mercoledì 30 gennaio 2019
La Calda estate del 1943 1 Parte
Il
1943 viene generalmente ritenuto come l’anno fondamentale in cui maturano
quegli eventi che segneranno la continuazione di una guerra che, per le potenze
dell’Asse, era, agli inizi del ’43 in
una qualche maniera ancora possibile influenzare, se non altro nelle sue linee
essenziali, ma che alla fine dell’anno era ormai irrimediabilmente segnata.
Il
1943 fu quindi l’anno della svolta, in cui gli eventi presero il sopravvento sulla
capacità della Germania, e soprattutto dell’Italia, a determinare, od anche
prevederne ed indirizzarne gli effetti. Da questo momento in poi un insieme di avvenimenti sia militari che
politici determinarono il corso degli ultimi anni di una guerra ormai
irrimediabilmente perduta.
Vediamo
come si presenta la situazione all’inizio del 1943 dove molti segnali
sembravano addirittura indicare una più
forte reazione della Germania. Segnali che determinarono per certi versi l’idea
di una guerra che poteva ancora essere vinta, quando in realtà sarebbe stato
anche solo difficile per l’Italia uscirne, come infatti fu.
Albert
Speer nominato nel 1942 Ministro degli Armamenti in ragione della sua capacità
organizzativa e utilizzando senza alcuna remora morale lo sfruttamento di
milioni di lavoratori-schiavi riuscì dal 1943 a portare la produzione di armi della
Germania a livelli impensabili. Ma la grande produzione, che aumentava sotto i
bombardamento alleati, veniva ingoiata dal fronte orientale dove la Wermacht ed i corpi di
spedizione degli alleati tedeschi si dissanguavano su di un fronte smisurato
come quei sogni di grandezza che un Fuhrer richiuso in un bunker in Prussia
stava tramutando in un incubo per il mondo.
L’Armata
Rossa avrebbe però inflitto a Stalingrado, la più grande e disastrosa delle
sconfitte alla 6° Armata di Von Paulus che si arrese il 2 febbraio 1943. Il
giorno dopo essere stato promosso feldmaresciallo Von Paulus anziché
suicidarsi, come era nelle intenzioni di Hitler, si arrese ai Russi. Anche
questo un segno dei tempi che andavano maturando.
E
forse qualcosa avrebbe potuto anche essere diverso, se i tedeschi avessero
preso Stalingrado l’Unione Sovietica si sarebbe potuta ritirare dal conflitto,
ovvero le Armi segrete e la guerra sottomarina avrebbero potuto essere
risolutive. Ma questo sono i “SE” della Storia e la Storia , come ben sappiamo,
si costruisce sui fatti anche se i “SE” sono un utile esercizio di speculazione
adatto a tratteggiare lo svolgere degli eventi.
A
questo punto mi sembra opportuno citare Arrigo Petacco nella sua “Storia della
II Guerra mondiale”, che afferma come:“Il
1943 insomma, si può considerare l’anno chiave del conflitto, l’anno in cui tutti
i giochi vengono giocati, tutte le battaglie vinte o perdute, l’anno in cui
l’esito della guerra viene deciso. “
Ed è
quindi partendo da questa considerazione che ritengo centrale, che intendo affrontare
il discorso sul 1943 in
Italia. Un discorso che inizia alla fine del 1942 e precisamente a l’8 novembre
1942 quando, come abbiamo visto, cogliendo di sorpresa l’Alto Comando tedesco e
gli Italiani, gli Alleati sbarcano in Africa settentrionale e precisamente in
Marocco ed Algeria.
Dopo
circa 6 mesi, a maggio del 1943, la testa di ponte dell’Asse a Tunisi crolla ed
ora gli Alleati possono osservare le coste siciliane da cui solo un lembo di
mediterraneo li divide. Coste ormai sguarnite perché come sottolinea Liddle
Hart “Con la scomparsa di 8 divisioni
catturate in Tunisia, compresi quasi tutti i veterani di Rommel e la parte
migliore dell’Esercito Italiano, l’Italia e le isole italiane rimasero quasi
del tutto prive di copertura difensiva.”
Da
questo momento inizia per le forze dell’Asse, lo scorrere del tempo, sempre più
veloce, come una frana che si trascinerà via il nostro Paese nell’arco di una
estate, la fatidica estate del 1943.
