Era una sensazione pienamente
giustificata: gli americani stavano cominciando a fare le spese della forza
della «Winterstellung» prima ancora di conoscerne con esattezza l'esistenza.
Soltanto sul finire di ottobre infatti essi poterono avere da alcuni
prigionieri le prime notizie sul sistema difensivo tedesco: notizie vaghe e spesso
contrastanti circa una linea difensiva che correva dal Tirreno all'Adriatico;
in realtà, come poterono constatare direttamente in seguito, si trattava di
due linee, distinte ma integratesi e costituenti un unico baluardo (4)
(schizzo n.3).
La principale delle due,
propriamente detta “linea Gustav” univa effettivamente i due mari nel punto
più stretto della penisola, misurando circa 160 Km. Nel versante tirrenico, (che
è quello che ci interessa più da vicino, correva lungo il Fiume Garigliano
dal Mare Tirreno al Fiume Gari, poi seguiva la riva destra di questo verso
Cassino e proseguiva lungo le pendici avanzate dei colli dietro Cassino verso
Atina (5). Su questa linea i tedeschi intendevano fermare gli alleati
definitivamente. Per proteggere i lavori di fortificazione e allo scopo di
rallentare l'avanza nemica però, i
tedeschi avevano provveduto a costruire davanti a questa un'altra linea a
carattere temporaneo che essi chiamavano «Reinhardt» o «Bernhard» e che agli
anglo-americani indicheranno come «Winter Line» (6). Nel settore americano
passava a sud di M. Marrone lungo i colli sopra Venafro, verso la stretta
di Mignano tra M. Sammucro e le masse collinose del Maggiore e del Camino,
entrambi tenuti in forze. Continuava lungo le pendici orientali e meridionali
del Camino e infine superava il Fiume Garigliano per unirsi alla linea Gustav
(7).
La forza dell'intera
«Winterstellung» stava nel fatto che era un sistema di difese dislocate in
profondità, prive di un punto chiave. Non c'era possibilità di sferrare un
colpo decisivo, che ne determinasse il crollo: ogni montagna doveva essere
presa separatamente, ogni valle rastrellata, e poi ci si trovava di fronte a
sempre nuove montagne e a un'altra linea che doveva a sua volta essere
spezzata da ostinati attacchi di fanteria (8).
A metà di novembre dunque le
truppe americane avevano già fatto conoscenza con le difficoltà del nuovo
settore, in particolare col pilastro meridionale della Winter Line, il Monte
Camino, posizione di capitale importanza per l'osservazione della zona
circostante (9). Proprio l'esito disastroso dell'attacco al monte ad opera di
reparti della 56a Divisione britannica nei giorni tra il 5 e il 15 novembre,
aveva convinto Clark che era il caso di dare un periodo di riposo a truppe
ormai logorate, molte delle quali combattevano ininterrottamente da oltre due
mesi, dall'epoca dello sbarco a Salerno (10). In queste condizioni era da
escludere un attacco immediato da parte dell'Armata che doveva limitarsi a
mantenere le posizioni attuali, raggruppare le proprie forze e prepararsi a
lanciare un attacco attorno al 30 novembre (11).
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martedì 12 marzo 2013
Relazione del Gen Gianfranco Gasperini al Convegno tenutosi nel 2008 a Mignano Montelungo in occasione dell'8 dicembre
MONTE LUNGO
La «Winter Line»
Di fronte alla «Winter Line» gli
americani erano venuti a trovarsi nella prima metà di novembre, dopo una lenta
e faticosa avanzata costata un mese di dure lotte, in seguito
all'attraversamento del Volturno (1).
Fu un impatto difficile quello
con l'autunno italiano che lasciò il segno sulle truppe di Clark che ne
ricavarono un triste presagio sul futuro che le attendeva. Così descrive la
situazione materiale e morale il comandante della 5^ Armata:
( .. ) ci trovammo di fronte
un terreno tra l'più difficili tra quelli incontrati poi e il tempo peggiore di
tutta la campagna. La pioggia cadeva a torrenti, i veicoli sprofondavano nel
fango fin Sopra i mozzi delle ruote, le terre basse diventavano mari di melma e
le retroguardie tedesche si trinceravano abilmente sulle alture per ritardare
la nostra avanzata (2).
Ma non erano soltanto le
avversità atmosferiche a deprimere gli stanchi e infangati uomini della 5^
Armata; incideva negativamente sul loro morale sempre più col passare del tempo
la sensazione di affrontare ogni giorno una posizione difensiva formidabile,
mentre (avanzavano) a poco a poco attraverso quell'aspro terreno (3).
Sul fronte della 5^ Armata la
direttrice d'attacco pressoché obbligata era quella che seguendo la ss. statale
n. 6 Casilina, attraversava la cosiddetta stretta di Mignano (Mignano Gap). È
questa una angusta valle il cui ingresso dal sud è controllato dal già citato
gruppo del Camino, comprendente i monti La Difensa, la Remetanea e Maggiore. La
Casilina la percorre affiancata alla ferrovia Roma-Napoli fin poco dopo
l'abitato di Mignano che sorge al centro della valle. Poi, di fronte a M.
Lungo, la ferrovia volta a sinistra e la strada a destra per proseguire verso
Cassino. All'estremità settentrionale la stretta è dominata dal Monte Sammucro
(m. 1205) di fronte al quale, verso occidente, si trova M. Maggiore (630 m.).
Esattamente al centro della stretta, Monte Rotondo (m. 357) e Monte Lungo (m.
351) due formidabili barriere a dispetto dell'altezza. Dopo Monte Lungo in
successione, come violente ondate nella superficie piatta della valle, Monte
Porchia e Monte Trocchio (12). Infine, dopo il Trocchio, l'ampia valle del
Liri, l'ingresso a Roma.
L'attacco alla «Winter Line»
In vista della ripresa operativa
il Quartier Generale della 5 a Armata emanava il 24 novembre le Istruzioni
speciali n. 11 nelle quali era previsto un attacco in tre fasi distinte
l'ultima delle quali doveva concludersi con lo sfondamento al centro per
guadagnare l'accesso alla strada di Roma nella valle del Liri (13). La prima
fase, con inizio il 2 o 3 dicembre, doveva portare alla conquista delle
posizioni-chiave di Monte Camino, Monte La Difensa e Monte Maggiore. Quanto
alla fase centrale, nella quale era prevista l'entrata in linea del
Raggruppamento, aveva come obiettivo principale Monte Sammucro e un attacco
verso occidente lungo la strada Colli-Atina (14).
Alla vigilia dell'attacco la 5 a
Armata era schierata su tre Corpi d'Armata lungo un fronte di circa 70
chilometri. A occidente, dalla costa a Monte Camino, vi era il X Corpo d'Armata
comandato dal generale inglese McCreery (Divisioni di fanteria 56a e 46a);
l'estrema destra era tenuta dal VI Corpo d'Armata (Divisioni di fanteria 45° e
34 a) comandato dal generale americano Lucas. Al centro si trovava il II Corpo
d'Armata comandato dal generale americano Keyes alle cui dipendenze operavano i
generali Truscott (3a Divisione) e Warker comandante della 36a Divisione
fanteria («Texas»): a questa unità americana fu aggregato il I Raggruppamento
motorizzato italiano (15).
A queste forze i tedeschi potevano
opporre forze quasi equivalenti, ammontanti a circa cinque Divisioni granatieri,
più la Divisione corrazzata “ Hermann Goering di riserva.Perdipiù, le due
Divisioni schierate al centro della linea erano fresche: una di queste, la 29a
Divisione granatieri corazzati, teneva le posizioni centrali e settentrionali
della stretta di Mignano e in particolare Monte Lungo (16).
La prima fase dell'attacco, detta
anche operazione «Raincoat», ebbe inizio regolarmente il 2 dicembre. Alle 16,30
le artiglierie della 5a Armata forti di 925 pezzi, aprirono il fuoco: tutti i
pezzi meno 105 tiravano sulle posizioni che il nemico occupava sulle pendici
nude e rocciose del Monte Camino (17).
L'azione dell'artiglieria
proseguì per due giorni; furono lanciati proiettili ad alto esplosivo e al
fosforo contro le caverne e le trincee profonde dei tedeschi (18). Era la massa
di fuoco più intensa vista fino a quel momento nella campagna d'Italia:
tuttavia gli esiti furono inferiori all'attesa (19).
Alle 16,30 la 56a Divisione
iniziò l'attacco rinnovando con due battaglioni il tentativo di conquistare
Monte Camino la cui vetta fu occupata finalmente il 6 dicembre. Mentre questo
attacco, il più importante previsto nella I fase, avveniva sulla sinistra del
fronte a opera delle unità del X Corpo d'Armata, al centro le truppe del II
Corpo si battevano duramente per conquistare prima e difendere poi i monti La
Remetanea e La Difensa, che costituivano la chiave d'attacco alla cresta del
Monte Maggiore, occupati definitivamente soltanto alla metà dell'8 dicembre.
Quanto al Monte Maggiore, l'attacco fu affidato al 142° reggimento fanteria
americano (36a Divisione) che riuscì ad occuparne le sommità (quote 619 e 630)
il 3 dicembre e le difese da numerosi attacchi tedeschi nei giorni successivi
(20).
Si chiudeva così la prima fase
con un sostanziale successo e col raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il 7 dicembre, mentre la prima
fase era ancora in corso, aveva inizio la seconda i cui scopi erano così
indicati nella relazione ufficiale della 5 a Armata:
Il compito principale della
seconda fase, assegnato al II Corpo, era il Monte Sammucro. L'operazione
«Raincoat» aveva aperto la strada al Garigliano per una distanza di venti
miglia dal mare, ma le alture di Monte Lungo e Monte Sammucro che controllavano
la stretta di Mignano e 1'ingresso alla valle del Liri, erano ancora in mano al
nemico. La stretta valle compresa tra queste due montagne era molto ben difesa,
contro San Pietro ai piedi del Sammucro come centro di resistenza. Perché un
attacco contro San Pietro avesse successo occorreva che Monte Lungo e quota
1205, la sommità del Sammucro, fossero conquistati (21).
Si trattava di un compito non
facile, al punto che occorsero due tentativi per avere ragione della tenace e
ben organizzata resistenza tedesca; cosicché la seconda fase dell'attacco alla
«Winterline» si sdoppiò nelle due battaglie di San Pietro, secondo la
definizione degli americani. Questo compito, come detto, era stato assegnato al
II Corpo d'Armata e, in particolare, alla 36a Divisione americana («Texas»)
alla quale a partire dal 4 dicembre fu aggregalo il 1° Raggruppamento
motorizzato che si doveva tenere pronto a muovere la forza necessaria
all'operazione (..) la sera del 6 dicembre, secondo le indicazioni del
comunicato del II Corpo d'Armata americano inviato al comandante del
Raggruppamento il 3 dicembre (22). Il generale Dapino a tale scopo prendeva
immediatamente contatto col comandante della 36a Divisione americana per
istruzioni e per coordinare dei piani di azione. I risultati dei colloqui
furono poi riassunti dal generale Walker in un Memorandum per il generale
Dapino nel quale si prevedeva che:
- il Raggruppamento doveva
occupare i pendii orientali di Monte Lungo dando il cambio ad elementi del 141°
fanteria ed avanzare poi per conquistare Monte Lungo ad un'ora che verrà
designata la mattina del 7 dicembre
- allo scopo di compiere il
cambio di cui sopra, il Raggruppamento sarebbe andato in posizione durante la
notte del -5-6 dicembre: la notte del 6-7 dicembre poi, la fanteria dell'unità
italiana avrebbe dato il cambio al battaglione di sinistra del 141° fanteria,
che ora occupa i pendii orientali di Monte Lungo.
- il battaglione del 141°
fanteria al momento in posizione su Monte Rotondo, sarebbe invece rimasto sul
posto fin dopo la conquista di Monte Lungo; sui pendii meridionali di Monte
Rotondo poteva sistemarsi a riserva anche il battaglione di riserva del
Raggruppamento motorizzato.
- l'appoggio diretto alla
fanteria del 1 Raggruppamento motorizzato sarebbe stato fornito dal reggimento
di artiglieria dell'unità italiana stessa;
- l’azione si sarebbe svolta su un
terreno limitato a sinistra dal ruscello «Fosso di Lupo», e a destra dalla SS 6(Casilina);
- dopo la conquista di Monte
Lungo, si sarebbe provveduto a organizzare a difesa i pendii occidentali del
monte stesso per respingere possibili contrattacchi, specialmente da nord-ovest
(23).
Erano come si vede indicazioni
preliminari riguardanti i compiti spettanti al Raggruppamento e il settore ad
esso assegnato nell'azione imminente. Il 6 dicembre giunse dal comando della
36a Divisione americana l'ordine di operazione n. 39 relativo all'attacco a
Monte Lungo e Sammucro alle ore 6,20 dell'8 dicembre (24). Questo il piano
d'azione predisposto dal generale Walker:
- sulla destra, il 143 fanteria
doveva attaccare con non meno di un battaglione principalmente ad ovest dei
pendii meridionali di M. Sammucro e conquistare S. Pietro e l'altopiano a
nord-ovest di S. Pietro; un altro battaglione del 143 fanteria, cominciando ad
avanzare alle prime oscurità del 7 dicembre lungo il corso d'acqua ad ovest di
Ceppagna, doveva essere in grado, all'alba dell'8 dicembre di sistemarsi a
difesa del Monte Sammucro; su ordine della Divisione, doveva continuare
l'attacco per conquistare S. Vittore e l'altopiano a nord e ad est.
