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domenica 22 dicembre 2013
Auguri
Agli amici ed ai lettori di questo blog
venerdì 13 dicembre 2013
C.I.L.: gli armamenti individuali e di reparto
La solita vecchia storia: tutto si deve adattare
Prima di procedere ad una disamina degli armamenti in dotazione al
C.I.L. bisogna sicuramente ricordare come il reparto, proveniente dal disciolto
1° Raggruppamento Motorizzato, abbia ereditato nella prima fase dei
combattimenti gli armamenti del soppresso reparto. Con tali dotazioni, armato
soprattutto di non comune spirito di sacrificio e tanta volontà, il C.I.L. è riuscito a
caratterizzare il proprio impegno nella campagna della primavera del 1944, in particolare nelle
regioni adriatiche delle Marche ed Abruzzo.
Le
maggiori lacune del CIL erano dovute alla cronica deficienza di automezzi, alla
scarsità delle
artiglierie
e alla assoluta mancanza di mezzi
corazzati per il combattimento, oltre
alla deficienza delle dotazioni d’armamento, sia individuali che di reparto, anche
nell’equipaggiamento le risorse erano davvero limite e poco efficienti, potendo
i reparti far fronte ad un limitato munizionamento capace di non superare la
soglia massima di venti giorni di combattimento.
Del Corpo Italiano di Liberazione
fecero parte:
- un Reggimento di fanteria: il 68°
su due battaglioni (forza circa 1.800 uomini);
- un Reggimento
bersaglieri: il 4° su due battaglioni, XXIX e XXXIII (forza circa 1.250 uomini
) ;
- un Reggimento artiglieria: l'11°su
tre gruppi (forza circa 600 uomini)
- un battaglione paracadutisti: il CLXXXV su
tre compagnie (forza circa 450 uomini)
- un battaglione alpini:
il "Piemonte", con una btr. da 75 mm . someggiata (forza circa 600 uomini);
- un battaglione arditi: il IX
reparto d'assalto (circa 600 uomini)
- unità dei Carabinieri, del Genio e dei Servizi.
Era un complesso di forze di tutto rispetto.
In particolare
gli armamenti di cui era dotato il CIL erano tipici di dotazioni di brigate
miste nelle quali però è da sottolineare che il rapporto tra gli elementi di
manovra (fanteria) ed elemento di fuoco pesante (artiglieria) era tutto a favore del primo.
Tale situazione
sottolinea l’importanza rivolta alla manovra in un momento in cui l’avanzata
era in fase di assumere un ritmo celere.
In totale i gruppi di artiglieria compresi quelli
della divisione Nembo e delle brigate dipendenti erano di 10 unità di fronte ai 14 battaglioni
di fanteria.
Salvo qualche variante di
marginale rilievo fu questo l’ordinamento del CIL di fatto mantenuto fino al
suo scioglimento. In particolare l’attività bellica del CIL fu condotta con
armamenti tipici di reparti di fanteria più un nutrito ma obsoleto parco di
pezzi di artiglieria, disponibile in diversi calibri. Assai lamentata è inoltre
la mancanza di mezzi corazzati che al contrario, il nemico tedesco, seppur in
ritirata disponeva in maniera
significativa.
In attesa che il Comando alleato affidi i mezzi corazzati,
lo Stato Maggiore Italiano, cerca di ottenere un carro M13/40 dal Centro Studi
Motorizzazione, un semovente con pezzo da 75 , un auto blindo e due semoventi
con pezzi 105 e per ultimo 8 auto blindo da disciolti corpi stanziali in Roma,
ma il C.I.L. sarà sciolto prima che questi mezzi vengano assegnati.
Le armi di dotazione personale del CIL comuni
ad entrambe le specialità erano il moschetto mod.91 e il M.A.B. 38 A
(ritenuto migliore dei mitra alleati distribuiti), gli ufficiali avevano in dotazione le loro
Beretta 34 cal. 9 corto, inoltre alcuni militari erano armati con moschetto
automatico. Le dotazioni di reparto tipiche di un segmento di fanteria erano
invece costituite da:
-
fucili mitragliatrici;
-
mitragliatrici Breda;
-
bombe a mano SRCM;
-
mortai 45/81 – 47/82;
I reparti di
artiglieria erano invece equipaggiati con :
- 3 gruppo con
pezzi da 75/13 ( noto come gruppo someggiato),
- 3 gruppi con
pezzi da 75/18;
- 2 gruppi con
pezzi da 100/22;
- 2 gruppi con
pezzi 105/28
- 3 batterie
da 20 mm
c.a.;
- 4 batterie
57/50 contro carri;
- diverse
compagnie dotate di pezzi da 47/32
Bisogna in ultimo ricordare che successivamente
allo scioglimento il CIL sarà interamente riarmato con dotazioni di nuova
fabbricazione in uso alle truppe inglesi, dalle quali oltre agli armamenti
riceverà anche le divise e tutte le ulteriori dotazioni necessarie al nuovo
armamento dei gruppi di combattimento.
Dunque aspetto singolare è
l’estrema versatilità con cui i reparti combattenti, fino alla battaglia di
Filottrano utilizzano armi e mezzi di produzione nazionale, passando
successivamente ad affrontare le altre campagne con nuovi armamenti ed anche
con divise degli alleati, sperimentando direttamente sul campo le nuove
dotazioni affidate.
In conclusione per quanto in
ultimo accennato, volendo adottare un azzardato parallelismo con quanto oggi avviene, secondo le nuove
dottrina di sperimentazione degli armamenti, dove gli stessi sono testati e
adottati direttamente in teatro, si può sicuramente affermare che il glorioso
CIL, inconsapevolmente ma sicuramente con i risultati che oggi sarebbero più
che mai attuali, il reparto con l’utilizzo in combattimento dei nuovi e diversi
armamenti degli alleati, è stato precursore di tale teoria adottando inoltre,
come nel caso del fucile mitragliatore MAB 38 scelte sulle sua capacità di
fuoco rispetto all’omologo armamento proposto dagli alleati.
BIBLIOGRAFIA
- Conti G. “Il 1° Raggruppamento motorizzato Italiano(1943-1944)”, Stato
Maggiore Esercito, Ufficio storico, Roma 1984.
- Crapanzano S.E. “Il Corpo italiano di Liberazione
(aprile-settembre 1944)” , Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico, Roma
1971.
- Coltrinari M. “31 marzo 1944: Monte Marrone”
martedì 3 dicembre 2013
Abbiamo perso un amico. Ricordo di Carmelo Testa
E' spirato nel capoluogo irpino Carmelo Testa, presidente del Comitato ANVGD di Avellino. Fiero sostenitore della causa degli esuli, nativo di Pola, non ha rinunciato fino all'ultimo al suo battagliero impegno per la nostra Associazione, nonostante una terribile malattia progressiva. Fu anche combattente nella difesa dell’italianità dell’Istria, tanto da ricoprire fino alla morte anche la carica di presidente della Federazione Combattenti e Reduci di Avellino.
Le comunità ANVGD si stringono intorno alla famiglia, nel ricordo di un simbolo di grande umanità, coraggio e indomito orgoglio delle proprie origini. La sua dedizione nel ricordare continuamente e con passione le nostre vicende storiche, ai più alti livelli istituzionali, hanno rappresentato in Campania un punto fermo per decenni.
© ANVGD Sede nazionale
Carmelo testa è stato anche un Combattente della
della Guerra di Liberazione,
nel C.I.L.
e
nei ranghi del gruppo di Combattimento "Friuli"
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venerdì 22 novembre 2013
C.I.L: . Gli Equipaggiamenti
Il presente elaborato si prefigge
di analizzare lo stato degli equipaggiamenti in dotazione alle truppe del Corpo
Italiano di Liberazione (C.I.L.) durante la 2^ Guerra Mondiale nella cosiddetta
“Campagna d’Italia”. Per quanto riguarda gli equipaggiamenti, per definizione
ci riferiamo alle divise, compresi fregi, mostrine e gradi, alle calzature,
alle buffetterie e cinturoni, all’elmetto e agli zaini.
Come
premessa, va ricordato che il C.I.L. opera nell’Italia centrale tra l’aprile e
il luglio 1944, al fianco delle truppe alleate impegnate sulla linea “Gustav” e
in seguito fino alla linea “Gotica”, nella campagna militare per la liberazione
dell’Italia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. La sua costituzione segue
le azioni del I Raggruppamento Motorizzato Italiano che, nato già a fine
settembre del ’43, dopo i primi combattimenti di Montelungo, nel Marzo ‘44 si
era distinto sul Monte Marrone, prima conquistando e poi mantenendo, nonostante
la controffensiva tedesca, la vetta con il battaglione alpino “Piemonte” e il
185° battaglione paracadutisti “Nembo”. I comandi alleati, sotto la spinta non
solo tattica quanto morale, dei risultati ottenuti, autorizzano quindi la
creazione del C.I.L. che passa dai 5000 uomini del Raggruppamento Motorizzato,
prima a 9000-10000 fino a 25.000 unità, sotto il comando italiano del Gen.