L’Asse
si attende quindi l’invasione della così detta “fortezza europa”. Una attesa
resa sempre più nervosa anche perché l’ampiezza delle conquiste Hitleriane
rendeva difficile, se non impossibile, non solo difendere ma anche soltanto
prevedere il settore che sarebbe potuto divenire oggetto dell’attacco. In
particolare oltre al settore della Manica, l’OberKommando der Wehrmacht (OKW) poteva
attendersi uno sbarco in un punto qualsiasi del fronte meridionale tra Spagna e
Grecia. Lo stesso Hitler riteneva peraltro più probabile uno sbarco in Sardegna
anziché Sicilia, da considerare un trampolino per la Corsica e base ideale per
poi balzare in Italia o nel Sud della Francia. A questo punto, seguendo gli
scritti di Hart, mi preme sottolineare una questione che poi troveremo più in
avanti. Seguendo la sua ipotesi Hitler, ingannato anche da abile manovre del
controspionaggio inglese, sposta la 90° divisione Panzer Grenadier in rinforzo
delle 4 Divisioni italiane in Sardegna granatier ed un intero corpo aereo l’XI,
composto di due divisioni paracdutisti, nel sud della Francia, pronti a
contrattaccare in caso di sbarco in Sardegna. Altro elemento che Hart sottolinea
è che comunque l’intero dispositivo difensivo in Sardegna soffriva di problemi
logistici perché “quasi tutte le banchine
dei porti utilizzabili erano state distrutte dai bombardamenti aerei alleati.”
Ritengo importante sottolineare questo, perché come sappiamo, al momento
dell’armistizio la flotta italiana fu indirizzata verso la Sardegna dove avrebbe
dovuto riparare, cioè precisamente dove il dispositivo tedesco era stato
rafforzato. Un evento che mi limito segnalare nella sua prima evidenza
lasciando a chi lo ritiene l’opportunità di approfondirlo. Ricordo che il 9
settembre proprio in quel lembo di Mediterraneo fu affondata la Corazzata “Roma”, dove
trovò la morte l’Ammiraglio Bergamini.
E se
“… il 1943 potrebbe essere definito
sinteticamente come l’anno dell’incertezza e dell’inquietitudine.” (Gen Blumetritt ,
come citato da Hart), per quanto
riguarda l’Italia, questo stato è destinato ben presto a trovare una
definizione, una tragica definizione.
Per
fronteggiare un possibile sbarco in Sicilia i Tedeschi offrirono comunque 5
divisione fresche e bene equipaggiate, ma Mussolini fu sempre riluttante,
perché così come ricorda Liddell Hart nella sua “Storia militare della II
guerra mondiale”, “Mussolini non voleva
che il mondo ed il suo steso popolo vedessero che egli era ridotto a dipendere dall’aiuto tedesco….. Ma
c’era anche una altra ragione: non gli sorrideva affatto l’idea che i tedeschi
acquistassero in Italia una posizione dominante. Ansioso come era di tenere
lontani gli Alleati, egli era altrettanto ansioso di tenere lontano i
tedeschi”. Questa riserva mentale continua ad essere oggettivamente
importante, così mentre il Gen Roatta Capo di Stato Maggiore dell’Esercito
spingeva per avere rinforzi, e quindi valutava l’aspetto militare; le scelte di
strategia generale erano indubbiamente di natura politica, di una particolare
natura politica che sottaceva una sempre mal celata cautela nei confronti
dell’alleato tedesco anche da parte del Capo del Fascismo. Interessante a
questo proposito è il testo del promemoria “segretissimo” del Duce per il Re,
del 31 marzo 1940, citato negli scritti di Coltrinari-Prinzi “L’Italia
dell’armistizio”, laddove emerge una visione peculiare della posizione dell’Italia
che “non è lontana dai teatri di
operazione, come il Giappone o gli Stati Uniti, l’Italia è in mezzo ai
belligeranti, tanto in terra, quanto in mare. Anche se l’Italia cambiasse
atteggiamento e passasse armi e bagagli ai franco inglesi, essa non eviterebbe
la guerra immediata con la
Germania , guerra che l’Italia non può sostenere da sola, ed è
solo l’alleanza con la
Germania , cioè uno Stato che non ha ancora bisogno del nostro
concorso militare e si contenta dei nostri aiuti economici e della nostra
solidarietà morale, che ci permette il nostro attuale stato di no
belligeranza.” Una Alleanza imposta
dalla necessità che si cerca di far fruttare con la definizione di una “terza
via” della “guerra parallela a quella
della Germania per raggiungere i nostri obiettivi che si compendiano in questa
affermazione: libertà sui mari, finestra sull’oceano”. Una “terza via”
piuttosto esile che non resse alla prova dei fatti.