-al centro, secondo gli accordi
presi, il I Raggruppamento, dopo avere dato il cambio ad elementi del 141
fanteria (..) in posizione sui pendii sud-orientali di Monte Lungo, alle ore
6,20 dell'8 dicembre doveva attaccare, conquistare e mantenere le posizioni di
Monte Lungo, intanto,
- a sinistra, il 142 fanteria,
che già la sera del 7 avrebbe provveduto a rastrellare la cima del M. Maggiore
( .. ) occupando con avamposti la linea Peccia, appoggiava l'attacco del I Raggruppamento
motorizzato italiano con fuoco di armi leggere nella valle tra M. Lungo e M.
Maggiore.
- L'artiglieria della 36a
Divisione avrebbe appoggiato il 142° e 143° fanteria con priorità alla
richiesta del 143 (..) nell'azione di appoggio generico. Il 636 battaglione
anticarro era pronto ad azioni di fuoco in appoggio del I raggruppamento
motorizzato dietro richiesta.
Il 6 dicembre, dopo aver ricevuto
le istruzioni della 36a Divisione americana, il generale Dapino inviava ai
comandanti dipendenti l'Ordine di operazione n. 1 nel quale affermava che il
Raggruppamento avrebbe attaccato preponderando le forze 1ungo il costone q.
253-343-351 (25). La colonna, dal colonnello Bonfigli comandante il 67° reggimento
fanteria comprendeva il LI battaglione bersaglieri, il V battaglione
controcarri, 2 plotoni artieri con elementi specializzati nella ricerca di
mine, e 2 sezioni da 20, m/m. L'attacco principale sarebbe stato condotto da un
battaglione fanteria in primo scaglione, mentre l'altro battaglione, in secondo
scaglione, restava sulle pendici sud di Monde Rotondo. Sulla sinistra il LI
bersaglieri avrebbe operato in appoggio con un attacco sussidiario contro Colle
San Giacomo. Complessivamente la fanteria combattente ammontava a circa
1500/1600 uomini, 600 circa per ciascuno dei due battaglioni del 67, ai quali
andavano aggiunti i circa 350 del LI bersaglieri (26).
Il giorno successivo, con
l'Ordine d'operazione n. 2 si prevedevano alcune modifiche riguardanti
l'aggregazione di una sola compagnia di bersaglieri al 67 da impiegare per
proteggere dalle provenienze della zona di Colle San Giacomo l'azione del
battaglione in primo scaglione (27). Le altre compagnie dovevano rimanere sul
rovescio di Monte Rotondo per costituire riserva del Raggruppamento. Quanto all'artiglieria
erano previsti tiri di preparazione a partire da 45 minuti prima dell'ora «H»
fissata per l'attacco ad opera dell'11° reggimento artiglieria su Monte Lungo,
limitatamente al settore compreso fra la ferrovia e la rotabile nazionale n. 6.
Mezz'ora prima dell'ora «H» l'artiglieria americana avrebbe aperto il fuoco su
Monte Lungo, Colle San Giacomo e zona retrostante a questo. A partire dall'ora
«H», mentre l’11 ° artiglieria continuava a tirare su Monte Lungo,
l'artiglieria americana teneva sotto il fuoco Colle San Giacomo, pronta ad
allungare il tiro su Monte Lungo dietro richiesta italiana (28).
Tutto sembrava dunque predisposto
per l'attacco italiano su Monte Lungo, dosso allungato, scoperto e roccioso (
.. ) vera e propria altura carsica, spezzata in una serie di ondulazioni di
altezza crescente man mano che si procede verso le posizioni nemiche (29).
Per quanto riguarda la situazione
del nemico, va osservato che le notizie in possesso di italiani e americani
presentavano una discrepanza che avrebbe dovuto essere tenuta in maggiore
considerazione: l'Ufficio «I» del II Corpo d'Armata americano riteneva che la
linea tedesca partisse da q. 100 della ss. n. 6 a nord-est di Monte Rotondo per
tagliare le pendici orientali di Monte Lungo, attraversare il Torrente Peccia,
risalire a Colle S. Giacomo e attestarsi alle basse pendici settentrionali di Monte
Maggiore; secondo le informazioni in possesso degli italiani, che alla prova dei
fatti risulteranno esatte, invece la linea risultava più a sud, passando per
Monte Rotondo q. 253, per scendere a Ponte Primo Peccia (30).
Queste posizioni erano tenute,
secondo le informazioni ricavate da prigionieri e disertori, poi verificate
direttamente, dal III battaglione del 15° reggimento della 29^ Divisione
granatieri corazzati: in tutto 4 compagnie, la 9^, la 10^, l’1l^, e 12^. Le
prime due, ai margini orientali di Monte Lungo, le altre due su quelli
settentrionali: complessivamente circa 500 uomini. A sinistra del III era
schierato il I battaglione dello stesso reggimento, mentre il II era in secondo
scaglione. Sul monte si trovavano numerose postazioni di mitragliatrici e
mortai (31).
La prima azione su Monte Lungo
(schizzo n. 4)
La sera del 7 dicembre, poche ore
prima dell'attacco italiano, ebbero inizio le operazioni per la conquista degli
obiettivi sulla destra di Monte Lungo: il Monte Sammucro e il paese di San
Pietro Infine (32).
Le truppe della 36a Divisione
americana, e precisamente il I battaglione del 143° reggimento fanteria,
mossero all'attacco della quota 1205 del Sammucro, mentre il III battaglione
«Rangers» puntava su quota 950. Conquistati i due obiettivi con un riuscito attacco
a sorpresa, le unità americane erano ricacciate sulle posizioni di partenza da
un contrattacco tedesco la mattina dell'8 dicembre. Soltanto un nuovo duro
attacco permetteva al I battaglione di riprendere quota 1205 alla metà di
quella mattina, mentre quota 950 era riconquistata dai «Rangers» soltanto
all'alba del giorno successivo, 9 dicembre. Occupate le quote dominanti il
giuoco sembrava fatto: invece i tedeschi mantenevano il controllo della valle e
di San Pietro grazie alle loro posizioni sulle pendici inferiori del monte
(33).
Quanto a San Pietro, le cose
andarono ancora peggio. Qui il II battaglione partì all'attacco
contemporaneamente al I Raggruppamento motorizzato, esattamente alle 6,20
dell'8 dicembre, ma, percorsi poco più di 400 metri, i fanti americani
dovettero arrestarsi di fronte a un fuoco di mortai pesanti, artiglierie e
mitragliatrici (34). Neppure le due compagnie del III battaglione inviate in
soccorso del II battaglione riuscirono a raddrizzare la situazione durante la
notte le posizioni tedesche furono sottoposte a un intenso fuoco di artiglieria.
All’alba del 9 fu ripreso l’attacco che si protrasse dalle 7 alle 19 ma con
risultati insignificanti. La fanteria fu costretta ancora una volta a tornare
sulle posizioni di partenza lasciando all'artiglieria la magra soddisfazione di
far piovere bombe sulle pressoché inespugnabili postazioni nemiche (35).
Mentre questi fatti accadevano
sulla sua destra, il I Raggruppamento motorizzato si preparava ad attaccare
all'ora «H» Monte Lungo coperto da una fitta nebbia che impediva l'osservazione
del fuoco dell'artiglieria. Secondo Dapino questo risulterà comunque abbastanza
soddisfacente essendo stati eseguiti tiri di ínquadramento nel giorno
precedente (36). Tiro preciso forse ma, certamente, non altrettanto efficace
come vedremo. Alle 6,20, come previsto, ha inizio l'attacco. I fanti del I
battaglione in primo scaglione cominciano ad avanzare verso quota 253. Sulla
sinistra è schierata la 2a compagnia bersaglieri, che procede a cavallo della
ferrovia (37).
L'avanzata dei fanti è subito
ostacolata da alcune contrarietà, sebbene di lieve entità per il momento, così
descritte dal capitano Enzo Corselli comandante della compagnia:
Iniziammo il movimento durante
il fuoco di preparazione, ancora in una fitta oscurità. Ma, a causa di questa e
del terreno compartimentato e rotto, i nostri plotoni si disunivano e perdevano
la direzione. Sciupammo così del tempo prezioso, sfasando la nostra azione
rispetto al fuoco d'artiglieria, col quale era sincronizzata in base
all'orario, non essendo possibile l'osservazione date le condizioni di
visibilità (38).
La perdita di tempo si rivela
dannosa anche perché impedisce di approfittare dell'oscurità fino in fondo; nel
frattempo il nemico ha avuto modo di capire le intenzioni italiane e di correre
ai ripari: ben presto i reparti del Raggruppamento sono sottoposti a raffiche
sempre più intense (..) e i proiettili, impattando sul terreno roccioso,
generavano miriadi di schegge (39).
Per fortuna la nebbia è ancora
fitta e serve a proteggere gli uomini della compagnia che scendono di corsa da
quota 253 con le squadre ancora in fila (40). Ben presto un nuovo grave
contrattempo viene a turbare l’avanzata: la perdita del collegamento col
comando di battaglione, assicurato a mezzo di un telefono volante; isolati dal
resto del reggimento, i fanti del I battaglione continuano l’attacco mentre
cresce di intensità il fuoco nemico, sia di mortai, sia di armi leggere (14).
Bisogna stringere i tempi, anche perchè intanto la nebbia va diradandosi.
Lasciamo di nuovo la parola al
capitano Corselli:
La compagnia spiegò le squadre
diradandosi sul terreno, poiché l'aumentata visibilità lo consentiva senza che
il reparto si disunisse, ed assunse la formazione di attacco con due plotoni
avanzati ed uno di rincalzo.
Superammo, senza incontrare il
nemico, l'obiettivo intermedio (quota senza indicazione di numero) (42).
La risposta a questa apparente
anomalia la forniscono immediatamente gli stessi tedeschi con un fuoco
micidiale di armi automatiche proveniente da Monte Maggiore: Evidentemente - commenta
il Corselli - quell'obiettivo era «tenuto» col fuoco accuratamente predisposto
su di esso (43).
E’ appunto questo fuoco inatteso
che sta seminando strage sulla sinistra fra i bersaglieri: particolarmente
sotto tiro è il fianco sinistro del fronte d'attacco del battaglione
bersaglieri dove agisce la 2a compagnia. Questa è letteralmente presa fra due
fuochi, quello frontale e d'infilata sulla sinistra, per l'improvviso svelarsi
da questa parte di un reparto tedesco che per evitare di essere tagliato fuori
dalla nostra azione frontale stava ritirandosi dalle basse pendici di Monte
Maggiore per ricongiungersi al bastione di Montelungo (44). L'improvviso
attacco tedesco provoca il vuoto fra le file della compagnia che in breve tempo
perde gran parte dei suoi effettivi, compresi 4 ufficiali (45).
Frattanto sul Monte Lungo la la e
la 2a compagnia, seguite dalla 3a di rincalzo, proséguono l'avanzata. Fino ad
ora le perdite non sono state sensibili, secondo Corselli, per via della nebbia
e della nostra corsa senza respiro che ci aveva fatto superare lo sbarramento
del fuoco dei mortai avversari (46).
A questo punto la svolta. Mentre
sfumava la nebbia (e) il sole decembrino si levava scialbo a illuminare la fase
conclusiva ( .. ) la reazione nemica raggiungeva l'apice della sua violenza. Il
terreno era spazzato dal fuoco delle mitragliatrici, frontalmente, dalle
Posizioni di quota 343, e d'infilata e di schiancio da Monte Maggiore (47).
E’ lo stesso fuoco che a valle, sulla sinistra del fronte principale d'attacco
ha decimato i bersaglieri del LI battaglione. Per i fanti del 67, più defilati,
le cose per il momento vanno meglio.
Essi poi sono ormai sotto
l'obiettivo; ha ora inizio un duello a bombe a mano che vede gli italiani
svantaggiati rispetto ai tedeschi costretti come sono a lanciare le bombe dal
basso verso l’alto, stando allo scoperto. Inoltre, dispongono soltanto dl bombe
tipo SRCM contro le più efficaci bombe Mod. '24, che i tedeschi, lanciano
legate a grappoli di tre (48). È in questa fase che i reparti del 67° subiscono
le perdite più pesanti. Ciò nonostante, con un ultimo sforzo elementi della la
compagnia riescono a conquistate numerose postazioni di q. 343: a meno di due
ore dall'inizio dell'attacco, l'obiettivo sembra essere stato raggiunto (49); è
però una vittoria effimera:
Prima ancora che potessimo
pensare ad oltrepassare le postazioni espugnate ed a consolidarci sul terreno,
un fuoco violentissimo c'investì (50).
La reazione tedesca coglie di
sorpresa gli italiani non tanto per la sua violenza, peraltro prevedibile,
quanto per la sua natura insolita che il capitano Corselli così descrive:
Non era il classico fuoco di
repressione effettuato da artiglieria e da mortai. Era il tiro mirato, diretto
al singolo avversario da brevissima distanza, effettuato da un nemico che non
riuscivamo ad individuare. In tre anni di guerra su diversi fronti . e contro
eserciti diversi, mai avevamo subito una tale forma di contrattacco (..). I tedeschi
strisciavano a terra vicinissimi, fra roccia e roccia, si frammischiavano a noi
. e ci bersagliavano con raffiche di mitra e bombe di pistola'(5l).