Utili. Ambiente operativo in cui i soldati italiani sono chiamati ad operare è
quello dei monti del basso Lazio prima (Mainarde) e poi, nel settore adriatico,
del Molise e dell’Abruzzo, in una stagione ancora invernale, caratterizzata in
quota da neve e temperature rigide, ma che nel proseguo delle operazioni, che
si protrarranno in primavera ed estate, migliorerà dal punto di vista climatico.
Lo Stato
Maggiore italiano, nell’ottobre 1943, ha la necessità di approntare rapidamente
queste unità combattenti, poiché incombono le esigenze operative che
coinvolgeranno le truppe italiane al fianco degli alleati. Supportare
logisticamente il I Raggruppamento Motorizzato e poi, nell’Aprile ’44, una
forza ancor più consistente di soldati che compone il C.I.L., è subito impresa piuttosto ardua per il
comando italiano, considerando che le truppe vengono da più di tre anni di
conflitto su altri fronti ed un periodo di sbandamento seguito all’8 settembre,
in cui molti materiali di equipaggiamento sono andati perduti. I magazzini
presenti sul territorio italiano del sud liberato sono svuotati dagli alleati
per rifornire i partigiani di Tito in Jugoslavia, poiché ancora non ha preso
piede l’idea di creare un corpo italiano da affiancare alle truppe alleate,
risorto sulle ceneri dell’ex-esercito nemico. L'Intendenza della 7^ Armata,
l'unico grande comando ancora efficiente nell'Italia occupata dagli Alleati, si
ritrova con un enorme numero di tenute coloniali complete nei magazzini di
Napoli. Proprio con queste uniformi vengono riforniti gli uomini del
Raggruppamento Motorizzato, che ancora indossano le lise divise grigioverde e
gli equipaggiamenti in dotazione durante gli eventi bellici della prima parte
del secondo conflitto mondiale. Inizialmente viene cucito al petto lo scudo
sabaudo, che inviso alle popolazioni locali, sarà motivo di polemiche
sull’opportunità di adottarlo, mentre sono mantenute le mostreggiature e le
spalline coi gradi. Il completo
estivo si compone di un camiciotto sahariano ed ampi pantaloni da serrare sotto
il ginocchio con le fasce mollettiere. La sahariana, che era stata utilizzata
in Africa, ha un colletto ampio guarnito con le mostreggiature, è dotata di
quattro tasche ed è aperta fino allo sterno. Tre bottoni, il primo dei quali
sempre slacciato, chiudono la giubba. Sotto il camiciotto di tela, i militari
mettono spesso la camicia grigioverde che a dicembre non deve rappresentare
proprio la soluzione perfetta. In relazione agli equipaggiamenti e al
vestiario, i soldati del C.I.L. hanno quelli ereditati dal I Raggruppamento e
il problema degli equipaggiamenti resterà, per tutto il periodo in cui il
C.I.L. opera, ancora insoluto. Taluni come i paracadutisti del Nembo, hanno la
divisa estiva caki, mentre gli altri battaglioni conservano la divisa invernale
grigioverde con il pastrano. Per quanto riguarda le calzature, molti hanno solo un paio di scarpe ed altri
neanche quelle (Fig.1). Alpini e bersaglieri mantengono il copricapo
tradizionale, mentre l’elmetto utilizzato è il tipo M33 in dotazione alle
truppe del Regio Esercito (Fig.2) e il
tipo M42 per i paracadutisti. A testimonianza della scarsità degli
equipaggiamenti, riportiamo una richiesta che il Comando Italiano inoltra a
fine Novembre 1943, agli organi superiori, in cui si richiedevano mantelle
anti-pioggia (gabbani impermeabili) per
le sentinelle di guardia.[1]
Sia il
Raggruppamento prima che in seguito i reparti del C.I.L conducono quindi le
operazioni che abbiamo ricordato, utilizzando gli equipaggiamenti italiani
originari. Tale materiale all’inizio delle operazioni è in realtà già usurato,
venendo, come detto, da un periodo di guerra e poi di mancato reintegro, e appare
da subito insufficiente sia ai comandi italiani che agli osservatori alleati;
prima dell’inserimento in linea, le truppe alleate, con l’intento di testare la
capacità operativa del Raggruppamento, effettuano il 2 novembre 1943 una
esercitazione, i cui esiti dimostreranno, come riportato nei commenti dei
vertici di comando, che il morale delle truppe italiane è molto buono ma i
materiali in dotazione particolarmente scarsi.[2]
Nonostante
questa carenza, il CIL porta a termine, inquadrato nello schieramento alleato,
brillanti operazioni militari e, sorprendentemente, avanza nella liberazione
del territorio abruzzese , in pochi mesi, fino alle Marche.
Dopo la
battaglia di Filottrano e la liberazione di Ancona (Fig.3,4), il C.I.L. appare
però stremato e logorato negli uomini e nei mezzi, tanto da richiedere una
riorganizzazione ordinativa che vedrà la nascita dei Gruppi di Combattimento.
che riceveranno dagli alleati nuovi equipaggiamenti. Infatti i soldati italiani
che fanno parte di queste unità , oltre alle armi in dotazione all’esercito
inglese, avranno, come nuovo equipaggiamento, il classico elmetto a padella,
buffetteria in canapa e le divise inglesi, su cui potranno apporre fregi, gradi
e mostrine italiane. Ovviamente si tratta di un supporto logistico in
armamenti, equipaggiamenti e mezzi che risulta indispensabile per poter
proseguire le operazione delle Grandi Unità italiane, ma che snatura la
caratteristica di nucleo del nuovo esercito italiano che si era avuto con il
C.I.L.: infatti, da una parte, i soldati costituenti i Gruppi di Combattimento
si trovano ad agire indossando divise non del proprio Paese, pur combattendo
sul territorio della propria nazione, e questo incide certamente sul morale e
sulla motivazione degli uomini; d’altro canto, va comunque considerato che,
nelle attività operative, il buono stato dell’equipaggiamento del singolo
riveste una importanza fondamentale sia dal punto di vista strettamente
tattico, per la conduzione delle operazioni, quanto dal punto di vista del
morale del soldato , che combatte meglio se posto nelle migliori condizioni
possibili.
In
conclusione, giova ricordare, per meglio inquadrare il ruolo rivestito dal C.I.L. nelle operazioni militari sul fronte
alleato in Italia, che questa prima Grande Unità, embrione del ricostituito
Esercito Italiano, si trova ad operare
ricca di entusiasmo, per il ruolo che deve ricoprire nella lotta di liberazione
del proprio Paese, ma con equipaggiamenti, come abbiamo in precedenza descritto,
particolarmente scarsi rispetto alle dotazioni degli alleati che è chiamata ad
affiancare. Il fattore numerico, un
corpo di molte migliaia di soldati, solleva notevoli problemi di natura
logistica ai nostri Comandi. Gli alleati probabilmente non tengono in gran
conto l’apporto delle truppe italiane all’offensiva portata avanti sul fronte italiano, non
vedono di buon occhio una sua particolare affermazione sul campo e quindi
privilegiano i rifornimenti verso truppe partigiane, che agiscono sul fronte
oltre le linee nemiche. Gioca qui sicuramente anche la diffidenza verso un
esercito che fino a pochi mesi prima era nemico. Lo Stato Maggiore italiano
altresì chiede ai comandi alleati supporti per reintegrare i materiali ma
preferisce, per dimostrare che ancora possiede capacità operative e nell’intento
di riaffermare i valori nazionali, cercare di sfruttare al meglio materiali e
mezzi di cui dispone, sottraendoli ai vari reparti inoperosi.
Le lacune nell’equipaggiamento, che si sommano ad
altre maggiori deficienze nei mezzi e negli armamenti[3], non
impediscono al C.I.L. di combattere e ottenere risultati sul campo, nonostante
le avverse condizioni ambientali, probabilmente perché composto da soldati
motivati e spinti da un senso di rivalsa, al fine di dimostrare il proprio
valore ed onore ai vecchi nemici, ora alleati.