Ma
torniamo agli eventi del 1943, l’anno in cui i conti di una “terza via” dovettero
essere saldati da parte di un regime che si muoveva sempre più in difficoltà
nell’ambito di spazi di manovra che la crisi dell’Asse rendeva sempre più
esigui.
Ed
il regime inizia il suo percorso di consapevolezza, “Si dice che io sarei finito, svanito, spacciato. Ebbene lo si vedrà.
Da sabato prossimo comincia la terza ondata”, (Arrigo Petacco, “La seconda
guerra mondiale”), queste sono le parole di Mussolini il 14 aprile 1943 dopo
aver provveduto ad un rimpasto di governo, esonerando Galeazzo Ciano ed
assumendo anche l’incarico di Ministro degli Esteri (6 febbraio 1943), ed alla
vigilia della nomina a segretario del Partito Nazionale Fascista di Carlo Scorza (19 aprile 1943).
Poco
più di tre mesi dopo, il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del Fascismo, organo
che il regime ha voluto inserire all’interno dell’ordinamento costituzionale
dello Stato, chiederà al Re di riassumere il suo incarico di Comandante delle
Forze Armate.
Gli
Alleati erano sbarcati il 10 luglio 1943 in Sicilia ed il 17 agosto 1943 il Gen.
Patton entrerà a Messina.
Il
26 luglio 1943 il Re “accetta” le dimissioni di Mussolini che esclama:“Allora tutto è finito?..Tutto è finito! E
che ne sarà di me e della mia famiglia?”. (Arrigo Petacco, “La seconda
guerra mondiale”).
Con
questo inizia una lunga fase di disgregazione di un Paese disorientato, in cui
la guerra continua a fianco dell’alleato germanico, e dove, da ora in poi,
nulla è più quello che sembra, o quello che sembra non è quello che è. Inizia
una lunga partite di simulazioni e dissimulazioni che vede al tavolo di gioco
il governo Badoglio che cerca, secondo schemi logici e politici probabilmente
non più adeguati ai tempi, di portare fuori il Paese della sabbie mobili,
cercando di non pagare alcun conto salvando contemporaneamente l’Italia, la
casa regnante e la classe dirigente compromessa in una sconfitta i cui effetti
sono ancora solo parzialmente visibili.
All’altro
lato del tavolo siedono gli Alleati di un tempo che si prestarono alla commedia
che diveniva tragedia per guadagnare tempo “Badoglio
insiste nel dire che nulla è cambiato nei nostri confronti. Naturalmente io non
ci credo ma forse è opportuno agire in maniera da non destare sospetti” dice
Hitler nella riunione del suo quartier generale il 26 luglio 1943 quando
progetta di “….occupare la città, e di
arrestare tutta la baracca: il governo, il Re e tutto quel marciume.” (Arrigo
Petacco, “La seconda guerra mondiale”).
E
quindi iniziano a far entrare divisioni in Italia dai passi alpini, tanto che,
nella guerra degli equivoci, il Gen. Ambrosio Capo di stato Maggiore Generale,
disse al feldmersciallo Keitel “abbiamo
l’impressione che voi abbandoniate le forze nell’Italia meridionale, ne
concentriate attorno a Roma e le allineate dalla liguria lungo l’Appennino come
se, cambiando il concetto operativo, consideraste il territorio italiano solo
un bastione della difesa della Germania” (Arrigo Petacco, “La seconda
guerra mondiale”).
Infine
le Nazioni Unite, già perché solo quattro giorni dopo la caduta del fascismo il
Gen. Eisenhower si rivolse all’Italia in un messaggio radio in questi termini “Ci compiaciamo con il popolo italiano e con
Casa Savoia per essersi liberati da Mussolini, l’uomo che li ha coinvolti in
guerra come strumento di Hitler e li ha portati sull’orlo del disastro. Il più
grande ostacolo che divideva il popolo italiano dalla Nazioni Unite è stato
rimosso dagli italiani stessi… voi volete la pace, voi potete avere
immediatamente una pace a condizioni onorevoli… il vostro ruolo consiste nel
cessare immediatamente ogni assistenza alle forze germaniche nel vostro Paese”
(Arrigo Petacco, “La seconda guerra
mondiale”). Un esempio di comunicazione efficace che avrà ripercussioni molto
maggiori della situazione contingente laddove, per motivi tattici che
diverranno strategici, si preoccupa di dividere le responsabilità del regime da
quelle dello Stato e del popolo, una modello pratico e su larga scala di
psicologia delle masse che contemporaneamente pone la nuova dirigenza italiana
in una situazione difficile nei confronti dei Tedeschi, e, soprattutto, nei
confronti del popolo italiano.
