Discorso dell'Addetto Militare della Germania in Italia
in occasione del sessantacinquesimo anniversario
della battaglia di Ortona
il 27.11. 2008 ad Ortona
Signor Sindaco, membri delle forze armate italiane e canadesi, signore e signori!
È per me un grande onore, ma anche un dovere personale essere oggi tra di voi ed insieme a voi qui ad Ortona.
Ortona, una città antica, conquistata dai Franchi nell’ottocentotre dopo Christo, caduta sotto il dominio del Regno di Napoli nel tredicesimo secolo.
Ortona, una città importante; lo dimostra anche il fatto che nel milleduecento le ossa dell’apostolo Tommaso sono state portate qui, e si possono vedere ancora oggi nella chiesa di San Tommaso.
Ortona, una città bella, con un suggestivo centro storico e un magnifico porto sul Mare Adriatico.
Ortona, una città fatale, posta sul confine orientale della linea difensiva strategica dell’esercito tedesco in Italia nella Seconda Guerra Mondiale, la cosiddetta Gustavlinie, e per questo motivo inevitabilmente teatro di una battaglia accanita che qui sessantacinque anni fa è stata combattuta con lo stesso eroismo e lo stesso valore tra canadesi, inglesi, italiani e tedeschi per molti giorni e sin dopo le feste di Natale, e che ha arrecato un dolore incommensurabile alla popolazione civile. Questa battaglia si è impressa per sempre nella storia di questa città. Ne sono testimoni non solo il monumento ai caduti in centro, ma soprattutto le tombe silenziose dei più di 1600 soldati canadesi, inglesi, neozelandesi e sudafricani del „Moro River Canadian War Cemetery“ che si trova fuori città.
Nel corso della giornata siamo venuti a conoscenza di molti fatti da fonte sicura, da molti esperti che hanno rielaborato gli avvenimenti di sessantacinque anni fa, che sono così importanti per questa città. Io non sono uno studioso di storia militare e mi mancano le competenze per poter riuscire ad interpretare gli avvenimenti dal punto di vista tedesco. Non sono sicuro che uno storico che analizzasse gli accadimenti dal punto di vista tedesco avrebbe potuto contribuire con essenziali, sostanziali nuove informazioni sulla battaglia di Ortona.
Alcuni giorni fa ho assistito presso l’Ambasciata Canadese alla première dell’interessante film di Fabio Toncelli “Un Natale di Sangue; Ortona 1943”, che descrive in modo incisivo e objettivo gli avvenimenti del Natale 1943 ad Ortona. Consiglio a voi tutti di vedere questo film.
Io non posso e non voglio fornire oggi in questa sede una nuova interpretazione storica, ma soltanto produrre delle riflessioni generali e personali, que elencero di seguito:
I soldati della Prima Divisione Paracadutisti e del Trecentosessantunesimo Reggimento Meccanizzato, che condussero per parte tedesca la battaglia di Ortona, erano truppe esperte che avevano già avuto molte battaglie al loro attivo ed avevano comandanti militari e tattici estremamente qualificati. Per mesi avevano ingaggiato con l’avversario una lotta di temporeggiamento (combattere in avanti – retrocedere), detta anche comunemente “Guerra dei Centimetri“ per guadagnare tempo e forze per gli altri fronti. In questa battaglia essi avevano l’inestimabile vantaggio del difensore, la possibilità di usare la geografia, il territorio a proprio favore. Gli alleati avevano il vantaggio della loro superiorità numerica ma anche del dominio dello spazio aereo e delle acque territoriali confinanti, mentre invece i reparti dell’esercito tedesco dovevano agire facendo affidamento solo sulle proprie forze.
I combattimenti su suolo italiano venivano considerati sia da parte tedesca che da parte alleata come il cosiddetto teatro di guerra secondario. La Germania combatteva sul fronte orientale una micidiale guerra di annientamento con battaglie di mezzi corazzati ed ad un certo punto anche sul fronte occidentale si ritrovò davanti una grande potenza alleata. Anche gli Americani e gli Inglesi dovettero rinforzare successivamente le loro truppe su questo fronte e ritirarsi dal sud. Da molti diari di guerra e racconti risultò in seguito in maniera univoca che le battaglie che hanno avuto luogo sul fronte italiano non erano poi così diverse da quelle sul fronte orientale quanto a terribile intensità ed accanimento. Ed è per questo che la battaglia di Ortona viene chiamata la Stalingrado d’Italia. I soldati canadesi che sferrarono il loro attacco in modo molto professionale e resistettero per molti giorni, investirono quel giorno straordinario valore e decisione, che andava aumentando nel corso della battaglia. La loro motivazione era esemplare e straordinaria: combattere per una buona causa, per la libertà e la democrazia. Altrimenti non avrebbero potuto sopportare le fatiche e le privazioni. Davanti alla brutalità ed all’intensità dei combattimenti sarebbe cinico parlare di teatri di guerra secondari.
Nella storia i tedesci sembrano sempre pronti a fare la guerra.
La nostra galleria degli antenati risale al tempo in cui cento stirpi diverse di Germani si facevano la guerra l’un l’altra e prosegue con la guerre sanguinose sotto l’insegna della croce, le infinite lotte dei principi nel tardo medioevo, gli eterni scontri con i grandi paesi del confine occidentale, culminati con l’unità tedesca, raggiunta nel 1871 dopo molte lotte. Una lunga strada piena di fratture e discontinuità, di contraddizioni e contrasti. Ma questa nazione che si trova nel cuore del continente europeo era divenuta troppo grande per poter prosperare in pace e l’Europa di allora non era ancora sufficientemente equilibrata. Così si comprende come le due guerre che sono state portate dalla Germania in tutta Europa ed infine si sono appropriate di grandi parti del mondo sarebbero state inevitabili dal punto di vista storico.