Anche da parte tedesca si
sottolinea la sorpresa provocata negli italiani dal contrattacco inarrestabile
lanciato dai cacciatori che avevano ormai superato l'iniziale momento di paura
(52). Di fronte alla reazione dei tedeschi che ora escono al contrattacco, i
fanti del 67°, esaurite le scorte di bombe a mano, non disponendo che del lento
fuoco dei ( .. ) moschetti '91, sono costretti a ripiegare (53). La ritirata
delle truppe italiane è protetta dalle artiglierie del 141° inviate per la
circostanza su Monte Rotondo e dagli obici del 194° e del 155° artiglieria
campale che battono la sommità di Monte Lungo e in particolare le posizioni di
quota 343 per scoraggiare i tedeschi dall'approfittare del successo (54).
Mentre i resti della 1a e 2a compagnia e della 3a del I battaglione rimasta di
rincalzo, sono ricacciati verso le posizioni di partenza, su quota 253 vengono
inviate le compagnie 6, e 7a del II battaglione che era stato lasciato in
secondo scaglione. Questa unità si era nel frattempo ridotta di forze, sia per
alcune perdite dovute al tiro dei mortai tedeschi, sia, soprattutto, perchè
molti del suoi componenti si erano sbandati impressionati dalle voci
allarmistiche provenienti dalla prima linea: soltanto a sera inoltrata erano
ripresi alla mano e inviati su quota 253 dove giungevano a1le 19,30 (55).
Alla fine della giornata il
bilancio risultava molto grave per le perdite di uomini e per la profonda
depressione morale provoca nelle truppe dall'esito negativo della prova. La
situazione, per la verità, apparve anche peggiore di quanto realmente fosse
perché la confusione del momento fece lievitare fin quasi a raddoppiarle le
perdite del Raggruppamento che a un primo esame sembravano ammontare a circa
500 fra morti, feriti e dispersi (56). Successivi più attenti controlli dettero
il seguente quadro definitivo, certamente non lieve, ma meno tragico della
situazione: 47 morti, 102 feriti, 151 dispersi (57).
Impossibile tradurre in termini
concreti la portata del danno morale che fu comunque profondo e duraturo, come
vedremo in seguito.
Le cause di un fallimento
A questo punto è d'obbligo
domandarsi perché sia fallita un'azione come quella su Monte Lungo che sulla
carta appariva facile e alla quale gli italiani si erano apprestati pieni di
entusiasmo e grandi speranze di successo, secondo le testimonianze degli stessi
americani (58). A questo interrogativo cercarono di rispondere subito i
protagonisti della vicenda per trarne insegnamenti che permettessero di
ritentare con successo l'operazione.
Il generale Dapino fu il primo a
muoversi in questa direzione. Le sue considerazioni, scritte a caldo,
individuano le cause dell'insuccesso nella mancata realizzazione di alcune
condizioni preliminari ritenute dagli stessi alleati indispensabili per il buon
esito dell'intera operazione. Il pensiero di Dapino si può così sintetizzare:
contrariamente a quanto ripetutamente affermato dai comandi del II Corpo
d'Armata e della 36a Divisione, 1) le posizioni di Monte Maggiore non erano
completamente in mano alleata al momento dell'attacco italiano su Monte Lungo,
2) l'attacco del 143° reggimento non ebbe successo nella conquista di San
Pietro e del monte Sammucro (sulla destra di Monte Lungo), 3), Monte Lungo non
era difeso da un velo di fuoco, ma da forze consistenti e ben equipaggiate, 4)l’artiglieria
fu meno efficace del previsto, 5) i reparti del raggruppamento furono portati
in linea per motivi di sicurezza, soltanto il giorno precedente l'azione, senza
concedere loro il necessario periodo di orientamento, 6) per questo stesso
motivo non ebbero il tempo di raccogliere informazioni di prima mano e di
vagliare l'esattezza di quelle che erano state loro fornite (59).
L'esito negativo della prova
diveniva in queste condizioni pressoché inevitabile.
Dapino riconosce tuttavia che vi
furono anche da parte italiana alcune carenze che attribuisce in parte al
collasso provocato in alcuni dalla sorte toccata al I battaglione fanteria, ma
in parte anche alla deficienza dei
quadri, particolarmente avvertita nel II battaglione del 67° fanteria
nel quale effettivamente il fenomeno dello sbandamento fu più rilevante (60).
Da parte loro gli americani
tendono generalmente a individuare le cause del fallimento nei limiti
soggettivi delle truppe italiane e negli errori commessi dai comandi del
Raggruppamento piuttosto che nelle pur riconosciute difficoltà oggettive
presentate dall'azione. È un'impostazione che possiamo cogliere, come è stato
giustamente affermato, già dal messaggio inviato il 10 dicembre al generale
Dapino dal generale Walker comandante la 36a Divisione che dopo aver elogiato
le truppe italiane per l'entusiasmo, lo spirito ed il magnifico coraggio che
hanno dimostrato, così conclude:
Sono sicuro che le vostre
truppe, come le nostre, integreranno il loro entusiasmo con una maggiore
esperienza per portare a termine l'opera di distruzione del nostro comune
nemico (61).
Ma quello che qui è appena un
cenno, attenuato dalle espressioni di cortesia e dall'accostamento delle
vicende dei soldati italiani a quelle dei cobelligeranti americani, in sede
storiografica è divenuta una precisa impostazione interpretativa. Martin
Blumenson, uno degli storici ufficiali dell'Esercito degli Stati Uniti nella
seconda guerra mondiale, insiste, oltreché sull'inesperienza, su errori e
disorganizzazione; errori riscontrabili 1) nella scelta tattica di avanzare in
formazione compatta, fidando più del dovuto nell'azione demolitrice dell'artiglieria;
2) nella carenza di munizioni verificatasi nel vivo della battaglia a causa
delle errate valutazioni di Dapino circa 1e necessità del raggruppamento in
proposito. La disorganizzazione fu particolarmente grave nei collegamenti fra fanteria,
artiglieria e servizi. Inoltre Blumenson ritiene di dover sottolineare come
alla vigilia dell'azione il generale Walker perdesse gran parte della sua
fiducia nel successo in seguito alla visita dd generale Dapino che lo
impressionò meno che favorevolmente. Con la qual cosa Blumenson sembra
voler suggerire, senza troppi sottintesi, un'altra possibile concausa del
fallimento (62).
Va detto però che a conclusione
della sua analisi sulle cause del mancato successo del Raggruppamento
motorizzato italiano, Blumenson riconosce che Monte Lungo, e in particolare la
sua estremità meridionale, non era un obiettivo facile per una unità che
intraprendeva la sua prima azione operativa (63).
Questa verità evidente, che
costituisce agli occhi dello storico americano una grossa attenuante, non
sposta i termini del problema rispetto all'impostazione di Dapino: in sostanza
per Blumenson è pur sempre per proprie carenze soggettive che l'unità italiana
non colse l'obiettivo propostole; obiettivo difficile certamente, ma tale,
sembra dire Blumenson, da poter essere conseguito da un reparto esperto e bene
addestrato.
Come si vede l'impostazione è
affatto opposta a quella del generale Dapino per il quale le cause del
fallimento sono, per così dire, esterne all'operato della propria unità e, in
definitiva, dovute a circostanze tali da mettere in difficoltà qualunque tipo
di truppa, a prescindere dall'addestramento e dall'esperienza.
Quale di queste due linee
interpretative è quella corretta? È quello che cercheremo di chiarire avendo
come punti di riferimento nella nostra analisi le indicazioni fornite dai due
autori citati.
Tornando a Dapino, abbiamo visto
che il comandante del Raggruppamento motorizzato sottolineava (punti 5 e 6)
come molto grave il fatto che le truppe italiane fossero condotte in linea
soltanto alla vigilia del combattimento, cosa che impedì loro di prendere
confidenza con il terreno e informazioni di prima mano sui tedeschi. Su
quest'ultimo punto torneremo fra poco. Per quanto riguarda il primo, si tratta
di un fattore la cui importanza ai fini della riuscita dell'operazione si
commenta da sola. La scarsa, o per meglio dire nulla, dimestichezza con il
campo di battaglia ebbe effetti disastrosi sulla fanteria che iniziò l'attacco
in una totale crisi di disorientamento (64).
Circa l’azione di fuoco
dell’artiglieria (Dapino, punto 6) essa fu breve ma di intensità eccezionale,
come scrive il capitano Corselli che così precisa:
Però, come constatammo una
volta che fummo sulle postazioni nemiche, il tiro della nostra artiglieria
risultò corto e quello de11'artiglieríá americana lungo (65).
Intanto però l'enorme sfoggio di
potenza da parte dell'artiglieria americana aveva avuto l'effetto di far
sorgere negli italiani ingiustificate aspettative negli effetti del tiro
preparatorio, con conseguenze nefaste per gli attaccanti. A questo stato
d'animo si dovrebbe dunque l'adozione di un piano d'attacco preparato e
condotto secondo una tecnica da passeggiata da effettuarsi lungo 1a linea di
massima pendenza, come lo definisce Cesare Medeghini: un giudizio forse un pò
forte ma che conferma quanto scritto dal Blumenson circa l'indisciplina
d'attacco con la quale le nostre truppe si lanciarono alla conquista di Monte
Lungo (66). Un atteggiamento non giustificabile ma nella circostanza spiegabile
con la convinzione di trovare su Monte Lungo una resistenza se non vinta per lo
meno notevolmente ammorbidita dalla serenade americana che aveva
preceduto l'attacco (67).
In tal modo si spiegherebbe anche
la sottovalutazione di quelli che il Medeghini definisce eventuali imprevisti,
anche di carattere meteorologico, che avrebbero potuto verificarsi durante lo
svolgimento dell'azione. In particolare la nebbia che, presente sul monte al
momento dell'attacco, si sollevò all'improvviso nel corso della battaglia
lasciando allo scoperto gli attaccanti, dopo aver protetto le prime fasi
dell'azione. In tal modo, fanti e bersaglieri (che avevano marciato con
tanta sicurezza tenendo i fianchi completamente scoperti) si trovarono
circondati non appena la nebbia si dileguò, divenendo oggetto come si è visto,
di un vero e proprio tiro al bersaglio da parte dei tedeschi (68).
Qui Medeghini tocca due punti già
citati dal generale Dapino e precisamente il fatto che le nostre fanterie
furono sottoposte a intenso fuoco proveniente dai fianchi che dovevano essere
liberi e l'inattesa intensità del fuoco tedesco. Cominciamo da questo secondo
aspetto. I tedeschi, scriveva Dapino (punto 3), non disponevano su Monte Lungo
di un semplice velo di fuoco; erano invece numerosi e bene equipaggiati. In
realtà il numero assoluto dei tedeschi non era elevatissimo e, come abbiamo
visto in precedenza, le loro forze erano sufficientemente note ai comandi del raggruppamento
alla vigilia dell’attacco.
Le posizioni di Monte Lungo erano
tenute dal III battaglione del 15° reggimento granatieri corazzati su quattro
compagnie per complessivi 500 uomini circa, ai quali si opponevano i poco meno di
1000 tra fanti e bersaglieri del 67° in primo scaglione. Sulla carta dunque un
rapporto di 2 a 1. Nella realtà le cose andarono molto diversamente perché i
difensori di quota 343 poterono contate sull'apporto di elementi della
«Goering» e sul fuoco inatteso dei reparti lasciati sulle pendici di Monte
Maggiore; per contro le unità del 67° in secondo scaglione non furono quasi di
alcun aiuto ai reparti in ritirata (69). Nonostante ciò è probabile che i
tedeschi impegnati nella difesa di Monte Lungo furono inferiori numericamente
agli italiani ma sufficienti, date le favorevoli condizioni logistiche e di
armamento, per rovesciare i rapporti di forza a proprio vantaggio. In
particolare, i tedeschi si rivelarono superiori per quanto riguarda
l'armamento. Di ciò gli italiani vennero a conoscenza alla immediata vigilia
dell'attacco, forse troppo tardi per correre ai ripari. Furono gli stessi
americani, ai quali stavano dando il cambio, a informarli:
( .. ) i tedeschi sono
relativamente pochi, ma dispongono di un grande volume di fuoco e tirano assai
bene. Avrete di fronte truppe scelte della 29 Divisione Panzergrenadiere
(70).
Queste truppe di prima qualità si
erano organizzate a difesa in formidabili postazioni ( .. ) di forma
circolare, scavate nella viva roccia con esplosivo, munite di un parapetto
costituito da sacchetti di sabbia inframmezzati da pezzi di rotaia divelti
dalla strada ferrata che correva a fondo valle ( .. ). Ciascuna postazione era
presidiata da due soli uomini che però disponevano di un MG 42, due fucili
Mauser con cannocchiale, due pistole mitragliatrici, per la difesa vicina, e
casse di bombe a mano (71).
Da questo punto di vista invece
da parte italiana vi erano carenze che si rivelarono particolarmente gravi
proprio al momento del contrattacco tedesco allorchè, esaurite le bombe a mano,
ci si dovette difendere con i poco efficaci moschetti «91», perché —scrive
Corselli — la compagnia aveva ricevuto solo tre mitra 38 A, al momento di
andare in linea, destinati ai soli comandanti di plotoni fucilieri (72).
