria da montagna, di vari battaglioni da ricognizione, del raggruppamento "Bode", costituito dal 576° reggimento, vari battaglioni e servizi e del III battaglione indipendente di cacciatori alpini.
Dopo i fatti d’arme di aprile e l’operazione “Chianti” nelle Mainarde di fine maggio 1944 l’opinione degli alleati di contenere la consistenza delle Forze Armate italiane era destinata gradualmente a mutare. Sebbene tali azioni furono dal punto di vista tattico poco significative, esse ebbero il grande pregio di ridare dignità, fiducia e morale sia alla componente militare che civile del popolo italiano. Si stava diffondendo la sensazione che ora il termine cobelligeranza non fosse solo una parola, ma stesse via via assumendo un carattere reale e che le prove di Monte Lungo del dicembre 1943 ed il travagliato gennaio-febbraio 1944, in cui affiorava in vari ambienti alleati l’ipotesi di sciogliere ogni forza combattente italiana, fossero definitivamente superati. Le azioni dei nostri militari aveva dimostrato che l’esperienza italiana nella guerra di montagna era superiore a quella inglese ed americana, le nostre truppe erano indispensabili perché si ritagliarono una nicchia di capacità, data dalla possibilità di operare in terreni montuosi particolarmente accidentati, ove le truppe alleate non erano in grado di vivere e combattere. Tale percezione venne ulteriormente confermata dall’evolversi del conflitto, infatti, mentre nel settore delle Mainarde gli scontri potevano considerarsi, salvo qualche breve periodo movimentato, azioni aventi un preminente carattere di staticità, nel settore adriatico, il C.I.L. avrebbe manifestato lo slancio di cui era capace, nel corso di un’ininterrotta avanzata che avrebbe prima contribuito alla creazione dei gruppi di combattimento e successivamente alla liberazione dell’Italia dalle truppe tedesche.
Allegato A
giovedì 4 luglio 2013
C.I.L. - I Mezzi tecnici
Se ai primi soldati ad
entrare in linea non fu possibile distribuire molto materiale alleato, anche di
quello nazionale si dovette fare parco uso poiché gli alleati usavano i pochi
magazzini trovati per prelevare vestiario, scarpe e munizionamento a favore dei
partigiani di Tito (lo paracadutavano) e degli italiani delle brigate partigiane
in Jugoslavia. L’entrata in linea di soldati repubblichini nella stessa divisa
grigioverde, rese necessario dotare, uniformare le divise dell’esercito del sud
con quelle alleate almeno con quelle inglesi di cui i nostri reparti facevano
parte. Anche per questo compaiono, nei diari dei primi mesi della guerra di
liberazione, le lamentele dei soldati senza rifornimenti e senza cambi. Ma la
vita del soldato non era solo quella, andava dagli alloggiamenti, alle licenze,
al soldo, al vitto, ai trasporti e non ultimo alla riconoscenza. Se diciamo che
in tutti questi aspetti fummo piuttosto tirati compiamo un grande atto di
ottimismo e siamo ancora molto lontani dalla realtà.
Dalla primavera del 44 però
ben poco distingueva il combattente dei Gruppi dal tommy inglese: la divisa era
costituita dal praticissimo ed ottimo battle dress con la usuale tascona sulla coscia sinistra,
con scarponi neri e ghette in canapa. Anche la buffetteria era quella
dell'esercito inglese, così come gli zaini, gli elmetti (la classica padella -
Mk II steel helmett a cui i bersaglieri applicarono il piumetto) e gli attrezzi
da zappatore. Chi ne aveva la possibilità (i paracadutisti in testa, ma anche i
bersaglieri) conservò il M.A.B. 38 A (ritenuto migliore dei mitra alleati
distribuiti), e gli ufficiali le loro Beretta 34 cal. 9 corto. Gli alpini
conservarono il loro copricapo come i bersaglieri il fez, etc... I gradi erano
quelli italiani ed erano tornati sulle spalline per gli ufficiali. Oltre alle
mostrine italiane di corpo sul braccio sinistro compariva una bandierina
(celluloide o metallo verniciato) tricolore italiana con il simbolo del gruppo
sul campo centrale bianco. I paracadutisti sopra il normale battle dress
indossavano un giaccone senza maniche (frequente l'uso di quelli in pelle
marrone tipicamente inglese) ma anche altre tenute copiate dai tedeschi e il
casco da lancio era quello inglese Mk. 1-1942 o Mk. 2-1943, anche se alcuni
portavano l'elmetto da motociclista Mk.1-1942.
Per quanto riguarda gli automezzi che furono
forniti ai soldati italiani c’è chi ha fatto una lista che potrà essere anche
incompleta, ma significativa di quella mobilità che il nostro ex nemico aveva e
che in Italia, in quanto tale orograficamente, non si poteva dispiegare al
100%. I mezzi corazzati, le artiglierie, ma non solo, ne erano un piccolo
esempio. I Gruppi di Combattimento furono equipaggiati quasi interamente con
materiale di provenienza alleata e più specificatamente inglese. I mezzi
inglesi erano considerati sussidiari, perché con quelli non avrebbero mai vinto
la guerra contro i tedeschi, pur potendo disporne anche in grandi quantità
prodotte dal Commonwealth che avevano dietro le spalle. La qualità e la forza o
potenza era in genere inferiore a quella tedesca
JEEP FORD GPW.