NOTE
IRM 28 nov. ‘43 n. 527 “Promemoria per il
maggiore Boscardi”, cit . in Conti
G. “ Il
primo raggruppamento motorizzato”
Stato maggiore esercito, ufficio storico, p.84, Roma 1984.
2
Ricchezza A. “Gli alleati guardano,
osse4rvano, si scambiano qualche occhiata ew alla fine concludono che le
possibilità italiane di battersi sono piuttosto modeste. Il molrale è buono,
dicono, ma il materiale, oltre ad essere insufficiente, fa pietà” cit. in
Conti G. “ Il primo raggruppamento
motorizzato” Stato maggiore
esercito, ufficio storico, p.63, Roma 1984.
3 Coltrinari M. “Le lacune maggiori,il CIL le aveva per la cronica deficienza di
automezzi, la scarsità delle artiglierie e la assoluta mancanza dimezzi
corazzati e motorizzati per il combattimento, oltre alla deficienza delle
dotazioni d’armamento, sia individualiche di reparto, e nell’equipaggiamento”.
da “ Il corpo Italiano di liberazione :
da Monte Marrone al Metauro.” su sito web www.anpi.it/patria_2004/04-04/36-37_Coltrinari.pdf
giovedì 14 novembre 2013
C.I.L. I Capi. Comandanti e Sottordini
Dopo l’8 settembre, il vertice politico vede, ancora, quale Capo del
Governo, il maresciallo Pietro Badoglio. Si avvicenderanno, invece, nella
carica di Ministro della Guerra, il generale Antonio Sorice (fino al 15
febbraio 1944), il generale Taddeo Orlando (fino al 17 giugno del 1944) e
l’onorevole Alessandro Cassati (fino al 20giugno 1945). Si avvertiva un “vuoto”
generale di tutela e di sicurezza, nonché di un totale disorientamento fra le
fila dell’esercito, ormai disintegrato sia sul piano organizzativo che morale
(comandanti e soldati erano in balìa di se stessi, e cercarono di rientrare
alle proprie famiglie).
Dai primi giorni successivi all’armistizio, pertanto, sia il Governo
sia i vertici militari italiani, cercarono di convincere gli Alleati
dell’opportunità di affiancare alle forze sbarcate in Italia i nuovi reparti
italiani in via di costituzione. Gli Alleati, infatti, nutrivano ancora
diffidenza e rancore verso gli ex nemici. Non erano pertanto, favorevoli alla
collaborazione con le forze militari italiane, per due ordini di ragioni: una
di natura politica, perché un’eventuale partecipazione militare sul campo di
battaglia avrebbe potuto dare adito a richieste di revisione e di
alleggerimento delle clausole stabilite dall’armistizio; l’altra di natura
pregiudiziale, legata strettamente alla riserva mentale sull’efficienza e
sull’affidabilità delle “nostre truppe” in guerra.Toccava perciò al soldato
italiano rimuovere quello scetticismo, affermare il suo effettivo impegno in battaglia,
e dimostrare di essere ancora in grado di battersi per un ideale.
L’invito fu infine raccolto e la prova del fuoco giunse poco dopo su
Monte Marrone. La sorpresa del Comando Alleato fu pari all’ammirazione.
Fioccarono gli elogi e fu il definitivo convincimento per ammettere gli
italiani al rango di “cobelligeranti”. Tale successo fu reso possibile anche
grazie al carisma di un comandante, il generale Umberto Utili. Egli fu
determinante per la riorganizzazione del I Raggruppamento, del quale assunse il
comando alla fine del gennaio 1944, ma, soprattutto, per la costituzione, nel
successivo mese di marzo, del Corpo Italiano di Liberazione.
Questo elaborato, che si pone l’obiettivo di “passare in rassegna” i capi militari italiani che si distinsero
nei momenti tormentosi conseguenti all’armistizio, non poteva, pertanto, che
riservare al generale Utili, una posizione di primissimo piano. Tale
considerazione non è frutto di patriottismo, ma delle eccellenti qualità umane
e professionali unanimemente riconosciutegli.
Come diceva di lui il generale Antonio Ricchezza, capo ufficio
operazioni del C.I.L. e suo stretto collaboratore: <<…Il generale
Utili, un uomo assolutamente invulnerabile alle atmosfere depresse, prese in
mano le truppe, si dette da fare perché ogni giorno ci fosse un po’più di luce
che nel precedente…era l’uomo più adatto a farlo in tutto l’Esercito italiano
di allora…>>. Utili era un uomo dalla tempra forte e dal carattere
non arrendevole, capace di trasmettere sentimenti alti ai suoi collaboratori.
Seppe infondere fiducia e galvanizzare tutti per la nuova impresa che avrebbe
onorato le armi italiane.
Il generale, nell’assumere il comando, si rivolse così ai suoi
commilitoni: <<…Sono fiero di essere stato destinato a comandarvi…voi
avete dato l’esempio generoso ed avete versato il vostro sangue, che è sempre
qualcosa di più prezioso delle chiacchiere…Ragazzi in piedi, perché questa è
l’Aurora di un giorno migliore…>>. Egli possedeva un intimo senso del
dovere e spiccava nel sapersi assumere le sue responsabilità. Erano innati in
lui i sani principi dell’onore militare, della disciplina e dello spirito di
sacrificio. <<Il generale Utili - come scriveva il generale Paolo
Berardi (Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ) - superava per intelligenza,
fantasia e volontà la media dei nostri generali. Sapeva di valere, era
ipercritico, si prendeva libertà molto spinte di apprezzamenti, e non era
“inferiore comodo…>>. L’espressione “eufemistica” del superiore
sottolinea l’abitudine del generale a rispondere in modo tranciante agli ordini
che non lo persuadevano. Direi che è raro imbattersi in una personalità con il
coraggio di dire la sua in un contesto molto poco libero, come quello
dell’epoca allo studio. Era un uomo che si reggeva da sé, che si faceva ben
volere dai dipendenti, che sapeva imporsi con dignità anche agli Alleati1. Monte Marrone, doveva essere l’emblema della
riscossa italiana.
Il generale Utili si avvalse di questo simbolo con la perspicacia e
l’intuito tipici dei grandi comandanti. Egli seppe attribuire un grande valore
morale a quel fatto d’arme, le cui truppe protagoniste, così valorosamente
distintesi, erano in parte ancora ai suoi ordini. Questo degno soldato italiano
aveva solo 48 anni, ma un’esperienza incomparabile in combattimento. Era,
infatti, insignito di tre medaglie d’argento al valore militare, guadagnate sui
fronti dell’Africa orientale, della Grecia e della Russia. L’atteggiamento di
“inferiore non di comodo” gli era praticamente costato la carriera: nel 1934
era stato espulso dallo Stato Maggiore, per certe sue critiche sull’avanzamento
degli ufficiali.
Questo era Utili: uomo e generale, che per quanto autonomo ed
imprevedibile, sentì sempre sul collo le ultime parole rivolte dal Capo di
Stato Maggiore Generale Messe ai soldati italiani: <<…Vi affido ad un
uomo che sarà avaro del vostro sangue; certo lo spenderà quando sarà
necessario, ma mai invano e mai leggermente…>>.
Non meno prezioso, nella “Guerra di Liberazione”, fu il contributo
fornito dal Battaglione “Piemonte” degli alpini, al comando del maggiore
Alberto Briatore, il quale condusse con lucida strategia, fermezza e
determinazione i suoi uomini alla vittoria. Grazie alla sua consumata
esperienza di comando, aveva letteralmente rovesciato la situazione materiale e
morale del “Piemonte”, portandolo ad un’impresa di guerra di montagna di
assoluto valore. Mostrò così palese a tutti (Alleati compresi), la preparazione
ed il vigore d’esecuzione del suo reparto in battaglia. Briatore sapeva
esaltare il comportamento dei suoi uomini.
Mi piace ricordare, in questo contesto, il memorabile, vibrante elogio,
segnalato con un ordine del giorno, inviato all’indomani della battaglia di
Monte Marrone : <<…Infliggendo all’orgoglioso nemico una lezione
durissima…non vi siete lasciati fiaccare dall’eccezionale sforzo fisico dei
trasporti a spalla sul lungo e penoso percorso…ma avete organizzato e vigilato
la posizione…>>.
La gloria ed il valore non mancarono neanche a Filottrano, dove il 183°
Reggimento paracadutisti, articolato su
due battaglioni, il XV e il XVI , segnò
un’altra epica pagina contro l’occupazione nazista.
L’azione confermò pienamente l’indiscusso valore e la netta ripresa
dei combattenti italiani, esaltando
l’eroico comportamento dei paracadutisti, i cui risultati andarono al di là di
qualsiasi aspettativa. Al comando del colonnello Giuseppe Quaroni, indiscusso leader
carismatico, i parà inflissero al nemico, impaurito e sorpreso dall’inaspettata
“apparizione”, perdite gravissime.