Gli
Alleati accettano pertanto di giocare una partita complicata che per loro ha
una valenza soprattutto interna per le proprie opinioni pubbliche “Non badi alla durezza della clausole di
armistizio, esse sono fatte per l’opinione pubblica dei nostri Paesi più che
per il vostro. Se voi starete lealmente al nostro fianco, i termini reali di
esso saranno ben diversi da quelli formali. Abbiate fiducia in noi e questo
sarà il modo migliore per averla in voi stessi.” (Gen.Badell Smith Capo di
Stato Maggiore di Eisenhower, citato da Arrigo Petacco, “La seconda guerra
mondiale”).
(Continua al post seguente)
venerdì 18 gennaio 2019
La Calda estate del 1943 2° parte
Michele Cuccaro
(continuazione dal post precedente)
Ma
la fiducia era proprio la cosa che più scarseggiava in quei tempi ed i processi
decisionali italiani per troppo tempo incanalati in angusti spazi di manovra
non riuscivano, in così poco tempo, a riprendere l’iniziativa perdendosi in una
moltitudine di valutazioni molto spesso fini a se stesse.
La
ricostruzione fatta da Arrigo Petacco delle trattative sull’Armistizio ne tratteggia
l’atmosfera. Il governo Badoglio pensò, per la durata dei negoziati, di avere
delle carte in mano da giocare, considerazione questa che il Gen. Castellano
che condusse le trattative più volte chiari come effimera. Il Governo
continuava a chiedere di essere difeso dai Tedeschi ed a chiedere uno sbarco
nei pressi di Roma per la difesa della città. Gli Alleati avevano posto i
termini di un armistizio e l’unica cosa che volevano sentire era un si oppure
un no. Avrebbero aviotrasportato una divisione per la difesa di Roma a patto
che gli italiani avessero assicurato il loro appoggio, ma ciò non fu possibile,
le forze italiane non sarebbero state in grado di difendere la capitale e
supportare la divisone americana. Lo stesso Gen. Taylor, vice comandante della
“Airborne”, si recò a Roma per discutere i termini dell’aiuto Alleato alla
difesa della Capitale, ma si trovò di fronte uno strano atteggiamento dei
vertici, lo stesso Badoglio disse che “..Le
nostre truppe non sono in grado di difendere Roma. Non solo ma aggiungo anche
una altra cosa: se l’armistizio viene annunciato ora i tedeschi occuperanno
subito la città e vi insedieranno un regime fascista.” (Arrigo Petacco, “La
seconda guerra mondiale”). Badoglio
stesso chiese un rinvio dell’annuncio dell’armistizio che doveva coincidere con
la sbarco degli Alleati che sarebbe avvenuto a Salerno. Questo nella
convinzione che tutto sarebbe avvenuto il 12 settembre. Ma questa convinzione
da dove nasceva? Probabilmente da considerazione del Gen. Castellano tratte da
sue valutazioni, anche se non deve essere comunque escluso che mai gli Alleati
si fidarono degli italiani e che quindi nulla fu detto in merito allo sbarco ed
alle sue modalità.
Gli
Alleati non si fidavano e quindi tacerono informazioni importanti, gli italiani
tentarono un ultimo disperato doppio gioco chiedendo l’aiuto alleato per la
difesa della capitale, ma siccome non si fidavano, non vollero probabilmente
prendere parte diretta sin dall’inizio all’operazione di difesa, per non scoprirsi
apertamente nei confronti dei tedeschi. Dove finisca la verità e dove inizi la
ricostruzione che, siccome fatta a posteriori, è necessariamente carente, forse
a questo punto non siamo più in grado di dirlo.