Per quanto riguarda il fuoco
inatteso sui fianchi che falcidiò le truppe attaccanti, esso proveniva dunque
da Monte Maggiore dato per certo in mano agli americani. Per l’esattezza Dapino
sottolinea che anche sul fianco destro riteneva alla vigilia di non avere nulla
temere avendogli assicurato gli americani che l’obiettivo previsto da quella
parte (Monte Sammucro-San Pietro Infine) sarebbe stato attaccato e sicuramente
conquistato.
L'ordine di operazione n. 6 della
362 Divisione americana, datato 6 dicembre, prevedeva, come abbiamo visto, si
dovesse attaccare e conquistare Monte Lungo e Monte Sammuero (sic) alle ore
6,20 dell'8 dicembre (73). Un attacco simultaneo dunque nel quale ciascuno
dei due attaccanti avrebbe potuto trarre beneficio dal successo dell'altro. Se
ciò non avvenne fu appunto per il contemporaneo fallimento del I Raggruppamento
motorizzato e del 143° fanteria americano dovuto in gran parte a cause comuni.
C'è da osservare anzi che la relazione ufficiale della 5a Armata affronta in
modo alquanto diverso l'episodio sostenendo che il fallimento del tentativo di
prendere San Pietro mediante una manovra di aggiramento sulla sinistra (Monte
Lungo) e sulla destra (Monte Sammucro) fu dovuto appunto al mancato successo
delle operazioni condotte sui fianchi: a sinistra dal Raggruppamento italiano,
del quale peraltro si riconosce il coraggio nella battaglia, a destra, dal II
battaglione del 143 reggimento (74).
Questa unità americana fu
letteralmente inchiodata dal fuoco di fianco che proveniva dalle posizioni
tedesche sul Monte Sammucro. Così commenta la relazione ufficiale americana:
Ogni accesso a San Pietro era
protetto dal fuoco di fianco che proveniva dalle posizioni ancora tenute dal
nemico su Monte Sammucro e Monte Lungo. Il villaggio non poteva essere preso
finché il nemico non fosse stato sloggiato da queste posizioni di fianco
(75).
Il mancato successo del
Raggruppamento motorizzato viene dunque inserito all'interno del complessivo
fallimento dell'intera azione e messo in stretto rapporto a quello del II
battaglione del 143° reggimento sulla destra e il ragionamento di Dapino viene
ad essere rovesciato per quanto riguarda il fianco destro del Monte Lungo: non
è stato, secondo gli americani, il fuoco proveniente da destra a impedire il
successo italiano, ma, al contrario, la mancata conquista del monte da parte
dei fanti del Raggruppamento ha impedito per la sua parte al 143 impegnato
nell'attacco a San Pietro di avere il fianco sinistro libero. Il ragionamento
della relazione ufficiale americana è formalmente ineccepibile traendo forza
dalla stessa impostazione tattica della battaglia che aveva come obiettivo
principale lo sfondamento del centro su S. Pietro (ed eventualmente la
successiva conquista di San Vittore) da ottenere appunto mediante l'aggiramento
sui fianchi.
Ma se è vero che- i reparti
americani operanti al centro dello schieramento d'attacco possono lamentarsi di
non aver ricevuto l'aiuto sperato dai loro compagni di Divisione sulla destra e
dagli italiani sulla sinistra, questi, a loro volta, hanno diritto di
recriminare per essersi trovati di fronte a una situazione sul fianco sinistro
talmente imprevista e difficile da fronteggiare, da causare il fallimento
dell'azione e impedire loro di assolvere il compito che gli era stato affidato.
Ed è proprio la seconda battaglia di San Pietro che conforta le affermazioni di
Dapino su questo punto, che riteniamo effettivamente una delle chiavi di volta
per comprendere il fallimento del primo tentativo: il 16 dicembre infatti l'occupazione,
questa volta completa, di Monte Maggiore faciliterà la conquista di Monte
Lungo, preludio alla definitiva ritirata tedesca dalla stretta di Mignano.
Per quanto riguarda la presenza
tedesca sulle pendici di Monte Maggiore, la maggior parte degli autori ha
sottolineato l'inesattezza delle informazioni in possesso degli americani:
questi per la verità, sapevano che i tedeschi tenevano ancora numerose
posizioni sul monte e alla vigilia dell'attacco su Monte Lungo se ne accorsero
anche gli italiani. La mattina del 7 dicembre infatti, il capitano Corselli
andò in ispezione con un suo ufficiale oltre la quota 253 per rendersi conto
del terreno sul quale si sarebbe dovuto attaccare (76). Ecco la testimonianza
del comandante della 1 a compagnia che si esprime in terza persona:
La giornata era chiara: appena
i due ufficiali ebbero superata strisciando la quota 253, sul lato ovest
raffiche rabbiose e qualche colpo isolato di fucile li accolsero
Corselli si sorprese del fatto,
dal momento che la posizione occupata e i numerosi ripari rocciosi offerti dal
terreno facevano escludere l'avvistamento dalle posizioni tedesche sulla quota
343. Appena qualche attimo di incertezza poi una raffica con cartucce
traccianti, chiarì la situazione: il fuoco proveniva dalla loro sinistra, da
Monte Maggiore. Ma questo monte ci era stato dato occupato dagli americani, ,
possibile che fossero loro a sparare? Essi sapevano che il terreno su cui
sparavano era occupato da noi : non erano gli americani ovviamente, ma i
tedeschi e poi il ritmo delle mitragliatrici ’42, le mitragliatrici dai 200
colpi al minuto che noi chiamavamo la voce di Hitler era inconfondibí1e: quindi
su M. Maggiore, dal quale si dominava tutto il percorro che la compagnia
avrebbe dovuto effettuare attaccando, vi erano i tedeschi! (77).
La preoccupazione di Corselli è
comprensibile: l'inattesa novità poteva sconvolgere tutti i piani di attacco. Il
comando italiano informato della cosa cercò chiarimenti presso gli americani
ottenendo una risposta apparentemente rassicurante:
( .. ) la situazione a Monte
Maggiore era fluttuante, essendovi ancora delle residue postazioni tedesche in
caverna, ma gli americani avrebbero effettuato delle azioni contro di esse nel
corso del nostro attacco, per cui non sarebbero state in condizioni di nuocerci
(78).
Ma non fu così e lo stesso
Corselli commenta amaramente: Invece l'indomani, proprio il fuoco
proveniente da questo monte, doveva costarci caro (79).
Come si spiega tutto ciò? È
sufficiente a tale scopo l'ipotesi di un equivoco (?) sull'interpretazione
delle quote avanzata, peraltro senza molta convinzione, dal colonnello
Castelli? (80). In ogni caso mancò un'altra delle premesse sulle quali si
basavano i piani di operazione elaborati dai comandi americani: vale a dire,
l'appoggio dalla sinistra all'attacco del Raggruppamento da parte del 142
reggimento fanteria. Infatti contrariamente alle assicurazioni l'attacco
contemporaneo sulle pendici di Monte Maggiore ( .. ) non venne nemmeno tentato
dai fanti americani, lasciando così sguarnito il settore (81).1
fanti italiani si trovarono a dover combattere sotto gli sguardi di gente
che dall'anfiteatro circostante li osservava curiosamente con le armi ai piedi
(82).
Queste vicende belliche e, ancor
più le conseguenze «politiche» che queste ebbero di lì a poco, (vale a dire la
decisione americana di ritirare il Raggruppamento dal fronte e utilizzarne la
maggior parte degli effettivi per servizi ausiliari) hanno spinto qualche
autore ad avanzare l'ipotesi che da parte americana ci sia stata la precisa
volontà di provocare proprio quel tipo di risultato. Secondo Filippo Frassati e
Pietro Secchia infatti, le stesse truppe italiane furono le prime ad avere la
scoraggiante sensazione di essere state deliberatamente mandate allo sbaraglio
dagli alleati, in base al calcolo che un insuccesso iniziale avrebbe costituito
un ottimo pretesto per liquidare ogni ulteriore pretesa italiana di
contribuire efficacemente alla guerra, sia potenziando que11'esiguo corpo, sia
costituendo altre unità da combattimento, e non solo fornendo uomini per lavoro
di manovalanza (83).
L'ipotesi non è priva di
suggestioni anche perché permetterebbe di dare una spiegazione logica a una
serie di punti oscuri finora esaminati, a cominciare dalla precipitazione con
la quale l'unitá italiana fu portata in linea e mandata a combattere
praticamente «al buio», per finire col modo sconcertante con il quale fu
lasciata sola nel momento cruciale della battaglia. Ma in casi di questo genere
è bene fare attenzione alle troppo facili suggestioni. Senza voler prendere in
considerazione le ragioni politiche che al momento consigliavano una
partecipazione, seppure soltanto simbolica, degli italiani alla guerra, basterebbe
ricordare che furono gli stessi americani ad offrire al I Raggruppamento la
possibilità di ritentare la prova una settimana più tardi; nella circostanza
parvero addirittura forzare la mano allo scoraggiato generale Dapino che da
parte sua avrebbe voluto rinunciare e ritirare anzitempo il Raggruppamento
(84).
Ma ancora prima di ogni altra
considerazione, ci sembra valgano a ridimensionare l'ipotesi che stiamo
discutendo alcuni riscontri obiettivi sui metodi di guerra messi in mostra
dagli americani in questa fase della campagna d'Italia e alcune vicende che,
anche in conseguenza di quei metodi, videro protagoniste negative le loro
truppe. A cominciare da quelle del 143 fanteria che nell'assalto a San Pietro
Infine ebbe una sorte non dissimile da quella toccata al Raggruppamento
motorizzato (anche per quanto riguarda i danni dovuti al previsto fuoco di
fianco). Non era la prima volta del resto che questo accadeva, né sarebbe stata
l'ultima se si pensa al tentativo di attraversare il Fiume Rapido effettuato il
20 e 22 gennaio 1944 che vide ancora una volta la 36 Divisione comandata dal
generale Walker andare incontro a un clamoroso insuccesso (85). Per questo
episodio, a guerra finita, Clark fu sottoposto a una inchiesta voluta dai
reduci della Divisione «Texas» che ritenevano di essere stati sprecati senza un
motivo in una operazione che non aveva possibilità di successo (86). Un ragionamento
non molto diverso da quello che fa giungere il generale Utili alla affermazione
che a Monte Lungo gli italiani furono impiegati come cavie: un’ipotesi che
abbiamo preso in considerazione per gli italiani, ma che evidentemente non è
neppure pensabile per le truppe americane. Dunque la spiegazione di questi
fallimenti va cercata altrove; e l'analisi in parallelo delle due battaglie, di
San Pietro e del Rapido, ci è estremamente utile a tale scopo, tante e tali
sono in questi due episodi le analogie per quanto riguarda gli errori commessi
dagli americani e le incertezze e i limiti da loro messi in mostra in entrambe
le occasioni nella impostazione prima e nell'esecuzione poi dell'attacco.
Questo infatti, in entrambi i casi non fu preceduto da una scrupolosa
ricognizione delle posizioni nemiche, né da piani per trarre in inganno il
nemico, né da prove, generali; mancò insomma del tutto quell'intenso lavoro di
preparazione che gli americani, a detta del generale inglese Jackson,
consideravano alquanto retrogrado (87).
A rendere più difficile l'azione
contribuì inoltre una consistente rigidità ( .. ) del sistema di comando
americano secondo il quale i piani operativi . erano elaborati nei minimi
dettagli dal comando di divisione e reggimenti e battaglioni dovevano seguire
tassativamente i . relativi ordini scritti; questi vincoli diventavano tanto
più pesanti quando, come sostiene lo storico inglese Fred Majdalany riferendosi
al caso della battaglia del Rapido, la divisione aveva ( .. ) opinioni che
si potrebbero definire «stravaganti» sul modo di condurre le operazioni
(88).
Quest'ultimo giudizio per la
verità non ci sentiremmo di applicarlo alle decisioni adottate dal comando
della 36 a Divisione per la prima battaglia di San Pietro; parlare di idee
stravaganti ci sembra in questo caso un po' forte, ma certamente come nel caso
della battaglia del Rapido, si trattò di una operazione mal condotta dal
comando e dallo stato maggiore della 36a divisione americana (89).
Questo comportamento denota nei
comandi americani una leggerezza non spiegabile se non ipotizzando da parte
loro un clamoroso errore di calcolo circa le reali difficoltà del compito che
li attendeva; a cominciare dalla sottovalutazione della tenacia dei tedeschi
nell'azione difensiva, con l'inverno quale loro alleato (90). Probabilmente
coglie nel segno Puddu quando sostiene che nel dicembre del 1943 gli americani
non avevano ancora smaltito l'euforia della conquista della Sicilia, la
quale fece ritenere possibile di condurre la guerra solo a cavaliere delle
grandi vie di
Comunicazione a mezzo di
grandi colonne motorizzate precedute da avanguardie di carri armati e, di aerei
limitando al massimo l'impiego della fanteria (91). Era la mentalità africana
sulle grandi possibilità di manovra, utile a vincere le battaglie nel deserto,
in Russia, nell'Europa centrale, ma incapace di capire la diversa natura della
guerra di montagna; abituati all'idea che tutto si . sarebbe risolto
rapidamente con l'intervento di mezzi corazzati e artiglieria, gli americani,
scrive ancora il Puddu, finirono persino per dimenticare la norma elementare di
assumere preventivamente informazioni sul nemico (92).