Attento non solo alla
preparazione ed alla formazione militare dei suoi “ragazzi”, ai quali era
portato a rivolgersi con parole che scaldavano il cuore prima che la mente, il
colonnello Quaroni seppe trasmettere a ciascuno il proprio coraggio ed il suo
spirito garibaldino, con lo slancio e la tenacia che ne caratterizzavano
la forte personalità. Il suo Reparto,
come tipico della tradizione alpina, seppe immedesimarsi alla personalità
trainante del suo comandante, mostrando ancora quel valore che ha sempre
distinto le nostre truppe di montagna, uomini abituati ad agire in condizioni
estreme (in questo caso non solo per l’ambiente).
Questi comandanti, insieme ai soldati di ogni grado, che hanno
sacrificato e rischiato la loro vita nella “Guerra di Liberazione”, ci hanno
restituito “l’Aurora”, il nostro giorno migliore, donando al nostro Paese la
dignità degli uomini liberi, quella libertà di cui , tutti noi godiamo da più
di sessant’anni.
Per i comandanti di oggi, questi Ufficiali sono degli esempi di
comportamento. Soldati che hanno saputo essere d’esempio in un clima di
assoluto abbandono e di crollo improvviso dei valori nei quali si era creduto
per lustri. Lo spirito d’iniziativa ed il coraggio sono caratteristiche
necessarie dei militari.
Io ritengo che gli Uomini di cui ho parlato abbiano interpretato il
loro dovere con dignità e valore. Quel dovere di fedeltà non alle Istituzioni
formali, che non avevano retto all’urto dei tempi, ma a quel Popolo di cui
erano figli, a quegli Italiani di cui sono giustamente divenuti un modello,
nello spirito dell’Italia risorta.
lunedì 4 novembre 2013
C.I.L.: Il Corpo di Spedizione Francese in Italia. Inquadramento del I Raggruppamento Motorizzato e del C.I.L:
Costituito in Africa settentrionale nell'anno 1943, il C.E.F.I era composto da militari
provenienti da differenti aree regionali e anche da differenti religioni .
La grande
maggioranza dei combattenti della C.E.F.I. era di origine musulmana,
" truppe di primo ordine, particolarmente
adatti per eccellenza al combattimento in montagna “ (De Gaulle).
Il comando ne fu
affidato al Generale d’Armata
Alphonse JUIN (1888-1967), Maresciallo
della Francia.
Le Grandi Unità
francesi del C.E.F.I sbarcate in Italia tra il 1943 - 44 furono:
-
1
D.M.I (Divisione di Marcia di fanteria), chiamata anche 1 D.F.L, Divisione
francese Libero, generale Brosset.
-
2
D.I.M (Divion di fanteria marocchina), generale Dody,
-
3
D.I.A (Divisione di fanteria algerina), generale di Montsabert,
-
4
D.M.M, Divisione marocchina di Montagna, generale Sevez,
-
Raggruppamento
dei Tabors marocchini, generale Guillaume,
-
Unità
organiche dell esercito.
Posta sotto il comando alleato del
maresciallo britannico Alexander, la campagna esordisce per le operazioni della
Sicilia (10-07 – 43) e lo sbarco al sud
di Napoli (9-9-43). L'obiettivo degli Alleati anglo-americani è Roma.
Ma, lungo la linea Gustav (10 e 14
Luglio) l esercito tedesco del maresciallo Kesselring che taglia l'Italia
attraverso il massiccio degli Abruzzi, blocca ogni attivita delle truppe alleate.
Il C.E.F.I, sbarcanto a partire da novembre 44, è impegnato nei
combattimenti in due fasi la seconda delle quali con il significativo
contributo del C.I.L.
v 1 campagna (inverno 44), battaglia dello Monto
Cassino (25-01-44), contrassegnata per la conquista del Belvédère, chiave di volta della linea
Gustav, dove si immlò il 4 Rgt di Esploratori tunisini che perse il 1/3 dei
suoi effettivi di cui quasi tutti i suoi ufficiali. Si riusci a bucare la linea Gustav ma non a
romperla.
v 2 campagna (primavera 44), battaglia del Garigliano,
dove lo scontro più violento fu a Pico. I francesi consegnano agli alleati la
strada di Roma.
Il giorno 08 Febbraio
1944 avvenne il passaggio ufficiale del Raggruppamento alle dipendenze del
Corps Expeditionnaire Francais, quando dal Comando della Divisione Marocchina
giunse l’ordine di operazione nr.1 con il quale si comunicava che il Raggruppamento era messo a
disposizione per l’impiego del Generale di Brigata Guillaume , Comandante il
Gruppo Nord della Seconda divisione Marocchina.
Il Generale Francese commentava molto positivamente l’ingresso del
Raggruppamento, atteso che era necessario rafforzare al massimo l’occupazione
dei monti che si estendevano lungo la linea di resistenza
In particolare il settore occupato dagli Italiani costituisce l’estrema
ala destra della V° Armata a saldatura con l’VIII° Armata, al fine di
proteggere un’ importante via di arroccamento ed assicurare il fianco destro
delle truppe francesi. Il terreno è veramente impervio le quote delle posizioni
da raggiungere e l’inclemenza della stagione costituisce un duro collaudo dello
spirito di sacrificio delle truppe italiane. In particolare al Raggruppamento, che sostituisce il 4°
gruppo Tabor Marocchino, viene dato il compito di proteggere la strada di
arroccamento a COLLI-SCAPOLI –CERASUOLO ed assicurare il collegamento a CASTEL
S. VINCENZO con la Divisione polacca.
Tale attività era ritenuta
necessaria al fine di disimpegnare unità francesi per il successivo reimpiego
in altri settori. Agli inizi di Febbraio provenienti dalla Sardegna giungono
altri reparti Italiani ( 1° Battaglione Arditi- 2° Battaglione Fanteria del 68°
Reggimento) tanto che il
- 1 -
Comandante Utili in considerazione della consistenza organica raggiunta
crea un comando della Fanteria a decorrere dal 14 Febbraio al quale viene
preposto il Col. Fucci. Un mese più tardi a
completare il dispiegamento organico giungerà il Battaglione alpini, in
tempo per partecipare alle operazioni di occupazione di Monte Marrone.
Successivamente a seguito dei ricambi delle aree di
operazione il Raggruppamento italiano trasformatosi in C.I.L. passerà alle
dipendenze della V° Divisione Polacca in data 27 Marzo 1944 rimanendo a
presidio delle aree in cui già are impiegato. I rapporti tra il corpo di
spedizione francese ed il 1° Raggruppamento risultarono invece ottimi,
improntati a cordialità e rispetto reciproco, con i Generali francesi Juin e
Guillaume che ebbero un atteggiamento di grande disponibilità e che valorizzarono il contributo italiano allo
sforzo bellico comune. In particolare il Generale Guillame , come riportato dal
Generale Utili nelle sue memorie, si impegnò per aiutare materialmente le
truppe italiane ed espresse, una volta sancito il passaggio del 1°
Raggruppamento Motorizzato alle sue dipendenze nel settore Nord della 2^ divisione marocchina, la sua
profonda soddisfazione di avere ai suoi ordini truppe italiane ed inneggiò
anche alla fratellanza delle armi delle due nazioni.[i]
Durante la campagna di Italia
tra 1943 e 1944, le truppe coloniali del corpo di spedizione francese furono
responsabili di numerosi atti di violenze contro la popolazione civile
italiana. I voli, gli attacchi a mano armata, i saccheggi e gli stupri furono
soprattutto molto frequenti. Furono inizialmente, solamente degli atti isolati,
commesso per gli individui soli, e puniti dalle autorità alleate, francesi come
anglo-americane. Durante l'offensiva vittoriosa dell'estate 1944 che permise di
superare il linea Gustav, le truppe francesi hanno ottenuto da parte dei loro
superiori una relativa libertà di azione, trascinando degli stupri di massa.
All'inizio degli anni 1950,
l 'Unione Dà Italiane, ha censito circa dodicimila
vittime di violenze sessuali.
Al termine delle operazioni, il
C.E.F.I (120.000 u), conta circa 7.000 militari caduti , 30.000 feriti, 4.200
scomparsi, possiamo dire un terzo dei suoi effettivi.