I
Tedeschi avevano già spostato la 2° divisione paracadutisti del Gen Student a
Ostia che, assieme alla 3° divisione granatieri avrebbe avuto il compito di
disarmare le forze italiane ed entrare a Roma (Liddle Hart, Storia militare
della seconda guerra mondiale). Ma l’esito avrebbe potuto essere molto
differente se, come dice Hart, “…gli
italiani fossero stati altrettanto abili nell’agire quanto lo erano stati nel
recitare..” dissimulando i loro reali propositi, ma, e questa è la tesi
centrale del libro Coltrinari-Pizzi, per chi era la recita, cosa dovevano
dissimulare, e fin dove, aggiungo, gli attori hanno pensato di arrivare? Forse
si sono spinti altre la soglia in cui chi recita non riesce più a distinguere
tra finzione e realtà fino a divenire prigionieri del proprio ruolo, proprio
come accade a quegli attori che per troppo tempo hanno recitato un solo ruolo
di successo e qualsiasi tentativo di uscirne non si traduce in altro che in un
fallimento. Forse.
Il 3
settembre 1943 gli uomini di Montgomery attraversano lo stretto di Messina, e
gli italiani firmano alle 17.15 l’armistizio a Cassibile.
Alle
18.30 del 8 settembre 1943 la radio di Algeri da notizia dell’armistizio,
messaggio ripetuto dalla BBC alle 19.20. Alle 19.45 Badoglio alla radio
annuncia la capitolazione. Alle ore 04.00 della mattina del 9 settembre un
corteo di auto con targa diplomatica lascia Roma. E’ interessante notare che,
secondo la ricostruzione di Arrigo Petacco, ancora il 5 settembre 1943 il piano
era quello di difendere il Ministero della Guerra dove si sarebbero recati
Badoglio ed il re in caso di attacco, ma che già il 6 settembre tutto fu
superato perché era stato deciso di recarsi fuori Roma. Importante sottolineare
che il Gen. Taylor svolse il suo sopralluogo per l’avio sbarco a Roma il 7 settembre. Quindi, stando a questo
dati, sembrerebbe che quando giunse a Roma il Gen.Taylor per discutere la
fattibilità del piano americano di difesa della capitale, l’idea della difesa di
Roma era già stata abbandonata dal governo sin dal giorno prima.
All’annuncio
dell’armistizio le forze italiane si ritirano a Tivoli e dopo una trattativa
con i tedeschi si arrendono nel quadro di un accordo che considererà Roma
“città aperta”.
Inizia
questo punto la storia ancora più drammatica della guerra sul territorio del
nostro Paese dove fino alla fine della conflitto si affronteranno Alleati,
Tedeschi ed Italiani contro italiani.
Si è
dissolto il regime fascista quel regime che gli scritti di Coltrinari-prizzi
hanno identificato come l’ultimo, estremo, tentativo di fermare l’evoluzione
dei tempi, di restaurazione delle antiche forme in cui il progresso tecnologico
che ha fatto il suo ingresso nel corso della I guerra mondiale viene vissuto
come sfida verso il futuro ma contemporaneamente come fattore di sovversione da
tenere sotto controllo per la possibilità di accesso che lo stesso promuove nei
confronti di vasti strati sociali che fanno della conoscenza uno strumento di
promozione sociale. Lo stesso Aldo valori nel 1923 affermava che “L’ultima guerra ha avuto carattere
democratico, nel senso che per combatterla si è dovuto fare appello alla
collaborazione di tutte le forze e di tutti gli starti sociali…..si vuole
accentuare nel futuro questa tendenza? Oppure si vuole, e volendo di può,
ricondurre quei rapporti verso antiche forme…”[1].
Si
chiude a questo punto un anno che porta con se una epoca e probabilmente un
tentativo di imporre alla storia un corso diverso. Un tentativo che si è svolto
in Europa da parte di due regimi che fecero del progresso un arma contro il
progredire dei tempi credendo di poter imporre una direzione al corso degli
eventi che si sviluppano sull’onda della Storia e che l’uomo può solo tentare
di interpretare con l’illusione di guidare la storia ma più spesso guidato dalla
Storia che in certi uomini, in determinate epoche, trova unicamente i suoi
interpreti, anche tragici.
Bibliografia
- “Storia militare della seconda guerra
mondiale”, B.H. Liddle Hart, Mondadori 2009;
- “La seconda guerra mondiale”, Arrigo
Petacco, Armando Curcio editore 1979;
- “L’Italia dell’Armistizio”,
Coltrinari, Prinzi
[1] Aldo Valori “Problemi
militare della nuova Italia” Casa Editrice PNF, Milano 1923 citato da
Coltrinari-Prizzi “L’Italia dell’Armistizio”.
martedì 8 gennaio 2019
Indici Statistici alla data del 18 dicembre 2018
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