Jeep: Caratteristiche
tecniche 2.199 cc - 54 hp - classe 250 kg. La sigla ormai nota come jeep che
sta per GP general purpose, (foneticamente j p) usi generali, nasce con la
specifica di un mezzo per il traino di piccole batterie (37mm), mezzo di
comando o rimorchio . La Bantam è la prima a costruire un prototipo, poi non
approvato. Anche la Ford produsse prototipi e l'originale su licenza Willys
Overland Motors Inc. come è meglio conosciuta la Jeep (Willys) da chi vinse la
commessa. All'epoca costava sui 1.000 $ e ne vennero prodotti 640.000 pezzi.
Decine furono le varianti e gli usi introdotti su questo mezzo.
BEDFORD MW 4x2: autocarro leggero inglese,
porta una squadra di 10 uomini con carico (15 cwt di portata, corrispondenti a
circa 750 Kg.). Del mezzo esistevano varie versioni: quelli del Regio Esercito
appartenevano alle ultime serie di produzione (D), caratterizzate da parabrezza
di grandi dimensioni.
DODGE D 15: autocarro
leggero Usa (15 cwt di portata, corrispondenti a circa 750 Kg.), meno diffuso
del precedente. Motore a 6 cilindri 95 hp.
CMP Canadian Military
Pattern CHEVROLET C15: autocarro leggero (15 cwt di portata 750 kg) a trazione
integrale di produzione canadese. Motore a 6 cilindri 85 hp, lunghezza m 4,34 -
telonato.
FIAT SPA TM 40. Trattore
medio a 4 ruote motrici e sterzanti. Motore Diesel a 6 cilindri 108 hp
Lunghezza m 4,6. Nel dopoguerra venne costruita la versione più lunga TM48 con
lo spazio retrostante per le munizioni del 76/55
MORRIS C 8 FAT (Field
Artillery Tractor): Risulta essere stato assegnato ai gruppi di artiglieria per
il traino di tutti i pezzi in dotazione. Esiste anche in versione ad una
portiera per lato e tetto parzialmente coperto in tela. Un
esemplare della versione mk III con carrozzeria tradizionale è tuttora esposta
al Museo della Motorizzazione Militare in Roma alla Cecchignola.
UNIVERSAL (BREN)
CARRIER: famoso tuttofare dell'esercito inglese, fu distribuito ai reparti di
fanteria, dei gruppi come trasporto (truppe e materiali) e veicolo esplorante
(nel dopoguerra fu utilizzato come trattore, ma non solo, per il cannone contro
carro da 6 lbs) ma anche porta squadra mortaio. 88° Rgt. Friuli - 1944
LlOYD CARRIER: derivato
dall'universal carrier (4 ruote portanti per lato anziché 3),da 1 tonn.
Utilizzato per il traino dei cannoni controcarro da 6 libbre (57 mm.);
data la scarsità di spazio a bordo era però previsto che ogni pezzo fosse
accompagnato da due trattori, uno per le munizioni e l’altro per il personale.
CANNONE contro carro da 6
lbs., in Italia noto come cannone c.c. da 57/50
In dotazione alle compagnie
c.c. dei battaglioni di fanteria, data la scarsa presenza, da parte tedesca, di
mezzi corazzati nei combattimenti che coinvolsero i gruppi, i cannoni da 6
libbre furono sostanzialmente usati come armi d’accompagnamento della fanteria
(canna lunga).
CANNONE contro carro da 17
lbs., in Italia noto come cannone c.c. da 76/55.
Il più potente cannone
controcarro alleato (armava anche Shermann Firefly), fu dato in dotazione al
gruppo contro carri (tre batterie di sei pezzi) del reggimento di artiglieria.
E’ stato il primo pezzo di artiglieria ad utilizzare proiettili perforanti a
scartamento di involucro (APDS), per questo era in grado di competere con armi
di maggior calibro (88/55 tedesco, 90/50 americano, 90/53 italiano). Venne
mantenuto in servizio anche nel dopoguerra.
OBICE da 25 lbs., in Italia
noto come obice campale da 88/27.
In dotazione a 4 gruppi del
reggimento artiglieria, nella versione più aggiornata con freno di bocca a due
luci. Ebbe lunga vita (non solo nell’E.I.) nel dopoguerra; negli anni 50 alcuni
esemplari in dotazione all’artiglieria italiana furono sottoposti al
rialesaggio della canna: questa fu portata al calibro 105 mm., risultando lunga
circa 22 calibri.
CANNONE contraereo Bofors da
40/50
ancora oggi (in versione
aggiornata ed allungata a 70 calibri) in uso presso le principali marine
mondiali come pezzo antiaereo ed antimissile.
(studentiecultori2009@libero.it)
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