Tale bilancio
costituisce una delle piu elevate perdite che i reparti francesi abbiano mai
riportato durante la guerra moderna.
giovedì 24 ottobre 2013
C.I.L. Gli Stati Maggiori
Il 10 settembre ’43, il maresciallo Badoglio, allora capo del Governo,
dopo aver confermato che erano stati trasmessi alle forze armate dipendenti gli
ordini “per agire con vigore contro
aggressioni tedesche”, indirizzava una missiva al generale Eisenhower,
comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, al fine di mettere in
rilievo la necessità che si provvedesse al coordinamento delle azioni da
svolgere di concerto.
Il giorno seguente, il Comando Supremo, giunto a conoscenza delle
aggressioni perpetrate dalle forze tedesche diede immediato ordine a tutte le
forze armate italiane di considerare i tedeschi come dei nemici.
“ occorre ….. raggruppare le forze
a nostra disposizione allo scopo di:
opporsi innanzitutto
all’eventuale espansione delle forze avversarie;
-procedere quindi in
cooperazione con le forze anglo-americane all’azione offensiva per la
liberazione di tutto il territorio nazionale”.
Il Corpo Italiano di Liberazione (CIL) rappresentò una sorta di
“continuazione” del primo raggruppamento motorizzato italiano. Il CIL,
costituito esclusivamente con armi e
mezzi italiani, seppe distinguersi per “energia,
volontà e valore” meritando, infine, anche il plauso dei comandi
alleati, nonostante le immense
difficoltà incontrate durante le azioni intraprese dall’esercito italiano
(appena ricostituito dopo la dichiarazione dell’armistizio dell’8 settembre).
Le forze armate costituirono un insieme eterogeneo, proveniente, in
massima parte, da reparti reclutati nell’Italia meridionale, nelle isole o all’estero, il più delle volte composto da
individui sfuggiti alla deportazione messa in atto dalle truppe tedesche.
Insomma, gli Stati Maggiori dovettero affrontare una situazione assai
complessa. Secondo le fonti l’esercito fu composto da : “ una massa la quale è buona e potrà fare bene, magari, benissimo, ma che
– per ragioni d’ordine generale che è inutile analizzare- è ancora molto
irrequieta, suscettibile di oscillazioni spirituali di depressioni subitanee e
quindi costituisce uno strumento di guerra molto delicato, tanto più in
mancanza di una severa opera repressiva contro coloro che cercano di sottrarsi
all’adempimento dei propri doveri.
Si tratta in sostanza, di una
massa con la quale occorre agire con cautela, pur senza discostarsi da
quell’energia necessaria quando il caso lo richiede; di truppa alla quale si
deve andare incontro quanto più possibile senza indugiare, perché l’indugio può
essere pericoloso”.
Ad ogni modo, gli Stati Maggiori dell’epoca seppero condurre con perizia
e professionalità le operazioni militari , assolvendo, allo stesso modo, pure all’alto compito “di risollevare lo spirito ed il morale delle truppe”. Anche
l’inserimento del nuovo esercito italiano all’interno del comparto alleato
richiese una seria mediazione. Nonostante le resistenze opposte dalla
componente britannica, che avrebbe teso ad impiegare le forze italiane nei soli
servizi di “bassa manovalanza nelle retrovie”, mortificando, nei fatti, lo
slancio degli italiani i quali avrebbero voluto partecipare attivamente alla
liberazione della propria Patria, gli Stati Maggiori riuscirono, infine, ad
ottenere un aumento delle truppe.
“Il 23 novembre, il maresciallo
Messe, in occasione della sua nomina a S.M. generale in sostituzione del
Generale Ambrosio, ebbe un colloquio con il generale Joice, Capo della missione
alleata di controllo, nel quale espresse il suo intendimento che le forze
armate italiane dessero agli Anglo-americani una collaborazione attiva e completa
nel campo operativo oltre che nelle retrovie”.
Di fatto, negli intendimenti il CIL non avrebbe dovuto superare la forza
dei 14.000 uomini. Tuttavia, grazie alla costante opera di convincimento
esercitata da Messe e Berardi, il 26 maggio s’addivenne all’autorizzazione
operata dalle forze anglo-americane ad aumentare il numero delle forze.
“in seguito a tale provvedimento il
CIL acquisì la fisionomia che il Comando Supremo e lo Stato Maggiore
dell’esercito avevano progettato sin dai primi di aprile”.
Secondo le fonti, inizialmente, il Corpo Italiano di Liberazione
costituì un semplice “cambio di
denominazione” del I Raggruppamento
Motorizzato, composto di 1400 unità.
Il Corpo Italiano di Liberazione si componeva di un reggimento fanteria
(il 68° con 1.800 uomini), un reggimento bersaglieri (il 4° su due distinti
battaglioni XXIX e XXXIII con 1.250 uomini), un reggimento artiglieria (l’11°
su tre gruppi con una forza di circa 600 uomini), un battaglione paracadutisti
il CLXXXV su tre compagni (450 unità) e un battaglione alpini (ovvero il
“Piemonte” che ebbe poi il compito di occupare Monte Marrone), un battaglione
arditi (IX reparto d’assalto con una forza di 600 uomini), un’unità
carabinieri, genio e Servizi.
Fu solo grazie alle proposte avanzate dal Generale Utili che le Forze
Alleate autorizzarono, anche sulla scorta dei successi riportati, il
potenziamento delle truppe del CIL che
portò gli effettivi del CIL ad un organico di circa 25000 uomini. Si impose però a quel punto una
riorganizzazione dell’intero organico considerando anche la successiva esigenza
di disporre un riordino ed un’eventuale costituzione di comandi intermedi e
raggruppamenti di forze con
responsabilità operativa diretta. Per la prima volta l’intera schiera delle
unità Ialine si ritrovò unita in un unico settore sotto comando italiano. Il
CIL venne così organizzato prevedendo due Brigate (la prima costituita dal 4°
reggimento bersaglieri, dal 3° reggimento alpini coi battaglioni Piemonte e
Granero, dal 185° Reparto paracadutisti, dal 4° Gruppo Artiglieria someggiato;
la seconda Brigata era, invece, costituita dal 68° Reggimento fanteria, dal IX
Reparto d’assalto, da rgt. Marina S. Marco), una Divisione (Nembo che avrebbe
mantenuto la propria costituzione iniziale su due reggimenti paracadutisti ed
un reggimento artiglieria) ed un Comando Artiglieria (che inquadrava il
glorioso 11° di Monte Lungo)
Il 1°giugno '44 il C.I.L. venne
quindi organizzato su due Brigate, una Divisione ed un Comando artiglieria:
-
la I Brigata (Col. Fucci) era costituita dal 4°
Rgt. bersaglieri, dal 3° Rgt. alpini, con i battaglioni "Piemonte" e
"M. Granero", dal 185° Reparto paracadutisti, dal IV° Gruppo
artiglieria someggiato;
-
la II^ Brigata (Col. Moggi) era costituita dal
glorioso 68° Rgt. Fanteria, che combatté a Monte Lungo, dal IX Reparto
d'assalto ( gli arditi di Boschetti), dal Rgt. Marina "San Marco"
(battaglioni Marina "Bafile" e "Grado", dallo squadrone
volontari "Guide", dal V Gruppo artiglieria someggiato;
-
la Divisione "Nembo"” (Gen.Morigi).
sbarcata dalla Sardegna su due Reggimenti paracadutisti (183° e 18°) ed un
Reggimento artiglieria; il Comando di artiglieria (Gen. Moro) che inquadrava
prevalentemente il glorioso 11° di Monte Lungo.
(ad eccezion fatta per qualche variazione organica di poco
conto, il CIL mantenne tale ordinamento fino al ripiegamento dal fronte e al
suo definitivo scioglimento).
Il 2 giugno, infine, durante un colloquio fra
il nostro Capo di Stato Maggiore dell’esercito con il comandante del V Corpo
d’armata britannico, fu concordato che “venisse
costituita, nel territorio del V Corpo, una Delegazione dello Stato Maggiore
italiano allo scopo di dirimere, mediante intese dirette fra gli enti
interessati, gli eventuali inconvenienti e rappresentare nel contempo un organo
regolatore e coordinatore delle attività disciplinari, logistiche ed
amministrative delle unità del CIL, a capo di tale Delegazione venne posto, in
data 4 giugno, il generale De Stefanis, già comandante del LI corpo d’armata”.