È appunto questo misto di
incredulità e faciloneria, per dirla ancora col Puddu, che governa i comandi
americani nelle fasi preparatorie dell'attacco alla «Winter Line» per quanto
riguarda l'attività informativa. Secondo la testimonianza insospettabile di
Martiri Blumenson, alla vigilia dell'attacco i generali Keyes e Walker,
rispettivamente comandante del II Corpo d'Armata e della 36a Divisione, non
erano ancora a conoscenza: 1) della reale entità delle forze nemiche, 2) delle
loro intenzioni operative, al punto da ritenere che si preparassero a una
ritirata. (93).
Sul finire di novembre i due
generali erano convinti che San Pietro e Monte Lungo non sarebbero stati
oggetto di una accanita difesa da parte tedesca, essendo Monte Lungo
completamente dominato da Monte Maggiore e da Monte Rotondo. Quanto a San
Pietro, e all'intero Monte Sammucro, addirittura apparivano liberi da truppe
tedesche. (!)
Dunque, i servizi di informazione
alleati non soltanto non erano riusciti a conoscere l'entità delle forze
tedesche, ma, quel che è più grave, avevano equivocato sulle loro intenzioni,
ritenendo che intendessero ritirarsi da una posizione che i tedeschi si
preparavano invece a difendere a oltranza.
Al servizio informazioni americano,
conclude significativamente Blumenson, era sfuggito quanto San Pietro fosse
inaccessibile.
Tutto questo, nonostante quanto
era toccato in sorte a un battaglione Rangers che nella notte del 29 novembre,
nel tentativo di avvicinarsi appunto a San Pietro, era stato inchiodato dal
fuoco tedesco proveniente dal villaggio riportando ben l0 morti e 14 feriti. In
questa circostanza il generale Walker attribuì il fallimento alla mancanza di
determinazione del comandante, ritenendo che una rapida manovra avrebbe portato
i «rangers» in San Pietro.
Nei giorni successivi, durante la
settimana che precedette l’attacco a Monte Lungo, questa situazione non subì
sostanziali modifidie. Gli ulteriori tentativi di ottenere informazioni contribuirono
anzi a confermare i generali americani nell’errore; in particolare, le
perlustrazioni effettuate da pattuglie nelle notti del 2 e del 4 dicembre,
senza incontrare nemici, dovettero convincere definitivamente il generale Keyes
che i tedeschi erano pronti . a ritirarsi
dopo avere effettuato una dimostrazione di forza.
Ma la stessa notte del 4
dicembre, scrive ancora Blumenson, una pattuglia del 143 fanteria riferì che
(San Pietro) era pieno di truppe nemiche. Dunque, i segnali d'allarme non
mancarono per i generali americani i quali non seppero o non vollero ascoltarli
perché troppo fermi nella loro convinzione. In definitiva, come scrive
Blumenson con una affermazione che si commenta da sola, Keyes e Walker ancora
non conoscevano la forza delle difese tedesche quando organizzarono la
successiva fase delle operazioni.
Tutto questo potrebbe spiegare
l'equivoco in cui caddero i comandi americani circa le reali difficoltà
dell'attacco alla stretta di Mignano e, in particolare a Monte Lungo
considerato un obiettivo facile, scelto apposta per reparti alla prima azione,
e rivelatosi invece una noce dura da schiacciare, secondo la più appropriata
definizione di Alexander.
In questo errore, secondo
Lombardi, sarebbe caduto lo stesso comandante del Raggruppamento il quale, sedotto
dalla portata spirituale di un possibile successo, non valutò forse a pieno
tutte le difficoltà (94).
Questo è appunto quanto
rimprovera al generale Dapino anche il generale Basso, comandante delle Forze
Armate della Campania, dal quale dipendeva il Raggruppamento, che individua le
cause dell'insuccesso:
- nella mancanza di una
accurata, severa organizzazione preventiva, non basata soltanto su informazioni
verbali sulla situazione di fatto preesistente, ma controllata con accurati
accertamenti da parte del Comando Italiano in posto, per garantire al reparto
operante la cornice di inquadramento tattico sì da evitargli, con opportune
predisposizioni concomitanti, la possibilità di forti reazioni frontali e
fiancheggianti.
- nell'essere stato assegnato al
Raggruppamento un compito tattico notevolmente superiore alle sue
possibilità, organiche e di armamento; infatti il voler affrontare con azione,
a se stante., come fu fatto, la conquista di Monte Lungo, quando non si é
garantiti dal possesso di Monte Maggiore a sud-ovest e del costone di San
Pietro Infine a nord est, è azione avventata che non può dare, garanzia di
successo se non con notevole sacrificio di sangue e con la assicurata
possibilità di alimentazione della battaglia, disponendo di numerosi reparti di
riserva ed un potente, sicuro appoggio di mezzi di fuoco (95).
Ora, tutte queste condizioni non
sussistevano già prima del difficile impegno il quale, a parere di Basso, fu
assunto perciò con poca ponderatezza e con misure precauzionali assai limitate;
questo perché il Comando del Raggruppamento si era fatto convincere facilmente
che l'azione nella quale si impegnava era facile in quanto su Monte Lungo si
sarebbe trovato di fronte ad un'occupazione nemica leggera (96).
Il giudizio di Basso era molto
severo, ma viene da chiedersi quale alternativa aveva effettivamente il comando
del Raggruppamento all'entrata in linea. È evidente che un rinvio non soltanto
era inopportuno, ma, al momento, appariva del tutto ingiustificato. Non era
opportuno per motivi politici fin troppo evidenti: un nostro rifiuto, pur
motivato, di combattere ora che ce ne veniva offerta l'occasione, dopo
settimane di pressanti richieste in tal senso, avrebbe senz'altro avuto
conseguenze di gravità imprevedibile nei rapporti con gli alleati. Certamente
le considerazioni di natura politica sarebbero state messe da parte di fronte a
insuperabili deficienze di carattere tecnico-militare: ma da questo punto di
vista non vi erano guasti irreparabili o, comunque, tali da mettere in discussione
addirittura la partecipazione all'azione su Monte Lungo. Vi erano, come detto,
carenze di materiale, munizioni soprattutto, che si stava provvedendo a
colmare; l'azione era presentata ostentatamente come facile e quasi scelta
apposta per una unità che entrava in linea per la prima volta, gli uomini erano
pronti a battersi, e poi sui fianchi avrebbero avuto la presenza rassicurante
di due collaudati reggimenti della 36a Divisione americana. Col senno di poi
possiamo dire che si trattava di impressioni fallaci, che le lacune si
rivelarono più gravi del previsto. Ma in quel momento le condizioni complessive
del Raggruppamento, sia materiali, sia spirituali, non sembravano tali da
impedire il battesimo del fuoco della prima unità operativa italiana rinata dopo
la catastrofe nazionale dell'8
settembre.
La seconda azione su Monte•
Lungo (schizzo n. 5)
Ammaestrato dall’esperienza
dell’8 dicembre e ormai consapevole della reale difficoltà dell'azione, il
Walker preparò questa volta un piano d'attacco su larga scala, coordinato e
progressivo contro i tre obiettivi immediati: San Pietro, Monte Lungo e San
Vittore (97).
L'azione si sarebbe aperta con
l'attacco alle pendici del Monte Sammucro, un miglio a occidente della quota
1205 il cui possesso ben poco aveva giovato agli americani. Una volta
conquistato il triangolo costituito dalle quote 816, 730 e 687, Walker avrebbe
definitivamente circondato San Pietro e cercato di tagliare ai tedeschi la via
della ritirata da Monte Lungo (..)Inoltre avrebbe avuto truppe inoltre avrebbe
avuto truppe in buona posizione per una avanzata verso San Vittore (98). Questi
compiti erano affidati al I battaglione del 143 fanteria e al 504 paracadutisti
che avrebbero attaccato nella notte sul 15 dicembre (99). A questo punto, a
mezzogiorno del 15 dicembre, poteva avere inizio la successiva fase nella quale
lo sforzo principale era rappresentato da un movimento a tenaglia contro San
Pietro operato da carri avanzanti da est e appoggiati dall'avanzata del 141
fanteria da Monte Rotondo, a sud (100).
Una volta messi fuori gioco i
difensori di San Pietro, o, almeno, impegnatili in combattimento in modo che
non potessero minacciare Monte Lungo, Walker intendeva dare inizio a quella che
nei suoi piani doveva essere la fase conclusiva dell'intera operazione: nella
sera del 15 dicembre il 142 reggimento fanteria americano avrebbe attaccato
Monte Lungo da occidente, dalle posizioni di Colle San Giacomo e dalle quote 141
e 72, preventivamente occupate nei giorni precedenti l'azione, per conquistare
la sommità centro-settentrionale del monte. La parte meridionale era lasciata
al 1 Raggruppamento motorizzato che avrebbe attaccato all'alba del giorno 16:
in tal modo l'unità italiana rientrava in linea a una settimana dal sanguinoso
esordio dell'8 dicembre (101).
La realtà dei fatti sconvolse il
piano del generale Walker che ebbe si successo, ma, per ironia della sorte,
trovando una realizzazione, per così dire, a rovescio rispetto alla
formulazione originaria. In pratica, il contributo determinante per la vittoria
finale venne proprio da quel fianco sinistro che nei piani doveva agire per
ultimo, nella speranza di poter beneficiare dei progressi degli altri settori.
Infatti i reparti del I battaglione del 143° fanteria operanti sul Monte
Sammucro, partiti all'attacco nella notte fra il 14 e il 15, non soltanto non
riuscirono a raggiungere l'obiettivo, ma subirono una durissima lezione dai tedeschi
e furono costretti a ritirarsi sulle posizioni di partenza: a giorno fatto
allorché il generale Walker contava di avere in mano i tre colli posti nella
parte occidentale del Sammucro, il battaglione di fanteria non soltanto aveva
fallito il proprio obiettivo, ma era ridotto a 155 effettivi, per di più privi
di munizioni (102 ).
Sorte analoga toccò al 504
battaglione paracadutisti che dopo un'avanzata di poche centinaia di metri, fu
costretto a ritornare sulle posizioni di partenza e non potè fare altro che
sistemarsi sulle pendici inferiori di q. 681 (103).
La prima fase dell'azione che
aveva come obiettivo il triangolo del Sammucro sulla destra del fronte
d'attacco, si era dunque conclusa con un nuovo fallimento. Più o meno analogo
l'esito della seconda, iniziata nonostante ciò alle ore 11 del 15 dicembre come
previsto dal piano. Questa volta furono i carri «Sherman», usati per
l'occasione nell'attacco su San Pietro, a subire i duri colpi del nemico: dei
16 carri utilizzati, soltanto 4 fecero ritorno alla base di partenza (104).
Anche peggio andarono le cose per i fanti del II battaglione del 141. Partiti
all'attacco alle 12 dello stesso giorno riuscirono ad avvicinarsi all'estremità
meridionale del villaggio ma qui poterono salvarsi dal micidiale fuoco tedesco
soltanto grazie a un provvidenziale muretto di pietra dietro il quale trovarono
riparo. Tra la notte del 15 e l'alba del 16, il battaglione, spinto dal
quartier generale del reggimento a prendere San Pietro a qualsiasi costo,
ritentò nonostante le gravissime perdite subite, ben due assalti; gruppi di
soldati riuscirono attorno alla mezzanotte del 15 a raggiungere le prime case
del villaggio a colpi di granate e di baionetta ma, privi di rinforzi non
poterono resistere. Quelli che furono in grado di farlo, tornarono al muretto
di pietra (105). All'alba del 16 il drammatico epilogo:
Con una forza effettiva di non
più di 130 uomini, il 2° battaglione del 141 fanteria rinnovò il tentativo (..)
nello stesso momento in cui il I battaglione del 143, sulla cima del Sammucro,
tentava di nuovo di raggiungerei suoi due obiettivi presso l'estremità
occidentale della montagna. Nessuno dei due battaglioni compì progressi. Nel
pomeriggio il II battaglione del 141 tornò battuto su monte Rotondo. La mattina
successiva, il 17 dicembre l'esausto I battaglione del 143 fu sostituito dal I
del 141 e gli stanchi uomini discsero da M. Sammucro e furono inviati nelle
retrovie per un periodo di riposo ( 106).
L'intera stretta di Mignano e non
soltanto Monte Lungo si stava dunque rivelando una noce dura da schiacciare!
Ancora una volta l'assalto all'obiettivo principale era fallito: sembrava
destinato che la sorte della battaglia di San Pietro fosse legata a Monte Lungo.
Nella notte sul 16 dicembre il
142° partì all'attacco dalle posizioni di Monte Maggiore e Colle San Giacomo
conquistate nei giorni precedenti: il II battaglione puntò verso l'estremità settentrionale
di Monte Lungo, il I si diresse verso la parte centrale dello stesso. Entrambi
ottennero un immediato successo:
Presero il nemico di sorpresa,
snidarono dalle trincee il battaglione di ricognizione della 29 Divisione
panzer e raggiunsero la sommità della montagna all'alba (107).
A questo punto scattò l'ordine
per l'entrata in azione del I Raggruppamento motorizzato. Alle 7,40 del 16
dicembre il comando tattico dell'unità italiana comunicò al comandante del 67°reggimento
fanteria che il II/142' aveva occupato le quote 141 e 351 su Monte Lungo e
disponeva che il reggimento di fanteria e il LI battaglione bersaglieri si
tenessero pronti . a iniziare l'attacco secondo i piani prestabiliti (108).