La cosa più importante, che i nostri padri scrissero dopo la seconda guerra mondiale nella nuova costituzione, era la frase che affermava che dal suolo tedesco non sarebbe scaturita mai più una guerra. La nostra storia ci ha impartito durevolmente la sua lezione, a livello individuale e collettivo;’mai più guerra’ era lo slogan che univa la generazione della guerra, i padri, ed i giovani del sessantotto. Anche una battaglia come questa di Ortona, che ha avuto luogo sessantacinque anni fa, ha contribuito a questo risultato, purtroppo il prezzo che tutti hanno dovuto pagare è stato troppo alto. Solo tenendo conto di questo sfondo è possibile comprendere l’ambivalente rapporto odierno dei tedeschi con la realtà militare e le decisioni della Germania, quando si tratta di missioni militari.
Vogliate consentire in questa sede alcune osservazioni su un argomento attuale che mi sta particolarmente a cuore, che riguarda sia gli italiani che i tedeschi e attende ancora di essere rielaborato.
La settimana scorsa il Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha commemorato le vittime italiane del regime nazionalsocialista. Insieme al suo omologo italiano, il Ministro Franco Frattini, ha visitato a margine delle consultazioni bilaterali di governo tedesco-italiane a Trieste „La Risiera di San Sabba“. Sicuramente ne avrete avuto notizia dalla stampa. Nel 1943, anno della battaglia di Ortona, la Risiera fu trasformata dai nazionalsocialisti in campo di concentramento; l’unico sul suolo italiano in cui fino all’inizio del 1945 sono state uccise circa 5000 persone tra ebrei, internati militari italiani, partigiani ed antifascisti.
Per questo e per i crimini commessi dalla Wehrmacht – a questo proposito basta che nomini luoghi tristemente famosi come Boves, Marzabotto o le Fosse Ardeatine - dalla Germania e a nome della dittatura nazista sono stati arrecati grandi dolori a molti italiani. Dopo l’armistizio del governo italiano con gli alleati e la conseguente dichiarazione di guerra alla Germania coloro che un tempo erano commilitoni divennero nemici. Una buona parte dell’esercito italiano venne disarmato dai tedeschi e circa seicentomila internati militari furono trasferiti in Germania come prigionieri di guerra ai lavori forzati. Gran parte di essi morì in prigionia a causa delle condizioni di vita spesso disumane. Noi tedeschi in nome di un’ideologia inumana, che il Presidente della Repubblica Italiano Giorgio Napolitano nel suo recente discorso ad El Alamein ha definito a ragione come ideologia che conduce alla rovina, ha condotto molti altri popoli e uomini, anche italiani, a sofferenze indicibili.
Oggi noi tedeschi accettiamo la nostra storia. E una parte di noi, che noi e le generazioni che seguiranno continueremo a portarci dentro.
I nostri ministri degli esteri hanno annunciato congiuntamente a Trieste la costituzione di una commissione di storici tedesco-italiana per la rielaborazione del comune passato di guerra.
È necessario sviluppare una comune cultura del ricordo, orientata ad un futuro comune migliore. Noi tutti, italiani e tedeschi, dovremmo impegnarci attivamente in prima persona.
Cari amici.
Da più di due generazioni i tedeschi e gli italiani vivono in pace, cittadini dell’Unione Europea. Insieme ai nostri amici canadesi e a molti altri popoli lavoriamo fianco a fianco nei reparti della NATO e dell’Unione Europea in molte missioni all’estero, nei Balcani così come in Afghanistan. Oggi siamo garanti della pace e della libertà, i valori in nome dei quali combattevano i soldati canadesi ed inglesi sessantacinque anni fa, quando attaccarono la fortezza di Ortona. Noi tedeschi siamo oggi dalla ’parte giusta’ della storia, e mettiamo le nostre qualità guerresche al servizio di una buona causa comune, di popoli liberi del mondo, contro la dittatura e l’oppressione, ed é giusto che sia cosí.
Piú di 70 anni fa, nel anno 1937, mio padre fu arruolato nella marina militare tedesca ed addestrato come sommergibilista. Partecipò tra l’altro alla Battaglia nell’Atlantico come comandante del U468. Fu fortunato ed appartiene a quella ristretta minoranza di sommergibilisti tedeschi che sopravvissero alla guerra. Nell’estate del 1943, quando ancora non era stata combattuta la battaglia di Ortona, cadde prigioniero degli inglesi e dopo la guerra venne trasferito in un campo di lavoro in Canada, dove fu tenuto prigioniero fino al 1949. La scorsa settimana ho parlato con lui per telefono. Gli ho detto che oggi avrei partecipato a questa cerimonia con il mio omologo canadese, il Colonnello John Mitchell e molti italiani per tentare di rielaborare la storia. Egli mi incaricò di dirvi assolutamente, che sarebbe rimasto volentieri in Canada, questo bel paese così grande e così lontano, perché lì aveva trascorso un periodo bellissimo, ed era stato sempre trattato con rispetto ed umanità. Il cerchio si chiude.
Io ho avuto più fortuna e sono d’accordo con mio padre, che sarei stato destinato a qualcosa di meglio. Ma sono anche consapevole della fortuna di essere nato in una altra epoqua.
Da allora abbiamo percorso un lungo cammino.
Ma poiché è la strada giusta, dobbiamo sempre continuare a percorrerla insieme alle generazioni che seguiranno.
Ringrazio gli organizzatori della manifestazione di Ortona, per avermi invitato. Ringrazio tutti i presenti, soprattutto tutti i giovani qui presenti, per avermi ascoltato sinora. Auguro a noi tutti un futuro comune di pace.
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