(ricerca23@libero.it)
lunedì 7 ottobre 2013
Casenuove: Le iscrizione dei Caduti Monumento eretto in ricordo della battaglia del 17 luglio 1944
martedì 16 luglio 2013
C.I.L. Le forze in campo nel settore delle Mainarde
Nell’ambito dell’offensiva contro la linea «Gustav», il Comando Britannico manifestò l’intendimento di affidare al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) l’esecuzione di un’operazione nell’area delle Mainarde compresa tra la zona di Monte Mare e Monte Cavallo. Il 9 maggio, il gen. Utili illustrò questi intendimenti ai suoi comandanti in sottordine e dopo varie riunioni si palesò la necessità di eseguire un’azione che avrebbe portato alla liberazione dell’abitato di Picinisco secondo la direttrice Monte Mare – Colle dell’Altare. L’idea iniziale, secondo le indicazioni inglesi, era quella di operare un attacco frontale contro Monte Cavallo che doveva essere conquistato con un’azione aggirante da sud. Tale modalità esecutiva venne subito scartata poiché il gen. Utili, che ben conosceva le ripide pareti di Monte Cavallo, propose con successo che l’azione si sviluppasse con un aggiramento da nord. Ebbe inizio così l’operazione «Chianti» che si svolse dal 27 al 30 maggio 1944. La mattina del 27 maggio l’operazione prese il via con la preparazione di artiglieria, dopo di che le fanterie mossero all’attacco sull’intero fronte. L’avanzata, tranne che nel settore del 68° reggimento fanteria, non incontrò una forte resistenza, tanto che gli obiettivi assegnati furono conseguiti. I fatti d’arme furono numerosi e anche se non si ottennero grandi risultati nel campo tattico-strategico, dal punto di vista morale il breve ciclo operativo aveva indubbiamente fornito ai reparti impegnati la consapevolezza delle proprie capacità manovriere e combattive contro gli ostacoli opposti dal nemico e contro le difficoltà e le asprezze del terreno.
Il C.I.L. venne ufficialmente costituito il 22 marzo 1944 sulle ceneri del I Raggruppamento motorizzato. Nel periodo in esame non presentava ancora la struttura di grande unità basata su due complessi di forze a livello divisionale come avverrà a partire dal I giugno. In particolare, il C.I.L. era alle dirette dipendenze del X Corpo britannico inquadrato nell’8^ Armata che a sua volta era inserita nel XV gruppo d’Armate.
La responsabilità della condotta dell’operazione «Chianti» venne affidata al col. Ettore Fucci, Vicecomandante del C.I.L. e Comandante delle fanteria. Il col. Fucci poteva contare sulle seguenti unità di manovra: il 68° reggimento di fanteria con il I e II battaglione, il 4° reggimento bersaglieri con il XXIX e XXXIII battaglione, il 184° reggimento e il CLXXXV battaglione paracadutisti, il battaglione alpini «Piemonte» in cui era inquadrata una batteria da 75 mm someggiata nonché il IX reparto d’assalto. A tali unità di manovra si aggiungeva l’11° reggimento di artiglieria su tre gruppi, unità carabinieri, del genio e dei servizi.
Le unità del C.I.L., come si può osservare, erano costituite da reparti di fanteria supportati da artiglieria, genio e servizi logistici, ma totalmente privi di mezzi corazzati. Tale peculiarità rendeva queste unità particolarmente idonee ad operare su terreni montuosi, aspri e difficili come quelli presenti nella zona oggetto di studio, che aveva impedito a reparti motorizzati, come quelli anglo-americani, di agire agevolmente.
L’armamento individuale era costituito dal moschetto 91 e dal M.A.B. 38 A mentre gli ufficiali avevano in dotazione la Beretta 34 cal. 9 corto. Per quanto riguarda l’artiglieria, il I gruppo del 11° reggimento aveva in dotazione cannoni da 105/28, il II gruppo obici da 100/22, il III gruppo obici da 75/18 mentre il gruppo someggiato obici da 75/13. Durante l’operazione “Chianti” il C.I.L. poteva, inoltre, contare sul supporto di fuoco di 3 gruppi da 87 del 5° reggimento di artiglieria neo-zelandese, del 17° H.A.A. (heavy anti-aircraft) antiaerea pesante, del 20° e 21° gruppo di artiglieria da 5,5 pollici e di una batteria di controbatteria, messi a disposizione dal 2° Army Group Royal Artillery.
In merito all’organizzazione logistica di siffatto complesso di forze, erano state costituite due basi logistiche, una immediatamente a nord della q. 1770 di Monte Marrone, con una dotazione di 3 giornate viveri, avena e munizioni per il sostegno del battaglione alpini “Piemonte”, mentre l’altra a q. 1180, con una dotazione di 5 giornate, per tutti gli altri reparti.
Il servizio sanitario era stato organizzato su tre reparti sanitari rispettivamente a q. 1180, in Val Petrara e sulla rotabile di Alfedena al bivio di Rocchetta. A garantire il servizio portaferiti si dispose che il II gruppo del 541° reggimento artiglieria fosse impiegato in rinforzo della sezione sanità per lo sgombero dei feriti presso i posti medicazione dei suindicati reparti sanitari. In particolare, il trasporto dei feriti avveniva con l’impiego di muli, mentre sulla rete stradale, si poteva contare sull’impiego di alcune autoambulanze.
A causa della scarsa viabilità1 e praticabilità del terreno, per quanto riguarda il servizio di commissariato, si impose la logica della previdenza facendo largo impiego di viveri a secco e salmerie. Prima dell’inizio dell’operazioni «Chianti» vennero accantonate presso le basi logistiche circa 8000 di tali razioni ed un congruo numero di razioni di foraggio (da impiegarsi solo su autorizzazione). Inoltre, alle unità vennero concesse due razioni viveri di riserva da consumarsi durante l’azione.
In merito al servizio di artiglieria si costituirono posti munizioni a q. 1180, su Monte Marrone, alle sorgenti del Volturno e a S. Vittorino2. Prima dell’inizio dell’operazione «Chianti» fu disposto che i gruppi avessero presso di sé due giornate e mezzo di fuoco, al IV gruppo someggiato da 75/13 furono messi a disposizione 3000 colpi presso la base logistica a q. 1180, mentre gli altri gruppi di artiglieria potevano provvedere direttamente a rifornirsi con propri mezzi attingendo al P.A.M. (posto avviamento munizioni) di Isernia. La fanteria avrebbe inoltrato le richieste di munizioni alla sezione servizi del Comando del C.I.L. tramite Comando fanteria o il Comando del 68° reggimento.
Per quanto attiene la dislocazione iniziale dei Comandi, il fronte del C.I.L. nella zona delle Mainarde era suddiviso in tre settori: «Rio Chiaro», «Marrone» e «Rocchetta». Il settore «Rio Chiaro» era presidiato dal 184° reggimento paracadutisti, il settore «Rocchetta» dal 68° reggimento fanteria e il settore «Marrone» da 2 battaglioni bersaglieri, dal battaglione alpini “Piemonte”, dal CLXXXV battaglione paracadutisti e dal IX reparto d’assalto. In particolare, mentre le unità di quest’ultimo settore avrebbero effettuato lo sforzo principale, ai due settori laterali era riservata, invece, una semplice azione concomitante di sondaggio e di fiancheggiamento tattile.
Per quanto riguarda il movimento vennero costituite tre colonne: la colonna «Massimino», costituita dal CLXXXV battaglione paracadutisti «Nembo» e dalla 10a compagnia mortai del 68° reggimento, la colonna Briatore, costituita dal battaglione alpini «Piemonte» e dalla batteria alpini da 75/13 e la colonna Ciancabilla, costituita dal 4° reggimento bersaglieri, dal IX reparto d’assalto, dalla 9a compagnia mortai del 68° reggimento e dal IV gruppo da 75/13 someggiato.
Questa era la consistenza, l’articolazione e l’organizzazione logistica delle forze del C.I.L. nell’area delle Mainarde. Per quanto riguarda la coalizione hitleriana il gen. Ringel, responsabile del settore, poteva disporre dell'85° e 100° reggimento di fanteria, di un reggimento di artiglieria da montagna, di vari battaglioni da ricognizione, del raggruppamento "Bode", costituito dal 576° reggimento, vari battaglioni e servizi e del III battaglione indipendente di cacciatori alpini.