Questi piani erano stati
comunicati al generale Dapino il 13 dicembre. In base all'ordine d'operazione
n. 40 della 36a Divisione il Raggruppamento italiano doveva attaccare a
giorno fatto, il mattino del 16, su ordine della Divisione, per prendere e
tenere quota 343 e rastrellare le pendici di Monte Lungo ad ovest della
ordinata 960 (109).
Il giorno successivo, 14
dicembre, il comando del 142 fanteria precisava: I Raggruppamento motorizzato darà
il cambio a questo reggimento su ordine del generale comandante la Divisione
dopo che il 142 fanteria avrà finito di spezzare ogni resistenza nel suo
settore (110).
Sulla base di queste direttive
Dapino emanava l'ordine di operazione n. 4, in data 15 dicembre che prevedeva:
Il I Raggruppamento
motorizzato inquadrato a sinistra con il 142 fanteria americano e a destra con
il 141 fanteria americano, riprenderà l'attacco su Monte Lungo (111).
Dapino chiariva i suoi intenti
operativi in questi termini: in primo luogo occorreva impadronirsi dell’altura senza
indicazione di quota sita a circa 300 metri a nord-est di quota 253 mediante
azioni sui due lati di gruppi di combattimento di fanteria. L'attacco, che sarebbe
stato preceduto da 30 minuti di fuoco della artiglieria, doveva essere
appoggiato nel suo svolgimento dal fuoco delle arni di accompagnamento
schierate sulla base di partenza e da quello delle armi schierate sui pendii di
Colle San Giacomo (112).
In secondo tempo occorreva
puntare su quota 343, l'obiettivo principale, mediante azioni di gruppi di
combattimento di bersaglieri provenienti da Ponte Peccia, operanti in stretto
contatto con le fanterie che sarebbero partite dalle pendici meridionali del
monte. Contemporaneamente si doveva provvedere a mantenere i contatti con il
142 fanteria sulla sinistra e con il 141 sulla destra rispettivamente con
pattuglie di bersaglieri e di fanti (113).
La scelta del piano era questa
volta per alcuni aspetti obbligata o, almeno, condizionata dalla necessità di
coordinare le proprie mosse con quelle delle unità americane che agivano sui
fianchi del Raggruppamento. A tale proposito gli americani stessi posero alcune
limitazioni alla nostra azione: in particolare, la fanteria italiana non doveva
nella propria azione superare le pendici nord di Monte Lungo ad ovest della
quota senza numero, 300 metri ad ovest di q. 253. Quanto all'artiglieria non
doveva eseguire tiri ad ovest di q. 343 affinché il nostro fuoco non
danneggiasse le colonne del 142° reggimento americano (114).
Particolarmente gravi risultarono
i limiti imposti all'artiglieria, anche perché all'ultimo momento si dovette
rinunciare all'aiuto americano: infatti un gruppo da 155 dato in appoggio al
Raggruppamento venne all'ultimo momento distolto. Come se non bastasse, un
gruppo di mortai da 107 sollevò obiezioni per la difficoltà tecnica di
effettuare tiri su un obiettivo tanto vicino alla linea di fanteria (quando si
decise, l'occupazione della quota era ormai un fatto compiuto). (!)
Insomma, gli italiani ancora una
volta dovettero fare praticamente da soli, e stavolta fecero le cose per bene.
Scrive Dapino:
Si decise allora di eseguire
la preparazione sulla quota con tutti i mortai da 81 del 67°fanteria (12
pezzi), con un gruppo da 75/18 che prese posizione in località completamente
dominata e scoperta onde eseguirei tiri di infilata. Si crearono inoltre due
basi di fuoco, con armi di accompagnamento, completamente al di fuori del
nostro settore, sulla vetta di M. Rotondo e su cole S. Giacomo. Da esse le
posizioni nemiche potevano essere colpite anche sui rovesci. I rimanenti gruppi
di artiglieria avrebbero eseguito concentramenti tra quota precedente e la q.
343.
La mattina del 16 l'artiglieria
aprì il fuoco:
Alle ore 8,30 iniziò il tiro
di preparazione che si rivelò subito di una precisione meravigliosa: quello
sulla quota senza numero 300 metri a nord-est di q. 343, a non più di 200-250
metri dalle, nostre linee, destò l'ammirazione degli osservatori americani.
L'attacco delle fanterie ebbe
inizio alle ore 9,15. Partirono il II battaglione fanteria e una compagnia
della LI bersaglieri:
Il nemico, stordito dal tiro
della nostra artiglieria, minacciato sul tergo dall'azione del 142 fanteria,
non offrì questa volta una resistenza tenace.
Alle 10,20 la quota senza
numero era conquistata e alle 12,30 le prime pattuglie del 11/67 giungevano
sulla quota 343 mentre più a nord i bersaglieri prendevano contatto sul costone
di Monte Lungo col 142 reggimento fanteria americano.
Questa volta tutti gli obiettivi
assegnati al primo raggruppamento motorizzato erano stati raggiunti. Le perdite
si rivelarono relativamente contenute: 6 morti e 30 feriti.
Furono presi prigionieri 5
tedeschi, ma molti di più se ne potevano catturare se gli americani non
avessero limitato il nostro raggio di azione sul versante nord, cosa che
permise ai tedeschi di ritirarsi verso San Pietro. La seconda azione del I
Raggruppamento motorizzato su Monte Lungo si concludeva dunque con un successo;
un esito peraltro prevedibile già alla vigilia, come riconosceva lo stesso
Dapino. Secondo il generale italiano infatti questa volta le condizioni erano
favorevoli, principalmente per due. motivi:
1) il fatto che era sgombra dal
nemico tutta la zona di Colle San Giacomo dalla quale proveniva in precedenza un
micidiale, fuoco di armi automatiche sui fianchi meridionali di Monte Lungo;
2) L'attacco di due battaglioni
del 142 reggimento fanteria americano contro le quote settentrionali di Monte
Lungo che ne minacciava l'intera occupazione.
Note
(1) Sulla campagna, d'Italia si
vedano G.A.,Shepperd La campagna d’Italia 1943 1945, Garzanti,
1970, A. Jackson, La battaglia d’Italia, Baldini e Castaldi, Milano,
1970, M. Puddu, Guerra in Italia, 1943 '45, Roma, s.d. ma 1965 e inoltre
il già citato rapporto di Alexander - del quale si può utilmente consultare anche
Le Memorie del generale Alexander, 1940-45, Garzanti, Milano, 1963.
Sulla natura e gli scopi della campagna d'Italia nell'ambito della strategia
complessiva anglo-americana, cfr. anche D.D. Eisenhower, Crociata in Europa,
Mondadori, Milano, 1949, e G.C. Marshall. La vittoria in Europa e nel
Pacifico, Rattero Editore, Torino, 1948 (si tratta del Rapporto del Capo
di Stato Maggiore dell'Esercito Americano al Ministero della Guerra per il
periodo dal 1 ' luglio 1943 al 30 giugno 1945).
(2) M.W. Clark, op. cit. pag. 225. Per le vicende della 5^
Armata in Italia e quindi indirettamente anche per il Raggruppamento,
relativamente al periodo che da essa dipese, cfr. la già citata Fifth Army
History relazione ufficiale in 9 volumi pubblicata a Firenze nel corso
della guerra, opera indispensabile per la ricchezza dei dati ricavabili da una
ricostruzione sempre essenziale ed esauriente. In mancanza di questa, si può
utilmente ricorrere al volume From Salerno to the Alps. A History of
the Fifth Army. 1943-'45, edited by Lieutenant colonel Chester G. Starr,
Washington, Infantry Journal Press, 1948, compendio fedele dell'opera maggiore
dovuto appunto al colonnello Starr dell'Ufficio storico dell'Esercito americano.
Analogo ragionamento vale per alcuni opuscoli pubblicali dal Ministero della
Guerra degli Stati Uniti dedicati a singole fasi della campagna. In particolare, per il periodo che
ci interessa, si vedano, War Department, From the Volturno to the Winter
Line, e Fifth Army at the Winter Line, American Forces in Action
Series, Military Intelligente Division,. U.S. War Department, Washington
D.C, rispettivamente dicembre 1944 e giugno 1945.
(3) M.W. Clark, op. cit. pp. 225-6.
(4) Fifth Army History, cit. part. III, The
Winter Line, pp. 5-6. Cfr. anche A. Alexander, Supplement,
pp. 59-60. A. Kesselring, Memorie di guerra, Garzanti, Milano, 1954, pp.
205-6.
(5) Ibidem. Oltre alle due
linee principali esistevano numerosi raddoppi, come si può vedere dallo schizzo
n. 3. Sulla definizione delle linee non tutti gli autori concordano. Il Puddu,
ad esempio, considera «linea Gustav» soltanto il raddoppio alle spalle della
«linea Bernhard», la posizione di resistenza che correrebbe dal Tirreno
all'Adriatico. La differenza nella terminologia non muta ovviamente la sostanza
della questione.
(6) Ibidem. F. Von Senger
Und Etterlin, Combattere senza paura e senza speranza. Longanesi,
Milano, 1968, p. 311, parla di «Linea Bernhard»; invece «Linea Reinhardt» la
definisce A. Kesserling, op. cit, pp. 205-6 e «Linea Reinhard» R. Bóhmler, Monte
Cassino, Edizioni Accademia, Milano, 1979, p. 190.
(7) Fifth Army History, cit., pp. 5-6.
(8) Ibidem.
(9) M.W. Clark, op. cit., pp. 221-3.
(10) È il caso della 56a
Divisione britannica dipendente dal X Corpo d'Armata inglese. Cfr. A. Alexander, Supplement, p. 72 e
M.W. Clark op. cit. pp. 231-2.
(11) Fifth Army History, cit. Operations
Instructions, n. 10, 16 nov. '43.
(12) ibidem
(13) Ibidem, Opriations Istructions n. 11,
24 nov 43 e M.W. Clark, op.cit, p. 236.
(14) Ibidem.
(15) Fifth Army History, cit. P.
36, e M. Blumenson, op. cit. pp. 252-3.
(16) Per le forze tedesche cfr.
F. Senger, op. cit. pp. 312-319, passim, R. Bohmler, op. cit. pp.
313-4, M.W. Clark, op. cit. p. 237.
(17) M.W. Clark, op. cit. p. 237, e Fifth
Army History, cit. p. 26.
(18) M.W. Clark, op. cit. p. 237.
(19) Fifth Army History,
cit., pp. 25-26, analogo è il giudizio di R. Bóhmler, op, cit., pp. 314-5 e F.
Senger, op. cit. p. 320, che parla di un fuoco tambureggiante quale non avevo
più visto dopo la prima guerra mondiale.
(20) Per questa fase dell'attacco
alla linea d'inverno, si vedano in particolare M. Blumenson, op. cit. pp.
262-9, Fifth Army History, cit. pp. 20-33, M.W. Clark, op. cit.,pp.
236-8.
(21) Fifth Army History, cit., p. 35.
(22) Diario storico, 3
dicembre '43, e allegato n. 90; ora allegato n. 13 al presente volume.
(23) Diario storico, 4
dicembre '43 e allegato 91; ora allegato n. 14 al presente volume.
(24) Diario storico, 6
dicembre '43 e allegato n. 97; (cfr. allegato n. 15). Secondo quanto scrive
Robert, L. Wagner, The Texas Army. A History of the 36th Division
in the Italian Campaign, Austin, Texas, 1972, p. 56, la scelta di Walker
era in una certa misura obbligata poiché il terreno non offriva possibilità di
operare manovre sui fianchi che permettessero di aggirare la «Winter Line».
Soltanto con la buona riuscita di operazioni localizzate era possibile
strappare poco alla volta terreno alle difese tedesche fino alla conquista di
M. Lungo a sinistra e M. Sammucro a destra, indispensabile per il superamento
della stretta di Mignano. Si tratta evidentemente di una sostanziale modifica,
per non dire del rovesciamento, degli intendimenti tattici manifestati dal
generale Truscott, comandante la 3a Divisione poco prima che l'unità americana
fosse ritirata. Si veda quanto riportato nella nota 94 del capitolo precedente.
(25) Diario storico, e
allegato n. 98, IRM, 6 dicembre '43, n. 603, Ordine di operazione n. 1, oggetto
Attacco di Monte Lungo; (cfr. allegato n. 16)
(26) Diario storico,
allegato n. 106, IRM, 10 dicembre '43, n. 630.
(27) Diario storico,
allegato n. 99, IRM, 7 dicembre '43, n. 613.
(28) Ibidem.
(29), Diario storico allegato
n. 107, IRM, 11 dicembre 43 è la relazione compilala dal generale Dapino
sull'azione svolta 1'8 dicembre
(30) Diario storico, 7
dicembre '43.
(31) Ibidem. Cfr. anche R.
Bóhmier, op. cit. pp. 313-4. Per l'esattezza, il III battaglione del 15°
reggimento granatieri corazzati, (Pz. Gr. Rgt. 15) era costituito da cacciatori
(jáger). Lo si può vedere in J. Lemelsen, 29 Division, Podzun-Verlag,
Bad Nauheim, 1960, p. 480. Si tratta della storia della Divisione protagonista
della difesa della stretta di Mignano, dalle origini alla fine della guerra.
L'opera è dovuta a più autori tra i quali il generale Walter Fries, già
comandante della Divisione dal 1° marzo '43 al 30 agosto '44, il quale
ricostruisce appunto le vicende della campagna d'Italia.
(32) Per queste vicende cfr.
M.Blumenson, op. cit. p. 275 e sgg., Fifth Army History, p. 37 e
sgg.
(33) Cfr. le considerazioni di
Blumenson, op. cit. pp. 274-5.
(34) Ibidem e Fifth Army History, cit.
p. 37.
(35) Fifth Army History, cit., p. 37.
(36) Diario storico,
allegato 107 cit.
(37) Ibidem.
(38) E. Corselli, I dettagli
tecnici, trascurati, si vendicano, in «Rivista Militare», anno VIII, n. 6,
giugno 1952, pp. 722-3. Nonostante il titolo e, presumibilmente, le intenzioni
dell'autore che voleva farne un semplice studio dell'importanza della cura dei
particolari tecnici nell'addestramento, la preparazione e l'impiego dei minori
reparti, l'articolo costituisce una preziosa testimonianza di prima mano
sull'azione di Monte Lungo. L'autore infatti, comandante della 1^ compagnia del
67° fanteria, ferito gravemente e decorato con medaglia d'argento per l'azione
dell'8 dicembre, ricostruisce nei particolari l'esperienza della propria unità
in quella occasione.
(39) E. Corselli, op. cit.,
p. 723.
(40) Ibidem.
(41) Ibidem.
(42) Ibidem.
(43) Ibidem, 723-4.
(44) E. Castelli, op. cit.,
pp. 45-6.
(45) Ibidem, p. 46. Cfr.
anche Diario storico, allegato n. 107, relazione del generale Dapino
cit. dove si legge: che la 2^ compagnia bersaglieri colpita dal tiro di
numerose mitragliatrici tedesche rimaste illese dopo la preparazione in breve
decimata e costretta a ripiegare.
(46) E. Corselli, op, cit., p.
724.
(47) Ibidem Cfr. anche Diario
Storico, allegato n. 10
(48) h. Corselli, op. cit.
p. 724.
(49) Diario storico,
allegato 107, relazione Dapino 11 dicembre '43 cit. dove si legge: Alle 8,10 q.
343 è raggiunta. Anche i tedeschi, dal loro punto di vista, erano giunti alla
stessa conclusione; secondo il generale Fries gli italiani, dopo avere
abilmente utilizzato le favorevoli condizioni atmosferiche, e in particolare la
nebbia abbastanza fitta che lasciava la visuale soltanto nelle vicinanze,
avevano lanciato un attacco massiccio contro le deboli postazioni di sicurezza
tedesche. Gli uomini del III battaglione, in particolare la 9^ compagnia, si
erano difesi disperatamente; spararono tutto ciò che era possibile, tirarono
bombe a mano contro il nemico all'attacco, ma tutto fu inutile. In pochi tumuli
i nostri ragazzi furono sopraffatti. La maggior parte cadde e già il nemico
irrompeva sicuro della vittoria ( .. ) Era una crisi che difficilmente poteva
risolversi in nostro favore, nè era difficile prevedere quali conseguenze
avrebbe avuto Cfr. J. Lemelsen, op. cit. p. 342.
(50) E. Corselli, op. cit.,
p. 725 Dapino nella sua relazione dell'11 dicembre scrive: A questo punto si
scatena il fuoco infernale di mitragliatrici e mortai: di fronte, dalle
postazioni della quota, molte delle quali sono in caverna, di fianco, dalle
pendici di Monte Maggiore e da Colle San Giacomo. È a questo punto, sempre
secondo Dapino, che si può constatare come il tiro di artiglieria non ha avuto
pratico effetto.
(51) E. Corselli, op. cit.
p. 725. Lo stesso Corselli scrive che a dar man forte ai difensori della q. 343
sarebbero affluiti perfino gli equipaggi della divisione Goering, rimasti in
fondo valle, perché i mezzi blindati non potevano inerpicarsi su per il monte!.
Cfr. anche A. Ricchezza, Qui si parla di voi, cit. p. 68 e più
diffusamente L'esercito del sud, cit. p. 64.
(52) J. Lemelsen, op. cit.
p. 343, che così descrive l'attacco dei cacciatori: arrivano improvvisamente da
ogni parte (..); senza pietà il loro fuoco colpisce il nemico in fuga solo un
pensiero «avanti, avanti» (.). Il contrattacco si svolge come un'esercitazione,
Il nemico è così confuso che non riesce a mettere in piedi una difesa (.).
Enfasi descrittiva a parte, la versione tedesca conferma sostanzialmente quanto
scritto da Corselli circa l'esplosione improvvisa e inopinata della reazione
nemica: la cosa si spiegherebbe, sempre a detta del generale Fries, con la
prova di coraggio data nella circostanza da un caporale maggiore pluridecorato,
Ewald Scherling, che postosi alla testa dei suoi compagni, li avrebbe
rinfrancati con il suo esempio riuscendo a ribaltare le sorti ormai in apparenza
segnate della battaglia.
(53) R. Corselli, op. cit.
p. 725. Oltretutto, in questa fase particolarmente delicata della battaglia,
gli attaccanti vennero a trovarsi praticamente senza ufficiali comandanti: Gli
attaccanti (..) cercavano i loro capi, ma non c'erano più capi, non c'era più
nessuno che in questo momento decisivo potesse guidarli, potesse spingerli in
avanti: possiamo leggerlo in Lemelsen, op. cit. p. 343; e Corselli, op.
cit. 725: La 1^ compagnia ripiegava stremata e senza ufficiali dopo due ore
di attacco che l'aveva portata vittoriosa su q. 34.3.
(54) Fifth Army History, cit. p. 38 e M.
Blumenson, op. cit. p. 276.
(55) Diario storico,
allegato 107, relazione Dapino 11 dicembre cit.
(56) Questi dati si diffusero
rapidamente. Anche B. Croce, nel suo diario alla data del 24 dicembre scriveva
che nell'attacco di Monte Lungo i soldati italiani avevano lasciato cinquecento
morti.
(57) Diario storico, 8
dicembre '44. Sulle perdite del Raggruppamento nel periodo settembre '43- aprile
'44. e in particolare nel mese di dicembre vi è una grossa confusione dovuta
per lo più al fatto che i vali autori, riferendosi a periodi di tempo diversi
l'uno dall'altro, forniscono dati non omogenei e quindi non raffrontabili.
Alcuni esempi per tutti: M. Blumenson, op. cit., p. 276, parla di 84
morti, 122 feriti, 170 dispersi in relazione alla battaglia di Monte Lungo; Fifth
Army History, vol. III cit. p. 95, fornisce le seguenti cifre
riferite al periodo 16 novembre - 15 gennaio: 113 morti, 191 feriti, 282
dispersi (le cifre desunte dal Diario storico per lo stesso periodo sono
rispettivamente: 78, 255 e 166). A. e G. Ricchezza, L'Esercito del sud,
cit. pp. 67 e 74, riportano la cifra di 47 morti per la prima battaglia di
Monte Lungo (come il Diario storico); ma alla p. 79 dello stesso libro parlano
di 79 morti, 190 feriti e 150 dispersi riferendosi alla stessa battaglia. E.
Castelli, op. cit. pp. 47 e 50 fornisce due cifre complessive: 360
perdite per la prima battaglia di Monte Lungo e 428 per la conquista del colle.
Per quanto ci riguarda ci atteniamo alle cifre quotidianamente riportate nel
Diario storico, in base alle quali abbiamo appunto elaborato l'elenco delle
perdite complessive del Raggruppamento che costituisce l'allegato 38 al volume.
Elenchi nominativi dei caduti del Raggruppamento si possono trovare in A.
Ricchezza, La verità sulla battaglia di Cassino e l'apporto del Corpo
Italiano di Liberazione, Fratelli Pozzo Editori, Torino, 1958, appendice,
p. 5, (81 nomi) e nel più recente L'esercito del sud, pp. 214-5 (85
nomi). Per i bersaglieri cfr. l'elenco fornito da E. Castelli, op. cit.
pp. 85-86 (31 nomi); notizie molto precise sono fornite per quanto riguarda i
fanti dalla pubblicazione 67° Reggimento Fanteria «Legnano», Caserta,
1944, pp. 21-2, dove compaiono i nominativi di 49 caduti, con la data del
decesso.
(58) M. Blumenson, op. cit., p. 276.
(59) Cfr. allegato 107 relazione
Dapino
(60) Ibidem
(61) Il testo del messaggio in
allegato n.108 a Diario Storico.Per le considerazioni cfr A. Buzzi, Quelli
di Monte Lungo, in Rivista Militare, 1969, n. 12, p. 1514
(62) Per le considerazioni di
Blumenson, cfr. l'opera citata alle pagine 275-6. In netto contrasto con le
impressioni ricevute da Walker, risulta il giudizio del capo ufficio personale
(G-1) del II Corpo d'Armata americano, il quale, in un rapporto per il generale
Keyes su una visita al Raggruppamento, così scrive: lungo tempo venne passato
con il Generale Dapino che appare essere un ottimo comandante. Cfr. Comando del
II Corpo d'Armata, G-1, 13 novembre 1943, allegato n. 51 a Diario storico
(63) M. Blumenson, op. cit. pp.
275-6. In genere neppure questo riconoscimento troviamo nelle opere degli
autori stranieri (americani, francesi, inglesi) i quali, pur differenziandosi
nei toni e nei contenuti del giudizio hanno in comune la tendenza a isolare
l'azione del Raggruppamento dal contesto in cui si svolse, facendone un
episodio a sé stante difficilmente comprensibile. Questo vale per la citata
Fifth Army History, vol. III, pp. 36-8, che pure dedica all'avvenimento una
certa attenzione sottolineando anche la forza delle postazioni difensive
tedesche e il coraggio messo in mostra dagli italiani nella circostanza; così
come vale per E. Linklater, The Campaign in Italy, H.M.S.O., London, 1951, pp.
145-6, che si limita a mettere in evidenza il primo dei due fattori sopra
indicati. Anche peggiore il trattamento riservato all'unità italiana nella
relazione ufficiale britannica sulla campagna d'Italia dove l'autore, dopo aver
dichiarato di essere costretto per motivi di spazio a dedicare un riassunto
alle operazioni della 5a Armata nell'attacco alla «Winter Line. Tanto breve
quanto feroce il riferimento al Raggruppamento contenuto nell'opera di M.
Carpentier, Les Forces Allies en Italie, Editions Berger-Le Vrault,
Paris, 1949, pp. 50-51. Il generale francese, all'epoca Capo di S.M. di Juin
scrive infatti che a M. Lungo una brigata motorizzata italiana, aggregata al 2°
C.A.americano, fece un'apparizione tanto breve quanto poco brillante. (!)
(64) E. Castelli, op. cit.
p. 45
(65) E. Corselli, op. cit.
p. 722
(66) C. Medeghini, op. cit.
p. 23. Secondo Robert Jars, La campagne d'Italie, l'Oyol, Paris, 1954,
p. 74, si sarebbe trattato di un attacco lanciato con poco lodevole
precipitazione, questa, insieme al fatto che Monte Maggiore non era del tutto
liberato, sarebbe stata la causa del fallimento. Il maggiore Edmund Ball,
ufficiale della 51 Art. scrive che il Raggruppamento era tanto desideroso di
ottenere un successo, che si comportò, con coraggio e in modo spettacolare, ma
senza molto giudizio. E. F.
Ball, Staff Officer wilh the Fifth Army, New York, 1958, pp 251-2. Al
giornalista del «New York Times Herberth Matthews, l'attacco italiano su Monte
Lungo avrebbe ricordato addirittura la carica di Balaclava: vedilo citato in E.
Castelli, op. cit. p. 16 e G. Anselmi, Monte Lungo, gloria d'Italia,
in «Rivista Militare», 1946, I, pp. 11-12.
rimasero intatte.
(67) E. Castelli, op. cit.
p. 45 scrive: L'attacco avvenne di slancio perché fidavamo nella preparazione
delle artiglierie e nella nebbia incombente che nascondeva gli attaccanti al
nemico.
(68) C. Medeghini, op. cit.
p. 23
(69) E. Corselli, op. cit.
pp. 727-8, scrive: Avevamo la superiorità numerica, non c'erano reticolati, non
c'erano mine, non si verificò un massiccio tiro da parte dell'artiglieria
avversaria; i tedeschi avevano però dalla loro: (il) terreno particolarmente,
vantaggioso per la difesa; (la) superiore conoscenza ed abitudine allo stesso;
e inoltre, la superiorità dell'armamento individuale che sviluppava uno
straordinario volume di fuoco e si plasmava a tutte le fasi del combattimento.