Dopo i fatti d’arme di aprile e l’operazione “Chianti” nelle Mainarde di fine maggio 1944 l’opinione degli alleati di contenere la consistenza delle Forze Armate italiane era destinata gradualmente a mutare. Sebbene tali azioni furono dal punto di vista tattico poco significative, esse ebbero il grande pregio di ridare dignità, fiducia e morale sia alla componente militare che civile del popolo italiano. Si stava diffondendo la sensazione che ora il termine cobelligeranza non fosse solo una parola, ma stesse via via assumendo un carattere reale e che le prove di Monte Lungo del dicembre 1943 ed il travagliato gennaio-febbraio 1944, in cui affiorava in vari ambienti alleati l’ipotesi di sciogliere ogni forza combattente italiana, fossero definitivamente superati. Le azioni dei nostri militari aveva dimostrato che l’esperienza italiana nella guerra di montagna era superiore a quella inglese ed americana, le nostre truppe erano indispensabili perché si ritagliarono una nicchia di capacità, data dalla possibilità di operare in terreni montuosi particolarmente accidentati, ove le truppe alleate non erano in grado di vivere e combattere. Tale percezione venne ulteriormente confermata dall’evolversi del conflitto, infatti, mentre nel settore delle Mainarde gli scontri potevano considerarsi, salvo qualche breve periodo movimentato, azioni aventi un preminente carattere di staticità, nel settore adriatico, il C.I.L. avrebbe manifestato lo slancio di cui era capace, nel corso di un’ininterrotta avanzata che avrebbe prima contribuito alla creazione dei gruppi di combattimento e successivamente alla liberazione dell’Italia dalle truppe tedesche.
Allegato A
Il C.I.L. venne ufficialmente costituito il 22 marzo 1944 sulle ceneri del I Raggruppamento motorizzato. Nel periodo in esame non presentava ancora la struttura di grande unità basata su due complessi di forze a livello divisionale come avverrà a partire dal I giugno. In particolare, il C.I.L. era alle dirette dipendenze del X Corpo britannico inquadrato nell’8^ Armata che a sua volta era inserita nel XV gruppo d’Armate.
La responsabilità della condotta dell’operazione «Chianti» venne affidata al col. Ettore Fucci, Vicecomandante del C.I.L. e Comandante delle fanteria. Il col. Fucci poteva contare sulle seguenti unità di manovra: il 68° reggimento di fanteria con il I e II battaglione, il 4° reggimento bersaglieri con il XXIX e XXXIII battaglione, il 184° reggimento e il CLXXXV battaglione paracadutisti, il battaglione alpini «Piemonte» in cui era inquadrata una batteria da 75 mm someggiata nonché il IX reparto d’assalto. A tali unità di manovra si aggiungeva l’11° reggimento di artiglieria su tre gruppi, unità carabinieri, del genio e dei servizi.
Le unità del C.I.L., come si può osservare, erano costituite da reparti di fanteria supportati da artiglieria, genio e servizi logistici, ma totalmente privi di mezzi corazzati. Tale peculiarità rendeva queste unità particolarmente idonee ad operare su terreni montuosi, aspri e difficili come quelli presenti nella zona oggetto di studio, che aveva impedito a reparti motorizzati, come quelli anglo-americani, di agire agevolmente.
L’armamento individuale era costituito dal moschetto 91 e dal M.A.B. 38 A mentre gli ufficiali avevano in dotazione la Beretta 34 cal. 9 corto. Per quanto riguarda l’artiglieria, il I gruppo del 11° reggimento aveva in dotazione cannoni da 105/28, il II gruppo obici da 100/22, il III gruppo obici da 75/18 mentre il gruppo someggiato obici da 75/13. Durante l’operazione “Chianti” il C.I.L. poteva, inoltre, contare sul supporto di fuoco di 3 gruppi da 87 del 5° reggimento di artiglieria neo-zelandese, del 17° H.A.A. (heavy anti-aircraft) antiaerea pesante, del 20° e 21° gruppo di artiglieria da 5,5 pollici e di una batteria di controbatteria, messi a disposizione dal 2° Army Group Royal Artillery.
In merito all’organizzazione logistica di siffatto complesso di forze, erano state costituite due basi logistiche, una immediatamente a nord della q. 1770 di Monte Marrone, con una dotazione di 3 giornate viveri, avena e munizioni per il sostegno del battaglione alpini “Piemonte”, mentre l’altra a q. 1180, con una dotazione di 5 giornate, per tutti gli altri reparti.
Il servizio sanitario era stato organizzato su tre reparti sanitari rispettivamente a q. 1180, in Val Petrara e sulla rotabile di Alfedena al bivio di Rocchetta. A garantire il servizio portaferiti si dispose che il II gruppo del 541° reggimento artiglieria fosse impiegato in rinforzo della sezione sanità per lo sgombero dei feriti presso i posti medicazione dei suindicati reparti sanitari. In particolare, il trasporto dei feriti avveniva con l’impiego di muli, mentre sulla rete stradale, si poteva contare sull’impiego di alcune autoambulanze.
A causa della scarsa viabilità1 e praticabilità del terreno, per quanto riguarda il servizio di commissariato, si impose la logica della previdenza facendo largo impiego di viveri a secco e salmerie. Prima dell’inizio dell’operazioni «Chianti» vennero accantonate presso le basi logistiche circa 8000 di tali razioni ed un congruo numero di razioni di foraggio (da impiegarsi solo su autorizzazione). Inoltre, alle unità vennero concesse due razioni viveri di riserva da consumarsi durante l’azione.
In merito al servizio di artiglieria si costituirono posti munizioni a q. 1180, su Monte Marrone, alle sorgenti del Volturno e a S. Vittorino2. Prima dell’inizio dell’operazione «Chianti» fu disposto che i gruppi avessero presso di sé due giornate e mezzo di fuoco, al IV gruppo someggiato da 75/13 furono messi a disposizione 3000 colpi presso la base logistica a q. 1180, mentre gli altri gruppi di artiglieria potevano provvedere direttamente a rifornirsi con propri mezzi attingendo al P.A.M. (posto avviamento munizioni) di Isernia. La fanteria avrebbe inoltrato le richieste di munizioni alla sezione servizi del Comando del C.I.L. tramite Comando fanteria o il Comando del 68° reggimento.
Per quanto attiene la dislocazione iniziale dei Comandi, il fronte del C.I.L. nella zona delle Mainarde era suddiviso in tre settori: «Rio Chiaro», «Marrone» e «Rocchetta». Il settore «Rio Chiaro» era presidiato dal 184° reggimento paracadutisti, il settore «Rocchetta» dal 68° reggimento fanteria e il settore «Marrone» da 2 battaglioni bersaglieri, dal battaglione alpini “Piemonte”, dal CLXXXV battaglione paracadutisti e dal IX reparto d’assalto. In particolare, mentre le unità di quest’ultimo settore avrebbero effettuato lo sforzo principale, ai due settori laterali era riservata, invece, una semplice azione concomitante di sondaggio e di fiancheggiamento tattile.
Per quanto riguarda il movimento vennero costituite tre colonne: la colonna «Massimino», costituita dal CLXXXV battaglione paracadutisti «Nembo» e dalla 10a compagnia mortai del 68° reggimento, la colonna Briatore, costituita dal battaglione alpini «Piemonte» e dalla batteria alpini da 75/13 e la colonna Ciancabilla, costituita dal 4° reggimento bersaglieri, dal IX reparto d’assalto, dalla 9a compagnia mortai del 68° reggimento e dal IV gruppo da 75/13 someggiato.
Questa era la consistenza, l’articolazione e l’organizzazione logistica delle forze del C.I.L. nell’area delle Mainarde. Per quanto riguarda la coalizione hitleriana il gen. Ringel, responsabile del settore, poteva disporre dell'85° e 100° reggimento di fanteria, di un reggimento di artiglieria da montagna, di vari battaglioni da ricognizione, del raggruppamento "Bode", costituito dal 576° reggimento, vari battaglioni e servizi e del III battaglione indipendente di cacciatori alpini.
Dopo i fatti d’arme di aprile e l’operazione “Chianti” nelle Mainarde di fine maggio 1944 l’opinione degli alleati di contenere la consistenza delle Forze Armate italiane era destinata gradualmente a mutare. Sebbene tali azioni furono dal punto di vista tattico poco significative, esse ebbero il grande pregio di ridare dignità, fiducia e morale sia alla componente militare che civile del popolo italiano. Si stava diffondendo la sensazione che ora il termine cobelligeranza non fosse solo una parola, ma stesse via via assumendo un carattere reale e che le prove di Monte Lungo del dicembre 1943 ed il travagliato gennaio-febbraio 1944, in cui affiorava in vari ambienti alleati l’ipotesi di sciogliere ogni forza combattente italiana, fossero definitivamente superati. Le azioni dei nostri militari aveva dimostrato che l’esperienza italiana nella guerra di montagna era superiore a quella inglese ed americana, le nostre truppe erano indispensabili perché si ritagliarono una nicchia di capacità, data dalla possibilità di operare in terreni montuosi particolarmente accidentati, ove le truppe alleate non erano in grado di vivere e combattere. Tale percezione venne ulteriormente confermata dall’evolversi del conflitto, infatti, mentre nel settore delle Mainarde gli scontri potevano considerarsi, salvo qualche breve periodo movimentato, azioni aventi un preminente carattere di staticità, nel settore adriatico, il C.I.L. avrebbe manifestato lo slancio di cui era capace, nel corso di un’ininterrotta avanzata che avrebbe prima contribuito alla creazione dei gruppi di combattimento e successivamente alla liberazione dell’Italia dalle truppe tedesche.