(70) E. Corselli, op. cit.
p. 718. Fatta eccezione per Martin Blumenson, sul quale ritorneremo più avanti,
gli americani sono alquanto reticenti sull'esattezza delle informazioni di cui
disponevano alla vigilia della battaglia di San Pietro, circa la reale
consistenza delle forze tedesche. Robert Porter, all'epoca Vice Capo di Stato
Maggiore del genclale Keyes, è il solo, a quanto ci risulta, a fare propria la
versione ufficiale. Secondo la sua testimonianza, che si può leggere in Robert
H. Adleman-George Walton, Oggi è caduta Roma, Mondadori, Milano, 1968,
pp. 207-8, la collina era tenuta da 2 sole compagnie, di un battaglione del genio
(sic): tutto lasciava prevedere, secondo l'ufficiale americano, una vittoria
facile, che avrebbe dato agli italiani una spinta morale. Se ciò non avvenne, la
colpa fu degli italiani stessi: Sembra che qualcuno, nell'unita italiana,
parlasse: sta di fatto che quando fu lanciato l'attacco, le due compagnie del
genio non c'erano più e al loro posto (..) c'era una divisione corazzata (!)
Una versione a dir poco disinvolta degli avvenimenti (a cominciare dal
riferimento curioso alle due compagnie del genio), che non meriterebbe di
essere ricordata, se non fosse riportata, pur con alcune diversità, da M.
Clark, op. cit. p. 240, il quale scrive che la notte prima
dell'attacco alcuni soldati italiani si erano avvicinati alle linee germaniche
ed avevano gridato minacce e insulti, promettendo che avrebbero punito i
nazisti che durante la campagna d'Africa avevano abbandonato le truppe italiane.Il
comandante della 5^ Armata non fa riferimento alle forze tedesche su Monte
Lungo e si limita a sottolineare che in tal modo mancò la sorpresa.Il
particolare riferito dai due ufficiali americani non trova riscontro in alcun
altro autore; volendo avanzare un'ipotesi, si può pensare al gonfiamento,
presurnibilmente avvenuto nelle retrovie, di una voce che aveva peraltro un
fondamento di verità. Gli italiani, quasi certamente, effettuarono il cambio in
modo non abbastanza silenzioso: secondo E Corselli, op. cit. pp. 718-9
gli americani avrebbero sottolineato il particolare al momento di lasciare le
posizioni su M. Lungo. La assoluta silenziosità e compostezza dei movimenti
dimostrata dagli americani andava attribuita, secondo Corselli, al fatto che si
muovevano in un terreno che ormai conoscevano a memoria, e all'equipaggiamento
di cui disponevano, studiato nei particolari affinché fosse evitato ogni
rumore, ogni tintinnio. I1 particolare non ci sembra comunque sufficiente a
spiegare la mancata sorpresa tedesca riferita da Clark e, addirittura, il
fantomatico rafforzamento delle postazioni di cui parla Porter. Stando a quando
si legge in J. Lemelsen, op. cit. 342, da parte tedesca si era potuto
accertare a mezzo di pattuglie la presenza di notevoli raggruppamenti di nemici
su M. Lungo: ciò avvenne la notte dell'8 dicembre, ma la notizia non turbò più
di tanto i comandi tedeschi i quali, anzi, furono sorpresi dall'improvviso
attacco italiano, come scrivevamo in precedenza.
(71) E. Corselli, op. cit.
p. 718.
(72) Ibidem.
(73) Allegato n. 90 a Diario
storico, cit.
(74) Fifth Army History, cit. pp. 38.-9.
(75) Ibidem. Robert L.
Wagner, The Texas Army, cit. pp. 74-75, fornisce una versione
parzialmente diversa della vicenda: l'attacco del II e III battaglione del 143°
fanteria americano sarebbe stato ostacolato soltanto dal fuoco pesante di
mortai e mitragliatrici proveniente da Monte Lungo. Lo storico texano tace sul
fuoco proveniente da destra, dal Monte Sammucro appunto, del quale gli
americani avevano appena occupato la q. 1205, ma non le pendici inferiori, le
quote 687-730-816, la cui conquista, non a caso, sarà l'obiettivo preliminare
della seconda battaglia di San Pietro, come vedremo più oltre. In definitiva,
secondo lo storico della 361 Divisione «Texas», il fallimento del tentativo
dell'8 dicembre sarebbe da imputare prevalentemente, se non esclusivamente al I
Raggruppamento.
(76) E. Corselli, op. cit.
p. 720
(77) Ibidem.
(78) Ibidem. Anche il
colonnello Bonfigli, comandante del 67° fanteria, afferma di avere fatto alcune
obiezioni ( .) dopo aver riconosciuto la zona; gli fu detto che prima
dell'azione (avrebbe) avuto assicurato il fianco sinistro con la conquista di
tutto il massiccio del Monte Maggiore. Cfr. Comando 67° Reggimento fanteria
motorizzato, 29.12.1943, n. 4584, allegato a IRM, 29 dicembre '43,
Situazione del Raggruppamento, allegato n. 140 al Diario storico.
(79) E. Corselli, op. cit. p.
720. Anche Lord Strabolgi, The conquest of Italy, Hutchinson, London,
1944, p. 91, attribuisce un peso determinante a questa inattesa circostanza
della quale gli italiani non erano colpevoli: a causa di un cattivo lavoro dello
SM (l’errore non fu italiano) essi avanzarono lungo la collina nella
convinzione che il fianco sinistro fosse sicuro.Nonostante le, notevoli perdite-,
gli italiani incalzarono, e giunsero a combattere corpo a corpo con baionette e
granate. Gli italiani raggiunsero 1'obiettivo, ma più tardi furono costretti a
cedere parte del terreno. In questa e in successive, operazioni ci conportarono
con bravura e coraggio.
(80) E. Castelli, op. cit.
pp. 44-45. L'interrogativo è nel testo.
(81) E. Castelli, op. cit.
pp. 44-45; G. Lombardi, op. cit. pp. 25-6; A. Bezzi, op. cit. p.
1514.
(82) La citazione di Utili è in
A. e G. Ricchezza, L'esercito del sud, cit. p. 68.
(83) F. Frassati - P. Secchia, Storia
della Resistenza. La guerra di liberazione in Italia 1943-45, Editori
Riuniti, Roma, 1965, vol. 2°, p. 513.
(84) Stando a quanto scrive il
capitano Butcher, Clark avrebbe dovuto insistere con il generale Dapino
affinché il Raggruppamento ritentasse insieme agli americani la conquista del
Monte Lungo dopo il fallimento della prima prova. La testimonianza
dell'ufficiale americano è confermata da Berardi il quale parla di affettuoso
cameratismo da parte di Clark il quale, all'indomani dell'8 dicembre, avrebbe
detto a Dapino: voi non tornerete indietro, per ora, voi ripeterete l'azione meglio
aiutati; dopo che avrete riconquistato Monte Lungo, sarete ritirati e
riordinati. In tal modo, secondo il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Clark
riconosceva implicitamente l'errore di impostazione da parte americana e al
tempo stesso, Senza mortificanti espressioni per gli italiani, suppliva, con la
sua buona energia, allo scoramento del comando italiano. Cfr. H. Butcher, op.
cit. p. 450 P. Berardi, Memorie, cit. p. 81.
(85) F. Majdalany La battaglia
di Cassino, Garzanti, Milano 1976 p. 76 scrive: la battaglia di Cassino
cominciò la notte del 7 gennaio (..) ma il combattimento entrò nel vivo quando
la 36^ divisione americana Texas entrò nei campi allagati, pieni di mine, per
raggiungere la riva del Rapido, e nei due giorni e due notti drammatici che un
giornalista americano descrisse poi, forse esagerando un poco, come il maggior
disastro delle armi americane dopo Pearl Harbour.
(86) Ibidem.
(87) W.G. F. Jackson, op. cit. p. 227.
(88) F. Majdalany, op. cit. p. 83. Anche
Utili, op. cit., p. 36, sostiene che senza alcuna pretesa di istituire
dei confronti, appariva evidente che la mentalità militare americana era assai
più formale, più incasellata e più metodica della nostra.
(89) F. Majdalany, op. cit. p. 83. Nella
prefazione al citato The Texas Army, Robert Wagner difende l'operato del
generale Walker in relazione al disastro sul Rapido. Dopo aver accusato Fred
Majdalany di non aver compreso, come molti altri inglesi del resto, il
significato della partecipazione americana alla campagna d'Italia, riferendosi
in particolare all'episodio del Rapido, l'autore se la prende con Martin
Blumenson la cui opera rifletterebbe il punto di vista ufficiale della 5°
Armata e del generale Clark. Se vi fu un piano insensato, per l'attraversamento
del fiume, la responsabilità, sostiene Wagner, non fu di Walker ma di Clark e
Keyes. Questa polemica, nel merito della quale non entriamo per ovvi motivi.Quanto
alle affermazioni di Wagner circa il carattere ufficiale dell'opera di Blumensol
è fin troppo facile dimostrare che il lavoro dell'autore texano, pur non avendo
i caratteri dell'ufficialità, è una difesa ad oltranza della 36 Divisione
«Texas» e dei suoi Comandanti.
(90) W.G.F. Jackson, op. cit. p. 227.
(91) M. Puddu; op. cit.,
p. 299. Analogo il giudizio di Paolo Berardi secondo il quale gli
anglo-americani si presentarono ad affrontare una guerra di montagna con truppe
che erano state preparate per la lotta nei deserti africani. Cfr. Il
contributo dell'Esercito italiano alla guerra delle Nazioni Unite, in
«Rivista Militare», 1947, VII, pp. 745-6.
(92) M. Puddu, op. cit. p.
299.
(93) M. Blumenson, op. cit.
pp. 270-4, donde sono tratte, anche le successive citazioni. Lo stesso
Blumenson riporta (alle pagine 276-7) una testimonianza del generale Walker che
non depone certo a favore della serietà del comando della 36a Divisione nella
condotta della battaglia di San Pietro. La mattina dell'8 dicembre, scrive
Blumenson, mentre un battaglione di fanteria americano stava respingendo un
contrattacco su quota 1205, mentre il battaglione Rangers veniva ricacciato da
q. 950 e l'attacco italiano su Monte Lungo stava andando incontro a un
disastro, un gruppo di dignitari era in visita al posto comando divisione del
generale Walker; c'erano tutti, da Clark ad Alexander, da Keyes al principe
Umberto, e intorno a loro una folla di giornalisti e fotografi. In questa calca
di visitatori che andavano e venivano, il generale Walker, stando a quel che
confidava al suo diario il 9 dicembre, avrebbe avuto le sue difficoltà nell'occuparsi
delle esigenze tattiche della battaglia! Sebbene la cosa possa apparire
incredibile, doveva trattarsi di una situazione abbastanza frequente: anche
Clark, op. cit. p.228, lamenta di essere stato più volte sopraffatto dai
visitatori; tra questi soprattutto i VIP (Very Important Persons) in giro per
il fronte senza seri motivi, secondo il comandante della 5 a Armata.
(94) Cfr. G. Lombardi, Il
Corpo Italiano di Liberazione, 28 settembre 1943 - 25 settembre 1944, Magi
Spinetti, Roma, 1945., p. 21. Cronaca documentata ed essenziale delle vicende
delle due unità, il libro fu scritto per desiderio del generale Utili, nei mesi
di ottobre e novembre 1944, in Piedimonte d'Alife, presso il comando del Gruppo
di Combattimento «Legnano», sulla base del diario storico e di tutti i
documenti originali del IRM e del Corpo Italiano di Liberazione che il comando
del Gruppo «Legnano» aveva ancora presso di sé. Lo scrive lo stesso Lombardi
nella premessa, p. 18, al libro di Utili citato.
(95) SME, Ufficio Storico, 1-3,
92/1-5, Comando Forze Armate della Campania, 12 dicembre '43, n. 650. Inoltre
l'azione secondo Basso, era stata da parte del comando del Raggruppamento, male
organizzata e condotta con poca previdenza, basata soltanto sullo spirito
aggressivo della truppa; questo era stato veramente lodevole nei reparti
avanzati, mentre si era dimostrato deficiente in quelli retrostanti,
conseguenza inevitabile del disorientamento di fronte a una situazione
manifestatasi contraria a ogni aspettativa.
(96) Ibidem. Proprio per
evitare il ripetersi di simili spiacevoli dannosissime sorprese, per il futuro
il comando del Raggruppamento avrebbe fatto bene, secondo il generale Basso, ad
essere più prudente nell'assumere impegni (.).
(97) M. Blumenson, op. cit.
p. 279; sulla seconda battaglia di S. Pietro anche Fifth Army History,
III, cit. p. 39-41, Diario, storico, allegato n. 111, 36' Divisione, 13
dicembre '43, ora allegato n. 18 al presente volume.
(98) M. Blumenson, op, cit. pag.279
(99) M. Blumenson, op, cit. pag.280
(100) Ibidem.
(101) Ibidem.
(102) M. Blumenson, op, cit. p. 280 e Fifth
Army History, p. 39•
(103) Fifth Army History, cit. p. 39•
(104) Ibidem. Cfr. anche M. Blumenson, op.
cit. p. 283.
(105) Fifth Army History, cit. p.
39-40. M. Blumenson, op. cit. pp. 283-4.
(106) Fifth Army History, cit. pp.
40-41.
(107) M. Blumenson, op. cit.
pp. 284-5.
(108) Diario storico,
allegato n. 117.
(109) Diario storico,
allegato n. 111, cit.
(110) Diario storico,
allegato n. 114.
(111) Diario storico,
allegato n. 115, ora allegato n. 19 al presente volume.
(112) Ibidem.
(113) Ibidem.
(114) IRM, 18 dicembre '43, n.
569, Relazione sull'azione del giorno 16 dicembre per la conquista di Monte
Lungo, allegato n. 124 a Diario storico dalla quale sono tratte le successive
citazioni.
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