Allegato A
giovedì 4 luglio 2013
C.I.L. - I Mezzi tecnici
Se ai primi soldati ad
entrare in linea non fu possibile distribuire molto materiale alleato, anche di
quello nazionale si dovette fare parco uso poiché gli alleati usavano i pochi
magazzini trovati per prelevare vestiario, scarpe e munizionamento a favore dei
partigiani di Tito (lo paracadutavano) e degli italiani delle brigate partigiane
in Jugoslavia. L’entrata in linea di soldati repubblichini nella stessa divisa
grigioverde, rese necessario dotare, uniformare le divise dell’esercito del sud
con quelle alleate almeno con quelle inglesi di cui i nostri reparti facevano
parte. Anche per questo compaiono, nei diari dei primi mesi della guerra di
liberazione, le lamentele dei soldati senza rifornimenti e senza cambi. Ma la
vita del soldato non era solo quella, andava dagli alloggiamenti, alle licenze,
al soldo, al vitto, ai trasporti e non ultimo alla riconoscenza. Se diciamo che
in tutti questi aspetti fummo piuttosto tirati compiamo un grande atto di
ottimismo e siamo ancora molto lontani dalla realtà.
Dalla primavera del 44 però
ben poco distingueva il combattente dei Gruppi dal tommy inglese: la divisa era
costituita dal praticissimo ed ottimo battle dress con la usuale tascona sulla coscia sinistra,
con scarponi neri e ghette in canapa. Anche la buffetteria era quella
dell'esercito inglese, così come gli zaini, gli elmetti (la classica padella -
Mk II steel helmett a cui i bersaglieri applicarono il piumetto) e gli attrezzi
da zappatore. Chi ne aveva la possibilità (i paracadutisti in testa, ma anche i
bersaglieri) conservò il M.A.B. 38 A (ritenuto migliore dei mitra alleati
distribuiti), e gli ufficiali le loro Beretta 34 cal. 9 corto. Gli alpini
conservarono il loro copricapo come i bersaglieri il fez, etc... I gradi erano
quelli italiani ed erano tornati sulle spalline per gli ufficiali. Oltre alle
mostrine italiane di corpo sul braccio sinistro compariva una bandierina
(celluloide o metallo verniciato) tricolore italiana con il simbolo del gruppo
sul campo centrale bianco. I paracadutisti sopra il normale battle dress
indossavano un giaccone senza maniche (frequente l'uso di quelli in pelle
marrone tipicamente inglese) ma anche altre tenute copiate dai tedeschi e il
casco da lancio era quello inglese Mk. 1-1942 o Mk. 2-1943, anche se alcuni
portavano l'elmetto da motociclista Mk.1-1942.
Per quanto riguarda gli automezzi che furono
forniti ai soldati italiani c’è chi ha fatto una lista che potrà essere anche
incompleta, ma significativa di quella mobilità che il nostro ex nemico aveva e
che in Italia, in quanto tale orograficamente, non si poteva dispiegare al
100%. I mezzi corazzati, le artiglierie, ma non solo, ne erano un piccolo
esempio. I Gruppi di Combattimento furono equipaggiati quasi interamente con
materiale di provenienza alleata e più specificatamente inglese. I mezzi
inglesi erano considerati sussidiari, perché con quelli non avrebbero mai vinto
la guerra contro i tedeschi, pur potendo disporne anche in grandi quantità
prodotte dal Commonwealth che avevano dietro le spalle. La qualità e la forza o
potenza era in genere inferiore a quella tedesca
JEEP FORD GPW.
Jeep: Caratteristiche
tecniche 2.199 cc - 54 hp - classe 250 kg. La sigla ormai nota come jeep che
sta per GP general purpose, (foneticamente j p) usi generali, nasce con la
specifica di un mezzo per il traino di piccole batterie (37mm), mezzo di
comando o rimorchio . La Bantam è la prima a costruire un prototipo, poi non
approvato. Anche la Ford produsse prototipi e l'originale su licenza Willys
Overland Motors Inc. come è meglio conosciuta la Jeep (Willys) da chi vinse la
commessa. All'epoca costava sui 1.000 $ e ne vennero prodotti 640.000 pezzi.
Decine furono le varianti e gli usi introdotti su questo mezzo.
BEDFORD MW 4x2: autocarro leggero inglese,
porta una squadra di 10 uomini con carico (15 cwt di portata, corrispondenti a
circa 750 Kg.). Del mezzo esistevano varie versioni: quelli del Regio Esercito
appartenevano alle ultime serie di produzione (D), caratterizzate da parabrezza
di grandi dimensioni.
DODGE D 15: autocarro
leggero Usa (15 cwt di portata, corrispondenti a circa 750 Kg.), meno diffuso
del precedente. Motore a 6 cilindri 95 hp.
CMP Canadian Military
Pattern CHEVROLET C15: autocarro leggero (15 cwt di portata 750 kg) a trazione
integrale di produzione canadese. Motore a 6 cilindri 85 hp, lunghezza m 4,34 -
telonato.
FIAT SPA TM 40. Trattore
medio a 4 ruote motrici e sterzanti. Motore Diesel a 6 cilindri 108 hp
Lunghezza m 4,6. Nel dopoguerra venne costruita la versione più lunga TM48 con
lo spazio retrostante per le munizioni del 76/55
MORRIS C 8 FAT (Field
Artillery Tractor): Risulta essere stato assegnato ai gruppi di artiglieria per
il traino di tutti i pezzi in dotazione. Esiste anche in versione ad una
portiera per lato e tetto parzialmente coperto in tela. Un
esemplare della versione mk III con carrozzeria tradizionale è tuttora esposta
al Museo della Motorizzazione Militare in Roma alla Cecchignola.
UNIVERSAL (BREN)
CARRIER: famoso tuttofare dell'esercito inglese, fu distribuito ai reparti di
fanteria, dei gruppi come trasporto (truppe e materiali) e veicolo esplorante
(nel dopoguerra fu utilizzato come trattore, ma non solo, per il cannone contro
carro da 6 lbs) ma anche porta squadra mortaio. 88° Rgt. Friuli - 1944
LlOYD CARRIER: derivato
dall'universal carrier (4 ruote portanti per lato anziché 3),da 1 tonn.
Utilizzato per il traino dei cannoni controcarro da 6 libbre (57 mm.);
data la scarsità di spazio a bordo era però previsto che ogni pezzo fosse
accompagnato da due trattori, uno per le munizioni e l’altro per il personale.
CANNONE contro carro da 6
lbs., in Italia noto come cannone c.c. da 57/50
In dotazione alle compagnie
c.c. dei battaglioni di fanteria, data la scarsa presenza, da parte tedesca, di
mezzi corazzati nei combattimenti che coinvolsero i gruppi, i cannoni da 6
libbre furono sostanzialmente usati come armi d’accompagnamento della fanteria
(canna lunga).
CANNONE contro carro da 17
lbs., in Italia noto come cannone c.c. da 76/55.
Il più potente cannone
controcarro alleato (armava anche Shermann Firefly), fu dato in dotazione al
gruppo contro carri (tre batterie di sei pezzi) del reggimento di artiglieria.
E’ stato il primo pezzo di artiglieria ad utilizzare proiettili perforanti a
scartamento di involucro (APDS), per questo era in grado di competere con armi
di maggior calibro (88/55 tedesco, 90/50 americano, 90/53 italiano). Venne
mantenuto in servizio anche nel dopoguerra.
OBICE da 25 lbs., in Italia
noto come obice campale da 88/27.
In dotazione a 4 gruppi del
reggimento artiglieria, nella versione più aggiornata con freno di bocca a due
luci. Ebbe lunga vita (non solo nell’E.I.) nel dopoguerra; negli anni 50 alcuni
esemplari in dotazione all’artiglieria italiana furono sottoposti al
rialesaggio della canna: questa fu portata al calibro 105 mm., risultando lunga
circa 22 calibri.
CANNONE contraereo Bofors da
40/50
ancora oggi (in versione
aggiornata ed allungata a 70 calibri) in uso presso le principali marine
mondiali come pezzo antiaereo ed antimissile.
(studentiecultori2009@libero.it)
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